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冨 La traduzione come tecnica glottodidattica

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 192-196)

La traduzione e l’educazione linguistica avanzata

8.1 冨 La traduzione come tecnica glottodidattica

Per la valutazione di una tecnica abbiamo suggerito alcuni parametri in 1.3; riproponiamo qui quelli pertinenti a una riflessione sulla traduzione.

8.1.1 Obiettivi

Le tre risposte che si possono dare alla domanda «perché usare la tradu-zone?» hanno una caratteristica comune: la traduzione

– serve a far riflettere, a produrre metacompetenza;

– è uno strumento per l’apprendimento e non per l’acquisizione, (nei termini di Krashen), per cognizing e non per knowing (in termini chomskyani);

– sviluppa i processi controllati e non quelli automatici (in termini psi-colinguistici);

– mira all’analisi dei testi, non alla produzione di testi, anche se ne pro-ducono;

– non è uno strumento di azione pragmatica, sociale e culturale bensì uno strumento di analisi e comparazione socio-pragma-culturale. Queste caratteristiche (che confermano la necessità di una soglia di conoscenza linguistica solida e ampia prima di procedere alla

traduzio-ne glottodidattica) si realizzano operativamente in tre direzioni: meta-linguistica, metaculturale, ermeneutica.

a. Strumento di metacompetenza linguistica

Non è necessario approfondire, in questa sede, questo evidente obiettivo della traduzione, sia in ordine alla lingua generale, sia soprattutto alle microlingue scientifico-professionali e a quella letteraria.

Gran parte delle attività traduttive che proporremo in seguito mirano a raggiungere questo obiettivo.

b. Strumento di riflessione interculturale

Uno dei classici di Robert Galisson, dove esplodeva il concetto di lessi-cultura, si chiamava De la langue à la culture par les mots (1991; fon-damentale anche il saggio del 1999); un testo «classico» di uno dei mas-simi traduttologi, Basil Hatim (1996), si chiama Communication Across

Cultures; un terzo titolo, di Umberto Eco (2003) è significativo: Dire quasi la stessa cosa, in cui l’intraducibilità è attribuita non tanto alla

difficoltà di equivalenze linguistiche bensì culturali.

Si tratta di osservazioni ben note a tutti coloro che si occupano di pas-saggio da una lingua all’altra e, soprattutto, da una cultura all’altra, anche in considerazione dell’ipotesi di Sapir (senza giungere all’estremo della sua versione con Whorf) per cui la lingua è lo strumento di percezione e acquisizione culturale: come tradurre culturalmente «amare» e «voler be-ne» in inglese dove love li assomma, in francese dove aimer li include ma significa anche «piacere», in spagnolo dove querer è sia «amare» sia «volere» – per non parlare del fatto che «amare» unifica la filia e l’eros aristotelici, entrambi forme di amore, non di semplice «voler bene»?

La traduzione mette lo studente di fronte all’alterità culturale non tra-ducibile e getta immediatamente in crisi, di riflesso, la sua identità. Quale altra tecnica può costringere lo studente alla metaconosceza intercultura-le, così facile a sfuggire in una glottodidattica ridotta a comunicativismo spicciolo? Quale altra tecnica «implica la comprensione, il riconoscimen-to, l’ascolto dell’altro [?…]. Grazie a questo lavoro [nel senso freudiano di elaborazione], l’atto del tradurre si presenta come un vero modello eti-co di integrazione tra gli individui, le culture, gli Stati […], un luogo di mediazione tra identità e alterità» ( De Carlo, 2006, pp. 125-26).

c. Strumento ermeneutico, di scoperta induttiva della lingua straniera o classica

Nel Rinascimento l’uso diffuso di testi latini con traduzione interlineare in volgare era il mezzo preferito per l’apprendimento sia del latino sia di altre lingue moderne. L’obiettivo in questo caso era di supporto er-meneutico, anche perché non si poteva parlare di insegnamento ma più che altro di autoapprendimento tutorato da qualche ecclesiastico.

Oggi la traduzione «interlineare» si presenta sotto forme inedite, non più interlineari ma che ne riprendono la natura, quali ad esempio: – l’opzione dei DVD che consente di vedere il film in lingua originale

avendo la sottotitolazione in italiano;

– la possibilità di scaricare dalla rete versioni in più lingue dello stesso testo tecnico, giuridico ecc.

Da quando la globalizzazione e la conseguente mobilità delle persone e dei testi ha imposto il LLLL, Life Long Language Learning, l’accentua-zione sull’autoapprendimento delle lingue (per quanto introdotto da un corso intensivo e sostenuto da tutor, quasi sempre on line) è esponenziale, e un uso di testi con traduzione interlineare classica oltre che nelle versio-ni viste sopra può essere sensato, soprattutto se accompagnato da suppor-ti tutoriali. Tra gli obietsuppor-tivi di uso della traduzione non abbiamo parlato di verifica e di valutazione. La comparabilità dei risultati è una componente essenziale di una tecnica di verifica, e la traduzione è probabilmente la più non-comparabile delle attività didattiche, insieme al dialogo libero: troppe sono le variabili, troppo alto il ruolo della componente personale. Certo, dalla traduzione possono emergere carenze lessicali, morfosintatti-che, ortografiche – ma per valutare queste dimensioni esistono tecniche che richiedono molto meno sforzo e tempo e sono molto più accurate. Ve-rificare tali elementi usando la traduzione corrisponde alla classica caccia alla zanzara usando il cannone: sono più i danni che i risultati.

8.1.2 Lo studente e la traduzione

Tradurre è un’attività faticosa, difficile: la motivazione – tranne per gli studenti che hanno uno spiccato interesse personale per la lingua – può

nascere solo se il ruolo della traduzione nell’apprendimento viene chia-rito dall’insegnante e se si premette la separazione tra il lavoro traduttivo e la valutazione. Per motivare il lavoro traduttivo è necessario che questo – venga condotto su testi psicologicamente rilevanti: il giardino di

Lu-cullo era certamente bello, ma che cosa può interessare a uno studen-te?; il testo va scelto accuratamente ed eventualmente può essere ta-gliato nelle parti non rilevanti;

– venga percepito come compito fattibile, realizzabile, per rispondere ai parametri dell’attrattiva dell’input e della fattibilità del compito, propri del modello motivazionale di Schumann (1997);

– sia una forma di piacere di lavoro sulla lingua, di riflessione sulle proprie competenze, di gara tra persone, coppie, gruppi per trovare soluzioni migliori, di cooperazione per giungere a un testo conclusi-vo condiviso da tutti come la miglior traduzione possibile;

– venga posto soprattutto come sfida con se stessi, per cui la traduzione va presentata come la più alta, complessa, sofisticata sfida possibile. La motivazione deve essere tale da durare a lungo, perché la traduzio-ne richiede tempo e sforzo sia di realizzaziotraduzio-ne (possono essere traduzio- necessa-ri tempi differenziati da parte di ogni allievo, che quindi deve lavorare anche a casa, ricorrendo a dizionari, internet e quant’altro) sia di corre-zione, intesa come commento in classe, come ricerca delle soluzioni mi-gliori tra quelle proposte dagli studenti, come creazione di un testo con-diviso: cercare di giungere a una traduzione condivisa, cioè frutto del la-voro di tutti, è l’attività chiave senza la quale la traduzione non ha senso glottodidattico e non viene accettata dagli allievi, che la subiscono come un dovere, come la più «scolastica» di tutte le attività glottomatetiche. Da tutto ciò consegue che la traduzione non è quindi un’attività «eco-nomica» (nell’accezione di Carroll riportata in 1.3), anzi richiede molto tempo – e quindi non può essere un’attività sistematica, routinaria. È ben vero che il talento di un traduttore cresce in relazione alla frequenza e al-la continuità delle esperienze di traduzione: ma nelal-la scuoal-la non si pre-parano traduttori, ci si limita a insegnare le lingue straniere e classiche, ma per la rilevanza che abbiamo visto in 8.1.1 qualche esperienza di tra-duzione è necessaria anche se non si devono formare traduttori.

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 192-196)