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2.2 « QUESTA SACRAMENTALE DENOMINAZIONE »: P ITTURA DELL ’ AVVENIRE

P ARTE PRIMA

I. 2.2 « QUESTA SACRAMENTALE DENOMINAZIONE »: P ITTURA DELL ’ AVVENIRE

Se è indubbio che la triade Cremona, Ranzoni, Grandi abbia costituito uno dei fulcri nodali di quel rinnovamento linguistico, il non riconoscere lo strutturarsi di questo sodalizio come movimento che da solo incarni un fenomeno di ampia portata come la scapigliatura, non significa, come suggerisce Quinsac, «negare che esista nelle arti visive un fenomeno chiamato Scapigliatura»23, ma non riconoscere nella serrata cremonista un valido criterio che possa esaurire il fenomeno nelle arti visive 21 Il Milanese, Roberto Fontana, «La Farfalla» v. 3, n. 12, 3 giugno 1876, pp. 131-132

22 V., Esposizione di Belle arti di Milano in Agosto, «L’Arte in Italia», II (1870), dispensa IX, settembre 1870, pp. 138- 140: 138.

23 Quinsac 2009, p. 30: «Negare che il sodalizio tra i “tre” – interrotto solo dalla partenza di Ranzoni per l’Inghilterra e dall’improvvisa scomparsa di Cremona nel 1878 – sia la fonte degli esiti di indiscussa levatura del decennio equivale a negare che esista nelle arti visive un fenomeno chiamato Scapigliatura».

perché le fonti indicano uno spettro di soluzioni linguistiche più ampie, diverse negli esiti, ma unitarie per il punto di partenza.

Il caso di Mosè Bianchi – il secondo gigante del rinnovamento pittorico insieme a Cremona – è esemplificativo della debolezza intrinseca di una lettura impernata esclusivamente sul sodalizio dei tre: in che termini il pittore si inserisce nella parabola scapigliata? Per A.-P. Quinsac «non è e non sarà mai cremoniano, anzi si può dire che costituisca il polo opposto della Scapigliatura»24 ed è da inserire tra gli innovatori in margine nel movimento scapigliato per una partecipazione, si potrebbe dire, basata esclusivamente sull’approccio emozionale della sua pittura e il cui contributo fondamentale è legato al rinnovamento dell’immagine della realtà urbana. Risulta, pertanto, difficile comprendere l’inserimento del pittore, nella rassegna, non tanto fra i Precursori e ma tra i Cremoniani: o si conclude che Mosè Bianchi rappresenta una voce comprimaria al Cremona del rinnovamento scapigliato in pittura, una voce antagonista25 in termini pittorici, del quale è «scontata la sostanziale indipendenza […] nei confronti degli Scapigliati»26, ovvero di Cremona e Ranzoni, oppure bisognerà escluderlo dalla linea scapigliata perché le sue opere si pongono in radicale opposizione, concettualmente, alla teoria estetica individuata dalla studiosa. Diversamente, mantenendo un approccio rigorosamente strutturato attorno ad un “manifesto” pittorico di matrice cremoniana attorno a quale si struttura la scapigliatura, qualora si accetti la presenza in margine di Bianchi quale polo opposto, si tramuterà la stessa in una entità bicefala e, pittoricamente, bipolare tra gli estremi Cremona-Bianchi, dando corpo alla posizione della Hecker decisa a negare l’idea della scapigliatura come movimento unitario a favore di un insieme di tendenze individuali.

Simile problema si pone per la terza colonna del rinnovamento pittorico del momento: Filippo Carcano chiamato all’appello per essere immediatamente espulso dalla Scapigliatura.

