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Il maltrattamento infantile. Lo sguardo globale dell'équipe multidisciplinare

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

1 IL MALTRATTAMENTO INFANTILE ... 8

1.1 EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENO ...8

1.2 DEFINIZIONI E TIPOLOGIE DI MALTRATTAMENTO ...11

1.2.1 Il maltrattamento ...12

1.2.2 La patologia delle cure ...13

1.2.3 Abuso sessuale ...14

1.2.4 Violenza assistita ...14

1.3 LA CLASSIFICAZIONE DEGLI INDICATORI DI MALTRATTAMENTO ...16

1.3.1 Indicatori di maltrattamento ...17

1.3.2 I Fattori di rischio ...23

1.4 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE ...24

2 LA FAMIGLIA E I SUOI FATTORI DI PROBLEMATICITÀ ... 28

2.1 LA FAMIGLIA MULTIPROBLEMATICA: UN SISTEMA COMPLESSO ...28

2.2 UNA TIPOLOGIA PARTICOLARE DI FAMIGLIA A RISCHIO: LA FAMIGLIA MALTRATTANTE ...30

2.2.1 Gli ostacoli che impediscono alle famiglie maltrattanti di formulare una richiesta di aiuto ...34

2.2.2 I tipici “giochi familiari” delle famiglie maltrattanti ...38

2.3 L’INCAPACITÀ DEL GENITORE MALTRATTANTE DI ASSOLVERE AL PROPRIO RUOLO GENITORIALE ...39

2.4 ALCUNI ESEMPI DI DISFUNZIONALITÀ GENITORIALE ...42

2.5 CONCLUSIONI: IL DIFFICILE COMPITO DELL’OPERATORE ...44

3 IL BAMBINO, VITTIMA PRINCIPALE DEL MALTRATTAMENTO ... 47

3.1 PREMESSA ...47

3.2 IL MINORE AL CENTRO DEL MALTRATTAMENTO ...48

3.3 LE CONSEGUENZE DEL MALTRATTAMENTO SULLO SVILUPPO PSICO-FISICO DEL MINORE ...50

3.3.1 Disturbo post traumatico da stress...51

3.3.2 Disturbo borderline di personalità ...53

3.3.3 Disturbi dissociativi ...54

(2)

2

3.3.5 Disturbo d’ansia generalizzato...55

3.3.6 L’abuso da sostanze ...56

3.3.7 Conseguenze sul rendimento scolastico ...57

3.3.8 Conseguenze sulla sfera sociale e comportamentale ...57

3.3.9 Conseguenze sulle identità di genere ...59

3.3.10 Conseguenze riguardo la salute psico-fisica ...60

3.4 RESILIENZA ...61

3.5 LEGISLAZIONE IN MATERIA DI TUTELA DELL’INFANZIA ...63

4 IL RUOLO CENTRALE DELL’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE NELL’ATTUARE UN PROGETTO DI AIUTO SUL MINORE MALTRATTATO ... 70

4.1 L’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE QUALE GARANTE PRINCIPALE DELLA PROTEZIONE DEL MINORE ...70

4.2 LE FASI DEL PROCESSO DI INTERVENTO...74

4.2.1 Rilevazione...74

4.2.2 Il coinvolgimento della famiglia e la decisione di segnalare al tribunale ...76

4.2.3 Indagine ...79 4.2.4 Protezione ...80 4.2.5 Valutazione di recuperabilità ...81 4.2.6 Prognosi e trattamento ...83 4.2.7 Terapia ...86 4.3 LA RELAZIONE AL TRIBUNALE ...88

4.4 GLI STRUMENTI USATI NEL LAVORO CON LE FAMIGLIE MALTRATTANTI ...90

4.4.1 Il colloquio ...90

4.4.2 La cartella familiare e la visita domiciliare ...91

4.4.3 L’ipotizzazione ...92

4.4.4 L’uso di materiale esterno ...93

4.4.5 Le convocazioni ...94

4.5 EVENTUALI RISCHI DEGLI OPERATORI SOCIALI INCARICATI DI LAVORARE CON LE FAMIGLIE MALTRATTANTI ...95

5 PREVENZIONE E CONTRASTO DEL MALTRATTAMENTO ALL’INFANZIA ... 99

5.1 LA PREVENZIONE COME NECESSITÀ ...99

5.2 I TRE LIVELLI DELLA PREVENZIONE ...102

5.3 LE STRATEGIE DI PREVENZIONE ...110

(3)

3

5.3.2 Le strategie relazionali ...111

5.3.3 Le strategie individuali ...112

5.4 IL CONTO SALATO DELLA MANCATA PREVENZIONE ...113

5.5 IL DOCUMENTO FINALE DEGLI STATI GENERALI SUL MALTRATTAMENTO ALL’INFANZIA ...114

5.6 PROPOSTE D’INTERVENTO PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO DEL FENOMENO DEL MALTRATTAMENTO ...115

5.6.1 Strategia di contrasto n° 1: Rilevamento dei dati e mappature delle risorse sul territorio nazionale...116

5.6.2 Strategia di contrasto n°2:I livelli di formazione: dalla formazione diffusa a quella specialistica...116

5.6.3 Strategia di contrasto n°3:Organizzazione di servizi integrati “in rete” - Intese tra le istituzioni interessate - Rapporti con il privato sociale ...117

5.6.4 Strategia di contrasto n°4:Intese a livello nazionale ed internazionale per la lotta allo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali ...117

5.6.5 Strategia di contrasto n°5:Informazione globale per la diffusione di una cultura dell’infanzia- Patto d’intesa con i media ...117

5.7 L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE, CON PARTICOLARE ATTENZIONE AL RUOLO CENTRALE DELLA SCUOLA ...118

CONCLUSIONI ... 121

BIBLIOGRAFIA ... 124

(4)

4

INTRODUZIONE

In questa tesi di laurea intendo sottolineare il ruolo centrale svolto dall’équipe multidisciplinare nel fronteggiare i numerosi episodi di maltrattamento infantile di cui sempre più spesso si sente parlare in televisione o a cui la stampa dedica sempre maggiore spazio e attenzione.

Più precisamente intendo illustrare come sia fondamentale per gli operatori impegnati in questo campo avere innanzitutto una specifica modalità operativa da seguire e in secondo luogo condividere le proprie competenze, conoscenze ed informazioni acquisite in un’ équipe, affinché le attività finalizzate alla risoluzione di situazioni problematiche di questo tipo possano avere maggiori probabilità di successo e allo stesso tempo permettere ai diversi professionisti dell’infanzia di sostenersi reciprocamente lungo questo insidioso percorso.

La scelta di questo tema è dovuta sostanzialmente ad una curiosità personale riguardo a questo fenomeno ed in particolare alla modalità operativa che viene adoperata, le figure professionali coinvolte e gli strumenti di cui si avvalgono per la risoluzione dei relativi casi.

Le realtà del maltrattamento, della trascuratezza, dell’abbandono e dell’abuso intrafamiliare non sono emerse in questa epoca; anzi, nella storia dell’umanità il bambino è sempre stato oggetto di minaccia da parte delle figure adulte perché avvertito dagli stessi come una minaccia al loro potere. Ancora prima della letteratura scientifica in cui sono riportati storie di bambini abusati, uccisi o abbandonati, i miti, le fiabe e le religioni hanno raccontato storie di abuso. I miti greci, in particolare, «raccontano storie di seduzione che oggi ascriveremmo a tendenze pedofile, come nel caso di Zeus che rapisce il giovane Ganimede per farne il suo amante. Narrano di figli abbandonati dai genitori, come Edipo lasciato su una montagna con i piedi legati e feriti, oppure divorati dal padre, come nel mito di Crono, o uccisi dalla madre, come nel mito di Medea, rivisitato da Euripide»1. D’altro canto, anche le fiabe narrano una realtà sempre presente nella storia dell’umanità; alcune di esse, ad esempio, evidenziano l’ambiguità della figura materna che oltre ad essere la figura dispensatrice di amore e affetto, può essere

1

F. Montecchi, Dal bambino minaccioso al bambino minacciato. Gli abusi e la violenza in

(5)

5 anche una figura pericolosa che può arrivare ad uccidere il proprio bambino. Altre fiabe, invece, come quelle di Pollicino e di Biancaneve, raccontano storie di bambini trascurati, testimoniando l’esistenza di una problematica reale2

.

