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Gli ostacoli che impediscono alle famiglie maltrattanti di formulare una richiesta

2 LA FAMIGLIA E I SUOI FATTORI DI PROBLEMATICITÀ

2.2 UNA TIPOLOGIA PARTICOLARE DI FAMIGLIA A RISCHIO: LA FAMIGLIA

2.2.1 Gli ostacoli che impediscono alle famiglie maltrattanti di formulare una richiesta

Le figure istituzionali chiamate ad aiutare le famiglie maltrattanti sono ben consapevoli di non poter purtroppo contare sulla richiesta d’aiuto spontanea da parte di uno dei genitori. È importante tenere presente che l’assenza di domanda non vuol dire necessariamente mancanza di motivazione a cambiare la situazione disfunzionale presente all’interno della famiglia. Anzi, molto spesso accade che pur se un genitore maltrattante desidera vivamente modificare la propria condizione di sofferenza, «sa benissimo che dichiarare il proprio comportamento equivale ad autodenunciarsi per aver violato non solo un tabù sociale profondamente radicato, ma anche una norma di condotta sancita dalla legge»51. Pertanto, colui che confessa il proprio comportamento maltrattante sul figlio sa di andare incontro al biasimo, se non addirittura incorrere in una sanzione. A questo fattore principale se ne possono aggiungere altri che rendono ugualmente complessa l’esplicitazione di una richiesta di aiuto. Essi sono il disagio, «l’incapacità socioculturale a prefigurarsi la possibilità stessa di essere aiutati, la cronicità assistenziale creatasi nell’esperienza con i servizi, da cui sono abituati a ricevere solo sussidi e interventi materiali»52. Anche «la disperazione esistenziale, la perdita di contatto con la realtà, le difese patologiche che tali adulti hanno costruito tra

50

S. Cirillo, P. Di Blasio, Revisione del concetto di ciclo ripetitivo della violenza. In: V. Mayer, R. Maeran ( a cura di) Il laboratorio e la città, vol.1. Guerini e Associati, Milano, 1988.

51

S. Cirillo, P. Di Blasio, La famiglia maltrattante. Diagnosi e terapia, op. cit., p.3.

52

35 loro stessi e le proprie sofferenze»53 rappresentano impedimenti altrettanto rilevanti nella capacità di formulare una richiesta di aiuto.

Tuttavia, per ovviare a questi molteplici impedimenti, gli operatori possono individuare e interpretare una richiesta di aiuto nascostada parte di un genitore attraverso una serie di lamentele o preoccupazioni che quest’ultimo può lanciare ad un insegnante o ad una persona di fiducia (parente, amico) rispetto alla gestione del bambino. Gli operatori possono intervenire tempestivamente sulle famiglie attraversate da dinamiche violente o maltrattanti anche qualora individuano dei segnali di sofferenza che il minore implicitamente trasmette all’esterno (ad es. ruba soldi ai compagni, manifesta comportamenti inappropriati nei confronti dell’altro sesso, eccessiva aggressività, adultizzazione, ecc.), attraverso l’essenziale aiuto di figure a stretto contatto con il bambino come gli insegnanti o altri operatori scolastici. Tuttavia è molto importante che queste figure che assolvono principalmente compiti educativi sappiano (nell’eventualità in cui si trovino di fronte situazioni così particolari) come agire e quindi a seconda del caso che hanno davanti decidere se i segnali di disagio espressi dal minore sono lievi, e perciò è sufficiente intervenire con gli strumenti tipici della scuola come il dialogo con i genitori o l’affiancamento al minore di una figura di sostegno, o al contrario è necessario rivolgersi ad istituzioni esterne che hanno il preciso compito di tutelare il minore, se i segnali di sofferenza sono così gravi o se a richiederlo sono precisi obblighi di legge54. Oltre agli insegnanti e ad altre figure scolastiche, vi sono poi altri soggetti e agenzie sociali che, sempre per il loro rapporto diretto con il bambino, possono evidenziare questi segnali: il compagno di scuola che in virtù del suo ruolo di miglior confidente può venire a conoscenza di particolari importanti, il vicino di casa, gli educatori delle associazioni sportive e delle parrocchie che possono notare alcuni comportamenti insoliti, i servizi sanitari che svolgono una funzione di prevenzione e cura circa il suo sviluppo ed infine i servizi sociali che devono prestare particolare attenzione all’incapacità dei genitori di cogliere i segnali di sofferenza del proprio

53

Ibidem.

54

C. Castellani, “La segnalazione al Tribunale per i minorenni: quando farla e perché”,in Dispense del Centro Studi Hänsel e Gretel- n°3, L’abuso all’infanzia. Linee guida per l’intervento nei casi di

maltrattamento fisico, psicologico e sessuale ai danni dei bambini e degli adolescenti, a cura di Foti C.,

Bosetto C., Farci S., Sie Editore, 2004,pp.65-68, p. 65, disponibile sul sito:http://www.cshg.it/wp- content/uploads/2013/10/3-LineeGuidaESTRATTOWEB.pdf

36 bambino e di provvedere alla sua cura in quanto questo è molto spesso il primo indizio di una situazione familiare a rischio.

Ci sono alcuni casi, però, che sembrano rappresentare una eccezione alla regola poiché è un membro della famiglia che si presenta spontaneamente ai servizi per denunciare il maltrattamento. Si possono individuare due diversi casi: un componente della famiglia o il coniuge segnala il genitore maltrattante oppure il maltrattante stesso si autodenuncia (in casi molto rari). Nel primo caso la famiglia ha già identificato il “cattivo” da punire e chi lo segnala si considera come il buono, attento al bene del bambino ed estraneo alla situazione che, con ogni probabilità, anche lui ha contribuito a degenerare. Nel secondo caso, invece, il genitore che si presenta in modo spontaneo ai servizi è come se volesse trasmettere indirettamente un messaggio all’altro coniuge. Il genitore maltrattante in queste situazioni considera i figli solo come il mezzo con cui il coniuge lo/la imprigiona e perciò come persone non degne di rispetto ma che meritano tante botte.55

Come si è potuto osservare poc’anzi a proposito delle famiglie maltrattanti, anche nel caso degli abusanti sessuali gli operatori non possono contare su una loro spontanea richiesta di aiuto.

Nei casi di abuso sessuale, il nucleo familiare è caratterizzato principalmente dal meccanismo della negazione: vi è chi subisce e tace, chi commette il danno e induce la vittima al silenzio, chi dovrebbe proteggere e fa finta di non vedere e sapere.

In questo quadro è possibile individuare quattro tipi di negazione possibili che gli abusanti possono mettere in atto e con cui gli operatori possono scontrarsi:

-la negazione dei fatti: il genitore nega che sia reale ciò che gli viene riferito, considerandosi innocente e accusando invece la vittima di mentire e i servizi di accusarlo senza una giusta causa (dicendo frasi del tipo “non è vero”);

- la negazione della consapevolezza: quando l’abusante non nega che l’abuso sia stato inflitto al minore ma nega la coscienza nel commettere l’azione (riferendo frasi come “non ero in me”);

- la negazione della responsabilità: in questo caso l’abusante ammette il danno e anche la coscienza nel commetterlo ma attribuisce la responsabilità ad altri, di solito al minore che si è comportato in modo tale da meritarsi quello che le è stato inflitto o all’altro

55

37 coniuge che con il suo comportamento ha fatto sì che la sua reazione fosse inevitabile (ad es. “mi ha istigato lui/lei”);

- la negazione dell’impatto: questo tipo di negazione serve al genitore abusante per ridurre il proprio senso di colpa, minimizzando i danni inflitti al minore a causa del proprio comportamento inadeguato (ad es. “non credevo di avergli o averle fatto del male”)56

.

Gli operatori che ricevono l’incarico dal Tribunale di lavorare con gli abusanti devono quindi in primis cercare di contrastare il meccanismo della negazione, il quale rende più difficile l’intervento, e in secondo luogo far maturare all’intero nucleo in cui ha origine l’abuso l’importanza di fare terapia.

Le figure istituzionali che si trovano a lavorare con questi adulti abusanti non devono sottovalutare che probabilmente un genitore (molto spesso entrambi) durante la sua infanzia è stato vittima a sua volta di abusi sessuali, violenza, grave trascuratezza e che ha vissuto in un contesto caratterizzato da legami insicuri. Perciò gli «abusi non devono essere considerati solo come atti perseguibili penalmente, ma anche come comportamenti frutti di un disagio emotivo che riguarda l’intera famiglia, poiché il bambino abusato e l’adulto abusante sono gli anelli di una catena che lega tutto il nucleo familiare»57. Oltre ad un’esperienza infantile di abuso, anche gli effetti che alcune psicopatologie hanno sia sulle relazioni all’interno della famiglia che sui bisogni di protezione dei figli rappresentano le condizioni alla base di un adulto potenzialmente abusante. Tra le patologie più comuni riscontrate in questi genitori vi sono: grave depressione, tossicodipendenza, alcolismo, perversioni, disturbi del controllo degli impulsi ed infine nevrosi (il rapporto con la realtà risulta essere disturbato e difficile da gestire) e disturbi di personalità borderline (il soggetto è incostante nelle relazioni, assume decisioni basate sull’impulsività, teme di essere abbandonato, esagera il malessere come modo per richiedere attenzioni e mette in atto con una certa frequenza comportamenti autolesivi e tentativi di suicidio)58. Questi ultimi due disturbi sono considerati i più pericolosi poiché spingono la famiglia, in particolar modo i bambini, ad adattarsi a comportamenti “strani” del genitore disturbato e quindi a vivere in un ambiente fortemente inadeguato sul piano affettivo, sociale e relazionale e in uno spazio

56

S. Cirillo,Cattivi genitori,op. cit., pp. 30-31-33.

57

F. Montecchi, op. cit., pp. 37-38.

38 in cui il rischio di essere esposto a varie forme di abuso è molto alto. In questi casi «i professionisti all’infanzia possono solo individuare e rimuovere, per quanto possibile, le condizioni che predispongono agli abusi, e riconoscere precocemente i casi, limitandone e trattandone i danni fisici e psicologici»59.