L’effettivo apporto di Carcano è concentrato negli anni sessanta; poi, la ricerca del vero inteso come plein air e circoscritto al dato visivo prenderà il sopravvento ed egli resterà legato al movimento unicamente a livello di militanza e cameratismo. […]

Il contributo di Carcano alla Scapigliatura è l’aver infuso una ventata di realismo, ma la mania del vero nudo e crudo, che si limita al dato, ne contrasta il lirismo della poetica.27

Con Carcano, scapigliato cameratesco ma non pittorico, paga lo scotto della sua appartenenza al fronte naturalista anche Eugenio Gignous, sicché i due pittori «smettono di essere Scapigliati quando procedono su una traccia naturalistica, lasciando Milano per la campagna»28: in sintesi già prima del 1878-79 né Carcano né Gignous sono più da considerare pittori scapigliati perché contravvengono all’assenza di en plein air della pittura cremoniana e ranzoniana. Eppure, il verismo di Gignuous e Carcano – il pittore onnicomprensivo – era ritenuto uno degli elementi fondamentali del rinnovamento pittorico del momento dalla penna di Primo Levi: «ed ecco con Gignous il paesaggio realisticamente vero, dal quale la letteratura pseudo-realista potrebbe andare a scuola»29, «egli è di quegli artisti per 24 Quinsac 2009, p. 116.

25 Agliati, Rebora 2006, p. 9.

26 G. A. Dell’Acqua, Mosè Bianchi e i suoi critici, in P. Biscottini, a cura di, Mosè Bianchi e il suo tempo 1840-1904, cat. della mostra (Monza, Villa Reale e La Rinascente, 18 marzo-18 maggio 1987), Fabbri, Milano 1987, p. 17.

27 Quinsac 2009, p. 64. 28 Quinsac 2009, p. 28.

cui una fama ed uno studio regionali sono poco: egli è fra i rarissimi destinati a divenire universali»30. Qualora anche si accettasse il criterio tecnico dell’adozione di una pennellata sfumata, di una concezione urbana dell’arte, rimane dubbio che il carattere distintivo della Scapigliatura possa risiedere nell’adozione univoca di un dato modo di pennelleggiare o di comporre soprattutto quando si pensi a come la critica stessa, nel novecento, si sia divisa tra ranzoniani e cremoniani, i primi, soprattutto, pronti a porre in discussione la centralità del pittore pavese: Anna Maria Brizio docet seguita, in tal senso, da Luciano Caramel che scriveva che Ranzoni pittoricamente e culturalmente mostrava «la sua fondamentale indipendenza dagli altri Scapigliati ed in particolare dal Cremona».31 Un brevissimo inciso che proviene dalla critica della Scapigliatura letteraria – l’ambito nel quale la riflessione storica sul senso stesso del fenomeno scapigliato è stata più intensa – permette di porre una prima considerazione:

la stessa eterogeneità dei loro più noti esponente (Praga, Boito, Tarchetti, Dossi) non è tanto il segno di una sostanziale mancanza di unità e di coesione interna, quanto l’esito dei diversi sviluppi e delle diverse vie di sperimentazione e di intervento, attraverso cui ciascuno di loro giungeva a risolvere in termini di prassi il contenuto di quelle premesse ideali e programmatiche che erano state comunemente sancite. La conseguenza di quest’ultima considerazione consiste nella necessità di ricercare nelle opere della Scapigliatura, al di sotto delle differenze apparenti, la presenza di un sostrato unitario che le accomuni e che ne metta in luce i vicendevoli rapporti di affinità, di scambio e di compenetrazione.32

La questione che si pone è dunque se esista, nelle arti figurati, un sostrato che accomuni le espressioni della Scapigliatura artistica e se questo sia da individuare, o meno, nel paradigma cremoniano. Leggendo le recensioni alle annuali braidensi e i profili critici apparsi su «La Farfalla» si evince come, rimanendo ferma la centralità di Cremona, il sostegno dell’organo giornalistico della Scapigliatura andasse verso tutte quelle espressioni che rappresentavano un chiaro segnale di stacco nei confronti della scuola degli inverniciatori bertiniani33 e delle sclerotizzate formule artistiche dell’ultima stagione dominata, a loro avviso, dal modulo hayeziano e bertiniano.34 Il superare la scuola – intesa come organismo accademico di istruzione naturalmente conservativo e con un ordinamento didattico ormai sclerotizzato su una pratica inattuale – era uno dei nodi principali del dibattito artistico: in una relazione dedicata alla mostra dei saggi degli allievi dell’Accademia è Levi che scrive, a proposito degli istituti d’arte, «unico modo di riorganizzare, distruggere; unico modo di migliorare, abolire».35 Il termine scapigliatura manifesta, dunque, nell’utilizzo coevo, un carattere a-specifico da punto di vista stilistico: esiste, tuttavia, un termine estremamente diffuso nella letteratura artistica del periodo che si sovrappone a quello e porta con sé una precisa indicazione di tipo linguistico utile ad individuare quel sostrato che ridarebbe unità alla vicenda scapigliata: avvenirismo.

