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1.6.1 « LE ACCADEMICHE FORCHE CAUDINE » L A COMMISSIONE D ’ ACCETTAZIONE ALLA B IENNALE DEL 1910.

P ARTE PRIMA

I. 1.6.1 « LE ACCADEMICHE FORCHE CAUDINE » L A COMMISSIONE D ’ ACCETTAZIONE ALLA B IENNALE DEL 1910.

Si è letto sulle gazzette, qualche anno addietro, che le nostre esposizioni d’arte non meritavano grande attenzione perché zeppe d’opere di scadentissimo ordine, perché addobbate senza nessun gusto estetico, perché non si richiamava, con nessun mezzo, l’attenzione del pubblico sulla mostra artistica.

Ora non si può dir più nulla.

Per fortuna, nella commissione di accettazione e collocamento, quasi sempre composta degli stessi nomi, è stata inclusa, per volere degli espositori, una persona preziosa, un artista sereno, un giudice eclettico, scrupoloso, profondamente onesto: Vittore Grubicy; l’uomo sincero e indipendente che, appunto per queste sue ottime qualità, era sempre lasciato in disparte.318

317 La chiusura della mostra di Brera alla Permanente, «Corriere della Sera», 33 (1908), 310, 7 novembre 1908, p. 5. 318 Si tratta di un articolo pubblicato su «Monti e Riviere» dal titolo L’Esposizione di Brera alla Permanente e conservato fra i materiali di rassegna stampa relativi alla Nazionale del 1910 di Vittore Grubicy: Mart, Archivio del ‘900, Fondo Grubicy, GRU III.3.23.

La Biennale del 1910 segnava un punto di svolta: dopo due decenni di contrasto deciso all’ente Accademia Vittore Grubicy si trovava nelle condizioni di potere applicare le proprie visioni all’esposizione braidense. Milano è, ormai, la Milano futurista: Grubicy è considerato un maestro, così Morbelli, così Previati e tutti gli avanguardisti degli anni novanta, e le politiche espositive risultano inattuali ancora di più agli occhi dei giovani artisti che contestano la tradizione che li precede.

Le elezioni per la nomina della Commissione di accettazione e collocamento hanno luogo il 12 agosto: votano 59 artisti, poco più di un quarto dei 221 aventi diritto, che eleggono: Emilio Gola con 48 preferenze, Giuseppe Ciardi con 34, Vittore Grubicy e Cesare Zocchi con 32, Carlo Fontana con 31.319 Risultava eletta, al completo, la lista di nominativi proposta dalla Famiglia Artistica con la consueta circolare diramata dopo l’assemblea. L’associazione, in questo momento, era alla testa dell’avanguardia: nelle sue sale, come si vedrà, non solo avevano fatto la loro primissima comparsa Russolo nel 1907 e Boccioni nell’Intima del 1908 nella sezione del Bianco e Nero, ma già dal 1910, a seguito della compilazione dei manifesti pittorici del futurismo, i futuristi eleggono l’associazione quale sede espositiva di gruppo con sale riservate esclusivamente alla loro produzione. Nello stesso torno d’anni vi espone tutta la giovanissima scuola: da Carlo Erba a Dudreville, da Sante Callegari a Giuseppe Camona, Bonzagni, Carlo Carrà, Josz, Ugo Martelli, Guido Mazzocchi e altri artisti della generazione degli anni ottanta.

Procedendo con ordine, l’elezione a membro della Commissione fu per Grubicy un fatto così inatteso che diede vita ad un singolare scambio epistolare con Boito: avendo avuto notizia tramite telegramma di città della sua nomina, Grubicy credeva si trattasse di una burla apocrifa e inviava, in data 13 agosto, due lettere, una a Boito una seconda al segretario Campi, chiedendo spiegazioni. Boito rispondeva il 18 agosto che, di prassi, piuttosto che servirsi di corrieri interni all’Istituto si spedivano per velocizzare i tempi i telegrammi così da riuscire a precedere le comunicazioni date a mezzo stampa. Gola rinuncia al mandato, il Consiglio completa la commissione procedendo alla nomina degli artisti che erano stati votati nelle elezioni: Bersani si aggiunge ai pittori insieme a Lodovico Cavaleri, affianca invece Carlo Fontana e Zocchi lo scultore Laforet.

