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冨 Parametri di valutazione delle tecniche didattiche

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 39-43)

La tradizione o la percezione non approfondita portano spesso a un’a-nalisi apparentemente incontestabile delle tecniche disponibili per l’in-segnamento/apprendimento linguistico: ad esempio, nella percezione diffusa tra docenti e studenti un dettato serve per verificare la com-prensione e l’ortografia, mentre la realtà è ben più complessa: in ita-liano è possibile scrivere sotto dettatura la parola «perangolo», che non può essere compresa in quanto non ha un significato, così come in in-glese è altamente probabile che alla stringa /’taif/ corrisponda la gra-fia tife, anche questa non comprensibile in quanto inesistente. Di con-verso, uno spagnolo capisce perfettamente «quando» o «Pasqua» pur scrivendoli, per interferenza dalla sua lingua madre, «cuando» e «Pa-scua» (cfr. 7.3).

Se si vuole uscire da una prospettiva intuitiva e acritica è necessario stabilire dei parametri che consentano di evidenziare le caratteristiche intrinseche delle singole tecniche, in modo da decidere con cognizione di causa se usarle, in quale variante, con quale scopo, in quale contesto, in veste di quale tipo di lingua ecc.

Uno degli studi classici sul testing, Carroll (1980) suggerisce quattro parametri legati dall’acronimo RACE(divenuto PACEnella versione ita-liana proposta da Porcelli, 1992):

a. Pertinenza (relevance, in Carroll): questo criterio individua l’oggetto effettivo di una tecnica, che tornando all’esempio del dettato non è semplicemente «comprensione e ortografia»; probabilmente questo parametro è il più trascurato e, spesso, violato, nella tradizione glot-todidattica, nei manuali, negli esami.

b. Accettabilità da parte degli studenti e quindi effetto di quell’attività nel sostegno o nell’abbattimento della loro motivazione e dell’acqui-sizione; ci sono molte tecniche che possono mutare in termini di ac-cettabilità a seconda delle varianti usate: un dettato che deve essere consegnato all’insegnante perché lo corregga e lo valuti inserisce il «filtro affettivo», una carica di emotività negativa, di ansia, che può impedire che esso conduca all’acquisizione, mentre lo stesso dettato

autocorretto non porta a questo risultato negativo, in quanto lo stu-dente sta mettendosi alla prova di fronte a se stesso, non di fronte al-la cal-lasse o a un giudice esterno; allo stesso modo, attività di per sé noiose possono risultare molto ben accette se proposte in una varian-te ludica, come vedremo in 1.4.3; in alcuni casi troviamo abilità che vengono aprioristicamente dichiarate inaccettabili dagli studenti, sul-la base del cattivo uso che se ne è fatto nelsul-la tradizione scosul-lastica: sul-la traduzione, ad esempio, cui dedichiamo l’intero capitolo 8 nel tenta-tivo di superarre la diffamazione di cui è stata oggetto, è una tecnica che può rappresentare quanto di più «scolastico» (aggettivo purtrop-po, per noi, connotato negativamente), noioso e inutilmente difficile ci possa essere, mentre può essere una delle attività più motivanti se essa viene presentata con attenzione ed è condotta con le metodolo-gie che vedremo al punto 1.4.

c. Comparabilità dei risultati: è una caratteristica rilevante per il testing oggettivo, ma non ce ne occuperemo approfonditamente trattando di tecniche per l’apprendimento e l’insegnamento, pur indicando sinte-ticamente questa caratteristica trattando le varie attività didattiche. d. Economicità di somministrazione, esecuzione e correzione: le ore di lezione e quelle di studio individuale sono limitate, quindi questo pa-rametro estremamente utilitaristico ha un ruolo rilevante.

Questi parametri hanno dominato per trent’anni la letteratura so-prattutto di matrice angloamericana (come molta didattica delle lin-gue seconde e straniere in Italia), ma non sono sufficienti, a nostro av-viso: la riflessione sia psicopedagogia sia glottodidattica ci chiede di inserire altri parametri, per cui il paradigma completo includerà an-che:

a. Flessibilità operativa, possibilità di varianti: un’attività che richiede tassativamente tavoli intorno ai quali si siedono gruppi di studenti è rigida e inapplicabile se l’aula ha banchi fissi, come quasi sempre succede nelle università; un cloze, invece, può essere realizzato in molti modi diversi, alcuni dei quali richiedono un testo opportuna-mente predisposto e stampato, altri invece si limitano a far piegare una fotocopia, a lavorare su un ritaglio di giornale, ad appoggiare sul

testo una strisciolina di carta bianca, risultando quindi estremamen-te flessibile.

