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2.1 « SMETTONO DI ESSERE S CAPIGLIATI »: S CAPIGLIATURA COME MOVIMENTO ?

P ARTE PRIMA

I. 2.1 « SMETTONO DI ESSERE S CAPIGLIATI »: S CAPIGLIATURA COME MOVIMENTO ?

che attorno a Cremona – più complessa è la questione ranzoniana – nacque una vera e propria scuola di cremonisti, ma non è altrettanto evidente che questa scuola di cremoniani e cremonisti esaurisse in sé, nei termini di proposte stilistiche, il fenomeno al quale si dà il nome di Scapigliatura.

Questo aspetto assume una importanza centrale nella comprensione dell’assetto della Famiglia Artistica che è sempre stata indicata come scapigliata, sebbene si sia trattato di una sottolineatura di pertinenza che si orientava verso la lettura dell’associazione quale frutto di una cultura di tipo post risorgimentale – anche per quel che pertiene le pratiche associazionistiche stesse – e post-romantica. Recentemente, tuttavia, si è anche evidenziato il ruolo dell’associazione quale soggetto di una strutturazione movimentista del fenomeno scapigliato e questo pone un problema di tipo estetico: la Famiglia Artistica, al suo nascere, è una associazione orientata in senso linguistico su posizioni cremoniane o, comunque, connesse alla riforma pittorica degli anni sessanta? Qualora si assuma l’ipotesi che la Scapigliatura sia cremonista, la risposta non può che essere negativa. Diviene affermativa quando si consideri, invece, la scapigliatura come un fenomeno di più ampia portata che eccede la triade Cremona-Ranzoni-Grandi per abbracciare un tema di ricerca generazionale definito come colorismo. Un secondo aspetto, indissolubilmente legato alla supposta dimensione anti- accademica che, come si è cercato di evidenziare, va riletta nel senso di un rapporto di concertazione più che di opposizione, riguarda il modo in cui l’associazione risponde a quella vulgata di una Scapigliatura in contestazione. L’immagine, cioè, di una scapigliatura bohémienne, caratterizzata da una socialità emarginata, degradata, ai limiti del quieto vivere sabaudo e in contrasto con un ordine costituito, è stata quella che ha, letteralmente, costruito in letteratura la fisionomia della Famiglia Artistica complice una serie di attività sociali che sono state lette, in maniera si crede impropria, come simbolo e sintomo di una volontà di negazione della cultura istituzionale e pennelleggiate di un carattere proto-avanguardista. La considerazione di questi aspetti è una premessa fondamentale, al fianco di quella dell’attività dell’associazione in relazione ai contesti artistici locali, per ripensare l’origine, il ruolo e il tipo di socialità che la Famiglia Artistica ha svolto in rapporto alla cultura del periodo e alla temperie scapigliata stessa.

I.2.1.-«SMETTONO DI ESSERE SCAPIGLIATI»:SCAPIGLIATURA COME MOVIMENTO?

La mostra dedicata alla Scapigliatura nel 20095, mostra che, da un punto di vista concettuale, si poneva quale momento di sintesi per studi sulla Scapigliatura lombarda dal 1966 in avanti, poggiava su due assunti critici fondamentali: l’esistenza di un movimento scapigliato e la rivendicazione di una autonomia della Scapigliatura quale fenomeno artistico. La curatrice, Annie-Paule Quinsac, partiva da un presupposto estremamente lucido:

la scapigliatura no. È negletta, quale espressione di un tardo romanticismo regionale, e anche in casa, quando la si ricorda, non viene valutata per se stessa, ma come una sorta di punto di partenza – perché filologicamente da qualcosa bisogna pur partire –, ancora un po’ polveroso d’Ottocento, da cui prendere le mosse per indagare su chi, a seguire, ha rivoluzionato dalla visione del mondo ai canoni estetici. In breve, gli artisti scapigliati sarebbero padri