Il 25 agosto Grubicy invia una memoria ai colleghi della Commissione per esprimere le sue opinioni sul modo di procedere.

Egregio Collega,

non consentendomi la mia sordità di partecipare utilmente a discussioni verbali vi prego di consentirmi di sottoporvi per iscritto alcune considerazioni preliminari, sulle quali si potrebbe intendersi per facilitare il pieno accordo dei nostri lavori.

a) L’Esposizione di Brera, promossa come è da un organismo dello stato, ha verso la generalità degli artisti italiani doveri e obblighi che non hanno le altre esposizioni d’iniziativa e rischio locale, le quali devono provvedere il meglio che possono ai loro interessi.

b) L’Esposizione di Brera deve quindi avere di mira – non tanto di allestire una concertazione di opere che attraggano e dilettino il visitatore quanto – di intuire e di riconoscere con serena e larga obbiettività tutti i valori nuovi e soprattutto personali che si affacciano alla ribalta dell’arte.

Ammesso ciò ne viene come necessità per applicarlo

319 Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Esposizione Nazionale di Belle arti in Milano 1908, CARPI F IV 9:3. Da questa cartella provengono tutti i materiali citati a seguire.

I° La rinuncia assoluta ad eleganze pretenziosette – e sempre deficienti per mancanza di locali e di ricolmi addobbi – nel collocamento delle opere cercando di usufruire il maggior spazio possibile.

II° La preferenza assoluta nell’accettazione alle opere che rivestono il carattere della personalità ed in subordine – sotto certe restrizioni – quelle che rispondono ai requisiti dell’abilità professionale generica.

Siccome poi l’Esposizione, indetta dalla R. Accademia, non può e non deve esercitare rigori di selezione per opere di artisti che già ebbero alti attestati di considerazione dall’Accademia stessa ed in parti tempo per salvaguardare la logica uniformità di criteri che deve governare il nostro lavoro d’accettazione propongo:

che gli artisti che hanno il titolo di Professore o di Consigliere della R. Accademia possano esporre di diritto le loro opere colla qualifica di “esenti dal controllo della commissione d’accettazione”

Come emerge il primo criterio necessario per Grubicy, sotto il profilo estetico, era quello che da sempre aveva accompagnato la sua attività di pubblicista: riconoscere le espressioni sincere e non bottegaie e, quindi, di maniera, e sostenere le manifestazioni personali.

Quello che in termini operativi, tuttavia, si poneva come un punto controverso era l’assunto di esimere dal giudizio i facenti parte del corpo accademico. Potrebbe sembrare, a tutta prima, una indicazione conservatrice, ma vi si legge chiaramente l’idea di evitare che l’Accademia cannibalizzi sé stessa: l’accettazione poteva fungere da temporanea sospensione per opere immature o rigetto di lavori che, per il loro carattere spiccatamente mercantile, avrebbero snaturato la finalità della rassegna. Altra cosa avrebbe significato bloccare opere di artisti, o meglio maestri, già affermati e facenti parte dell’istituto braidense, il cui rifiuto avrebbe rappresentato la smentita di una posizione già conquistata e concessa, in termini onorifici, dall’Accademia stessa. 320 La proposta non fu accettata: alla riunione del 29 agosto il segretario Campi quale «rappresentante dell’Accademia deve dichiarare che la Commissione faccia come vuole ma non vuole né indulgenze né privilegi per i suoi».

Gli espositori furono 205, le opere esposte 284: rispetto alla Biennale del 1908, infatti, si era modificato il punto del regolamento che limitava ad un unico pezzo gli invii alzandolo a due. Purtroppo, i lunghi elenchi dei rifiutati non permettono di ricavare, come quasi sempre accade nelle stringate carte braidensi, i giudizi dei singoli commissari. Alcune lettere di Grubicy conservate presso l’Archivio Braidense permettono, però, di vedere confermati i principi del critico-pittore.

