• Non ci sono risultati.

冨 Il lavoro sulle grammatiche non verbali

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 110-116)

Il modello di competenza comunicativa che abbiamo presentato in 1.1.2 ipotizza la presenza di due competenze, di due set grammaticali, quelli linguistici e quelli extralinguistici. In questo secondo caso si tratta delle grammatiche che governano la gestualità e le espressioni («cinesica»), la distanza e il contatto interpersonale («prossemica»), l’uso comunicativo di oggetti quali status symbol, vestiario e così via («oggettemica»; Barthes usa «vestemica» per la grammatica dell’abbi-gliamento).

Di solito si commettono tre errori gravi in ordine alla competenza ex-tralinguistica:

a. non si è consapevoli del fatto che i linguaggi non verbali sono gover-nati da grammatiche; quindi anche in itaL1 è necessaria un’attività metalinguistica di scoperta della morfologia e della sintassi dei gesti, delle distanze, dei vestiti ecc., che può portare a un’attività di classi-ficazione cognitivamente altrettanto valida di quella condotta con l’a-nalisi grammaticale, ma certo più motivante, meno connotata come «grammatica» e come «scolastica»;

b. si considerano i linguaggi non verbali come «naturali», mentre sono «culturali»: le loro grammatiche variano da cultura a cultura e que-sto crea problemi nelle lingue seconde, etniche, straniere: il geque-sto ita-liano di registro abbastanza volgare che significa «ma che cavolo vuoi!?», eseguito con le dita rivolte verso l’alto e tutte raccolte e la mano che oscilla su e giù, significa «aspetta» nel mondo arabo ed «eccellente» in Turchia e in molte isole greche… Se consideriamo che il nostro cervello decodifica prima gli stimoli visivi e poi quelli linguistici, e che circa quattro quinti delle informazioni che giungono alla corteccia cerebrale arrivano dagli occhi, si comprende il rischio di una discrasia tra le dit et le vu, come dice uno dei massimi studio-si di questi linguaggi, Roland Barthes;

c. si dimentica che molti testi che siamo abituati a considerare come «linguistici» sono in realtà testi verbali e non verbali insieme: basti pensare ai testi teatrali che si fanno leggere in tutte le scuole quando si insegna letteratura; in particolare, il teatro greco è difficilmente comprensibile se non si considera che era recitato da tre attori maschi che, attraverso diversa gestualità e diverso abbigliamento, cioè attra-verso codici extralinguistici, assumevano tutti i ruoli realizzando tal-volta livelli di ambiguità eccezionali: l’attore maschio che impersona un’eroina che si finge uomo, è travestito per l’intreccio ma è autenti-co in realtà.

I tre ambiti di inconsapevolezza visti sopra devono essere tradotti in conoscenza se si vuole lavorare alla (meta)competenza comunica-tiva.

Attività 36: la classificazione dei gesti in ItaL1

La classificazione è un processo cognitivo di primaria importanza, che nell’educazione linguistica affidiamo di solito all’analisi gram-maticale e logica; ma può essere anche sviluppato classificando gesti. Si chiede agli studenti di elencare con fotografie o film (anche con il cellulare) quanti più gesti vengono loro in mente: si ottiene su-bito un enorme repertorio. Una volta stampate, le foto (e alcune in-quadrature del filmato che riporta il movimento, in modo da poter «montare» in sequenza le diverse immagini) vanno catalogate, e quindi gli studenti devono individuare dei parametri. Basta un breve dibattito per cogliere che l’unico parametro portante è quello prag-matico, mentre gli altri elementi sono di natura socio-linguistica:

Per una classificazione pragmatica, riprendendo alcune categorie funzionali possiamo avere:

– gesti che hanno una funzione personale, esprimono emozioni (gu-sti, dis/piacere, allegria, rabbia, seccatura ecc.);

– gesti in funzione interpersonale (richiami, saluti, congedi, offese, complicità, scherzo ecc.);

– gesti regolativi (istruzioni, ordini ecc.);

– gesti referenziali (indicano dimensioni, sequenze temporali ecc.); – gesti metalinguistici, usati per sopperire ironicamente a una

paro-la che non si conosce.

La difficoltà sta nel fatto che molti gesti sono multifunzionali e quindi sono difficili da attribuire – ma la crescita cognitiva sta pro-prio nella discussione, nell’individuazione di parametri di attribuzio-ne, nella creazione delle categorie; materialmente, l’attività si con-clude facendo i tabelloni e incollando e titolando le foto, magari con l’indicazione di alcuni parametri secondari, che vediamo sotto.