Solo recentemente, tuttavia, si sono compresi i danni che possono subire i bambini o i ragazzi che crescono in un clima di continua paura e violenza e, in particolare, quali danni subisce un bambino maltrattato psicologicamente, minacciato o ricattato affettivamente. Si è dunque acquisita una certa consapevolezza sul fatto che alcune reazioni insolite del bambino come l’aggressività, la depressione o ancora le difficoltà del bambino nell’apprendere o nel socializzare non dipendono tanto da disposizioni biologiche ma dalla continua e ripetitiva esposizione al maltrattamento da parte delle figure genitoriali3, le stesse che lo hanno messo al mondo e che dovrebbero svolgere le normali funzioni di cura e protezione, specifiche del proprio ruolo. È proprio la presa di coscienza circa le gravi conseguenze che il bambino potrebbe avere a livello fisico e psichico sul processo di crescita insieme allo sviluppo di una nuova visione del minore e dei suoi diritti che ha spinto gli operatori sociali ad adottare un processo di aiuto in modo da intervenire tempestivamente sulle situazioni definite a rischio. Il bambino, in qualità di individuo e di figlio, ha il diritto di essere protetto e curato dalla propria famiglia; in alcuni nuclei, tuttavia, sono proprio i genitori i principali responsabili del maltrattamento. In questi casi occorre che tutti gli operatori intervengano attraverso un lavoro condiviso e responsabile e mediante appropriati interventi di sostegno sulla famiglia maltrattante, affinché i genitori vengano aiutati a recuperare le loro originarie capacità genitoriali e a garantire al minore il diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia. Si tratta di un percorso molto lungo e tortuoso che richiede un dispendio enorme di energie e la professionalità degli operatori sociali, che devono essere pronti anche a procedere in modo tempestivo all’allontanamento, se necessario, seppure ciò risulterà difficile, perché separare un bambino dalla propria famiglia non è mai facile.

Ho ritenuto opportuno procedere all’elaborazione di questo lavoro suddividendo la tesi in cinque capitoli. Di seguito illustrerò cosa prendono in esame i rispettivi capitoli, per

2

Ibidem.

3

(6)

6 poter avere una visione chiara del tema, prima di addentrarsi nello specifico del discorso.

Nel primo capitolo, “Il maltrattamento infantile”, ho voluto descrivere il fenomeno del maltrattamento e come esso abbia acquisito maggiore importanza e riconoscimento sul piano sociale e clinico solo recentemente. In questo capitolo ho poi illustrato le varie tipologie di questo fenomeno, ponendo particolare attenzione agli indicatori di maltrattamento e ai fattori di rischio, segnali che gli operatori sociali devono saper cogliere per poter aiutare la famiglia ad uscire dalla situazione di rischio in cui si trova. Per mostrare il contesto in cui si originano i fenomeni di maltrattamento, nel secondo capitolo, “La famiglia e i suoi fattori di problematicità”, mi soffermo sulla famiglia maltrattante, quale caso particolarmente interessante, ai fini del nostro discorso, di famiglia multiproblematica. In questo capitolo prendo in considerazione gli aspetti caratterizzanti della famiglia maltrattante, come l’incapacità di chiedere aiuto e di svolgere adeguate funzioni genitoriali, e infine descrivo altre tipologie familiari che costituiscono un serio pericolo per la crescita del minore. Riguardo a questo capitolo, vorrei sottolineare che ho reperito poche fonti poiché la letteratura esistente su queste famiglie non è ampia in quanto si sa ancora troppo poco sugli adulti che trascurano, maltrattano o abusano dei figli e ancora meno delle dinamiche e delle relazioni esistenti all’interno di questi nuclei. Dopo aver descritto la prima protagonista del processo del maltrattamento, nel terzo capitolo “Il bambino, vittima principale del maltrattamento”, prendo in esame la figura del minore, soggetto particolarmente debole e incapace di accusare il proprio genitore, pur essendo quest’ultimo il suo aggressore, a causa del forte vincolo che lo lega alle figure di attaccamento. Illustro nel dettaglio le gravi conseguenze che il maltrattamento può provocare sul percorso di crescita del minore, riportando anche casi di bambini resilienti ossia di quei bambini che seppur esposti a un’esperienza traumatica non sviluppano alcun tipo di patologia. Infine riporto la legislazione in materia di tutela dell’infanzia, ossia le diverse norme internazionali e nazionali che si propongono di punire chiunque infligga violenza di qualsiasi tipo al minore. Procederò successivamente, nel quarto capitolo, a descrivere “Il ruolo centrale dell’équipe multidisciplinare nell’attuare un progetto di aiuto sul minore maltrattato”, il quale costituisce il nodo centrale della tesi. Qui ho focalizzato l’attenzione sull’indispensabile ruolo svolto dall’équipe multidisciplinare in questi casi, la quale

(7)

7 avvalendosi del lavoro congiunto di più professionisti persegue l’obiettivo principale di tutelare il minore. Inoltre riporto il processo di intervento utilizzato dal CBM di Milano nei casi di maltrattamento e trascuratezza, per poi concludere con i rischi in cui gli operatori possono incorrere nel lavorare con i soggetti maltrattanti. Infine nel quinto ed ultimo capitolo, dal titolo “Prevenzione e contrasto del maltrattamento all’infanzia”, ho illustrato il ruolo centrale svolto dalla prevenzione per contrastare il fenomeno del maltrattamento infantile, ponendo particolare attenzione al costo che questo fenomeno ha in termini di spesa pubblica sulla collettività per poi infine passare ad esaminare due documenti che sono stati redatti per promuovere l’attività preventiva.

Nelle conclusioni ho riportato alcune considerazioni personali sull’importanza che potrebbe avere per una migliore risoluzione di queste situazioni investire maggiori risorse principalmente in attività di prevenzione e contrasto al fenomeno e in attività di formazione e di aggiornamento per gli operatori, per potersi trovare adeguatamente armati della cassetta di strumenti e competenze utili per una maggiore presa in carico di queste situazioni.

(8)

8

1 IL MALTRATTAMENTO INFANTILE

1.1 EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENO

Riflettere sulla tematica del maltrattamento familiare all’infanzia significa porre lo sguardo su un problema complesso e scottante che è sempre esistito, seppur godendo in passato di una diversa considerazione in relazione soprattutto alle radici culturali, ai costumi e alle esigenze sociali di ogni specifico contesto storico. Oggi vi è maggiore consapevolezza, riconoscimento e interesse del fenomeno, sia sul piano sociale che clinico, dal momento che «gli studiosi del sociale l’hanno analizzato, gli addetti ai lavori l’hanno scoperto e l’opinione pubblica si è fatta meno sprovveduta e più sensibile»4. Ad aver favorito la nascita di un nuovo interesse per le problematiche del maltrattamento e per tutte quelle forme di abuso meno evidenti ma ugualmente devastanti sull’equilibrio psicosociale del minore, sembrerebbe aver inciso in modo determinante l’attenzione posta ai molteplici bisogni e diritti del fanciullo.

Come per il maltrattamento anche la stessa concezione dell’infanzia è mutata con il passar del tempo.

In particolar modo, il progresso delle scienze psicologiche e sociali ha contribuito a creare una nuova visione del minore all’interno della famiglia e della società.

Infatti, prima della Costituzione il minore era considerato come un oggetto subordinato agli interessi e al potere degli adulti che esercitavano su di lui un’influenza così forte al punto da poter decidere per la sua stessa vita e morte. Successivamente, invece, a livello internazionale i molteplici e importanti interventi legislativi adottati a favore del minore hanno contribuito a costruire una concezione differente del fanciullo, ossia come un soggetto autonomo di diritti, capace di stabilire relazioni stabili e personali e di costruire in modo libero e individuale la propria esistenza.

