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Le situazioni puramente interne come limite all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

3. Ipotesi di soluzioni delle cd. discriminazioni “alla rovescia” a livello di

ordinamento europeo delle discriminazioni “alla rovescia”. – 4. L’approccio “personalista” della Corte di giustizia. – 5. Alcune prospettive possibili in due recenti Conclusioni degli Avvocati generali della Corte di giustizia – 5.1. Le conclusioni dell’Avvocato generale Sharpston nel caso Ruiz Zambrano: verso un superamento del limite? – 5.2. Le conclusioni più “conservatrici” dell’Avv. Kokott nel caso McCarthy.

1. Le situazioni puramente interne come limite all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

Come si è avuto modo di approfondire nei capitoli precedenti, l’importanza di garantire la tutela della vita familiare sorge, in una Comunità europea contrassegnata da un impianto di tipo prettamente economico, quale diritto strettamente connesso alla libera circolazione dei lavoratori comunitari.

Come retaggio di una tale impostazione, anche una volta istituita la cittadinanza dell’Unione, il diritto ad essere accompagnato o raggiunto da un proprio familiare viene a collocarsi tra quella categoria di diritti di cui risultano titolari solo una determinata categoria di cittadini europei.

Infatti, come si evince dalla normativa di diritto derivato analizzata nel capitolo II, oltre al possesso della cittadinanza europea, sussiste la necessità che si verifichi una condizione ulteriore, rappresentata dallo spostamento (esercizio del diritto alla libera circolazione) del cittadino dell’Unione dal proprio Stato di appartenenza al territorio di un altro Stato membro. Dalla previsione di tale condizione, ne consegue che resta preclusa al cittadino cd. “statico” la possibilità di invocare le norme dell’ordinamento europeo, al fine di vedersi ricongiunto ad un proprio familiare.

In sostanza, lo spostamento dal proprio Stato di appartenenza ad un altro Stato membro, risulta necessario al fine della sussistenza di un elemento “transfrontaliero” che determini un collegamento con il diritto dell’Unione europea. Al contrario, l’assenza di tale elemento, in linea con una granitica giurisprudenza europea, fa sì che la posizione del cittadino europeo risulti quale situazione “puramente interna” ed, in quanto tale, irrilevante per l’ordinamento europeo391.

391 Parallelamente, la giurisprudenza comunitaria/europea ha sempre ritenuto che spetti al giudice

Infatti, sul presupposto che la cittadinanza dell’Unione non ha lo scopo di ampliare la sfera di competenza ratione materiae dei Trattati anche a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con l’ordinamento europeo392, le

questioni che non presentino tale elemento di collegamento, restano affidate alla competenza degli Stati membri. A loro volta, gli ordinamenti degli Stati membri possono applicare ai propri cittadini delle disposizioni che risultano essere meno favorevoli, a parità di situazioni, rispetto a quelle che, sulla base del diritto dell’Unione europea, trovano applicazione in capo agli “stranieri” provenienti da altri Paesi membri.

Di tal che, riprendendo quanto evidenziato a conclusione del primo capitolo, l’assenza di un elemento di collegamento con il diritto dell’Unione europea rappresenta terreno fertile per l’emersione di fenomeni di cd. discriminazioni “alla rovescia”.

Con questa terminologia, si ricorda, vengono tradizionalmente ad indicarsi quelle disparità di trattamento che si verificano tra i cittadini di uno Stato membro che operano esclusivamente all’interno di tale Stato (cd. operatori interni) e gli “operatori europei”, intesi come quei soggetti che si spostano da uno Stato membro all’altro.

