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L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE QUALE GARANTE PRINCIPALE DELLA PROTEZIONE DEL

4 IL RUOLO CENTRALE DELL’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE NELL’ATTUARE UN

4.1 L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE QUALE GARANTE PRINCIPALE DELLA PROTEZIONE DEL

GARANTE PRINCIPALE DELLA PROTEZIONE DEL

MINORE

Fino a pochi anni fa, e in alcuni casi anche oggi, le situazioni di maltrattamento erano affrontate a seconda delle competenze del professionista incaricato ad occuparsene. Questa modalità di fronteggiare il problema si è rivelata ben presto un fallimento e si è via via riconosciuta la necessità che il professionista effettui con gli altri operatori gli interventi sui minori, richiedendo alle società di investire le loro risorse professionali principalmente in progetti di intervento155. È stato infatti più volte dimostrato come in queste situazioni né i singoli professionisti né le istituzioni possano operare in modo efficace da soli, ma abbiano bisogno di lavorare in modo congiunto con le altre istituzioni attraverso l’utilizzo di tutte le risorse a disposizione. Questa primaria necessità è stata evidenziata anche dalle Linee Guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (2006): «È quindi di vitale importanza che ci sia una stretta collaborazione tra una pluralità di settori e che si adotti un comune approccio per indagare e trattare il minore, la famiglia e il colpevole. I settori sanitari, sociali e legali hanno ruoli importanti in questo processo. Un approccio multisettoriale sviluppato uniformemente che utilizzi un basso, ma equilibrato livello di risorse può produrre risultati migliori di un sistema sviluppato in modo non uniforme con alti standard e risorse in un singolo settore e di conseguenza un relativamente basso livello di risorse per gli altri servizi»156. A tal proposito occorre evidenziare che «riguardo alle competenze e ai compiti dei diversi professionisti e dei servizi coinvolti, il nostro paese non ha ancora un organico sistema di protezione dell’infanzia, che è coperto dai Comuni e dalle Province con una carenza di leggi regionali e nazionali e talora con conflitti di competenza tra il settore

155

Cfr. F. Montecchi, op. cit., p. 155.

156

Organizzazione Mondiale della Sanità, Prevenire il maltrattamento sui minori: indicazioni operative e

strumenti di analisi, Ferrara, 4 Dicembre 2009, p.64. Pubblicato nell’anno 2006 con il titolo “Preventing

71 sanitario e quello sociale»157. Seppure in Italia esistono numerosi Servizi con una preparazione adeguata per occuparsi di questi maltrattamenti, non tutti sono in grado di effettuare un intervento appropriato, non avendo solo questo problema da affrontare ma molti di più. È ampiamente riconosciuto che il lavoro con i minori maltrattati e le loro famiglie sia un campo particolarmente complesso e delicato che richiede una formazione specifica dell’operatore in quanto il rischio di un coinvolgimento emotivo è elevato. Per ovviare a questo e ad altri rischi in cui ogni operatore può eventualmente imbattersi, indispensabile risulta la costituzione di un’équipe multidisciplinare e interistituzionale la quale, se adeguatamente preparata e specializzata, rappresenta una risorsa strategica nel lavoro di tutela. L’équipe consiste in un particolare gruppo di lavoro pluridisciplinare158 che, avvalendosi dell’integrazione e della collaborazione di professionisti dei diversi servizi del territorio, ha maggiore possibilità di riuscita sia nella lettura delle dinamiche esistenti all’interno della famiglia maltrattante, sia nell’individuazione di strategie efficaci alla risoluzione di casi di questo tipo. «Il lavoro di gruppo è, infatti, un mezzo dinamico ed efficace attraverso il quale i diversi partecipanti si coordinano per lavorare meglio in ordine alle finalità da raggiungere, pur conservando l’autonomia di ruoli e di funzioni; è un mezzo mediante il quale i problemi, le situazioni, i disagi, ecc. in rapporto ai quali il gruppo si costituisce, o è costituito, vengono affrontati sia a fini conoscitivi che operativi»159. Il lavoro di gruppo è sostanzialmente un confronto tra i diversi professionisti intorno a un determinato tema (in questo caso il maltrattamento) o intorno a determinati eventi avvenuti, con il fine di analizzarli, comprenderli attraverso il contributo delle diverse conoscenze, esperienze, competenze dei relativi operatori coinvolti. «Alla base del lavorare insieme vi è un atteggiamento positivo e di apertura verso gli altri, di riconoscimento del valore delle esperienze altrui, di disponibilità al confronto ed al “rischio” di mettersi in discussione»160. L’équipe è lo spazio in cui si definiscono sin dai primi momenti gli ostacoli che potrebbero danneggiare il progetto di intervento; è un ambiente di cura in