Le iniziative legislative più importanti che hanno rappresentato un notevole progresso della tutela giuridica dei minori sono state: la Dichiarazione dei diritti del fanciullo approvata a Ginevra nel 1924, la Carta dei diritti del fanciullo approvata da parte dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 1959, documento in cui vengono riconosciuti ed elencati una serie di diritti del minore (i diritti alla nascita, all’istruzione, al gioco, alla

4

D. Ghezzi, F. Vadilonga, La tutela del minore. Protezione dei bambini e funzione genitoriale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1996, p. 2.

(9)

9 protezione dalle discriminazioni razziali e religiose), la Convenzione internazionale sui

diritti dell’infanzia, stipulata dall’ONU nel 1989, che stabilisce l’obbligo di proteggere i

minori dalle violazioni dei diritti riportati nella Dichiarazione del 1959 ed infine il

Protocollo opzionale alla Convenzione dei diritti del fanciullo sulla vendita, la prostituzione dei bambini e la pornografia rappresentante bambini, stipulato il 6

settembre del 2000 e ratificato dall’Italia con la Legge n. 46 dell’11 marzo 20025 . È opportuno evidenziare come anche gli stessi art. 2 e 3 della Costituzione, laddove affermano che «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità…» e che «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo

della persona umana…»6

, sottolineano il diritto del minore all’educazione che può comprendere un insieme di altri diritti importanti come: quello alla vita, all’autonomia, all’uguaglianza e alla socializzazione. Meritevoli di attenzione sono anche gli art. 29, 30 e 31 della Costituzione Italiana, che riconoscono la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e «la centralità della persona del figlio, che ha il diritto nei riguardi del genitore di essere mantenuto, istruito ed educato»7. Tali articoli affermano, inoltre, che nel caso di incapacità lo Stato ha l’obbligo di provvedere all’assolvimento dei loro compiti, sottolineando ancora una volta la necessità di considerare e rispondere ai molteplici bisogni del minore, di riconoscere i suoi diritti e rispondere alla funzione di tutela. Una delle innovazioni salienti introdotte nell’ambito della legislazione minorile è la riforma del Tribunale per i minorenni del 25.7.1956 grazie alla quale i minori vengono considerati ancora una volta come soggetti di primaria importanza e da tutelare. Infine, «nel gennaio 1985 viene istituito con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri il Consiglio nazionale sui problemi dei Minori, con compiti di realizzare e promuovere attività di studio, ricerca, progettazione e verifica; favorire il collegamento fra vari organismi competenti al fine di realizzare una politica unitaria per i minori; formulare proposte ed esprimere pareri su iniziative legislative, amministrative e tecniche inerenti i minori; predisporre una relazione annuale sull’azione legislativa ed

5

Cfr. F. Montecchi,op. cit., p. 21.

6

Costituzione della Repubblica Italiana, artt. 2 e 3.

7

(10)

10 amministrativa, anche per consentire al Governo di emanare direttive per gli organi di governo territoriali»8.

Questo insieme di iniziative elencate può essere considerato un segnale tangibile di una maturità collettiva acquisita solo di recente nei confronti di un’infanzia per molto tempo trascurata.

La scoperta recente del fenomeno del maltrattamento ha avuto come tappe fondamentali alcuni studi che meritano di essere citati.

Si evince dalla letteratura che «la consapevolezza collettiva del maltrattamento dei bambini inizia nel 1852 a Parigi, quando un medico legale francese, A. Tardieu, descrisse il caso di due bambine morte per le sevizie di una istitutrice, pubblicando successivamente uno studio medico legale sulle sevizie e i maltrattamenti»9. Successivamente, nel 1874 a New York, si ripresentò il fenomeno in seguito alla segnalazione di un’infermiera che si rivolse all’Ente per la protezione degli animali per salvare una bambina dai maltrattamenti inflitti dai genitori ed «in seguito a questo evento, l’anno dopo fu fondata a New York la prima Società per la prevenzione della crudeltà contro i bambini»10. A questo evento, però, non fece seguito un adeguato sviluppo delle conoscenze e della sensibilità rispetto al fenomeno del maltrattamento infantile, cosicché il problema ebbe scarso rilievo sull’opinione pubblica, sulle istituzioni politiche e sulle figure professionali coinvolte11 sino al 1946, anno in cui J. Caffey, medico del Dipartimento di Pediatria della Columbia University di New York, in un suo studio descrisse un quadro clinico, tipico dei bambini, «caratterizzato da una frequente associazione fra ematoma subdurale e fratture multiple delle ossa lunghe»12, riconducibile al violento scuotimento dei soggetti. Queste osservazioni furono poi confermate dalle esperienze del radiologo Silvermann nel 1953 e in seguito da quelle di Kempe, un pediatra inglese. Il contributo di Kempe et al. fu particolarmente importante per aver introdotto per la prima volta, nel 1962, in una rivista scientifica un articolo sull’espressione clinica Battered Child Syndrome (“sindrome del bambino maltrattato”);

8

A. Crivillé, Genitori violenti, bambini maltrattati. L’operatore sociale di fronte alla famiglia del

bambino maltrattato, Liguori Editore, Napoli, 1995, p. 5.

9

F. Montecchi, op. cit., p.19.

10

Ivi, p. 20.

11

Cfr. M. Cesa-Bianchi, E. Scabini, La violenza sui bambini. Immagine e realtà, FrancoAngeli, Milano, 1991.

12

V. Mastronardi, Manuale per operatori criminologici e psicopatologi forensi, Giuffrè Editore, 2012, p. 354.

(11)

11 alcuni anni dopo fu lo stesso Kempe ad abbandonare «la precedente dizione,coniando, al fine di meglio inquadrare i multiformi aspetti del problema, l’espressione di «child abuse and neglect», tutt’ora in uso»13. Dunque, in concreto, l’introduzione di questa

formula rappresentò una vera e propria svolta nello scenario del

maltrattamento.Vennero introdotti alcuni cambiamenti rilevanti come il crescente aumento delle professioni interessate allo studio di questo tema, l’ampliamento delle modalità operative considerate adeguate ad affrontarlo e una maggiore sensibilità non più soltanto sul maltrattamento fisico, ma anche su altre forme di abuso come quello psicologico e sessuale che incidono significativamente, come si osserverà nei paragrafi successivi, sulla crescita psico-fisica del minore.

1.2 DEFINIZIONI

E

TIPOLOGIE

DI

MALTRATTAMENTO

Successivamente alla scoperta del fenomeno, si è ritenuto opportuno inquadrare e delineare con precisione il significato delle espressioni “maltrattamento” e “abuso sui minori”. Di seguito alcune delle definizioni più note:

- Nel IV Colloquio Criminologico del Consiglio d’Europa, Strasburgo, 1978, il maltrattamento all’infanzia è stato definito come «l’insieme di atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettuale e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino».

- Il National Center of Child Abuse and Neglect nel 1981 ha definito il maltrattamento infantile come «[…] quella situazione in cui, attraverso atti intenzionali o disattenzione grave nei riguardi dei bisogni di base del bambino, il comportamento di un genitore o di un sostituto o di un altro adulto che del bambino si occupi, abbia causato danni o menomazioni che potevano essere previsti ed evitati o abbia contribuito materialmente al prolungamento di un danno o di una menomazione esistente»14.

13

Ibidem.

14

S. Cirillo, M. V. Cipolloni, L’assistente sociale ruba i bambini?, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1994, p. 148.

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12 - Il V Congresso internazionale sull’infanzia maltrattata e abbandonata (Montreal 1984) definì abuso «ogni atto omissivo o autoritario che mette in pericolo o danneggi la salute o lo sviluppo emotivo di un bambino, comprendendovi anche la violenza fisica e le punizioni corporali irragionevolmente severe, gli atti sessuali, lo sfruttamento in ambito lavorativo e la mancanza di rispetto dell’emotività del fanciullo».