In particolare, la discriminazione alla rovescia si configura quale “exceptional

case that special favours are granted to aliens”393 e non ai cittadini (cd. “statici”)394 di

uno Stato membro, al quale vengono applicate le disposizioni di diritto interno che risultano più restrittive rispetto ai diritti riconosciuti dall’ordinamento europeo.

operatori nazionali rispetto ai cittadini di altri Stati membri. Cfr., per tutti, sentenza Steen, cit. Non è questa la sede per analizzare le soluzioni individuate nell’ambito del nostro ordinamento interno. Basti semplicemente ricordare che, come è noto, nell’ordinamento italiano le discriminazioni alla rovescia sono state risolte facendo applicazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 della Costituzione italiana. Inoltre, va rammentato che la problematica ha trovato ulteriore risoluzione a livello legislativo tramite la legge Comunitaria 2008 (legge n. 88/2009) la quale ha modificato la legge 4 febbraio 2005, n. 11, introducendo l’art. 14 bis, intitolato “Parità di trattamento”. Tale articolo recita:“Le norme italiane di attuazione e di recepimento di norme e princípi della comunità europea e dell'Unione europea assicurano la parità di trattamento dei cittadini italiani rispetto ai cittadini degli altri Stati membri dell'Unione europea residenti o stabiliti nel territorio nazionale e non possono in ogni caso comportare un trattamento sfavorevole dei cittadini italiani. Nei confronti dei cittadini italiani non trovano applicazione norme dell'ordinamento giuridico italiano o prassi interne che producano effetti discriminatori rispetto alla condizione e al trattamento dei cittadini comunitari residenti o stabiliti nel territorio nazionale”. Per alcune riflessioni su tale novella, si veda F. VISMARA, La disciplina della discriminazione “al contrario” nella legge comunitaria 2008, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali, 2010, n. 1, pp. 141-149.

392 Cfr. ex pluribus, sentenza del 26 ottobre 2006, causa C-192/05, Tas-Hagen, in Raccolta, pp. I-10452,

in particolare punto 23.

393 Cfr. B. SUNDBERG-WEITMAN, Discrimination on Ground of Nationality – Free Movement of

Workers and Freedom of Establishment under the EEC Treaty, Amsterdam-New York, 1977, p. 113.

394 Infatti, nonostante la terminologia “a rovescio” sottolinei che il trattamento normativo di sfavore

colpisce non gli stranieri, ma i cittadini dello Stato, la discriminazione non appare fondata direttamente sulla nazionalità. Ciò in quanto, anche i cittadini dello Stato in questione possono godere del trattamento più favorevole garantito dalle norme dell’ordinamento europeo, qualora si trovino in una situazione rilevante per l’applicazione di quest’ultimo. Come si avrà modo di precisare infra, gli sviluppi più recenti della giurisprudenza europea, nel tentativo di restringere quanto più possibile la categoria di situazioni “puramente interne”, rischia di accentuare le possibili discriminazioni tra cittadini del medesimo Stato membro che, in condizioni sovrapponibili, subiscono trattamenti differenti.

Peraltro, con riferimento particolare al diritto al ricongiungimento familiare del cittadino dell’Unione europea, in questa sede si intende evidenziare l’emersione di un processo di progressiva apertura della giurisprudenza europea che, nel favorire l’interpretazione di alcuni diritti di cittadinanza in chiave di diritti fondamentali, pare possa essere diretta, in questa materia, a compiere quel salto di qualità che la dottrina da tempo auspica395.

Tale processo, spinto alle sue estreme conseguenze, nel valorizzare l’istituto della cittadinanza quale “status fondamentale dei cittadini degli Stati membri”, potrebbe a condurre ad una maggiore (se non piena) uniformità di trattamento tra le situazioni “dinamiche” e quelle “statiche”, slegando l’esercizio di un diritto – ormai da leggersi in chiave di diritto fondamentale – dalla sussistenza di un requisito (la libera circolazione) dal sapore ancora liberista.

Pertanto, nei paragrafi che seguono, si procederà ad evidenziare il passaggio da un approccio “restrittivo” ad uno “estensivo” della Corte nella tutela della vita familiare del cittadino dell’Unione, in relazione al caso specifico del diritto al ricongiungimento familiare, legato all’adozione di criteri più elastici per l’individuazione di elementi di collegamento con l’ordinamento europeo di situazioni,

prima facie, puramente interne.

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