157

F. Montecchi, op. cit., p. 154.

158

Si tratta di operatori afferenti ad aree di studio diverse (medicina, servizio sociale, neuropsichiatria infantile), con diversa formazione post-universitaria e con esperienze in settori differenti (salute mentale, materno infantile).

159

A. Bartolomei, A. L. Passera, L’assistente sociale. Manuale di servizio sociale professionale, Edizioni CieRre, pp. 216-217.

160

72 cui il singolo operatore può condividere alcune informazioni e conoscenze in suo possesso e in cui vi è ascolto reciproco, in cui il professionista ha la possibilità di riconoscere le proprie emozioni, le proprie incertezze ed esternare eventuali conflitti che vive interiormente o che emergono nel corso dell’intervento (ad es. è frequente l’imposizione del proprio punto di vista, la scarsa condivisione delle decisioni e degli interventi adottati tra i diversi servizi). L’équipe offre inoltre la possibilità all’operatore di condividere preoccupazioni o scelte con gli altri colleghi, in modo da affrontare situazioni conflittuali e contrastare la solitudine operativa161. Il lavoro d’équipe favorisce una visione più ampia degli eventi, «ha una costante azione auto formativa e auto correttiva nei confronti dei membri che la compongono»162, permette di sperimentare nuove procedure a seconda dell’evoluzione del caso e una «corresponsabilità allargata all’intero gruppo e servizio»163.

Uno degli aspetti più problematici nella presa in carico delle famiglie maltrattanti, oltre al coordinamento tra i diversi servizi e le istituzioni, è la comprensione tra soggetti che utilizzano linguaggi diversi: da un lato il giudice, che ha la funzione di perseguire i reati e condannare i colpevoli, e dall’altro gli operatori sociali, il cui lavoro è prettamente assistenzialistico164. Le molteplici difficoltà che l’operatore può incontrare nel relazionarsi con queste famiglie possono essere fronteggiate in modo adeguato soltanto se egli può contare su un adeguato setting di supervisione, uno spazio di sostegno o consulenza a cui il professionista non deve far ricorso solo ed esclusivamente nei momenti particolarmente difficili: «nel lavoro con l’infanzia maltrattata, la consapevolezza dell’esperienza emotiva ed un consapevole contatto con se stessi e gli altri»165 risultano indispensabili per poter assicurare un’efficace funzione di aiuto e tutela. Necessario in questi contesti è l’intervento del supervisore, il quale «si occupa

della relazione tra gruppi di operatori che lavorano nelle istituzioni e delle dinamiche relazionali interne, durante riunioni in cui si discutono i trattamenti in corso»166. La sua

funzione consiste nel mettere in collegamento tra di loro i diversi operatori coinvolti,

161

Cfr. M. T. Pedrocco Biancardi, A. Talevi, op. cit., pp. 40-41.

162

R. Mazza, Pensare e lavorare in gruppo. La supervisione nelle relazioni di aiuto, Erreci, Bologna, 2013, p. 13.

163

Ibidem. Corsivo nel testo.

164

A. Campanini, op. cit., p. 78.

165

A. Crivillé, op. cit., p.49.

166

73 «facilitando il processo di progettazione condivisa dell’intervento attraverso la raccolta e la circolazione delle informazioni, l’esplicitazione degli oggetti di lavoro dei diversi operatori, la costruzione e cura delle connessioni tra operatori»167. Egli, inoltre, ascolta attentamente, fornisce commenti, legge e condivide emozioni, suggerisce idee o percorsi diversi, offre nuove interpretazioni, stimola la partecipazione di tutti, facilita l’interazione e non si impone al gruppo, anzi, mantiene una certa neutralità, ed evita possibili alleanze e coalizioni168. Il supervisore è un professionista che, se adeguatamente riconosciuto e apprezzato dal proprio gruppo di lavoro, può fornire un grande aiuto, altrimenti si riduce a svolgere soltanto un ruolo standardizzato di coordinamento.