- La definizione formulata dall’OMS nel 1999 dichiarava che «per maltrattamento all’infanzia (child abuse or maltreatment) si intendono tutte le forme di cattiva cura (ill-treatment) fisica e affettiva, di abusi sessuali, di trascuratezza o di trattamento trascurante, di sfruttamento commerciale o altre, che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, la sua sopravvivenza, il suo sviluppo o la sua dignità nel contesto di una relazione di responsabilità, di fiducia o di potere».

Gli abusi all’infanzia, come si evince chiaramente da quest’ultima definizione, assumono diverse forme e sono comunemente distinte in: maltrattamento, patologia delle cure, abuso sessuale e violenza assistita.

1.2.1 Il maltrattamento

Il maltrattamento può essere distinto in fisico e psicologico.

Il maltrattamento fisico è una forma di violenza visibile, in cui i genitori o le persone che si prendono cura del minore gli procurano lesioni fisiche o lo espongono al grave rischio di essere maltrattato fisicamente. Può essere espresso attraverso forme di aggressione quali percosse, pugni, calci, graffi, strappo di capelli, segregazione e costrizione del bambino in spazi chiusi e limitati, ecc. Il maltrattamento fisico è sempre e inevitabilmente collegato al maltrattamento psicologico, cioè un comportamento in cui generalmente gli adulti (genitori o altre figure) invece di tutelare il minore lo umiliano, lo svalutano, lo ignorano non tenendo conto dei suoi bisogni affettivi trascurando la relazione empatica che si dovrebbe normalmente instaurare tra genitori e figli e lo sottopongono a violenze psicologiche in modo ripetitivo e costante nel tempo. Questo tipo di violenza provoca seri danni alla personalità del minore: tende a promuovere nel bambino l’adozione di modalità aggressive nella soluzione di problemi e nelle interazioni che instaura e incide negativamente sulla stima di sé, sulla sua

(13)

13 percezione del mondo e di chi lo circonda e sulle relazioni con gli altri15. Nel prossimo paragrafo vedremo nel dettaglio quali sono gli elementi per riconoscere i due tipi di maltrattamento.

1.2.2 La patologia delle cure

La patologia delle cure è «l’inadeguatezza o l’insufficienza di cure fisiche e/o psicologiche fornite al bambino, in rapporto al suo momento evolutivo, da parte di coloro che ne sono i legali responsabili»16. Con quest’espressione si intende, in sostanza, l’incapacità dei genitori di rispondere ai bisogni fisici e psicologici propri del minore incidendo in maniera negativa sul suo percorso di crescita. Essi inoltre, non sono in grado di adempiere i doveri caratterizzanti il loro ruolo rispetto ai minori, quali: assisterli, proteggerli, stimolarli, dare loro affetto e non esporli alle situazioni di pericolo. Questa tipologia di maltrattamento è grave perché espone il minore a una seria condizione di malnutrizione, significative difficoltà scolastiche, mancanza di educazione al rispetto delle regole di comportamento e di serena convivenza, incapacità di stabilire legami duraturi e assumere atteggiamenti devianti.

Tra le modalità di patologia delle cure si riconoscono: l’incuria, la discuria e l’ipercura. - L’incuria fisica e psicologica. Con l’espressione “incuria fisica” s’intende il

garantire al minore carenti cure fisiche rispetto all’età e ai suoi bisogni di crescita. Con “incuria psicologica” si fa riferimento ad una mancata presa in considerazione dei bisogni emotivi e affettivi del bambino rispetto alle sue necessità evolutive.

- La discuria. Detta anche “cattiva cura”, questo termine indica il caso in cui si forniscono al minore cure che non sono adeguate al suo momento evolutivo. - L’ipercura. Con questo termine si indica «la cura eccessiva dello stato fisico del

minore, caratterizzata da una persistente e dannosa medicalizzazione»17. Nell’ipercura vengono solitamente incluse:

- sindrome di Münchausen per procura: è una forma di maltrattamento abbastanza grave in quanto il genitore, generalmente la madre, sottoponendo il bambino ad accertamenti sanitari e a cure inutili per episodi di malattie che sono il più delle

15

Cfr. F. Montecchi, op. cit., p. 73.

16

Ivi, p. 75.

(14)

14 volte frutto di una sua convinzione distorta, provoca al bambino gravi danni sia fisici che psichici;

- chemical abuse (abuso chimico): indica l’eccessiva somministrazione di sostanze farmacologiche o chimiche al bambino per una convinzione errata e delirante nutrita dalla madre;

- medical shopping: è l’ultima forma di ipercura in cui uno o ambedue i genitori provano una preoccupazione esagerata per la salute del proprio figlio che li porta a cercare rassicurazione consultando medici vari, il cui conforto non riesce ad essere colto e interiorizzato dal genitore se non per brevi periodi di tempo.

1.2.3 Abuso sessuale

L’abuso sessuale «si riferisce al coinvolgimento di minori in attività sessuali che comprendono oltre le relazioni etero e omosessuali completi, anche giochi sessuali, pornografia, prostituzione, atti che utilizzano il bambino per procurare piacere sessuale a sé o all’eventuale partner»18

.

A seconda del rapporto esistente tra vittima e abusante si possono distinguere tre tipologie di abusi:

Intrafamiliare-intradomestico, quando l’abuso è compiuto da un membro della famiglia del bambino che vive nella sua stessa abitazione (madre/padre, fratelli/sorelle, ecc.);

Intrafamiliare extradomestico, quando l’abusante è sempre un membro della

famiglia del bambino ma non vive con il bambino (cugini, nonni, ecc.);

Extrafamiliare, quando l’abusante è una persona esterna al nucleo familiare del bambino (conoscenti, vicini di casa, amici di famiglia, ecc.)19.

1.2.4 Violenza assistita

Il CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e Abuso dell’Infanzia) nel 2005 ha definito la violenza assistita intrafamiliare «l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su

18

A. Campanini, Maltrattamento all’infanzia. Problemi e strategie d’intervento, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993, p. 54.

19

(15)

15 altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o sul altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici»20.

È una tipologia di abuso abbastanza rilevante, considerata solo di recente, e riguarda tutti quei minori che sono testimoni della violenza familiare. Anche se non direttamente vittime di abuso, i minori interessati, vivendo in un’atmosfera piena di odio e violenza, potrebbero crescere con seri problemi a livello psicologico e fisico (come ansia e/o paura, vergogna, depressione, passività, difficoltà a relazionarsi, crudeltà verso gli animali, iperattività, ecc.)21. L’evento della separazione descrive bene questa tipologia di abuso in quanto il minore, vittima della situazione, «si vede negata la possibilità di conservare entrambi i genitori, ma in più si trova costretto ad agire l’esclusione attiva di uno dei due, come se questa fosse una sua scelta spontanea ed autonoma»22. I bambini, molto spesso vittime di una situazione indesiderata e traumatica, subiscono delle vere e proprie violenze. Come emerge da diversi studi clinici eseguiti da psicoanalisti o da psicologi relazionali la conflittualità e la separazione dei genitori provocano inevitabilmente danni alla personalità e alla crescita del bambino. I minori interessati possono subire conseguenze sulla sfera psichica; ad esempio, tendono spesso ad attribuire la colpa a loro stessi della situazione che stanno vivendo, incontrano serie difficoltà a sviluppare relazioni intime, assumono comportamenti devianti e in alcuni casi assumono il ruolo di «genitore dei propri genitori»23 e di contenitore delle confidenze e paure di entrambi i genitori. Vi possono essere, inoltre, conseguenze sulla sfera fisica, quali sviluppo di disturbi legati all’alimentazione e al sonno, scarso

20

Cismai, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, Documento

sui requisiti minimi degli interventi nei casi di violenza assistita da maltrattamento sulle madri, 2005,

p.1.

21

C. Foti, C. Bosetto, “Disagio e maltrattamento”,in Dispense del Centro Studi

Hänsel e Gretel- n°3, L’abuso all’infanzia. Linee guida per l’intervento nei casi di maltrattamento fisico,

psicologico e sessuale ai danni dei bambini e degli adolescenti, a cura di Foti C., Bosetto C., Farci S.,

Sie Editore, 2004, pp.8-14, p.13, disponibile sul sito:http://www.cshg.it/wp-content/uploads/2013/10/3-LineeGuidaESTRATTOWEB.pdf

22

S. Cirillo, M.V. Cipolloni, op. cit., p. 159.

23

(16)

16 rendimento scolastico, bassa autostima, disturbi comportamentali e dell’apprendimento, ecc.