5 Per quello che qui interessa: A- P. Quinsac, Dal ‘Pandemonio per cambiare l’arte’ all’Accademismo, in Quinsac 2009, pp. 27-49 e Finocchi 2009, pp. 286-287.

e nonni di figli e nipoti più importanti di loro (l’Impressionismo, invece, è l’impressionismo e basta. E chi lo scavalca è post-impressionista, da Cézanne a Seurat).6

Confermava la correttezza di questa impostazione il fatto che la letteratura sul tema contava un accumulo di rassegne, come Dalla Scapigliatura al Futurismo7 del 2002, che già dal titolo si presentava come precisa volontà di

Offrire un panorama sinora mai esplorato in un’esposizione, suggerendo una lettura giocata non più nel segno di una rottura, ma di una continuità; non un’opposizione dunque tra il futurismo (il “nuovo”) e le due correnti artistiche che on Lombardia lo avevano preceduto [scapigliatura e divisionismo], entrambe sigillate concettualmente nell’ambito del “vecchi”; bensì un percorso alla ricerca delle “eredità” e dei punti di contatto, che sono tanti, evidenti, e ammessi con assoluta sincerità e consapevolezza, quando non con orgoglio, da parte dei loro stessi protagonisti.8

La mostra del 2009, tuttavia, proprio nel presentare il fenomeno della Scapigliatura, almeno in ambito artistico, non riusciva a evitare, come si vedrà, l’impasse di una “avanguardizzazione” della cultura scapigliata.

Considerando in primis la questione riguardante l’esistenza e la legittimità storica di un movimento scapigliato, la rassegna milanese – preceduta nel 2006 dalla mostra curata da Sergio Rebora e Mariangela Agliati Ruggia Il Segno della Scapigliatura9 – si poneva, nei fatti, con un obiettivo preciso: definire cosa fosse la Scapigliatura giacché «in un secolo e mezzo non ha trovato una definizione critica concorde, né in sede estetica, né cronologica, né, di conseguenza, su chi debba esservi incluso».10 Nel far ciò era fondamentale, in primo luogo, fornire una coordinata estetica al movimento che fungesse da modello normativo per l’individuazione di aspetti pittorici e plastici che, in maniera univoca, legittimassero la pertinenza o meno di un artista al fenomeno scapigliatura. Chiave di volta del sistema divengono «la pratica di una tecnica “sfumata”»11, «una visione in dissolvenza delle forme dipinte o scolpite»12, il rifiuto del paesaggio puro e, quindi, l’esclusione di «tutta la cosiddetta scuola impressionista lombarda e con essi quanti hanno scelto ritiri spirituali per elaborare la loro visione o hanno preferito eleggere il ricco paesaggio lombardo a soggetto della propria ricerca. […] Il vero della Scapigliatura è centrato sull’uomo, sull’introspezione, sulle

6 Quinsac 2009, pp. 27-28.

7 F. Caroli, A. Masoero, a cura di, Dalla Scapigliatura al Futurismo, cat. della mostra (Milano, Palazzo Reale, 17 ottobre 2001 – 17 febbraio 2002), Skira, Milano 2001. Si consideri anche la di poco successiva: R. Bossaglia, R. De Grada, a cura di, Dalla Scapigliatura al Divisionismo, (Milano, Galleria d’Arte Sacerdoti, 20 novembre – 22 dicembre 2004), Mazzotta, Milano 2004.

8 A. Masoero, Dalla scapigliatura al futurismo: un percorso di modernità, in Caroli, Masoero 2001, pp.21-55:. 21. 9 Agliati, Rebora 2006. Questa rassegna, pur partendo dalla centralità della linea Cremona-Ranzoni-Grandi, non giungeva alla teorizzazione movimentista. Concentrandosi piuttosto, e per molti aspetti per la prima volta, sulla ricostruzione della fitta trama di relazioni – sociali, economiche e culturali – del contesto ruotante attorno alla ricerca pittorica cremoniana e ranzoniana, nonché alla sistematizzazione di studi che rimanevano aggiornati al 1966, la rassegna indagava il fenomeno Cremona-Ranzoni-Grandi nello specifico della diffusione di un linguaggio pittorico che rappresentava il segno della Scapigliatura .

