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EVENTUALI RISCHI DEGLI OPERATORI SOCIALI INCARICATI DI LAVORARE CON LE

4 IL RUOLO CENTRALE DELL’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE NELL’ATTUARE UN

4.5 EVENTUALI RISCHI DEGLI OPERATORI SOCIALI INCARICATI DI LAVORARE CON LE

MALTRATTANTI

Molto spesso la presa in carico di situazioni familiari particolarmente difficili costringe i professionisti sociali che si occupano di questi casi a lavorare in condizioni caratterizzate da sofferenza, dubbio e incertezza.

Queste situazioni spingono l’operatore a compiere delle scelte complesse e a trovarsi di fronte a possibili rischi che egli deve saper fronteggiare. Pertanto, trovandosi di fronte a una situazione familiare che, a seconda della gravità, implica o un allontanamento immediato del minore o la possibilità per l’operatore di darsi un tempo per indagare in modo più approfondito e consentire alla famiglia un tempo per sperimentarsi, è importante che l’operatore acquisti consapevolezza dei rischi presenti o nei quali potrebbe incorrere, che sia in grado di individuare determinati obiettivi per cui valga la pena di correre il pericolo (ad es. non allontanando il minore) e di usare un metodo con

96 cui possa fronteggiare il rischio218. Nonostante il mandato giudiziario rappresenti una protezione per l’operatore sociale e allo stesso tempo lo strumento che definisce il suo intervento, esso non rimuove le difficoltà che egli può incontrare nel momento della presa in carico di queste famiglie. Pur avendo alle spalle una preparazione altamente specializzata e delle competenze specifiche, il peso delle situazioni che deve fronteggiare è così elevato che può comunque sentirsi coinvolto emotivamente. Venire a conoscenza di episodi di maltrattamento infantile è sempre sconvolgente per l’operatore, pur lavorando ogni giorno con tantissimi casi di questo genere, e pertanto è fondamentale che l’incontro con le famiglie interessate non gli faccia dimenticare le ragioni del suo intervento.

Una caratteristica tipica delle famiglie maltrattanti a cui gli operatori devono fare particolare attenzione consiste nel fatto che questi sistemi familiari tendono a portare nella rete dei servizi il conflitto interno che li tormenta, inducendo i professionisti che lavorano con loro a schierarsi con un membro della famiglia e ad entrare in conflitto con i colleghi; si tratta di difficoltà alquanto gravi che inducono i professionisti a perdere di vista lo scopo principale dell’intervento. Succede infatti, arrivati a questo punto, che gli operatori non siano in grado di spiegare perché certi fatti sono avvenuti, lasciando che le famiglie raggiungano uno stato cronico di disagio219.

L’operatore sociale può ritrovarsi di fronte a due possibili situazioni. La prima riguarda il caso in cui l’operatore minimizza le responsabilità delle famiglie. Ciò può accadere qualora egli si trovi a lavorare con famiglie “povere” e percepisca una grandissima sofferenza dietro il loro comportamento inadeguato. È proprio in queste situazioni che la figura del supervisore e il lavoro in équipe ricoprono un ruolo centrale nell’indirizzarlo a prendere una certa distanza dalla famiglia e di intraprendere altre strade, in quanto l’operatore finirebbe con il farsi trascinare nella situazione, lasciandosi travolgere dalle emozioni e dimenticando il suo interesse centrale. Questo perché solo «la complementarietà dei ruoli di tutti permette all’operatore sociale incaricato di rimanere disponibile per ciascun membro della famiglia, di prendere la distanza necessaria nei momenti di conflitto, di tensione e di restare fermo, senza rigidità, nelle

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L. Sanicola, Il bambino nella rete, Jaca Book, Milano, 1990, p. 38.