Al fine di prevenire queste gravi conseguenze è necessario che i genitori non neghino ma, al contrario, riconoscano la sofferenza del proprio figlio e che continuino a considerarlo e occuparsi di lui nonostante vivano una situazione difficile24. Molto spesso, purtroppo, in queste circostanze accade invece che i genitori strumentalizzino i propri figli (si pensi al caso in cui un genitore impedisca al coniuge di vedere il figlio come ritorsione per il ritardo nel pagamento dell’assegno mensile) per altri fini senza preoccuparsi minimamente delle sofferenze che infliggono al bambino e di rispettare i suoi bisogni, aumentando il suo senso di solitudine e abbandono.

1.3 LA CLASSIFICAZIONE DEGLI INDICATORI DI

MALTRATTAMENTO

L’elenco degli indicatori di rischio deve rappresentare per gli operatori una bussola per orientarsi nel lavoro con un caso specifico. È opportuno tuttavia che venga usato con moderazione, altrimenti rischia di disorientare l’operatore e indurlo a fornire valutazioni infondate. L’operatore, sin dall’inizio deve avviare le sue indagini considerando non soltanto questi indicatori ma anche le molteplici vicende che coinvolgono i protagonisti del maltrattamento. Le manifestazioni sintomatiche e comportamentali, quindi, «vanno intese come un primo segno che andrà interpretato alla luce del successivo susseguirsi della fasi diagnostiche e delle mosse di intervento che, sole, confermeranno o smentiranno la valutazione iniziale»25.

Tale classificazione rappresenta anche uno strumento di sostegno in quanto gli elementi che vi compaiono possono, da un lato, contribuire a far insorgere, negli operatori attenti, il sospetto che il bambino possa essere vittima di abuso e/o maltrattamento o comunque trovarsi in una situazione di pericolo e, dall’altro, aiutano l’operatore nel compimento di indagini specifiche; «si deve comunque tenere presente che la comparsa isolata di uno solo dei segni tipici non è mai sufficiente per la formulazione di una diagnosi di maltrattamento, mentre la presenza contemporanea o successiva di alcuni di questi segni, anche se di entità modesta, può giustificare il sospetto e l’esecuzione di ulteriori

24

Cfr. S. Grimaldi, S. Latmiral, Il trauma in età evolutiva. Violenza e abuso sui minori, Borla, Roma, 2008, p. 86.

25

(17)

17 approfondimenti diagnostici»26. Il fenomeno del maltrattamento è un fenomeno multi- dimensionale; pertanto si possono distinguere diversi tipi di indicatori27:

 indicatori presenti nel bambino:

- fisici primari: lesioni rilevabili nel bambino che confermano l’ipotesi di maltrattamento;

- fisici secondari: elementi fisici non necessariamente collegabili all’ipotesi di maltrattamento ma che nemmeno la escludono;

- comportamentali: comportamenti del minore che indicano un disagio collegato al fenomeno del maltrattamento.

 indicatori che si possono individuare nella famiglia e nell’ambiente in cui il bambino vive.

Prima di procedere con l’elencazione di questi indicatori occorre ribadire che per poter effettuare una diagnosi accurata è necessario considerare non il singolo fattore ma la pluralità dei fattori, poiché un elemento, da solo, non rivela alcuna informazione necessaria sulla situazione presa in esame. Per fare questo, non basta il contributo di un solo operatore ma quello offerto da più esperti (psicologi, medici, insegnanti, educatori, volontari, ecc.), i quali esprimono, condividono e riflettono insieme sugli elementi a disposizione per arrivare a formulare un’ipotesi di maltrattamento o grave trascuratezza che sarà successivamente accertata o esclusa.

1.3.1 Indicatori di maltrattamento

a) Maltrattamento fisico

1. Indicatori fisici primari.

I principali indicatori fisici primari sono:

- ustioni da corda in situazione di segregazione; - bruciature da sigarette;

- lividi e lacerazioni sul viso dei neonati non in grado di procurarseli da sé; - lacerazioni sui genitali esterni;

- segni di morsi.

26

M. Cesa-Bianchi, E. Scabini, op. cit., p. 160.

27

(18)

18 Vi sono ulteriori indicatori che vengono individuati solitamente da parte del personale sanitario, il quale dovrà compiere un’indagine più approfondita dell’evento e formulare una diagnosi. Questi sono:

- denutrizione;

- carenze di cure mediche protratte anche fino alla morte del minore;

- emorragie derivanti da distacco del cuoio capelluto in seguito a tirate di capelli; - lesioni interne dovute a schiaffi e calci.

Se l’indagine avviata dall’operatore sociale che sospetta una situazione di abuso dà esito positivo, lo stesso può richiedere al medico una certificazione.

2. Indicatori fisici secondari: - segni procurati da schiaffi e calci; - fratture nasali e mascellari; - ricoveri ospedalieri frequenti. 3. Indicatori comportamentali:

- comportamento collerico, morboso, iperattivo, con richieste inconcepibili nei confronti degli adulti;

- esagerato infantilismo;

- adultizzazione precoce e assunzione del ruolo di genitore o compagno del genitore con cui vive;

- disturbi emotivi;

- sdoppiamento della personalità; - incapacità a giocare;

- preoccupazione eccessiva per l’ordine e la pulizia; - estrema dipendenza dal giudizio dei genitori; - incapacità a evitare i pericoli;

- anoressia, bulimia e disturbi legati all’alimentazione;

- cambiamenti improvvisi nel rendimento scolastico e nell’umore; - attaccamento senza alcuna distinzione a tutti gli estranei;

- difficoltà nella logica e nel pensiero.

Questi molteplici elementi possono essere colti, in particolare, attraverso le interviste effettuate ad alcune figure che ruotano attorno alla vita del bambino, come gli insegnanti che sono in grado di raccontare i comportamenti e le abitudini dei propri

(19)

19 alunni, ma anche i vicini e conoscenti che possono riferire situazioni in cui il minore vive spesso fuori dalla propria casa e richiede quelle attenzioni che molto probabilmente non riceve in famiglia.

4. Indicatori nella famiglia e nell’ambiente.

Si tratta di informazioni che possono essere rilevate attraverso i contatti con i servizi territoriali (scuola, comune, ecc.) e l’osservazione diretta del rapporto che intercorre tra bambino e genitore. Gli indicatori maggiormente presenti sono:

- genitori che hanno sofferto per carenze affettive o subito maltrattamenti nella loro infanzia;

- genitori che hanno una bassa stima di sé e hanno bisogno di continue rassicurazioni sulle proprie competenze genitoriali;

- genitori immaturi o molto giovani;

- incapacità a chiedere aiuto e diffidenza nei confronti delle istituzioni; - atteggiamento aggressivo nei riguardi delle insegnanti;

- abuso di alcool e di sostanze stupefacenti;

- mancanza di sostegno da parte del coniuge nell’educazione dei figli; - persistenti problemi e conflitti coniugali;

- resistenza a portare i bambini dal medico;

- proiezione del proprio vissuto di bambino cattivo nel figlio;

- nonni che interferiscono nell’educazione dei nipoti, squalificando o escludendo i propri figli;

- considerazione del minore come fastidioso e fiducia nella punizione come unico strumento educativo.

b) Maltrattamento psicologico

Il maltrattamento psicologico, a differenza di quello fisico, è più difficile da riconoscere per la mancanza di prove che si possono individuare sul piano corporeo. Per poter rilevare questo tipo di maltrattamento, dunque, è opportuno osservare il comportamento del bambino.