10 Quinsac 2009, p. 27. A.-P. Quinsac ha ribadito questi concetti nel recente intervento su Daniele Ranzoni: A.-P. Quinsac,

Dieci opere per raccontare Ranzoni, in A.-P. Quinsac, a cura di, Ranzoni. Lo scapigliato maudit, cat. della mostra

(Milano, Gallerie Maspes, 24 marzo – 24 giugno 2017), Maspes, Milano 2017, pp. 11-23:11-13. 11 Ivi, p. 28.

incertezze dell’anima, sulla resa dei sentimenti. E, dunque, sul ritratto, sugli interni, sulla scena di genere, non certo sul plein air»13.

Con questa serrata la studiosa individuava, legittimamente, una precisa tecnica e un campionario contenutistico utile a definire cosa fosse esteticamente da annoverare come scapigliato postulando l’esistenza di una linea che storicamente si era strutturata come movimento attorno a questi indirizzi iconografici e stilistici. La possibile accusa di aleatorietà di una simile scelta veniva rigettata sulla base di una contestazione delle affermazioni, non a caso provenienti in primis dall’ambito della critica rossiana – ostile all’accessione di Rosso ad una normatività scapigliata – di Sharon Hecker che recentemente aveva negato l’idea del movimentismo scapigliato riconducendo il tema della scapigliatura ad una condizione esistenziale e non artistica14

Part of the problem with the claim that Rosso’s artistic revolution came out of the Scapigliatura is the fact that no study has yet put the term in its proper artistic and historical perspective. Contrary to the tidy manner in which it is presented today as a bona fide artistic movement it had no set of goals, artistic beliefs, members, or manifestos, and the artists working in Milan at the time followed very individual paths, although all shared a bohemian lifestyle Sempre dall’ambito della critica americana proveniva una coeva sconfessione della teoria “cremonista” o “ranzonista”:

It is considerably easier to speak of the historic, social, and cultural context in which the Scapigliatura was born and flourished than is to define its art. […] In the visual arts the individualism espoused by the Scapigliatura created a great variety of styles that makes it difficult to see the shared aspirations, ideals, and methods of these artists. It has become the ingrained habit of all the specialists in the field to mention two artists [Cremona e Ranzoni, nda] […] as the two leading painters of the Scapigliatura. […] it is difficult for a non-Italian art critics to subscribe such a view

Per Linch lo sclerotizzarsi storiografico del binomio trovava una sua ragione da un lato nella celebrazione dossiana della diade, dall’altro nelle indubbie qualità tecniche e poetiche delle opere dei due artisti che si rivelarono appetibili per un mercato culturalmente individuato e che trovava nelle opere dei due artisti un compromesso tra le nuove istanze pittoriche e la sostanziale mancanza di elementi critici nella produzione dei due artisti:

Cremona and Ranzoni were the darlings of wealthy patrons who were serious about their cultural obligations. They encouraged contemporary artists whose work was unequivocally modern in appearance and technique, but whose approach was suitably poetic. Displayed against the rich wall hangings, the carpets, and the accommodating upholstery of an industrialist’s salotto, these paintings were effective proof of the hosts’ willingness to venture

13 Ibidem. Già Anzani rivendicava la pertinenza dell’«impressionismo lombardo» al «fervido clima artistico milanese dell’ultimo quarto dell’Ottocento, un clima che non è riconducibile soltanto alla scapigliatura e dintorni, pur se il fenomeno scapigliato costituisce senza dubbio il fenomeno centrale della cultura figurativa milanese tra gli anni sessanta ed il 1880 circa, al divisionismo e al simbolismo, ai quali spesso lo si riduce. Clima di cui è componente integrante anche il naturalismo»: G. Anzani, E. Chiodini, a cura di, La pittura del vero tra Lombardia e Canton Ticino (1865-1910), cat. della mostra (Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Zust, 21 settembre – 8 dicembre 2008), Silvana, Cinisello Balsamo 2008, pp. 15-45: 16.

