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Abuso del diritto e il presupposto di una vita familiare autentica.

2. La cittadinanza europea e la nuova disciplina sui diritti dei familiari contenuta nella Direttiva 2004/38/Ce

2.2. Abuso del diritto e il presupposto di una vita familiare autentica.

Il riconoscimento del diritto del cittadino al ricongiungimento con i suoi familiari, a prescindere dalla nazionalità di questi ultimi, rappresenta, all’evidenza, una sorta di canale “privilegiato” di ingresso e di soggiorno degli stranieri – in particolare cittadini extra-Ue – negli Stati membri, a prescindere dalle normative, più o meno ristrette, da questi ultimi adottate al fine di regolare i flussi migratori all’interno dei rispettivi territori.

La possibilità che l’utilizzo di tale canale dia spazio a situazioni “strumentali” non poteva, pertanto, non essere presa espressamente in considerazione dal legislatore europeo, il quale, già nel considerando n. 28 della Direttiva del 2004, ha evidenziato la necessità di “difendersi da abusi di diritto o da frodi, in particolare matrimoni di convenienza o altri tipi di relazioni contratte all’unico scopo di usufruire del diritto di libera circolazione e di soggiorno”.

Di conseguenza, l’art. 35 della medesima Direttiva, espressamente legittima gli Stati membri ad “adottare le misure necessarie per rifiutare, estinguere o revocare un diritto conferito dalla presente direttiva, in caso di abuso di diritto o frode, quale ad esempio un matrimonio fittizio”218.

216 A tale carenza sono estensibili le critiche opposte alla mancata previsione del diritto al

ricongiungimento per gli ascendenti dello studente che abbia usufruito della libera circolazione, che sembra risentire ancora della connotazione economica della libera circolazione, su cui v. A. ILIOPOLOU, Le noveau droit de séjour… op. cit., p. 534.

217 Punto 43 della sentenza Chen. Con riferimento all’art. 10 del regolamento n. 1612/68, si veda la

sentenza 18 giugno 1987, causa 316/85, Lebon, in Raccolta, p. 2811, punti 20-22.

218 In maniera analoga, l’art. 16, comma 2, lett. b) della Direttiva 2003/86/Ce autorizza il diniego del

Tramite tale disposizione si attribuisce, pertanto, rilievo normativo alla nozione di “abuso di diritto”, spesso utilizzata come argomentazione da parte degli Stati membri per giustificare limitazioni ai diritti previsti dai Trattati, al fine di evitare lo “sfruttamento” delle disposizione dell’ordinamento europeo per finalità differenti da quelle per le quali sono state create.

La Corte, dal canto suo, pur avendo concordato che le possibilità offerte dai Trattati non possono avere l'effetto di consentire alle persone che ne fruiscono di sottrarsi abusivamente all'applicazione delle normative nazionali e di vietare agli Stati membri di adottare i provvedimenti necessari per evitare tali abusi219, ha generalmente

interpretato tale nozione, dai caratteri difficilmente definibili220, in maniera

restrittiva221, attesa la configurazione della nozione in questione quale eventuale limite

alle libertà ed ai diritti previsti, come fondamentali, all’interno dei Trattati.

In particolare, pur riconoscendo la configurazione teorica dell’istituto dell’abuso del diritto, la Corte ha spesso negato la possibilità di farne applicazione nell’ipotesi in cui un cittadino europeo abbia utilizzato le norme europee sulla libera circolazione al fine deliberato di trarne vantaggio per sé ed, indirettamente, per i suoi familiari.

In sostanza, la Corte ritiene irrilevante l’elemento soggettivo che spinge il cittadino a circolare all’interno dell’Unione: nel noto caso Akrich222, essa ha proprio

precisato che “i motivi che hanno potuto spingere un lavoratore di uno Stato membro a cercare un’occupazione in un altro Stato membro sono irrilevanti per quel che riguarda il diritto del lavoratore ad accedere e a soggiornare nel territorio di quest'ultimo Stato, sempreché l'interessato svolga o intenda svolgere un'attività reale ed effettiva”223. Tali sia stato disposto il ricongiungimento laddove vi sia un matrimonio contratto “allo scopo esclusivo di permettere all’interessato di entrare o soggiornare in uno Stato membro”.

219 V., in particolare, sentenze 7 febbraio 1979, causa 115/78, Knoors, in Raccolta, p. 399, punto 25 della

motivazione, e 3 ottobre 1990, causa C-61/89, Bouchoucha, in Raccolta, p. I-3551, punto 14 della motivazione; Corte giust., 7 luglio 1992, Surinder Singh, causa C-370/90, punto 24 della motivazione.