Riguardo il maltrattamento psicologico distinguiamo tra indicatori riguardanti il minore e indicatori relativi alla famiglia. Tra i primi vi sono:

- ritardo nello sviluppo;

(20)

20 - scarsa/eccessiva considerazione del proprio io;

- difficoltà nell’organizzarsi; - paranoia;

- alternanza di momenti in cui il minore si lascia umiliare e deridere senza essere in grado di reagire e altri in cui è lui che umilia gli altri per liberarsi dalla propria sofferenza;

- evidente blocco emotivo;

- rifiuto alla socializzazione e privilegio dei momenti di solitudine; - percezione del mondo come minaccioso e pericoloso;

- terrori notturni e incubi. Tra i secondi, invece, vi sono:

- incapacità del genitore di chiedere e ricevere aiuto;

- mancanza di differenziazione del figlio dai propri genitori; - incapacità di cogliere i bisogni del bambino e quindi di aiutarlo; - mancanza di stimolazioni.

Per la difficoltà di dimostrare con prove inconfutabili la connessione che vi è tra il malessere del bambino e il maltrattamento psicologico da parte della famiglia, il fine di tutelare il minore da questa forma di violenza è davvero complesso da perseguire e richiede l’intervento di professionisti qualificati.

c) Grave trascuratezza 1. Indicatori fisici primari:

- malnutrizione e conseguente ritardo nello sviluppo;

- persistente scarsa igiene personale nel bambino che crea anche difficoltà nei rapporti con i compagni;

- ritardo mentale per carenza di stimoli;

- assenza di controlli sanitari e vaccinazioni obbligatorie; - carenza di cure mediche, dentistiche e oculistiche;

- abbigliamento inadeguato rispetto alla stagione e trascurato nell’igiene;

- scottature dovute a eccessiva esposizione al sole o polmoniti per esposizione al freddo.

2. Indicatori secondari:

(21)

21 - distensione addominale;

3. Indicatori comportamentali:

- bambino che si addormenta in classe; - stanchezza permanente e disattenzione;

- bambino che lamenta fame ed elemosina cibo o ruba la merenda; - uso eccessivo di alcool e droghe;

- atti di vandalismo;

- permanenza fuori casa fino a tarda ora;

- dichiarazione del bambino che nessuno si occupa di lui;

- bambino che appare distaccato e non cerca contatto con familiari e conoscenti; - passività e apatia.

Un contributo fondamentale al complesso lavoro dell’operatore, chiamato ad aiutare questi bambini e i loro rispettivi genitori, è offerto dalle associazioni di volontariato, le quali dispongono di una mole di informazioni essenziali per il perseguimento del fine dell’aiuto del minore. Fondamentale è quindi una stretta collaborazione tra operatori e volontariato per formulare un progetto specifico, evitando lo spreco di risorse economiche e di importanti risorse umane.

4. Indicatori familiari:

- genitori che lasciano i figli neonati incustoditi;

- genitori che lasciano i bambini in custodia a persone che per età e caratteristiche non sono idonee a garantirne una cura adeguata (p. es. ad altri bambini, ad anziani non autosufficienti, ad adulti dediti a sostanze stupefacenti ecc.);

- genitori mentalmente ritardati o con malattie mentali; - madri confuse e depresse;

- mancanza di confini con la famiglia di origine; - difficoltà economiche;

- abilitazione inadeguata;

- scarsa motivazione al cambiamento; - scarsa abilità nel risolvere i problemi.

Le famiglie caratterizzate da questi elementi sono quelle che accedono maggiormente ai servizi sociali territoriali.

(22)

22 d) Abuso sessuale

1. Indicatori fisici primari:

- ferite e contusioni ai genitali, al seno, alle cosce; - ferite anali;

- ferite nella bocca e in gola; - gravidanza precoce;

- malattie veneree sotto i 13 anni.

L’operatore che viene a conoscenza di questi elementi non deve sottovalutare l’ipotesi di un abuso, il che spesso accade per la difficoltà di accettare una realtà così agghiacciante.

2. Indicatori fisici secondari:

- difficoltà nel camminare e nello stare seduto; - perdite vaginali e uretrali;

- dolore nell’urinare e pruriti nella zona genitale; - indumenti intimi macchiati o lacerati;

Questi elementi sono più difficili da individuare per l’operatore, che non può approfondire le situazioni che hanno portato al sorgere del sintomo in quanto ciò significherebbe avere un contatto frequente e personale con il bambino.

3. Indicatori comportamentali:

- dichiarazione spontanea del bambino di aver subito molestie sessuali; - rifiuto di spogliarsi nelle visite mediche o nelle attività sportive; - comportamenti sessualizzati impropri per l’età del bambino; - conoscenze sulla sfera sessuale insolite per l’età;

- fughe;

- abuso di droga;

- tendenza a prendere parte ad attività criminali e delinquenziali; - sensi di colpa e ansietà;

- tendenza al suicidio;

- identificazione con l’aggressore;

- difficoltà a relazionarsi con entrambi i sessi. 4. Indicatori familiari:

(23)

23 - conflitto coniugale;

- padri e patrigni abusanti durante le visite a casa dopo la separazione; - relazioni parentali carenti;

- precedente situazione di maltrattamento e trascuratezza in famiglia; - assenza di un contesto familiare supportante e isolamento sociale.

1.3.2 I Fattori di rischio

Non meno importante è considerare i cosiddetti fattori di rischio, i quali rappresentano una importante spia di una «potenziale patogenicità di una situazione interattiva e relazionale propria di una data famiglia, che incontra difficoltà ad integrare in un tutt’uno sufficientemente armonico ed equilibrato le esigenze del bambino, le proprie e quelle sociali»28. I fattori di rischio rivelano sostanzialmente l’esistenza di un periodo critico che una famiglia sta vivendo, e sarà dunque compito dell’operatore coglierli il prima possibile per far sì che la famiglia non rimanga imprigionata all’interno di una dinamica relazionale disfunzionale. Essi sono comunemente suddivisi in quattro gruppi: culturali, socio-familiari, genitoriali, individuali del bambino29.

a) Fattori culturali:

 violenza intesa come strumento per risolvere i problemi o come mezzo per perseguire i propri scopi;

 punizioni e ricorso all’utilizzo di strategie educative assai severe;

 concezione errata della famiglia, ossia non come spazio dove si condividono valori affettivi o come luogo di protezione e solidarietà;

 considerazione delle istituzioni di sostegno alla famiglia come sorgente di aiuto, principalmente economico;

 atteggiamento di sospetto e mancanza di fiducia verso i servizi sociosanitari, evitandone l’utilizzo.

b) Fattori socio familiari:

 scarsi supporti sociali;

 discriminazione razziale;

 isolamento sociale;

28

S. Cirillo, M.V. Cipolloni, op. cit., p. 146.

29

(24)

24

 perdita di ogni contatto o del sostegno da parte delle famiglie d’origine;

 serie difficoltà o insoddisfazione per la vita lavorativa;

 famiglie monoparentali;

 famiglie multiproblematiche. c) Fattori genitoriali:

 maltrattamenti pregressi subiti dai genitori o esperienze in età infantile di abbandono;

 giovane età dei genitori (in particolare della madre) o enorme differenza di età;

 inversione dei ruoli da parte delle figure genitoriali (padre passivo e madre autoritaria);

 violenza assistita e conflitti coniugali;

 difficoltà ad individuare e soddisfare i propri bisogni;

 difficoltà a chiedere aiuto o a rivolgersi ai diversi servizi;

 situazioni altamente stressanti;

 disturbi di personalità;

 dipendenza da alcool e droga. d) Fattori individuali del bambino:

 precoce separazione dalla madre alla nascita;

 disturbi del ritmo sonno-veglia;

 disturbi del comportamento alimentare;

 malattie croniche;

 comportamento difficile;

 scarso rendimento scolastico.

1.4 OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

Il maltrattamento familiare sul minore, come si è visto nei paragrafi precedenti, è un problema che desta attenzione in particolar modo tra le figure istituzionali altamente qualificate chiamate a fronteggiare episodi di violenza che avvengono all’interno delle

mura domestiche. Recentemente, poiché le cronache mediatiche propongono episodi di

maltrattamento all’infanzia e all’adolescenza, la violenza è divenuto oggetto d’interesse anche per il pubblico più vasto.