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97 sue esigenze»220. Una seconda situazione si ha nel caso in cui l’operatore, per evitare di farsi coinvolgere emotivamente dalla famiglia, si tenga a debita distanza e cerchi di proteggersi dalla sofferenza che la relazione con questi utenti genera, «servendosi di difese inconsce (ad esempio minimizzando, negando, rinviando, giustificando ecc.)»221. Questa strategia difensiva, di cui l’operatore eventualmente si serve, se diventa un’abitudine e si «prolunga nel tempo, limita la possibilità di una visione chiara e oggettiva del problema, incidendo negativamente sulle scelte operative»222. In sostanza «la riuscita o il fallimento dell’intervento dipendono dalla modalità con cui l’operatore è investito dalla famiglia»223. Ulteriori difficoltà che gli operatori possono incontrare nel loro operato sono le seguenti:

 le identificazioni multiple e contraddittorie224: nei servizi sociali territoriali o comunque in quei contesti in cui non è stata istituita un’équipe, l’operatore si trova a fronteggiare in piena solitudine, nel proprio compito di aiuto, le richieste provenienti sia dai bambini che dalle relative famiglie225;

 l’usura e la stigmatizzazione: molto spesso né la comunità territoriale né gli stessi organi politici ed amministrativi condividono la scelta di tutela dell’infanzia e perciò gli operatori si ritrovano ad essere sottoposti oltre alle inevitabili conseguenze connesse al ruolo che assolvono, anche agli attacchi dei media e degli assessori226.

Sarà indispensabile per l’operatore che lavora con queste famiglie, al fine di prevenire alcuni problemi che potrebbe dover affrontare nel corso dell’intervento, avviare in primo luogo un lavoro su di sé e sulle proprie emozioni che gli permetta di contenere la violenza così da poterla prevenire e in qualche modo contrastare; in secondo luogo esplorare e lavorare sulla propria infanzia, in quanto può accadere che egli, entrando in relazione con la sofferenza che la situazione con cui entra in contatto comporta, viva un’esperienza traumatica e a volte riviva alcuni ricordi difficili da gestire che gli

220

A. Crivillè, op. cit., p. 163.

221

F. Montecchi, op. cit., p. 167.

222

Ibidem.

223

A. Crivillè, op. cit., p. 161.

224

Ivi, p. 68.

225

M. T. Pedrocco Biancardi, A. Talevi, op. cit., p.33.

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98 impediscono di essere obiettivo e lucido sul caso che ha in esame227, e poterla utilizzare come arma nel lavoro di aiuto e protezione dei bambini ed infine essere il rappresentante del bambino; ciò non significa essere contro i genitori ma cercare di dar voce e far emergere il punto di vista dei bambini, soggetti che per la loro posizione giuridica e per la loro età non hanno diritto di parola e non possono accedere in piena autonomia a qualsiasi servizio o esplicitare una richiesta di aiuto.

Oltre a questo impegno personale che ogni professionista d’aiuto dovrebbe attuare, ogni équipe multidisciplinare per far fronte in modo costante e competente a questo lavoro ha bisogno di una grande disponibilità di risorse economiche e di supporto professionale (formazione, aggiornamento).

Infine gli operatori quindi nel loro intervento d’aiuto devono tenere sempre presente, seppur in alcuni casi sarà difficile, che il loro principale interesse è difendere il minore maltrattato, considerato lo stesso sia come soggetto titolare di diritti, sia come figlio e quindi come soggetto particolarmente debole che richiede cura e protezione, sia come individuo in stretto contatto con il proprio nucleo familiare. A proposito di questo legame esistente tra il bambino e la sua famiglia, i professionisti esperti di maltrattamento, prima di procedere con l’allontanamento definitivo e con la successiva rottura di ogni legame del minore dal suo nucleo (adozione), devono compiere un grande sforzo per cercare (ovviamente laddove possibile) di recuperare la sua famiglia che, seppur maltrattante, è pur sempre il suo principale contesto affettivo e di cura.

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5 PREVENZIONE E CONTRASTO DEL