30 Il Milanese di Ferrara, Da Grubicij, «La Farfalla», III, s. II, v.1, n. 5, 28 ottobre 1877, pp. 42-43. 31 L. Caramel, in Mostra della Scapigliatura…1966, p. 55

32 F. Bettini, Introduzione, in F. Bettini, a cura di, La critica e gli Scapigliati, Cappelli, Bologna 1976, pp. 7-69:12-13. 33 Il Milanese, All’Esposizione…1876, p. 131.

34 La demonizzazione di Bertini, capro espiatorio della critica avvenirista, è storicamente poco motivata, si veda: Agliati, Rebora 2006, pp. 13-18 e L. Pini, in ivi, p. 96. Sul post-Hayez si veda l’articolo di Chirtani: L. Chirtani, Francesco Hayez

e la sua successione in arte, «Corriere della Sera», VIII (1883), 258, 19 settembre 1883, p. 2.

Annie Paule Quinsac, rifacendosi al noto testo di Severino Pagani sulla scapigliatura milanese, recuperava l’indicazione36 circa il fatto che la prima individuazione della Scapigliatura nelle arti visive passasse attraverso l’etichetta avvenirista:

tuffandosi nelle recensioni d’epoca, sembrerebbe che gli artisti, essi invece, preferissero chiamarsi “avveniristi”, un appellativo che non ha trovato fortuna critica – ripreso solo da Severino Pagani nel 1955 – ma che, con il senno del poi, acquista un valore evocativo, perché tradotto equivale a “futurismo”. E di fatto, come il Futurismo, la Scapigliatura intende rompere con il passato; come il Futurismo è esperienza a tutto tondo, fermento intellettuale e insieme congerie storica e socio-politica, rinnovamento ideologico, culturale e di costume; come il Futurismo, ma prima.37

Tralasciando il “senno di poi” sull’interesse scapigliato quale profetico anticipo della messianica apparizione futurista, la studiosa riportava una errata interpretazione di Pagani che assumeva, tout court, la sovrapponibilità e interscambiabilità dei due termini scapigliatura e avvenirismo, sovrapposizione impossibile da attuare quando a scapigliatura si conferisca il significato ristretto di una pittura basata sulla maniera di Cremona e Ranzoni. Assumendo, tuttavia, questa identità, la mostra del 2009 ingenerava un cortocircuito che finiva per porre in crisi l’assunto stesso di una scapigliatura definibile e circoscrivibile in maniera esclusiva attorno al cremonismo e al ranzonismo. Avvenirismo38 è una parola, nata in ambito musicale, adottata dalla critica e dalla satira per indicare un fenomeno ed etichettarlo in maniera spregiativa: nel 1870 presso la Società degli Artisti si tenne una delle prime – almeno documentabili – esposizioni umoristiche e vi si trovavano esposti esempi di pittura dell’avvenire.39 Il termine avvenirismo, come palese, nasceva nella cerchia della critica wagneriana e originava proprio dalle parole del maestro di Lipsia e venne assunto nel discorso comune sulle tre arti come termine canzonatorio:40 era l’arte incomprensibile, risibile, contraddittoria dei canoni estetici consolidati.41 La pittura degli anni sessanta e settanta era chiamata la pittura dell’avvenire, i pittori oggi individuati come scapigliati, ovvero i pittori appartenenti a quella schiera di “contestatori” della tradizione pittorica romantica, erano gli avveniristi. Lo testimoniano alcune vignette satiriche pubblicate su «Lo Spirito Folletto» tra cui una del 1872. dove la Pittura dell’Avvenire era rappresentata (Fig. I) – dallo scapigliato Francesco Fontana, alias Frik – come un pittore che dipingeva al balcone con un lunghissimo pennello un quadro posto nella finestra del palazzo di fronte: chiara allusione agli sgorbi che si intravvedevano nelle tele avveniriste.42 Che questa fosse l’accezione più diffusa – ovvero quella spregiativa – lo documenta lungo ma significativo passaggio un articolo di uno scapigliato della prima ora come Giovanni Camerana.