(25)

25 A proposito di questa tematica, si possono sviluppare due osservazioni importanti. La prima è che i casi di violenza non sono isolati ma accadono ripetutamente all’interno delle famiglie disfunzionali. Pertanto, per garantire l’interesse primario del minore è necessario che tutti gli operatori s’impegnino per far sì che quest’ultimo non sia esposto e non subisca ulteriori aggressioni da parte delle figure di accudimento o comunque da parte di persone per lui significative.

La seconda è che con il verificarsi di questi episodi viene meno quella rete di protezione e di cure di cui il minore dovrebbe godere e vedersi assicurata da ogni genitore. Le ferite prodotte nel bambino a causa di un’esposizione ripetitiva e costante a una situazione di maltrattamento, se non vengono subito guarite, influenzano in modo negativo la crescita sia fisica che psicologica del minore e possono indurlo a sviluppare dei veri e propri disturbi di personalità30. È opportuno quindi che ogni esperto del settore (psicologo, assistente sociale, ecc.), davanti a situazioni di maltrattamento, abuso o negligenza, tenga sempre presente che il soggetto sintomatico31 è il genitore, mentre il bambino è solo il capro espiatorio di un comportamento dannoso del proprio genitore. È sul genitore maltrattante che gli operatori devono concentrare le proprie energie e forze, ripercorrendo con lui la sua storia e quelle relazioni più significative che hanno caratterizzato la sua infanzia32, poiché solo aiutando quest’ultimo si può indirettamente aiutare anche il bambino.

A tal proposito è necessario che gli operatori, in particolare quelli coinvolti in prima persona nella conduzione di queste situazioni, siano attenti alle specificità del fenomeno maltrattamento, in modo da poter realizzare un intervento che ha maggiori possibilità di garantire esiti positivi. Alcuni degli aspetti problematici che gli operatori possono incontrare sono elencati di seguito.

 In primis una difficoltà di rilevazione da parte dell’operatore, poiché il fenomeno del maltrattamento/abuso è spesso sconosciuto fino a quando non raggiunge livelli eclatanti di gravità tali da infliggere al bambino danni spesso irrimediabili, che richiedono agli operatori di approfondire gli elementi che destano sospetto e captare tutti quei segnali di disagio che il minore può trasmettere.

30

L. Cancrini, La cura delle infanzie infelici. Viaggio nell’origine dell’oceano borderline, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012, p. 108.

31

S. Cirillo,Cattivi genitori, op. cit., p. 133.

32

(26)

26  Altro tratto importante è l’ambivalenza tra i segni fisici evidenti (lividi, graffi, ecc.) e la persistente negazione da parte del genitore maltrattante, per cui l’operatore incontra gravi difficoltà sia nella raccolta di dati oggettivi e precisi sia nell’assumere decisioni necessarie per il caso in esame.

 In terzo luogo, poiché il maltrattamento è un fenomeno pericoloso è opportuno che gli operatori valutino delle misure di protezione indispensabili per tutelare il bambino dal rischio di un’ulteriore aggressione. Non bisogna però dimenticare che l’attuazione di queste misure non risolve la situazione problematica e che bisogna comunque che gli operatori cerchino di rimuovere il problema alla radice, ovvero intervenendo sulla disfunzionalità genitoriale. La problematica dei genitori violenti e della loro presenza determinante nella vita dei propri figli verrà approfondito nel capitolo successivo.

 Infine, trattandosi di un fenomeno che coinvolge molteplici aree d’intervento (giuridico, sanitario e psicosociale), è opportuno tenere in considerazione un approccio interdisciplinare che sia in grado di coinvolgere e integrare elementi differenti.33

Un atteggiamento comune che spesso si ha di fronte a questi casi di violenza è il non voler credere che il maltrattamento, la trascuratezza o l’abuso esistano e che siano una tra le realtà più problematiche della società odierna. Per gli operatori risulta molto faticoso credere che altri adulti come loro possano mettere in atto atteggiamenti violenti verso i bambini in quanto ciò influisce sulla concezione che si possiede della genitorialità e dell’umanità in generale. «La violenza sovverte i valori di base della società e quindi crea uno stato di confusione al quale è difficile avvicinarsi, per cui si mettono in atto atteggiamenti di minimizzazione o fraintendimenti dei fatti e dei significati che essi hanno per i bambini»34. Proprio per questa ragione gli operatori tendono a lavorare con bambini vittime di violenza come se soffrissero di un disturbo irrilevante e a considerare i loro genitori come persone che vivono una difficoltà transitoria, senza invece affrontare il problema in maniera scrupolosa e quindi

33

Cfr. A. Campanini,op. cit., pp. 76-77.

34

M. T. Pedrocco Biancardi, A. Talevi, La voce dei bambini nel percorso di tutela. Aspetti psicologici,

(27)

27 analizzando in maniera più approfondita qual è la connessione esistente tra le esperienze familiari e la sofferenza dei bambini.

(28)

28

2 LA FAMIGLIA E I SUOI FATTORI DI

PROBLEMATICITÀ

2.1 LA

FAMIGLIA

MULTIPROBLEMATICA:

UN

SISTEMA COMPLESSO

«Il termine “famiglia multiproblematica” viene coniato intorno agli anni Cinquanta, nell’ambito di ricerche psicosociologiche sulla povertà e sulla devianza, per definire una tipologia di nuclei familiari all’interno dei quali più membri manifestano problemi di comportamento e di adattamento sociale o sono portatori di patologie, e che per tali ragioni entrano frequentemente in contatto con servizi sociali e sanitari per periodi di tempo piuttosto prolungati»35.

A differenza della famiglia comune che si realizza e si comporta secondo le aspettative giuridiche e sociali ed assolve alle sue mansioni in modo chiaro e soddisfacente per i suoi membri e per la società, la famiglia definita multiproblematica o a rischio «presenta… caratteristiche strutturali, organizzative e relazionali deboli, inadeguate o conflittuali che si ripercuotono negativamente sui suoi membri e sulla capacità di svolgere le funzioni sociali attribuite, tanto da richiedere un intervento sociale»36. Ciò che si percepisce ed emerge con chiara visibilità in questi nuclei familiari così compromessi è:

- la difficoltà e l’inadeguatezza dei genitori ad allevare in modo adeguato i propri figli;

- una scarsa capacità ad educarli e a fornire loro le cure necessarie;

- la mancanza dell’aiuto psicologico necessario per uno sviluppo positivo della vita relazionale ed emotiva del bambino;

- il fallimento dei genitori nel rappresentare per i propri figli un punto di riferimento centrale e al contempo un sicuro nido d’amore e di protezione.

Tutte queste carenze comportano delle vere e proprie conseguenze negative sul percorso di crescita del minore, come ad esempio una fatica a crescere sani sia a livello fisico che

35

S. Cirillo, M.V. Cipolloni, op. cit.,p. 23.

36

S. M. L. Fusi, Minori, famiglia, comunità: una relazione complessa. Dall’analisi del contesto agli

(29)

29 psichico, una seria difficoltà ad elaborare traumi e carenze o ancora a riuscire a crearsi un futuro e diventare dei cittadini sufficientemente integrati nella società.

Le famiglie multiproblematiche sono sistemi familiari fragili caratterizzati da una forte incapacità a fronteggiare in modo autonomo e responsabile il verificarsi, durante il corso della vita, «di eventi critici dolorosi tra cui l’isolamento dal contesto sociale ed economico e le relazioni difficili e peculiari tra genitori/partner e la loro famiglia d’origine»37

. A questi episodi possono aggiungersi altri ugualmente importanti come la morte improvvisa di un familiare o di una persona cara, una separazione traumatica, la perdita del posto di lavoro, una conflittualità coniugale irrisolta dovuta principalmente a una mancanza di comunicazione tra i componenti del nucleo, l’insorgere di problematiche psicologiche e psicosociali importanti.