In una lettera al segretario Cambi, datata 30 settembre, diceva che il giorno prima, nello studio del segretario, si era trovato «impressionato sgradevolmente della banale impostazione di tonalità di quel ritratto del giovane Frisia [Donato Frisia mandava il Ritratto del Violoncellista Stella che fu accettato]321 – m’accaloravo contro l’abuso di presentare alle esposizioni tutti quei ritratti fatti unicamente per professionale guadagna pane». Nel contempo, tuttavia, la sua attenzione veniva calamitata dal genuino fenomeno «arte» alla vista di un’opera – evidentemente sostenuta dal Segretario – «veramente distinta per intuito naturale d’un giovane dotato d’emozione, benché deturpata da un pessimo indirizzo di visione pittorica». Nota interessante che richiama quella lucidità di giudizio di Vanotti dinanzi a Maternità, e che lascia trasparire come il commissario si mostrasse capace di apprezzare opere al di fuori di un gusto estetico personale.

Malgrado ciò si rimane, retrospettivamente, impressionati dalla quantità ingente di rifiuti totali o parziali.322 Limitandosi al gruppo futurista e ai nomi tangenti: alla Bisi Fabbri vengono respinte due opere, Disperazione Angoscia e Il duchino, due a Carrà La Lombardina e un Paesaggio, due disegni 320 R. Accademia di Belle Arti in Milano. Esposizione Nazionale di Belle Arti. Autunno 1910. Catalogo Illustrato, Alfieri & Lacroix, Milano 1910, p. 7 art. 4.

321 Ivi, p. 47.

a Dudreville che presentava Dramma e L’Opificio, a Carlo Erba due paesaggi Sera d’Estate e Tramonto, ad Italo Josz due disegni e due oli, ad Ugo Martelli due paesaggi, due a Notte, a Russolo viene respinto un grande paesaggio ad olio mentre vengono accettate le due cornici con acqueforti,323 Non a caso nella compilazione dei Nuovi Archivi del Futurismo si è scritto che quella dei futuristi fosse una «presenza piuttosto marginale»:324 malgrado, infatti, gli affondi di Paolo Thea il rapporto degli artisti futuristi con l’Accademia è stato tralasciato negli studi successivi e ciò a scapito, anche, della comprensione, si crede, di un evento come l’Arte Libera.

In realtà, come si evince dalle schede di notifica, la partecipazione dei futuristi era stata massiccia: furono i rifiuti delle opere a ridurre all’osso la presenza del gruppo con una sola opera pittorica di Umberto Boccioni. Boccioni, che notificava un Paesaggio quadro ad olio, dalle dimensioni con cornice di 1.90x1.30, e un Ritratto di proprietà Ruberl di 1.50x1.60 era ammesso, alfine, con questa sola opera e non venivano riesposti i saggi presentati, nel luglio, al Concorso Fumagalli. Negli studi, sebbene la partecipazione del pittore sia stata recepita, non ci si è soffermati sull’opera esposta alla nazionale: il ritratto, segnato come invendibile, è verosimilmente il Ritratto della Signora Meta Quark datato al giugno del 1910. Le dimensioni della sola tela, 106.5x130 cm sembrano compatibili con le misure fornite dal pittore e che si riferiscono all’opera già incorniciata: la proprietà, già all’epoca Ruberl, confermerebbe l’identificazione dell’opera.325 Proprio la partecipazione di Boccioni al Concorso Fumagalli, partecipazione che lo vede concorrere con Le Tre Donne e un non meglio identificabile Ritratto di una futurista326, permette di evincere un’ulteriore attestazione del modo estremamente aperto di rapportarsi del maestro nei confronti della produzione dei giovani artisti. La vicenda è narrata in una lettera inedita che Giuseppe Camona invia a Cesare Grubicy il 3 agosto del 1912 e ci fornisce utili indicazioni per comprendere il modo in cui Vittore concepiva sia l’incarico che, personalmente, gli era stato affidato dagli artisti, sia l’obiettivo ultimo delle giurie e delle commissioni.327

Caro signor Cesare

Vorrei accontentarla nel suo desiderio di ricordare e riscostruire la discussione interessante e vivace avuta l’altra sera fra Vittore e E. Longoni in Galleria.