36 S. Pagani, Storia della pittura lombarda della Scapigliatura, Società editrice libraria, Milano 1955, p. 71. 37 Quinsac 2009, p. 27.

38 Per una riflessione sul termine Pittura dell’Avvenire, centrata sul caso Cremona-Ranzoni, si veda il testo fondamentale: J. Simane, Ut Pictura Musica? Zum Diskurs über die “Schwesterkünste“ Malerei und Musik in Italien, in M. Hansmann, M. Seidel, Pittura italiana nell’Ottocento, Marsilio, Venezia 2005, pp. 581-598, in part. pp. 581-598: 585-590.

39 Notizie Varie - Circolo degli Artisti, «La Perseveranza», XII (1870), 3689, lunedì 7 febbraio 1870.

40 Nel cammeo dedicato a Primo Levi su «La Farfalla» si legge: «La stranezza del fenomeno sta poi in ciò: che mentre il Levi e i socii odiano Wagner, il profeta musicale del così detto avvenire in musica, vanno poi in sollucchero al cospetto dei prodotti messi ultimamente in voga dalla scuola pittorica e scultoria che anch’essa viene battezzata avveniristica…»: Imbianchino, Acquerelli di pubblicismo. Primo Levi, «La Farfalla», vol. 4 (1876), n. 4, 15 luglio, pp. 46-48: 47.

41«So sprach man mit unverhüllter Ironie von einer „«pittura dell'avvenire“ vor allem im Zusammenhang mit Gemälden Tranquillo Cremonas, einem der herausragenden Künstler aus ihrem Kreise», Simane, 2005, pp. 587-588.

42 L’umana commedia – le bolge del salone dell’Esposizione, «Lo Spirito Folletto», XII (1871), 593, 10 ottobre 1872, p. 327.

Pittura dell’avvenire. Al paesaggio43 specialmente viene tratto tratto accoccata questa sacramentale denominazione. Pittura dell’avvenire; cioè, incomprensibile; peggio ancora, l’inescusabile; la pittura che potrebbe creare un pazzo; una pittura eseguita con la tavolozza non carica di colori, ma di frenesie; un guazzabuglio, un aborto, un caos.

(Fig. I) - Frik (F. Fontana), illustrazione in, L’umana commedia – le bolge del salone dell’Esposizione, «Lo Spirito Folletto», XII (1871), 593, 10 ottobre 1872, p. 327.

O Masanielli dell’arte! Il grande cammino, quello che va sempre dritto, che non può, che non sa sbagliare, il cammino della gente di buon senso, è lì tutto aperto, che vi chiama, vi attende; ma voi no; voi disgraziati vi gettate attraverso i campi, attraverso gli sterpi e le spine, sui sentieri che sboccano alle tenebre, all’abisso, alla rovina. Non avevate, quando per vostro malanno risolveste di abbracciare la professione dell’artista, che a girare intorno uno sguardo ed osservare: “Il tale ed il tal altro formano la delizia, la voluttà del pubblico; mettiamoci sui loro passi”. Per tal modo la vostra riuscita era già mezzo sicura. Ma voi no. Voi vi siete atteggiati alla Guglielmo Tell, e siete passati davanti al cappello dei nostri più egregi artisti senza togliervi di capo il vostro, nani che siete; e avete dato le spalle ad ogni più veneranda tradizione, avete fatto un auto da fè di tutte le regole più consacrate, vi siete impuntati nella fantastica pretesa di veder le cose in una maniera tutta vostra, senza chiedere il consiglio, l'approvazione, il beneplacito di quelli che certo, essendo più vecchi, ne sanno meglio di voi; senza riflettere, senza 43 Fra tutti i paesaggisti, è Antonio Fontanesi ad essere indicato come uno dei caposcuola di questa pittura dell’avvenire. Per Fontanesi, figura centrale nel rinnovamento della pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia, si veda: C. Poppi, Il