14 S. Hecker, Reflection on Repetitions in Rosso’s art, in H. Cooper, S. Hecker, a cura di, Medardo Rosso. Second

Impressions, cat. della mostra (Cambridge, Arthur M. Sacker Museum, 19 luglio 2003 – 26 ottobre 2003), Yale University

into the dangerous field of advanced art without flying in the face of tradition or asserting novel, possibly dangerous ideas that might threaten the ways of the world15

La rivendicazione di una ipotesi movimentista passava dall’evidenza che l’Impressionismo, cronologicamente addossato alla vicenda scapigliata, manifestava una stessa carenza programmatica, ma era stato fatto oggetto di una teorizzazione già negli anni novanta del XIX secolo che aveva portato ad un riconoscimento – in sede teorica – di una unitarietà del fenomeno. Al netto di tutte le differenze esistenti tra i due fenomeni e che l’impressionismo ha avuto una sua teorizzazione espositiva, di affiliazione terminologica, già negli anni settanta16, è proprio partendo dal termine Scapigliatura, tuttavia, che risulta impossibile giungere ad un riconoscimento di un movimento unitario, ovvero, di un movimento accomunato da una univocità di intenti stilistici e contenutistici.

Sia fatto salvo un punto: la centralità del paradigma cremoniano è ineludibile così come è incontestabile l’esistenza di una scuola che si articola attorno all’esempio in pittura di Cremona e Ranzoni – viventi i maestri – e che prosegue nei decenni successivi. In aggiunta è un fatto che i tre artisti scapigliati si inseriscono all’interno di un contesto sociale e culturale ben caratterizzato ed individuabile – fatto di teorie estetiche, trame e rapporti letterari, culti laici come quello rovaniano – come hanno ricostruito di gli studi di Rebora attorno al collezionismo e al contesto scapigliato facente perno su Cremona e Ranzoni.17 Tuttavia, quando si vada alle fonti coeve, appare chiaro come un movimento scapigliato, «ricomposto stilisticamente e cronologicamente» nell’accezione di una definita scuola pittorica o scultorea con un canone che rappresenta la misura per l’inclusione nel novero, risulti inapplicabile.

Cremona è, ed era indicato, come uno dei più significativi esponenti della bohème milanese, alfiere di un rinnovamento pittorico, e capo di una scuola già individuata, e criticata, negli anni settanta18, ma a leggere le pagine di un giornale come «La Farfalla», programmaticamente organo ufficiale scapigliato, i contorni del termine Scapigliatura si fanno più sfumati: «[…] la bohéme […] ha lavorato con Strazza, dipinge con Mosè Bianchi e con Tranquillo Cremona»19. Primo Levi scrive: «tutti quelli che lo ammirarono come artista, che lo amarono come uomo o che gli furono compagni di scapigliatura, seguirono doloratissimi la sua bara»20. Non si tratta del funerale di Tranquillo Cremona, ma di quello dello scultore Pietro Magni morto nel 1876. È lo stesso Primo Levi – una delle pochissime fonti, quando si parli di memorialistica, veramente attendibile insieme a Ferdinando Fontana – che scrive: «Roberto Fontana rappresenta all’esposizione di Napoli la giovane scuola lombarda, assieme a Carcano, il pittore onnilaterale, che comprende tutti i rami della pittura, assieme a Gignous, il gustosissimo paesista, ed a qualche altro minore, e in mancanza dei due giganti – Tranquillo Cremona e Mosè Bianchi – rifulgono anche in faccia alla scuola romana ed alla 15 F. Licht, The Milanese Avant-Garde. An introduction to the Scapigliatura, in F. Licht, a cura di Winds of Change. The

Milanese Avant-Garde 1860-1900 from the Gilgore Collection Italian Art 1850-1925, (Naples, Florida, The Gilgore

Collection, 8 dicembre 2003), Hoban, Naples (Florida) 2003, pp. 11-17:13.