Desiderando Longoni avere le impressioni e i giudizi di Vittore sulle opere esposte alla Permanente per i concorsi Canonica e Fumagalli e precisamente sui lavori di Bezzola, Prada, Viviani, Biazzi e Martelli da Ferrara ed altri, il discorso venne a cadere sul solito modo nel quale le solite commissioni esaminatrici di Milano assegnino i premi: non mettendosi così dal lato oggettivo, equanime e doveroso, ma seguendo gusti e simpatie e pressioni personali nell’assegnazione dei premi, non compiendo quindi il mandato loro assegnato. Vittore esprimeva queste idee, già 323 Si vedano le schede di notifica relative ad vocem: Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Esposizione Nazionale di Belle arti in Milano 1910, CARPI F IV 14:2.

324 E. Crispolti, Nuovi Archivi del Fututurismo. Le Esposizioni, De Luca, Roma 2010, p. 20.

325 M. Calvesi, E. Coen, Boccioni. L’opera completa, Electa, Milano 1983, p. 316 n. 467; M. Calvesi, A. Dambruoso,

Umberto Boccioni. Catalogo Generale, Allemandi, Torino 2016, p. 311, n, 344.

326 Malgrado sia stata assunta come certezza (si veda: Calvesi, Dambrosuo 2016, p. 281 n. 224), non vi è alcuna traccia documentaria né una descrizione derivabile dalla stampa che permetta di sostenere l’ipotesi avanzata da Di Milia che propone l’identificazione del Ritratto di una futurista con Testa Femminile opera sulla cui datazione e sulla cui paternità sussistono dei dubbi [si veda: M. Rosci, Genesi e mutazioni degli 'Stati d'animo' di Umberto Boccioni, «Prospettiva» n. 57/60, Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, V. II (Aprile 1989 - Ottobre 1990), pp. 449-456]: G. Di Milia, Boccioni, Firenze 1998, p. 27; G. Di Milia, Boccioni contro Marinetti, in La grande Milano tradizionale e Futurista. Marinetti e il

futurismo a Milano, cat. della mostra (Milano, Palazzo di Brera 10 ottobre -18 novembre 1995), Roma 1995, pp. 120-121

e ripr. del documento originale; Morganti 2004, p. 166. 327 Mart, Archivi del Novecento, GRU I. 1.1.180:1912.

da lui più volte espresse ed anche pubblicate, con molta vivacità ed indignazione paragonando dette nomine a dei ladri e tagliaborse che rubano denaro a chi di diritto dovrebbe spettare.

Ricordava poi precisamente l’ultima premiazione al “Ritratto” del Cantinotti che doveva a tutto diritto essere assegnata alle “Tre Donne” di U. Boccioni. A questo proposito Vittore osservava che un pittore facendo il ritratto anche alla più laida, vecchia e ripugnante ruffiana potrebbe, anzi dovrebbe – se è artista – illuminarlo di una certa poesia e direi quasi nobiltà mentre il “Ritratto di sua madre” del premiato Cantinotti, pur essendo sua madre, era stato visto ed eseguito senza anima, senza elevatezza. Longoni allora voleva con qualche “però” fare notare qualità che secondo lui erano in detto quadro trovando eccessivo il modo di giudicare di Vittore.

Questi gli osservava che tutti gli uomini che superano la normale ed uniforme mediocrità intellettuale borghese sono, anzi debbono essere eccessivi.