Quanto ai parametri socio-linguistici, si possono indicare elemen-ti come il registro neutro/volgare/offensivo; l’uso generalizzato in tutta Italia oppure prevalentemente meridionale/settentrionale; gesti giovanili, generali, obsoleti.

Infine, si può anche indicare la natura monomodale di alcuni ge-sti, eseguiti cioè solo con le mani o solo con la testa, o quella multi-modale, quando un gesto richiede anche un rumore (fischio, bacio, schiocco della lingua ecc.).

Si tratta di un’attività che richiede un periodo abbastanza lungo di preparazione, ma questa è svolta essenzialmente fuori aula, fotogra-fando compagni, guardando film e pubblicità per trovare ulteriori ge-sti, stampando le foto, ma l’attività risulta sostanzialmente economi-ca in termini di tempo scolastico, e risulta molto motivante.

(Sui gesti degli italiani si vedano Diadori, 1997 e Caon, c.d.s).

Attività 37: la comparazione dei gesti italiani con quelli delle lingue straniere

Abbiamo accennato sopra al fatto che i gesti e le espressioni possono cambiare sia di significato sia di registro da cultura a cultura. Sulla ba-se della classificazione proposta nell’Attività 36 si può procedere al-l’individuazione di quei gesti che hanno valore diverso, in termini di significato o registro, nelle lingue/culture straniere che si studiano a scuola in modo da completare il tabellone (o il file, se la classificazio-ne si fa su computer) con i problemi di comunicazioclassificazio-ne interculturale. Per la gestualità e la prossemica americane non c’è problema: la televisione inonda gli studenti di film e telefilm, che possono essere analizzati a casa con l’avvertenza di eliminare il sonoro, in modo da non essere distratti dalla competenza linguistica; per le altre culture, inclusa quella britannica, è necessario guardare qualche film in clas-se, notando insieme i gesti e le distanze interpersonali. Esistono mol-te banche damol-te in remol-te, con foto e filmati, quindi una buona parmol-te del-la ricerca può poi essere condotta a casa, dopo aver motivato l’atti-vità con un DVD in classe. (Sui problemi interculturali legati ai lin-guaggi non verbali cfr. Balboni, 2007b.)

Attività 38: scoprire i concetti di morfologia e sintassi attraverso il vestiario

La nozione di morfologia e quella di sintassi sono spesso difficili da cogliere per studenti pre-adolescenti, ma la morfologia diviene un concetto chiaro nel momento in cui si entra nella vestémique, cioè nell’analisi della forma dei vestiti (la pluralità di tipi di giub-botto, e dei relativi nomi, che può individuare una classe è impres-sionante; assai meno è il riconoscimento di alcune forme partico-lari: il cappello del corazziere, la berretta cardinalizia ecc.) e la sin-tassi prende vita parlando degli accostamenti sia di colore, di capi di vestiario, ad esempio di registro elegante/formale e casual/infor-male.

La funzione formativa di questa attività risiede soprattutto nella scoperta che, come la lingua, anche la moda è un système où tout se

tient, dove la modifica di un elemento produce a cascata la necessità

di modificare una parte o tutti gli altri.

Una prospettiva comparativa come quella vista per i gesti

nell’At-tività 37 è facilmente realizzabile anche per i vestiti e porta a

consa-pevolizzare regole di grammatica vestemica che gli studenti hanno inconsapevolmente fatte proprie vedendo da quando sono nati tele-film americani, ma delle quali non si sono mai resi conto in maniera riflessiva e strutturata.

Attività 39: dal testo linguistico a quello mimato

Questa attività può essere propedeutica alle precedenti, e quindi fo-calizzare il ruolo dei gesti e delle espressioni, oppure conclusiva, per riprendere e riutilizzare quanto scoperto in ordine alle grammatiche extralinguistiche.

Il meccanismo è semplice: uno studente legge un testo, o una cop-pia recita un dialogo, e lo/gli studente/i cavia devono mimare le scene. Al di là dell’ilarità che alleggerisce la situazione – e che si smorza subito quando gli studenti eccessivamente ilari vengono chiamati a sostituire il compagno deriso – risulta subito chiaro quanto la gestua-lità, che sembra a tutti così naturale, sia in realtà complessa, difficile e sostanzialmente insufficiente a sopperire al linguaggio, anche in si-tuazioni abbastanza semplici.

CAPITOLO4

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 110-116)