vero e la Natura: Antonio Fontanesi e la pittura di paesaggio in Italia negli anni Sessanta, in E. Farioli, C. Poppi, a cura

di, Antonio Fontanesi e la pittura di paesaggio in Italia 1861-1880, cat. della mostra (Reggio Emilia, Sala Espositiva Chiostri di San domenico, 25 aprile – 13 giugno 1999), Motta, Milano 1999, pp. 12-35; E. Farioli, Oltre il vero: Fontanesi

e il paesaggio in Italia negli anni Settanta, in Ivi, pp. 36-47; R. Maggio Serra, Sfida della nuova pittura e resistenze della critica. Torino ai tempi di Fontanesi, in Ivi, pp. 48-55. Per una significativa antologia critica su Fontanesi e per

l’occorrenza del termine avvenirismo in relazione alla sua pittura: P. Barazzoni, Antologia critica, in ivi, pp. 227-240. Sulla pittura di paesaggio e le innovazione tra settimo e ottavo decennio del XIX secolo: S. Rebora, La Pittura di

paesaggio: dalla veduta al naturalismo, in P. Biscottini, a cura di, Pittura Lombarda del secondo Ottocento. lo sguardo sulla realtà, cat. della mostra (Milano, Fiera Milano 28 ottobre-11 dicembre 1994), Electa, Milano 1994, pp. 35-46. Più

recente il contributo su Carcano di Elisabetta Chiodini: E. Chiodini, Filippo Carcano e l’anima del vero, in G. Anzani, E. Chiodini, a cura di, La pittura del vero tra Lombardia e Canton Ticino (1865-1910), cat. della mostra (Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Zust, 21 settembre – 8 dicembre 2008), Silvana, Cinisello Balsamo 2008, pp. 46-61. E ancora: G. Anzani, Tra paesaggio e realtà urbana. Uno sguardo sulla pittura di fine Ottocento e primo Novecento a

Milano e nel Canton Ticino, in ivi, pp. 15-45; G. Anzani, Tra realtà urbana e mondo della natura. Pittura di paesaggio a Milano e nel Canton Ticino fra Ottocento e primo Novecento, in G. Anzani, E. Chiodini, a cura di L’Ottocento tra poesia rurale e realtà urbana. Un mondo in trasformazione, cat. della mostra (Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni

curarvi che l’opera vostra potesse o no incontrare i gusti del pubblico, il quale, miei signori, è poi sempre il supremo tribunale negli affari d'arte. Il pubblico ha la scienza estetica innata. Una cosa è bella, perché? Perché il giudizio della moltitudine si degnò riconoscerla come tale. Aggiungo che il pubblico è l'infallibilità in carne ed ossa. Il pubblico adora Metastasio; Metastasio infatti è sublime. Vittor Hugo è un forsennato, e il pubblico lo umilia, lo atterra con questo castigo: non lo capisce. Onore a Tirsi, lauri a Didone! Abbasso Jean Valjean e Gwynplaine! Col pubblico non si scherza. Il pubblico non ama la gente che vuole imporsi. Il pubblico non soffre prepotenze. Ah, voi tentaste urtarlo di fronte! Ah, voi cercaste di tirarlo nella vostra rivolta contro le benedette memorie del passato! Pervertire le sue tendenze! Demoralizzarlo! Corromperlo! Ebbene, raccogliete il frutto dell'audacia vostra. Il pubblico vi ha reso pan per focaccia. Oramai siete definiti, classificati, smascherati. Avete sulla fronte un bollo, e non lo cancellerete mai più. Andate. L'arte vostra è conosciuta. È l'arte dell'avvenire...