Gli rispondeva che anche se eccessivo il suo giudizio era sincero e lo pronunciava nettamente perché è un dovere il parlare apertamente e senza transizioni affinché certi fatti non succedano e si perpetuino a continuo danno dell’arte, mentre Longoni anche col suo ammettere la verità sostanziale dei suoi “però” continuava e favoriva questo stato vergognoso di cose senza apertamente ribellarsi e questo era tanto più doloroso in quanto che Longoni colle sue opere e colla sua vita era riuscito ad ottenere quella stima e quella alta considerazione che darebbe valore ad un suo giudizio nettamente espresso. […]

La lettera qui riportata si pone in linea con quanto già ricostruito da Federica Rovati in merito ai rapporti di stima che Grubicy dimostrava nei confronti di Boccioni e della sua personale declinazione del futurismo328 e conferma il parere positivo che il pittore aveva del grande ritratto esposto ai concorsi governativi. Si badi che questo schierarsi di Grubicy a favore di Boccioni nel concorso Fumagalli avveniva nel luglio – la mostra per i Concorsi aprì 23 luglio – dopo che Vittore nell’aprile aveva licenziato un articolo su «Il Secolo» estremamente critico nei confronti delle teorie espresse nei manifesti: una conferma, dunque, della estrema apertura della capacità critica di Grubicy nel sostenere le manifestazioni d’arte che avessero quei caratteri di eccezionalità per lui fondamentali. Interessante è, poi, il rimbotto ad Emilio Longoni che, costantemente avverso ad ogni forma di collaborazione con l’Accademia e ad ogni onorificenza tributatagli, portava avanti una battaglia infruttuosa perché senza apertamente ribellarsi manteneva immutato lo stato dei fatti. Malgrado, dunque, l’indiscutibile attivismo progressista grubiciano nella commissione di accettazione e malgrado i tentativi del pittore di aggiornare i criteri di giudizio329, l’operato della giuria ebbe come risultato una limitazione non di poco conto per le opere dei più giovani artisti.

Per quel che riguarda il Principe Umberto,330 le elezioni del 21 settembre si tramutarono in un nulla di fatto per il mancato raggiungimento del quorum di 68 votanti: lo spoglio, in ogni caso, indicava come preferenze Filippo Carcano, primo tra i nominati, Leonardo Bazzaro, Ettore Tito, Cesare Zocchi, Emilio Quadrelli, Orazio Grossoni, Antonio Mancini, Luigi Panzei e Giuseppe Carozzi. A 328 F. Rovati, a cura di, Umberto Boccioni. Lettere futuriste, Egon, Rovereto 2009, p. 26 n.17, pp. 207-208. Si veda a p. 208 la trascrizione della lettera di Grubicy a Boccioni del 27 luglio 1910 dove il maestro si dimostra entusiasta del miglioramento pittorico de Le Tre donne. La lettera era già stata trascritta e pubblicata da M. Vinardi, in M. Vinardi,

Vittore Grubicy De Dragon e Arturo Tosi «…se una spanna di cielo mi prende tanto tempo e così lungo amoroso lavoro»,

in G. Pacciarotti, Umori di Buona terra. I luoghi della pittura di Arturo Tosi, cat. della mostra (Rovetta, Centro Museale, 15 luglio – 3 settembre 2006), Busto Arsizio 2006, pp. 13-19:19 nota 29.Per i rapporti tra Boccioni e la Galleria Grubicy: S. Rebora, Umberto Boccioni e la Galleria Grubicy, tracce per la ricostruzione di un rapporto, in F. Rossi, A. Contò, a cura di, Umberto Boccioni (1882-1916). Genio e memoria, (Milano, Palazzo Reale, 23 marzo – 10 luglio 2016), Electa, Milano 2016, pp. 126-131.