È opportuno sottolineare, quando si parla di queste famiglie, che esse sono molto spesso il risultato di esperienze traumatiche che i genitori hanno vissuto nel corso della loro infanzia e che il loro atteggiamento di completa dipendenza o indipendenza dai propri genitori avrà un’influenza determinante sul rapporto che successivamente si verrà a instaurare con i loro figli. Si tratta di nuclei familiari che «possono trovarsi in situazioni che Guay (2000) così sinteticamente riassume di degrado, di cronicizzazione,di crisi, di

disorganizzazione, di crisi ricorrenti»38. In una prima fase le famiglie si adattano alla situazione di degrado o malessere in cui riversano, lasciando che i propri compiti vengano assolti da altri, principalmente dagli operatori dei servizi; nella seconda fase, definita di cronicizzazione, i genitori sono così rassegnati che non sperano neanche che la situazione possa cambiare: è la fase in cui i minori vengono trascurati e quindi necessario risulta l’intervento dei servizi preposti alla tutela dei minori; nella terza fase (di crisi) invece i genitori desiderano cambiare le condizioni in cui vivono e quindi si attivano prendendo in mano la situazione. Nelle ultime due fasi

(disorganizzazione-crisi ricorrenti) queste famiglie sono caratterizzate da una totale disorganicità e quando

la situazione è davvero critica e difficile da risolvere, i membri perdono la fiducia e perciò diventano sempre più ostili verso qualsiasi forma d’aiuto loro offerta.39

Infatti gli operatori trovano serie difficoltà ad interagire con questi utenti poiché sono utenti

37

Ivi, p. 98.

38

Ibidem. Corsivo nel testo.

39

(30)

30 particolarmente difficili, arrabbiati e particolarmente diffidenti a farsi coinvolgere in un programma di intervento.

Non bisogna inoltre dimenticare che questi sistemi familiari, per la particolare situazione in cui riversano, sono esposti costantemente al rischio di stigmatizzazione ed esclusione sociale e che quindi necessitano di aiuto e accompagnamento anche se apparentemente sembrano rifiutarlo.

Lavorare con questo tipo di famiglie risulta frustante e difficile per gli operatori in quanto le probabilità che migliorino o si impegnino a modificare certi loro comportamenti, specialmente in favore dei propri figli, sono davvero scarse, quasi inesistenti. Sono famiglie che finiscono piuttosto col diventare dei veri e propri casi cronici, sviluppando una relazione di dipendenza dai servizi che li hanno in carico e che continuano a vivere in questa situazione infelice a prescindere o a dispetto delle cure che gli vengono offerte.

2.2 UNA TIPOLOGIA PARTICOLARE DI FAMIGLIA A

RISCHIO: LA FAMIGLIA MALTRATTANTE

La linea di confine che separa la famiglia maltrattante dalla famiglia multiproblematica è pressoché invisibile, in quanto, come sostengono alcuni autori (ad esempio S. Cirillo e P. Di Blasio)40, le famiglie maltrattanti sono spesso, esse stesse, famiglie multiproblematiche.

A proposito di queste famiglie, molti studi, in linea generale, sono d’accordo sul fatto che:

- il comportamento inadeguato messo in atto dai genitori a danno dei figli ha carattere in prevalenza ripetitivo ossia si ripresenta periodicamente nelle famiglie, di generazione in generazione;

- aspetti come una scarsa considerazione di sé, la difficile accettazione della propria personalità, la tendenza frequente alla depressione caratterizzano il genitore maltrattante;

- ai disturbi di personalità presenti in questi genitori sono spesso collegati atteggiamenti antisociali.

40

S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia,Raffaello Cortina Editore, Milano,1989.

(31)

31 Il giudizio spontaneo della collettività quando si viene a conoscenza di casi di bambini picchiati è quasi sempre: “bambino innocente, genitore colpevole”. Pertanto, ciò che si richiede è di difendere il bambino, disponendo un allontanamento immediato, e di punire duramente i genitori maltrattanti.

È opportuno, tuttavia, definire il profilo dei genitori che danneggiano i propri figli anziché proteggerli. Secondo quanto emerge dagli studi in merito, tali genitori sono «esseri umani sopraffatti da emozioni non più controllabili, soggetti prigionieri di pesanti e dolorose dinamiche all’interno della propria famiglia attuale o così sofferentemente connessi con le loro famiglie originarie da gestire la propria incontenibile rabbia, la propria profonda delusione e la propria attesa irrisolta scagliandola verso i propri figli, agendola su di loro»41. Il denominatore comune dei nuclei familiari in oggetto è la violenza riversata sul soggetto più debole (il bambino), violenza che rappresenta al tempo stesso il problema e il sintomo: «problema perché è da questo “male” che bisogna proteggere il minore e liberare i genitori; sintomo perché esso diventa in qualche modo un rivelatore di conflitti, rispetto ai quali costituisce un tentativo di soluzione il cui prezzo da pagare è l’integrità fisica o psichica del bambino»42. Le diverse forme di violenza (psicologica, fisica, sessuale) inflitte al bambino da parte di uno o di entrambi i genitori, in modo costante e ripetitivo, sono considerate come «segno di una patologia che investe il funzionamento globale della famiglia»43 e sono maggiormente presenti in quei nuclei dove esistono sussistenti conflitti o gravi difficoltà, più o meno evidenti, tra i coniugi. Le ricerche empiriche effettuate in questo campo hanno dimostrato esattamente come vi sia una diretta associazione tra i fattori di rischio o condizioni che predispongono gli adulti ad esercitare violenza e i comportamenti maltrattanti44.

Il maltrattamento può essere considerato come un virus che per prodursi e trasmettersi necessita della presenza di alcune condizioni: ambiente inospitale, poco caloroso; un clima fortemente distaccato e ostile; figure genitoriali inadeguate ad instaurare un legame tranquillo e sereno con il minore. Alla base dell’atteggiamento maltrattante, vi è

41

D. Ghezzi, F. Vadilonga, op. cit., p. 6.

42

A. Crivillé, op. cit., p. 57.

43

S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia, op. cit, p. XXVI.

44

(32)

32 da un lato un genitore distratto, indifferente, insensibile e incapace di far fronte alle esigenze fisiche, affettive e intellettive del proprio figlio (come un attento ascolto alle sue richieste e una maggiore empatia verso le sue difficoltà), e dall’altro lato la presenza di rilevanti condizioni problematiche, quali: «le strutture disorganizzate di queste famiglie, le carenti definizioni di ruolo, la mancanza di regole educative, la presenza di conflitti tra i genitori, l’insoddisfazione personale e familiare, oppure la presenza di tossicomania, di alcolismo, di problemi psichiatrici in uno o entrambi i genitori, o ancora lo svantaggio sociale e culturale, o esperienze di violenza subite da questi genitori nella loro infanzia»45. Tra questi fattori, due in particolare inducono il genitore ad orientare i propri sentimenti di rabbia o delusione sul proprio bambino: la disfunzionalità relazionale tra i coniugi (il sentirsi lasciati soli e non supportati dal proprio compagno ma, al contrario, attaccati nei momenti di maggiore difficoltà) e l’aver vissuto nella propria infanzia esperienze di separazione dalla propria famiglia d’origine e la continua minaccia di venire abbandonati.

A determinare un cattivo funzionamento relazionale in una famiglia contribuiscono diversi fattori, alcuni dei quali sono:

 una coppia fragile, strutturalmente debole, caratterizzata al proprio interno da un grave conflitto o una grave incomprensione;

 una coppia in cui è forte la presenza di una o ambedue le famiglie originarie (p. es. una separazione necessaria mai avvenuta, una famiglia d’origine che è stata maltrattante o abusante, ecc.);

 una coppia che costringe il proprio figlio a diventare adulto precocemente facendogli svolgere un ruolo che non gli compete (p. es. di mediatore familiare o di valvola di sfogo)46.

La famiglia maltrattante può essere definita come la famiglia che mette in atto comportamenti che incidono negativamente sulla crescita fisica e psichica del bambino, comportamenti quali violenza fisica e abusi sessuali, i quali hanno effetti devastanti e ledono l’integrità fisica dello stesso, e la violenza psicologica, la negligenza e l’abbandono, che gli producono grave sofferenza e gli impediscono il soddisfacimento dei suoi bisogni primari. «In realtà la famiglia mal-trattante non è soltanto la famiglia

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Ibidem.

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