Oh sì! andate. La parola di proscrizione si converta in parola di eccitamento. Andate. Un tesoro è per voi: la natura. Tesoro illimitato, eterno. Tesoro simile a quello che il morente agricoltore lasciava in retaggio a suoi figli. Andate per la campagna, maestra unica della pittura paesista. Una scuola, un professore di paesaggio, l'Accademia soltanto poteva produrre questo fenomeno; lo produsse. Ma perché dunque non si fonda eziandio una scuola di poesia, una scuola di romanzo, una scuola d'ispirazione? La logica lo vuole. Andate per la campagna, nelle vaste distese della pianura, per i campi folti di messi, per le nude brughiere; penetrate nei boschi, e se dagli archi di queste cattedrali non vi pioverà nel cuore la gioia, certo sentirete discendere la calma; penetrate nei boschi, a stendervi, a tuffarvi nell'orgia esuberante dell'erba, del silenzio, dei profumi; andate nelle praterie, dove pascola in santa pace la chiazzata vaccherella, dove sul fresco verde spicca il gregge biancastro, soavissimo idillio. Al mattino, lungo le siepi, lungo i vigneti ed i solchi stillanti rugiada; al meriggio, quando la vampa solare tremola sui tetti e la terra sembra stupirsi della propria quiete; al tramonto, quando i rami degli alberi fanno una rete nera sul cielo giallo e la nube rossastra si specchia fra i giunchi dello stagno; andate, osservate, innamoratevi del grandioso e del tranquillo, del selvaggio e del blando, del festivo e del triste; osservate, studiate, assiduamente, potentemente, questa è la via, questa è la vita, questo, null'altro che questo, è l'avvenire. Poi, siate accorti e profondi. Tenete per fermo che nel modesto recesso campagnuolo, nel sito che molti giudicherebbero non pittoresco, esiste il più soventi tanta poesia quanta nella scena la meglio composta. La natura è formata d'uguaglianza. Ciò che fra noi, uomini, razza illuminata, si chiama gerarchia, in natura si chiama varietà. L'oceano e la palude, la selva e l'orto, la quercia e la zucca, quale repubblica! L'egloga vale il poema; la canzonetta vale la leggenda. Claudio di Lorena non impicciolisce Ruysdael. Tutto sta nel saperla conoscere, nel saperla esprimere, questa romita ed ascosa poesia. Studiate, ritraete. E purché la linea che tracciate sulla carta, la nota di colore che sbozzate sulla tela siano la sincera espressione, la decisa conseguenza dell'effetto che sopra di voi esercita il vero; purché, quando la luce o l'ombra, la gaiezza o la malinconia, la pace o la tempesta che scaturiscono dal vero si sono impadronite dell'anima vostra, quando vi sentite avvolti ed immersi nel suo ambiente, dominati dal suo fascino, il solo vostro scopo sia questo: fissare quella impressione, narrare quel prestigio; purché, attratti dal giustissimo istinto dell'originalità, sappiate non perderne di vista i ragionevoli confini e non scivolare nel sistema del falso e dell'assurdo quia absurdum; in altre parole, purché per tenervi lontani dall'ordinario convenzionalismo, non cadiate in un altro forse peggiore; purché, al termine d'un lavoro, voi possiate dirvi: “Una forma era nella mia mente ed ho cercato estrinsecarla ed ho fatto a tal fine quanto sapeva o, siate liberi, come libera è la natura, nei vostri concetti, liberi nella maniera di adombrarli; tracciate nuovi solchi, innalzatevi per vostro proprio valore, coi vostri difetti ma insieme con tutto lo spirito vostro, non influenzati, non imitando; se il pubblico vi loda, vi ama, vi batte le mani, e voi perseverate nello studio e nell'opera, senza sdraiarvi sotto il pericoloso manzanillo della soddisfazione; se il pubblico vi guarda indifferente o vi condanna od anche vi deride, ma qualche serio e leale artista vi approva, e voi perseverate sempre più fiduciosi, superiori al disdegno, impassibili al sarcasmo ed allo scherno, memori come spesso l'oggi che oltraggia preceda un fulgido riparatore: domani.44