16 Al di là delle divergenze interne al fronte degli impressionisti e alle tendenze individuali, basti considerare il notissimo «L’Impressionniste. Journal d’art» il cui primo numero vede la luce il 6 aprile del 1877. Quinsac scrive che gli impressionisti furono teorizzati «sin dal novanta» (2009, p. 28), ma la teorizzazione e l’assunzione di una operatività di corpo è coeva alle prime sortite espositive.

17 S. Rebora 2006, pp. 30-33.

18 Psiche, I Nostri Morti. Tranquillo Cremona, «La Farfalla», IV (1878), s. III, n. 8, p.58. 19 La Bohéme a Milano, «La Farfalla», IV (1878), s. III, v. II, n. 2, 10 marzo 1878, p. 42. 20 Il Milanese [Primo Levi], Pietro Magni, «La Farfalla», V. 3, n. 2, 23 gennaio 1876, p. 13.

Napoletana».21 Ancor prima, nel 1870, si rintraccia una delle pochissime, almeno per quanto è stato possibile rintracciare ai fini di questa ricerca, testimonianze circa l’uso del termine scapigliatura per indicare un vaghissimo indirizzo più che linguistico semplicemente generazionale. È Vespasiano Bignami, il fondatore della Famiglia Artistica, che firma un articolo su «L’Arte in Italia» a commento della rassegna braidense di quell’anno:

Io intendo per oggi restarmi in confidenziale brigata e discorrerla un po' coi giovani campioni della scapigliatura artistica; tanto e tanto ai maestri due parole più o meno non tolgono nè regalano celebrità e fortuna; e se a lor giova un consiglio, oltre quello della propria esperienza, non sarà del mio certamente che sentiranno il bisogno. […]22 I nomi elencati dal pittore sono, tra gli altri: Roberto Fontana – prima ancora, quindi, della svolta cremoniana del pieno degli anni settanta – Roberto Venturi, Domenico Pesenti, Filippo Carcano, Francesco Didioni, Francesco Valaperta, Angelo Pietrasanta, Mosè Bianchi e, persino, Achille Formis del quale dice «non appartiene più per l’età alla scapigliatura artistica della quale m’intrattengo a preferenza».

È evidente, dunque, che il termine Scapigliatura venisse usato con una valenza estranea alla individuazione di una sola e precisa linea di ricerca linguistica e che indicasse piuttosto l’appartenenza ad un clima culturale e ad una classe generazionale di artisti accomunati dall’essere portatori di una innovazione condivisa. I testi di Bignami pubblicati in occasione della fondazione della Famiglia Artistica, come si vedrà, puntavano proprio su questo aspetto generazionale: la Famiglia nasce come una associazione che cerca di raccogliere la parte più giovane della classe artistica locale, è una esigenza di rinnovamento che indubbiamente affonda le sue radici nella cultura scapigliata quale fenomeno di eversione rispetto al lascito deludente della stagione risorgimentale, ma le questioni estetiche risultavano molto più complesse e attraversavano trasversalmente, per quel che concerneva i generi e le pratiche, due generazioni di artisti.

Di qui il pericolo di cercare di applicare una canonizzazione al fenomeno ed al termine scapigliato, ricostruendolo quale movimento storicamente strutturantesi attorno ad un modello stilistico esclusivo, soprattutto perché la critica coeva aveva già individuato un preciso termine che teorizzava in altra maniera la riforma pittorica del settimo e dell’ottavo decennio dando conto di quella varietà di forme e declinazioni che costituisce, nel suo complesso, la fisionomia estetica della scapigliatura.