220 CGE 19 gennaio 1988, causa 292/86, Claude Gullung c. Conseil de l’ordre des avocats du barreu de

Colmar et de Saverne, in Raccolta, p. 111 ss.; 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros Ldt contre Erhvervs-og Selskabsstyrelsen, in Raccolta, p. I-1459 ss.; 19 ottobre 2004, causa C-200/02, Kunquian Chaterine Zhu, Man Lavette Chen c. Secretary of State for the Home Department, cit.. Peraltro, sulla

espressa qualificazione dell’abuso di diritto come principio generale di diritto comunitario cfr. la sentenza della Corte giust. 5 luglio 2007, causa C-321/05, Hans Markus Kofoed c. Skatteministeriet, punto 38.

221 Si evidenzia che il divieto dell’abuso di diritto risulta espressamente previsto nella Carta dei diritti

fondamentali dell’Unione europea. In particolare, l’art. 54 prevede che: “Nessuna disposizione della presente Carta deve essere interpretata nel senso di comportare il diritto di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Carta o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla presente Carta”. In generale, sulla nozione di abuso del diritto cfr. M. GESTRI, Abuso del diritto e frode alla legge nell’ordinamento

comunitario, Milano, 2003, p. 183 ss.; A. KJELLGREEN, On the Border of Abuse: the Jurisprudence of

the European Court of Justice on Circumvention, Fraud and Abuse pf Community Law, in M. ANDENAS

– W.-H. ROTH (eds.), Services and Free Movement in EU Law, Oxford, 2002, p. 245 ss.; S. CAFARO, L’abuso di diritto nel sistema comunitario: dal caso Van Binsbergen alla Carta dei diritti, passando per gli ordinamenti nazionali, in DUE, 2003, p. 291.

222 Corte giust., 23 settembre 2003, causa C-109/01, Akrich.

223 Punto 56 della sentenza, ove viene richiamata la precedente pronuncia della Corte, 23 marzo 1982,

intenzioni, inoltre, non risultano pertinenti nemmeno per valutare la situazione giuridica della coppia al momento del ritorno nello Stato membro di cui il lavoratore è cittadino. Un comportamento del genere, conclude espressamente la Corte, non può costituire un abuso ai sensi della precedente giurisprudenza richiamata sul tema.

Per contro, la Corte ribadisce quanto già affermato nel precedente caso Chen224:

ossia che sarebbe configurabile un’ipotesi di abuso se le possibilità offerte dal diritto comunitario ai lavoratori migranti e al loro coniuge fossero utilizzate in maniera illecita, come potrebbe essere l’ipotesi di “matrimoni di comodo” contratti al fine di eludere le disposizioni relative all'ingresso ed al soggiorno dei cittadini di paesi terzi225.

La sussistenza di un matrimonio non fittizio tra il cittadino europeo ed il coniuge straniero è, ovviamente, riferita al rapporto di coniugio: più in generale, nelle pronunce che hanno riguardato il diritto al ricongiungimento, la Corte è sempre mossa dal presupposto che, al fine di riconoscere al familiare del cittadino comunitario i medesimi diritti spettanti a quest’ultimo, si dovesse essere in presenza di una vita familiare autentica.

Infine, con riferimento alla specifica nozione di matrimonio fittizio, va sottolineato come essa sia enucleabile da una risoluzione del Consiglio del 4 dicembre 1997, con la quale si prende in considerazione “il matrimonio di un cittadino di uno Stato membro, o di un cittadino di un paese terzo che soggiorna regolarmente in uno Stato membro, con un cittadino di un paese terzo unicamente allo scopo di eludere le norme relative all'ingresso e al soggiorno dei cittadini dei paesi terzi e di ottenere per il cittadino del paese terzo un permesso di soggiorno o un titolo di soggiorno in uno Stato membro”226.

In particolare, i fattori che la Risoluzione ritiene consentano di presumere che un matrimonio sia fittizio consistono ne: il mancato mantenimento del rapporto di convivenza; l'assenza di un contributo adeguato alle responsabilità che derivano dal matrimonio; il fatto che i coniugi non si siano mai incontrati prima del matrimonio; il fatto che i coniugi commettano errori sui loro rispettivi dati personali (nome, indirizzo, nazionalità, occupazione), sulle circostanze in cui si sono conosciuti o su altre informazioni importanti di carattere personale che li riguardano; il fatto che i coniugi non parlino una lingua comprensibile per entrambi; il fatto che venga corrisposta una somma di denaro affinché il matrimonio sia celebrato (eccettuate le somme corrisposte a titolo di dote, qualora si tratti di cittadini dei paesi terzi nei quali l'apporto di una dote è una prassi normale); il fatto che dai precedenti di uno o dei due coniugi risultino indicazioni di precedenti matrimoni fittizi o irregolarità in materia di soggiorno. Inoltre, In questo contesto, tali informazioni possono risultare da dichiarazioni degli interessati o di terzi o da informazioni tratte da documenti scritti (art. 2 della Risoluzione).

224 Corte giust.,19 ottobre 2004, causa C-200/02, cit.

225 Nel caso di specie, peraltro, la Corte ha escluso che si trattasse di matrimonio di comodo.

226 Risoluzione del Consiglio del 4 dicembre 1997 sulle misure da adottare in materia di lotta contro

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