b. Tipi di relazione e di comunicazione che ogni tecnica instaura nella classe: alcune attività stimolano la competitività e altre la coopera-zione; alcune tecniche prevedono un lavoro collettivo e altre invece individuale; alcune provocano forme di comunicazione collettiva, con conseguenti problemi di disciplina e di difficoltà di ascolto do-vuto al rumore, soprattutto in classi di bambini e ragazzi, mentre altre richiedono che uno parli e gli altri ascoltino, con i conseguenti rischi di progressiva disattenzione (cfr. 1.4.2).

c. Adattabilità alle differenti caratteristiche e attitudini degli studenti: ogni studente ha una combinazione unica di dominanza emisferica, stili cognitivi e d’apprendimento, tipi di intelligenza, tratti della per-sonalità: alcune tecniche possono privilegiare gli studenti sincretici, globali, intuitivi, altre quelli analitici, precisi, insofferenti per l’am-biguità; alcune attività sono semplici per gli estroversi e penalizzano gli introversi; alcune tecniche richiedono una forte intelligenza logi-co-matematica, altre una flessibile intelligenza linguistica (nei termi-ni di Gardner: la prima lavora sulla forma della lingua, la seconda privilegia l’attenzione alla connotazione, alle sfumature lessicali). Ogni attività ha le sue caratteristiche, che alcune scelte metodologi-che (ad esempio la ludicità, la focalizzazione sul problem solving ecc.) possono in parte compensare: ma la soluzione più rispettosa delle varie caratteristiche individuali non risiede tanto nel manipolare le tecniche, quanto nell’alternarle in modo che non vi sia un gruppo che viene costantemente privilegiato e un altro che si trova sistemati-camente svantaggiato (per approfondimento su questo tema chiave, cfr. Caon, 2008 e Torresan, 2008)

d. Autonomia dello studente nel preparare i materiali, nel gestire l’atti-vità, nell’individuare e poi correggere gli eventuali errori; in parte questa caratteristica si intreccia con l’economicità di predisposizione e realizzazione delle tecniche, che aumenta se lo studente acquista autonomia e la tecnica si presta all’individualizzazione, e con

l’adat-tabilità all’età (molte tecniche non sono realizzabili in maniera

auto-noma alle elementari mentre lo sono all’università) e alla personalità degli studenti: ad esempio, studenti che hanno poca stima di sé vanno

fatti crescere nell’auto-stima prima di coinvolgerli in attività che ri-chiedono una forte autonomia; persone esuberanti, «caotiche» – spesso in realtà dotate di una visione globale anziché analitica delle cose – rischiano di sfuggire per la tangente in tecniche che consento-no forte autoconsento-nomia.

e. Contributo delle tecnologie: alcune tecniche sono assurde se svolte sul computer, che finisce per essere usato solo come voltapagina elet-tronico; altre attività invece possono avere dal computer un contribu-to se quescontribu-to consente una prima forma di aucontribu-tocorrezione; infine ci sono delle attività che possono essere realizzate solo con il computer – e lo stesso dicasi per registratori, lettori di CD, video o videocame-ra, skype, chat, blog e via elencando. In alcuni casi l’uso della tecno-logia muta radicalmente la natura e l’efficacia di un’attività: come vedremo meglio (cfr. 5.5), un tema svolto individualmente porta a uno scambio di prodotti tra lo studente (che dà il suo «svolgimento») e il docente (che dà le sue correzioni) e introduce un lungo periodo tra un prodotto e l’altro, mentre un tema svolto in piccoli gruppi se-duti intorno a un computer, con il docente che passa da gruppo a gruppo, consente di lavorare sul processo di individuazione delle idee, sul processo di organizzazione di una scaletta e sui processi di stesura e di rilettura – attività cognitive e linguistiche svolte in una logica di tutorato tra pari e quindi con una metodologia cooperativa, assai meno ansiogena del classico tema in classe; le due varianti del classico tema quindi finiscono per avere due nature diverse, che sono rese possibili solo dalla disponibilità della tecnologia.

Le nostre fonti per una visione generale delle attività didattiche in glottodidatica, oltre ai classici Carroll, 1980; Larsen Freeman, 1986 e Danesi, 1988; sono state Freddi, 1994; Ur, 1988 e 1989; Norman, Re-vell, 1999; Bonvino, 2003; Rigo, 2005.

Prima di procedere alla descrizione delle tecniche che si possono usare per lo sviluppo o il perfezionamento della competenza comunica-tiva, conviene soffermarci su alcune delle modalità possibili di realizza-zione delle tecniche glottodidattiche alla luce di un aspetto spesso tra-scurato, quello della relazione interpersonale che esse instaurano tra gli studenti e tra questi e il docente.

Nel documento Le lingue di Babele (pagine 39-43)