Nell’ambito del tema del maltrattamento infantile, i servizi che svolgono un ruolo centrale nella rilevazione e cura dei bambini interessati sono: il Tribunale per i minorenni, cui viene segnalata una situazione di pregiudizio; il Servizio sociale dell’ente che si occupa di seguire i minori; i servizi specialistici; le comunità nelle quali, a seconda della gravità della situazione, eventualmente sono accolti i bambini169.

In tutte le regioni sono state messe a punto delle linee guida sul maltrattamento e l’abuso sui minori. In questo lavoro ho scelto di descrivere le sette fasi170

(rilevazione, coinvolgimento della famiglia, indagine, protezione, valutazione sulla recuperabilità, prognosi e trattamento) previste nel processo di intervento171 delineato dall’équipe del CBM tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, processo che coinvolge sia il bambino che la sua famiglia, «poiché il principio teorico dell’équipe del CBM è che il maltrattamento di un minore in famiglia è espressione di un gioco patogeno attivo nella famiglia stessa»172. Malgrado questo processo di intervento sia stato criticato da alcuni «per una certa rigidità, per l’artificiosità della scansione delle fasi in una materia così mobile e indeterminata come l’evoluzione della genitorialità, per l’eccessiva

167

M.T. Pedrocco Biancardi, A. Talevi, op. cit., p. 41.

168

Cfr. R. Mazza, op. cit., p. 36.

169

Cfr. A. Campanini, op. cit., p.77.

170

Cfr. S.Cirillo, Cattivi genitori, op. cit.

171

Il processo di intervento è stato presentato per la prima volta nel 1989 nei fascicoli illustrativi dell’attività del CBM e in questa forma ripreso in T. Bertotti, L.Gabbana, L’intervento del cbm e la

comunità di tipo familiare, in A. Campanini (a cura di), Maltrattamento all’infanzia, Carocci, Roma,

1993. In seguito proposto anche da D. Ghezzi, Il coordinamento tra percorsi:integrazione di ruoli e

funzioni nel sistema degli operatori, in D. Ghezzi, F. Vadilonga, La tutela de minore, Raffaello Cortina,

Milano, 1996.

172

74 similitudine con i modelli medico-sanitari e per l’inappropriatezza di taluni termini esso ha ancora, si ritiene, una consistente utilità. A patto che lo si consideri una guida per orientare la conoscenza e non una procedura da seguire»173. È uno strumento che consente ai diversi operatori di mantenere la direzione intrapresa in un percorso spesso difficile e che permette di volta in volta di fare il punto della situazione per capire dove si è arrivati e quali risultati si vogliono ottenere. Anche Il CBM (Centro per il Bambino Maltrattato e la Cura della Crisi Familiare), cooperativa sociale nata a Milano nel luglio del 1984 su iniziativa di figure professionali quali psicologi, assistenti sociali ed educatori, per intervenire sulle situazioni di maltrattamento o abuso a cui i minori sono esposti all’interno delle loro famiglie, è stato criticato perché si riteneva che l’istituzione di un centro specialistico rischiava di etichettare i bambini come soggetti maltrattati. Il CBM opera in stretta collaborazione con il Tribunale per i minorenni e i servizi sociosanitari del territorio milanese174 ed inoltre «costituisce una risorsa per le esigenze del territorio a livello clinico e culturale, con un’attività di formazione, di promozione di

convegni e campagne d’informazione sul tema del maltrattamento all’infanzia»175

. Ho scelto di suddividere il capitolo nel seguente modo: nella prima parte elencherò e descriverò le sette fasi del processo d’intervento, nella seconda parte elencherò gli strumenti operativi indispensabili ad ogni professionista per la raccolta di quelle informazioni utili per attivare un intervento adeguato a ogni caso e nella terza ed ultima parte farò riferimento alle eventuali difficoltà che gli operatori possono incontrare in questo percorso di aiuto così travagliato e i cui utenti da aiutare sono costituiti da nuclei familiari particolarmente disturbati.

4.2 LE FASI DEL PROCESSO DI INTERVENTO