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1.2 – « IMPRESSIONI INTERESSI ESTRANEI »: LA T RIENNALE DEL 1894, IL PROBLEMA DELLA

P ARTE PRIMA

I. 1.2 – « IMPRESSIONI INTERESSI ESTRANEI »: LA T RIENNALE DEL 1894, IL PROBLEMA DELLA

MORALITÀ.

Simile, e ancora più emblematico in tal senso, per una certa eco che ebbe nella stampa e, successivamente, nella storiografia sul tema per l’indubbia bizzarria della scelta, è il conferimento dei tre Premi Principe Umberto per il 1894, vicenda sulla quale si era appuntata, in un veloce focus, Giovanna Ginex che, considerando gli eventi, sottolineava proprio come «i premi assegnati alla seconda Triennale sono una volta di più specchio dei gusti più tradizionali dell’Accademia e del pubblico»81.

Come per il 1891 anche nel 1894 la nomina del discusso giurì per il Premio Principe Umberto fu fatta direttamente dagli artisti espositori82 e testimonia come il meccanismo si rivelasse estremamente farraginoso. Il 7 aprile 1894 la Famiglia Artistica inviava alla Presidenza dell’Accademia una lista di nomi:

La direzione della Famiglia Artistica si pregia di comunicarle la lista seguente (di 14 nomi) nella quale la Assemblea degli Artisti milanesi adunatasi la sera del 24 Marzo u.s. fa voti acché vengano scelti i 9 nomi a formare la giuria del Principe Umberto.

La Direzione Primo Giudici

Bazzaro Ernesto Scultore; Bazzaro Leonardo Pittore; Bianchi Mosè id.; Butti Enrico scultore; Calandra Cesare id.; Carcano Filippo Pittore; Delleani Lorenzo id.; Dell’Orto Uberto Pittore; Fragiacomo Pietro id.; Gignous Eugenio id.; Giudici Primo Scultore; Grandi Giuseppe id.; Rossi Luigi Pittore; Pisa Giulio letterato.

80 Cronachetta, «Cronaca d’Arte», I (1891), 20, 3 maggio 1891.

81 G. Ginex, Le Belle Arti alle Esposizioni Riunite, in R. Pavoni, O. Selvafolta, Milano 1894. Le Esposizioni Riunite, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 1994, pp. 91-100: 98-99.

82 Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Legati (A-Z). Premio Principe Umberto 1885-1894, Carpi C II 15, 2°, Esposizione di B.A. 1894 – Premi Principe Umberto. Da questa cartella proviene tutto il materiale citato a seguire.

Come da regolamento l’elezione fu demandata agli artisti espositori che avessero consegnato all’economato le schede compilate con le preferenze: 174 risultano essere i votanti. Plebiscitaria l’elezione di Enrico Butti con 160 preferenze, seguono Giovanni Muzioli con 90 voti, Giuseppe Bertini con 89, Giovanni De Castro con 85, Roberto Fontana con 84, Pietro Bouvier, Luigi Secchi, Francesco Confalonieri e Antonio dal Zotto con 81 preferenze ciascuno. Giuseppe Bertini – a detta di Grubicy la personificazione dell’Accademia braidense al punto che nel professore essa «esclusivamente è incarnata, o meglio pietrificata»83 – aveva raccolto, dunque, più della metà dei consensi degli elettori. Il primo maggio si dava comunicazione agli eletti: De Castro, Bouvier e Muzioli declinavano la proposta e si procedeva per scorrimento al completamento del Giurì. Con 59, 54 e 47 voti seguivano Bianchi, Calandra e Carcano. Accettava Calandra ma rifiutavano Bianchi e Carcano. Si interpellarono, quindi, Luigi Rossi e Leonardo Bazzaro che seguivano nella votazione con 44 e 43 preferenze, in seguito al loro rifiuto si passava a Pietro Fragiacomo ed Ernesto Bazzaro, rispettivamente 44 e 35 voti. Rifiutano entrambi come rifiuta Lorenzo Delleani. Accetta Uberto dell’Orto, che con 33 voti era la diciottesima preferenza espressa dal corpo degli espositori, rifiutava Eugenio Gignous. La preoccupazione del Presidente Venosta che il giurì non si riuscisse a costituire convinse Pietro Bouvier a rivedere la sua posizione e a ritirare la sua rinuncia alla partecipazione dando corso alla giuria che riusciva finalmente composta – dopo 15 giorni di concertazione con gli eletti – da: Giuseppe Bertini, Pietro Bouvier, Enrico Butti, Davide Calandra, Francesco Confalonieri, Antonio Dal Zotto, Uberto Dell’Orto, Roberto Fontana, Luigi Secchi. È evidente, dunque, che essendo il giurì del Principe Umberto, al netto delle defezioni e dello scorrimento, eletto non dal Consiglio Accademico, ma dagli artisti, riferirsi ad un gusto tradizionale dell’Accademia è fuorviante, in termini generali, perché la commissione agiva ed era eletta in maniera indipendente dal corpo docente o accademico ed erano, semmai, gli elettori a rimettere quasi in mano al Consiglio Accademico stesso la formulazione dei giudizi eleggendo in massa personalità che facevano parte del massimo organo consiliare dell’Accademia braidense, del corpo docente delle accademie e degli organi più rappresentativi della classe artistica italiana. Si consideri la commissione prima dello scorrimento: Giuseppe Bertini era, come detto, il simbolo dell’Accademia e membro del Consiglio, Enrico Butti, fra tutti l’artista certamente più d’avanguardia, era membro del Consiglio Accademico, lo stesso per Giovanni De Castro che, come Butti, era docente in Accademia, Giovanni Muzioli era membro della Giunta di Belle Arti e membro della commissione per gli acquisti alla Triennale di Milano della Galleria d’Arte Moderna di Roma, Luigi Secchi era membro della commissione permanente di scultura della braidense e Francesco Confalonieri era primo aggiunto alla cattedra di scultura tenuta da Butti dopo la morte, nel 1892, di Barzaghi, Francesco dal Zotto era docente di scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Gli unici due commissari che non avevano incarichi ufficiali presso istituti accademici o altri organi erano Roberto Fontana e Pietro Bouvier. Ritornava, dunque, attuale la riflessione di Bettini circa l’effettiva utilità delle consultazioni che difficilmente garantivano una commissione che realmente potesse rispecchiare tutte le tendenze, da quelle più tradizionali a quelle più innovatrici, e che, invece, esprimeva una opzione che rispecchiava gli interessi individuali o di gruppo di una maggioranza o che, all’atto pratico, formulava giudizi di compromesso. Considerando il conferimento dei premi per il 1894, è indubbio che, sulla base degli indirizzi artistici di questo momento e rivolgendosi, nello specifico, alla realtà milanese, potesse 83 V. Grubicy, L’Arte a Milano, «La Riforma», 24 agosto 1886.

apparire del tutto scriteriato il premio ad un artista, già vincitore due volte del Principe Umberto, certamente significativo ma a margine delle più vitali correnti, come Mosè Bianchi e al suo Prima del duello.84 Vent’anni prima, nel pieno dell’intemperanza avvenirista, Bianchi aveva vinto con il suo Ritratto di Signora lo stesso premio85, in un momento in cui la sua produzione pittorica rappresentava, accanto a Tranquillo Cremona e a Carcano, l’avanguardia della scuola milanese. Certo è che nel 1894 un lavoro di tematica settecentista, al netto del virtuosismo pittorico di Bianchi e del perenne appeal commerciale di questa produzione, poteva apparire pura maniera agli occhi della critica più orientata verso le moderne ricerche sull’ideale previatiano, della pittura segantiniana, delle istanze tecniche di matrice divisionista o di quelle sociali che, proprio alla Seconda Triennale, avevano trovato compiuta affermazione86. Neppure la scelta di un’opera come Fuoco Spento di Vittorio Bressanin era indice di una particolare capacità di rivolgersi alle istanze più innovatrici, trattandosi di un’opera fiacca che recuperava la dimensione sociale ricacciandola nella visione pitocca del generismo di memoria romantica tra la linea veneziana di Favretto e la tradizione induniana. Anche sul fronte scultoreo la scelta de La Prima Tappa di Bassano Danielli87, esemplata sulla Vedova di Bazzaro che aveva vinto il Principe Umberto nell’ultima annuale del 1888, ripiega sull’opera più di mediazione se paragonata ad Esaurimento dello stesso Bazzaro88 che, sotto il profilo della forzatura espressiva e dell’insistenza verista, risulta maggiormente tesa verso la ricerca di un tono drammaticamente più acceso. Qualora, poi, si consideri la rosa finale dei nomi89 attorno ai quali si concreta la discussione ultima sul premio, si evince la netta prevalenza di un indirizzo estetico poco propenso alla “scommessa” sul nuovo e programmaticamente rivolto, sembrerebbe, a rinunciare dall’intervenire sulle tendenze più legate a una ricerca tecnica e contenutistica innovativa. A quanto detto, si deve aggiungere che, come visto, in moltissimi casi gli artisti che risultavano eletti rinunciavano al mandato perché la presenza in giuria implicava automaticamente l’autoesclusione dal concorso al Premio: nel 1894 Mosè Bianchi vinse il Principe Umberto, vittoria che gli sarebbe stata negata qualora avesse accettato di prendere parte al giurì così come gli era stato richiesto in seguito alla votazione. Che si trattasse di una situazione frutto di una stratificazione di problematiche veniva evidenziato, in maniera lineare, dal commentatore d’arte del «Corriere della Sera» che scriveva:

Veramente non abbiamo toccato di un argomento importantissimo, quello dei premi delle diverse istituzioni, che furono aggiudicati fra l'ultima mia chiacchierata e questa. Vi sarebbero molte cose a dire; — molte cose dure alle Commissioni giudicatrici e molte durissime agli artisti che se le meritano, per la costante apatia che dimostrano in tutto quanto risguarda i loro interessi più vitali, per la mancanza di concordia e d'unione fra di loro, per l'incapacità assoluta al più elementare lavoro d'organizzazione.

Non dimenticherò mai il senso di profonda tristezza provato qualche anno fa, quando ad una riunione indetta da un sodalizio artistico per discutere sulle elezioni della Giunta superiore di Belle Arti, per la quale erano stati 84 S. Rebora, scheda in P. Biscottini, a cura di, Mosè Bianchi e il suo tempo, cat. della mostra (Monza Villa Reale e la Rinascente, 18 marzo – 18 maggio 1987), Fabbri Editori, Milano 1987, p. 330 n. 132, ill. p. 177.

85 S. Rebora, scheda in P. Biscottini, a cura di, Mosè Bianchi e il suo tempo, cat. della mostra (Monza Villa Reale e la Rinascente, 18 marzo – 18 maggio 1987), Fabbri Editori, Milano 1987, p. 310 n. 52, ill. p. 105.

86 Si veda: C. Casero, La “Scultura Sociale” tra il vero e l’ideale. Realismo e impegno nella plastica lombarda di fine

ottocento, Scripta, Verona 2013, pp. 65-86.

87 Su Danielli: Casero 2013, pp. 99-104. Sul Premio Principe Umberto alla scultura: ivi, p.80-81.

88 G. Petriglieri, scheda in O. Cucciniello, A. Oldani, P. Zatti, a cura di, 100 anni. Scultura a Milano 1815-1915, cat. della mostra (Milano, Galleria d’Arte Moderna, 23 marzo – 7 dicembre 2017), