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ʻStrage degli innocentiʼ, speranze di vita e mortalità di genere

L’indicazione dell’età del defunto è uno degli elementi più preziosi che ci vengono offerti dagli atti di sepoltura. Tale informazione ci permette di addentrarci in merito alle diverse aspettative di vita nella società taorminese tra la fine del XVII secolo e la prima metà del Settecento.

La prima considerazione d’impatto – condizionata dal riecheggiare in mente del celebre incipit della Divina Commedia – è che se Dante Alighieri all’inizio del Trecento si riteneva «nel mezzo del cammin di nostra vita»305, immaginando per sé una vita di circa settant’anni306, a Taormina, come nel resto del globo, ancora nella

seconda età moderna il privilegio di invecchiare fino al limite biologico auspicato dal grande poeta fiorentino era un privilegio per pochi. John Graunt – considerato uno dei padri della moderna demografia – nel 1662, studiando la mortalità londinese osservò che solo il 3% degli abitanti della capitale inglese raggiungeva l’età di 66

305 Primo verso della prima cantica del celeberrimo «poema sacro» dantesco. D. ALIGHIERI,

Commedia, a cura di N. TOMMASEO, vol. I, F. Pagnoni, Milano 1868, p. 5.

306 Invero Dante neanche si avvicinò a quella soglia, morendo all’età di 56 anni; cfr. G. VILLANI,

Istorie Fiorentine di Giovanni Villani, vol. V, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano 1802, p. 135.

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anni307. E anche nel secolo successivo, nonostante un sensibile incremento delle speranze di vita, la soglia dei settant’anni rimase una chimera per i più; tanto è vero che nel 1806 Emmanuel Etienne Duvillard de Durand, nell’indagare l’influenza del vaiolo nelle dinamiche demografiche della Francia della seconda metà del Settecento, stabilì che solo l’11,77% della popolazione arrivava a quell’età; d’altronde meno della metà delle persone non giungeva neanche ai trent’anni (43,82%)308. Nel XVII o

XVIII secolo un giovane di 15 o 20 anni poteva considerarsi fortunato, perché buona parte dei nati nel suo stesso anno erano già deceduti309. A Taormina nel periodo preso

in esame, dall’analisi di un campione di 4.057 atti di sepoltura310, è emerso che la speranza di vita alla nascita era di poco superiore ai 22 anni e 3 mesi311; dato inferiore

alla media generale europea e italiana, che alla fine XVIII secolo era vicina ai trent’anni312, dato tuttavia prossimo alle statistiche del Belgio di inizio Seicento, dove l’aspettativa di vita alla nascita era vicina ai 23 anni313, e non troppo distante dalla

Francia di metà Settecento, nella quale la prospettiva alla venuta al mondo era di 24 anni e 9 mesi314. Ovviamente tali medie generali devono tenere conto di età spesso

307 J. GRAUNT, Natural and political observations mentioned in a following index, and made upon

the bills of mortality, in C.H. HULL (a cura di), The economic writings of Sir William Petty, vol. II, Cambridge University Press, Cambridge 1899, pp. 327-435.

308 E.E. DUVILLARD DE DURAND, Analyse et tableaux de l’influence de la petite vérole sur la

mortalité a chaque âge, et de celle qu’un préservatif tel que la vaccine peut avoir sur la population et la longévité, Imprimerie Impériale, Paris 1806. La tabella della mortalità per fasce d’età stilata da Duvillard è riportata in W.G. JONCKHEERE, La table de mortalité de Duvillard, «Population», n. 5, 1965, p. 867.

309 S. RICOSSA, Storia della fatica. Quanto, come e dove si viveva, Armando, Roma 1974, p. 12. 310 In merito alle modalità d’elezione del campione, cfr. supra nt. 89. Si ricorda che sono stati esclusi

dallo studio gli anni 1674 e 1675, a causa di alcune lacune nelle registrazioni delle sepolture; cfr.

supra p. 92. Inoltre si precisa che le sepolture negli anni attenzionati compresi tra il 1676 e il 1747 furono 4.125, ma è stato necessario estromettere dal compunto trentasei atti, in quanto privi dell’indicazione dell’età del defunto.

311 Cfr. Tab. XXXIX.

312 Cfr. S. RICOSSA, Storia della fatica. Quanto, come e dove si viveva, cit., p. 14. In modo particolare

possediamo dati assai attendibili riguardo la regione Toscana, territorio nella quale la speranza di vita alla nascita, tra la fine del XVII e la prima metà del Settecento (1675-1749), era di oltre trentadue anni e sette mesi; cfr. M. BRESCHI, P. MALANIMA, Demografia ed economia in Toscana: il lungo

periodo (secoli XIV-XIX), in M. BRESCHI, P. MALANIMA (a cura di), Prezzi, redditi, popolazione in

Italia: 600 anni (dal secolo XIV al secolo XX), Forum, Udine 2002, p. 120.

313 T.H. HOLLINGSWORTH, Historical demography, The Source of History, London 1969, p. 171. 314 Y. BLAYO, La mortalité en France de 1740 à 1829, «Population», n. 30, 1975, p. 141.

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indicate in maniera approssimativa315, di forti variazioni da decennio a decennio316, e di notevole differenze all’interno degli stessi Stati, al punto che se nell’Inghilterra del 1680l’aspettativa di vita al momento della venuta al mondo era di circa ventinove anni317, in una città affollata e dalle pessime condizioni igienico-sanitarie come la

Londra della prima metà del secolo successivo la media era di appena diciotto anni318.

Ma ciò non sottrae nulla al dato inequivocabile: all’interno della comunità taorminese tra XVII e XVIII secolo la speranza di vita alla nascita era miserevole. Tale dato è da ricondurre soprattutto a un’elevatissima mortalità infantile319, e in particolare

neonatale320. Ben il 35,59% dei defunti aveva meno di un anno d’età, e di questi 1.444 piccoli infanti 593 avevano addirittura meno di un mese di vita321; al punto da essere

315 Per il caso siciliano è comprovato che dopo i vent’anni le età erano spesso arrotondante intorno

alle scansioni quinquennali e decennali; difatti nei documenti sia parrocchiali che rivelistici si trova più facilmente cinquant’anni che non quarantasette o cinquantatré. M. AYMARD, In Sicilia: Sviluppo

demografico e sue differenziazioni geografiche, 1500-1800, cit., p. 420; cfr. anche M. GRILLO,

Demografia e società ad Acicastello fra ‘700 e ‘800: Evoluzione e Permanenze, in La Sicilia nel

Settecento. Atti del Convegno di studi tenuto a Messina nei giorni 2-4 ottobre 1981, vol. I, Centro di Studi Umanistici della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Messina, Messina 1986, pp. 115.

316 P. LASLETT, Il mondo che abbiamo perduto. L’Inghilterra prima dell’età industriale, Jaca Book,

Milano 1997, p. 114.

317 V.H. BEONIO-BROCCHIERI, L’Inghilterra dai Tudor agli Stuart, RCS, Milano 2015, p. 42

(versione ebook).

318 J. LANDERS, Death and the Metropolis. Studies in the Demographic History of London 1670-

1830, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1993, fig. 5.3 e tab. 4.10.

319 Per mortalità infantile si intendono i decessi che intercorrono tra la nascita e il compimento del

primo compleanno, cfr. E.A. WRIGLEY, Demografia e storia, cit., p. 21. Una differente mortalità infantile tra diverse popolazioni, da sola, può produrre variazioni nella speranza di vita corrispondenti a tre o quattro anni per ogni dieci punti percentuali di differenza; di conseguenza la mortalità infantile in un ʻantico regime demograficoʾ rappresentava la fonte primaria nel determinare l’aspettativa di vita alla nascita di una popolazione, cfr. M. LIVI BACCI, Popolazione e alimentazione. Saggio sulla

storia demografica europea, cit., pp. 106-107,

320 La mortalità neonatale, per definizione, è quella mortalità che opera nel periodo compreso tra il

momento della nascita e i primi ventotto giorni di vita; cfr. Enciclopedia medica italiana, USES, Firenze 1983, vol. X, p. 343. In questo caso, considerando le approssimazioni presenti negli atti di sepoltura, si sono considerati morti neonatali tutti quei decessi avvenuti entro il primo mese di vita. Ancora alla fine dell’Ottocento l’Italia, e in specie nelle province del nord-est, era contraddistinta da un’elevata mortalità neonatale, provocata essenzialmente da malattie a carico dell’apparato respiratorio; cfr. M. MANFREDINI, L. POZZI, Mortalità infantile e condizione socio-economica. Una

riflessione sull’esperienza italiana fra ‘800 e ‘900, cit., pp. 132-133.

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legittimati a parlare di un’autentica ʻstrage degli innocentiʼ, da intendere non come l’eccezionale misfatto biblico, ma come un costante e comune ʻfatto di naturaʼ. I due momenti più delicati per gli infanti erano la nascita e lo svezzamento322. Sono infatti

diverse centinaia le famiglie taorminesi che annoveravano la scomparsa in età infantile di due o più figli, e altri ancora nei primi anni di vita. Nelle trentatré annualità selezionate come campione323 le coppie matrimoniali che registrarono la morte di

almeno due bambini in età inferiore all’anno di vita furono ben 215324. Paradigmatico

il caso dei coniugi Francesco Galeano e Carmela Vitali, che tra il 1714 e il 1734 piansero la perdita addirittura di sette figli prima che questi completassero l’anno di vita. Essi videro perire Paolo325, Caterina326 e Carmelo327 a quattro mesi d’età,

Vincenza ad appena sette giorni328, un’altra Caterina329 a tre mesi, Vincenzo a sei330

e Antonia a un mese e diciassette giorni331. Altri esempi emblematici ci sono forniti dalle coppie matrimoniali Longo-Minuta332 e Greco-Malambrì333 che persero

322 M.A. GINATEMPO, Corpi e uomini tra scienza e storia: studi di osteo-archeologia umana per

l’Italia medievale, «Archeologia medievale. Cultura materiale, insediamenti, territorio», n. XV, 1988, p. 13.

323 Si rammenta che sono state escluse dal campione dei defunti le registrazioni avvenute negli anni

1674 e 1675, cfr. supra p. 92.

324 Cfr. Tab. XLI.

325 Morto il 15 novembre 1714 e inumato nella chiesa di Santa Domenica, APT, Santa Domenica,

Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749).

326 Seppellita nella chiesa di Santa Domenica il 30 giugno, ibidem.

327 Passato a ʻmiglior vitaʼ il 13 giugno 1734 e conservato a Santa Domenica, ibidem. 328 Sepolta a Santa Domenica il 9 marzo 1717, ibidem.

329 Deceduta il 22 aprile 1721 e seppellita nella Chiesa Madre, APT, San Nicolò di Bari, Liber

Defunctorum, vol. II (1675-1819). Non è raro che alla nuova prole venisse assegnato un nome di un figlio prematuramente scomparso.

330 Morto il 7 luglio 1725 e interrato nel campo santo della chiesa di Santa Maria di Gesù, APT, Santa

Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749).

331 Scomparsa il 17 luglio 1737 e sepolta a Santa Domenica, ibidem.

332 Domenico Longo e Giuseppa Minuta videro morire i seguenti figli: Antonino il 2 gennaio 1713,

quattro giorni dopo essere venuto al mondo, APT, Santa Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749); Pancrazio, di otto giorni, morto il 20 gennanio 1716, ibidem; un altro figlio chiamato Antonino, che scomparve il 28 luglio 1717 nel suo primo giorno di vita, ibidem; Felicia, gemella del predetto Antonino, morta il 3 settembre 1719, ibidem; Isabella, deceduta il 18 giugno 1719 all’età di cinque mesi, ibidem; e infine Placido, estintosi poche ore dopo la nascita, il 9 marzo 1720. Tutti e sei furono seppelliti nella chiesa di Santa Domenica.

333 Sebastiano Greco e Domenica Malambrì piansero la seguente prole prima che questa raggiungesse

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rispettivamente sei e cinque bambini d’età inferiore a un anno. In pratica non c’era famiglia taorminese che non avesse provato il dolore della scomparsa di un infante. E Taormina non era certo un caso eccezionale; Piero Pieraccini, studiando i registri di sepoltura della parrocchia fiorentina di San Lorenzo tra il 1652 e il 1751, affermò che il 70% dei funerali riguardava fanciulli di età inferiore ai dieci anni, e specificatamente per il 40% bambini di meno di un anno334. Del resto Graunt

nell’elencare una graduatoria delle ottantuno principali cause di morte poneva le malattie infantili al secondo posto per incidenza e gravità, precedute soltanto da ciò che la medicina inglese del tempo definiva «consumption and whooping-cough», cioè consunzione e pertosse, considerata oggi una malattia prettamente infantile ma che in passato pare colpisse mortalmente a tutte le età335.

In epoca pre-transizionale tra i fattori scatenanti questa specifica mortalità risultano preminenti i condizionamenti di natura ambientale connessi a epidemie esogene336. La mortalità infantile infatti colpiva indipendentemente dal ceto sociale

d’appartenenza, aggredendo pressoché indistintamente nuclei familiari popolari e aristocratici; ne sono la prova i lutti della famiglia de Spuches e Amato, duchi di

Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749); Rosaria, scomparsa il 28 giugno 1715 a tre mesi dalla nascita, ibidem; Michelangelo, venuto meno il primo maggio 1717, anch’esso a tre mesi,

ibidem; Innocenza, deceduta il 17 maggio 1718 a cinque mesi d’età, ibidem; e Venera di due mesi, ʻsalita in cieloʼ l’11 dicembre 1721, ibidem. Inoltre, pur non rientranti nel computo della mortalità infantile stricto sensu, sempre per la stessa famiglia segnaliamo le morti di altri due figli: Michele, deceduto il 2 gennaio 1705, e Andrea, seppellito il 21 giugno 1721, rispettivamente all’età di uno e due anni d’età, ibidem.

334 P. PIERACCINI, Note di demografia fiorentina, «Archivio Storico Italiano», n. 4, 1925, pp. 39-76. 335 J. GRAUNT, Natural and political observations mentioned in a following index, and made upon

the bills of mortality, cit., «Table of casualties», pp. 406-407.

336 L. DEL PANTA, Mortalité infantile et post-infantile en Italie du XVIIIe

eau XXe siècle. Tendances à long terme et différences régionales, «Annales de Démographie Historique», 1993, pp. 45-60; ID.,

Fattori e condizioni della mortalità tra 1800 e 1930: igiene, salute e ambiente. La situazione in Italia, in SIDES (a cura di), Popolazione, società e ambiente. Temi di demografia storica italiana (secc.

XVII-XIX), CLUEB, Bologna 1990, pp. 245-274; T. BENGTSSON, The vulnerable child. Economic

insecurity and child mortality in pre-industrial Sweden: a case study of Västanfors, 1757-1850, «European Journal of Population», n. 15, 1999, pp. 117-151. Livi Bacci sostiene che solo dopo lo svezzamento, gradualmente, il livello di benessere familiare inizierebbe a esercitare un ruolo nei rischi di morte precoce. Prima di allora sarebbero altri i fattori maggiormente significativi per la mortalità infantile in epoca pre-transizionale, in primo luogo le epidemie; cfr. M. LIVI BACCI, Macro

versus micro, in J. ADAMS, A. HERMALIN, D. LAM, P. SMOUSE (a cura di), Convergent issues in

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Santo Stefano – al tempo il più ricco e potente dei casati taorminesi – che nel giro di meno di tre anni dovettero affrontare la prematura scomparsa di tre infanti: le gemelline Maria337 e Francesca338, nate il 15 settembre 1717 e morte la prima a tre e

la seconda a cinque giorni dalla loro nascita, e un’altra figlia chiamata Maria339,

deceduta il 4 luglio 1719 all’età di nove mesi.

Inevitabilmente una così alta mortalità infantile giungeva a condizionare indirettamente anche la stessa natalità; e l’elevato numero di nati che contraddistinse la demografia taorminese a partire dal secondo decennio del XVIII secolo340 può

essere considerata come una naturale reazione alla moria di infanti. Difatti la bassa probabilità di sopravvivenza dei figli spronava le famiglie a generare una prole quanto più consistente possibile341. D’altronde con oltre un terzo dei nati che moriva entro il

primo anno di vita si era pericolosamente vicini al ʻlimite di mortalitàʼ, oltrepassato il quale la popolazione correva il rischio di regredire342, e solo una natalità sostenuta

poteva contrastare tale piaga e scongiurare un bilancio demografico negativo.

Superata la fase critica del primo anno la speranza di vita si ampliava fortemente. A Taormina a un anno d’età l’aspettativa di vita raggiungeva i trentaquattro anni e sei mesi, con un incremento di oltre dodici anni; quindi se un individuo riusciva a compiere il suo primo compleanno le sue prospettive di vita si implementavano concretamente di oltre un terzo (+35,33%). Successivamente la speranza di vita continuava ancora a crescere, raggiungendo l’apice all’età di cinque anni343, momento in cui un giovane taorminese in media aveva davanti a sé altri

337 Donna Maria de Spuches e Amato morì il 17 settembre 1717 e venne sepolta all’interno della

chiesa di Santa Maria di Gesù. APT, San Nicolò di Bari, Liber Defunctorum, vol. II (1675-1819).

338 Donna Francesca de Spuches e Amato si spense il 20 settembre 1717, come la sorella gemella

venne seppellita nella chiesa di Santa Maria di Gesù. Ibidem.

339 Donna Maria de Spuches e Amato al pari delle sorelle venne inumata nella chiesa del locale

convento francescano. APT, Santa Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749).

340 Cfr. Supra pp. 23-24.

341 C. VALENTI, Ricchezza e Povertà in Sicilia nel secondo settecento, cit., p. 147.

342 Se su cento nati ne sopravvivono all’età del matrimonio meno di quaranta, si costituiranno un

numero di coppie inferiore a venti, le quali, pur procreando cinque figli ciascuno, non ricostituiranno neanche i cento nati di partenza. Cfr. R. PRESSAT, A. SAUVY, Le problème de l’économie et de la

population en Wallonie, «Revue de Conseil Économique Wallon», n. 54-55, 1962, pp. 1-51.

343 Tale aumento della speranza di vita è da mettere in relazione anche al fatto che coloro che da

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trentasette anni d’esistenza; da lì in poi l’aspettativa progressivamente decresceva seguendo un declino fisiologico344. Tale ʻparabola discendenteʼ registrava i suoi

momenti di maggiore accelerazione alla soglia dei trenta e dei quarant’anni (-10,17 anni), fasce d’età nelle quali si manifestava una recrudescenza della mortalità, soprattutto maschile345. Si evidenzia infatti una diversificazione dell’evoluzione delle

speranze di vita tra donne e uomini. Se inizialmente la prospettiva di vita alla nascita favoriva leggermente gli individui di sesso maschile, con una speranza di vita superiore di sei mesi rispetto al genere femminile, segno di un’incidenza della mortalità infantile lievemente maggiore nelle bambine rispetto che negli infanti maschi346. Valicato l’anno d’età, tale rapporto si ribaltava a vantaggio delle donne, e

già al primo compleanno le infanti femmine vantavano un’aspettativa di vita sette mesi più elevata rispetto ai coetanei maschi. Questa differenza poi si ampliava gradualmente fino ai trent’anni, momento in cui gli individui di genere femminile, superati gli anni maggiormente esposti ai rischi del parto347, godevano di una

patologie di cui erano stati affetti, un’immunità che durava per tutta la vita. C.H. PARKER, Relazioni

globali nell’età moderna 1400-1800, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 158-159.

344 Cfr. Tab. XXXIX. 345 Cfr. Tab. XLII.

346 Nelle società d’ancien régime, in cui il valore del lavoro maschile era strumento essenziale di

sostentamento, forme di trattamento differenziale tra i bambini dei due sessi, e specialmente di sottonutrizione, potevano condurre a una sovramortalità femminile in età infantile; cfr. F. BENIGNO,

I dannati del primo sole. Ipotesi sulla mortalità di genere in Italia meridionale tra XVII e XX secolo, «Meridiana», nn. 26-27, 1996, p. 306.

347 Non è possibile elaborare dati statistici sulla mortalità da parto, in quanto nei registri parrocchiali

di sepoltura assai raramente è esplicitamente indicata la causa del decesso, però, incrociando i dati della donna deceduta con quelli del figlio partorito, si è risaliti a diverse decine di casi ove è certa la morte della madre per complicanze legate alla venuta al mondo della prole. Tra i tanti episodi, a titolo esemplificativo, riportiamo i seguenti casi: Caterina Gulotta di vent’anni, moglie di Francesco, morta il 10 aprile 1709, il giorno stesso in cui partorì la figlia Giovanna; venne sepolta nella chiesa del convento di Sant’Agostino, APT, Santa Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749), APT, Santa Domenica, Liber Baptizatorum, vol. III (1686-1733); Domenica Cacopardo e Vaccaro, di venticinque anni, moglie di Placido, perita anch’essa lo stesso giorno in cui venne alla luce il figlio Antonino, nato il 3 settembre 1719; la donna venne inumata nella chiesa di Santa Maria di Gesù, APT, Santa Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749), APT, Santa Domenica, Liber Baptizatorum, vol. III (1686-1733); e infine quello di Domenica Buciunì e Malambrì, di trent’anni, morta il 20 luglio 1718 per complicanze post-parto, undici giorni dopo aver fatto nascere la figlia Vincenza, venendo sepolta nel convento francescano di Santa Maria di Gesù, APT, Santa Domenica, Liber Defunctorum, vol. II (1687-1749), APT, Santa Domenica, Liber Baptizatorum, vol. III (1686- 1733). Il tema della mortalità materna fu particolarmente sentito nel corso del XVIII secolo, e spinse

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prospettiva di vita di oltre ventiquattro anni e un mese, più longeva di ben quattro anni e tre mesi, cioè un quinto in più (+21,5%) a confronto dei soggetti di sesso maschile. E con l’andare avanti degli anni, tale gap, pur in forma progressivamente sempre più attenuata, permaneva fino alla vecchiaia avanzata; al punto che agli ottant’anni le donne beneficiavano ancora di una speranza di vita di quasi tre mesi superiore a quella degli uomini348. Questa maggiore longevità del genere femminile

è ulteriormente attestata dalla percentuale di donne perite a un’età pari o superiore agli otto decenni; infatti se gli uomini che raggiunsero tale soglia erano solo il 2,77% dei nati, le donne che raggiungevano quel traguardo era ben il 4,02%349. E non è del tutto casuale se nel nostro campione di 4.057 atti di sepoltura l’individuo registrato alla morte con l’età maggiormente elevata fosse una donna: Laura D’Angelo, morta il 18 marzo 1747 alla veneranda età di 97 anni350. Questa differente mortalità per sesso, riprendendo l’analisi di Francesco Benigno351, non è rintracciabile in

motivazioni di carattere biologico352, bensì è riconducibile a uno specifico modello

di divisione sessuale del lavoro a preminenza maschile, largamente diffuso in tutto il

Francesco Emanuele Cangiamila a pubblicare nel 1745 un’opera nella quale si promuoveva la pratica del parto cesareo al fine di preservare la vita sia della madre che del nascituro, cfr. F. M. CANGIAMILA, Embriologia sacra o sia dell’ufficio dei sacerdoti circa l’eterna salute dei bambini,