329 Documentato è l’intervento di Grubicy per l’ammissione di Cesare Ravasco e di una delle sue sculture che, dapprima giudicata sospesa, venne rifiutata senza che vi fosse un successivo riesame: alfine Grubicy ottenne l’ammissione di entrambi i lavori. Si veda: Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Esposizione Nazionale di Belle arti in Milano 1910, CARPI F IV 9: 3.

seguito di ciò, la nomina dei membri passò, come da regolamento, alla diretta indicazione del Consiglio che nominò: Carcano, Leonardo Bazzaro, Previati, Pugliese Levi, Tallone, Vanotti e gli scultori Grossoni, Quadrelli e Zocchi. Anche per il Principe Umberto, che fu vinto da Emilio Borsa e Baldassare Longoni per la pittura e da Michele Vedani per la scultura,331 non mancarono polemiche ancora una volta documentate dal carteggio Grubicy. È in particolare Eugenio Pellini, scultore legato da un sincero rapporto di stima al vecchio maestro divisionista, che indirizza a Vittore una lettera in cui lamenta lo svolgimento del concorso:332

Carissimo Grubicy

Poche sere sono ho trovato l’amico Previati e gli dissi francamente la mia meraviglia nel vederlo convinto che il quadro di B. Longoni [La Notte che vinse il primo premio, nda], da lui sostenuto in giuria, fosse superiore al suo delizioso quadro “Perla d’amore” [Grubicy era stato in lizza per il premio prima che nelle ultime votazioni venisse escluso] e gli cantai forte che il quadro premiato per me è un quadro di mestierante ed è già morto, mentre che il suo, caro Vittore, è così al di sopra, che in un paese che non fosse Milano avrebbe gli onori che si merita, poiché tale è il rispetto che vi si sente avvicinandolo, che si ha paura a muoverlo, quasi la gradevole sensazioni debba turbarsi e svanire. Previati a difesa mi dice che non il risultato, ma la bandiera ha voluto far trionfare l’indirizzo nuovo, ma a me pare se mai che la bandiera non è lei caro Grubicy che l’ha sempre portata?

Ma quando poi ieri sera mi hanno dato a leggere la relazione Previati, ed ho notato tra i nomi “degni di far corona ai premiati” il nome di Troubetzkoy ho avuto un fremito di indignazione vergona, proprio il Previati doveva adoperare il nome di Troubetzkoy così caro all’arte pura per far da corona al più volgare e vuoto degli scultori milanesi?! [si riferisce a Michele Vedani, nda].

Vergogna vergogna, mi sento di non credere più alla sincerità e al talento di Previati.

Proprio la viva voce di Previati, riportata da Pellini, confermava dunque come nell’assegnazione dei premi e nella scelta della giuria si riflettessero motivazioni che andavano ben oltre il semplice riconoscimento all’opera più commendevole e come i conferimenti si muovessero all’insegna di una ben precisa politica di sostegno, come rileva giustamente Rebora, della linea pittorica lombarda. Da un punto di vista critico la rassegna del 1910 raccolse i consensi degli osservatori: superiore a quella del 1908, era ritenuta una esposizione riuscita sia dal punto di vista qualitativo che per l’allestimento, ma si rivelò, alfine, un ulteriore insuccesso di vendite e pubblico. Su «Arte e Artisti» l’articolista chiosava «la Mostra organizzata dall’Accademia non ha più una base, né larga né stretta, nella cittadinanza, la quale rinnovata dalle industrie non dà più al nome Brera il significato di una volta».333 Lo stesso Boito, nel prorogare la rassegna sino al 20 novembre, accompagnava la decisione adducendo due motivazioni e proponendo una ulteriore dilazione di otto giorni dopo la chiusura del 20:334 in questo periodo l’ingresso sarebbe stato gratuito e sarebbe stato distribuito al pubblico, gratuitamente, un catalogo con i prezzi delle opere, tutto al fine di incentivare le scarsissime vendite. Per quel che importa, in questa sede, l’elemento fondamentale è che, ancora una volta, i problemi nodali delle premiazioni e delle accettazioni rimanevano insoluti: Carlo Bozzi, ne «Il Secolo», pur recensendo positivamente la rassegna, notava come l’istituto espositivo fosse, in larga parte, inattuale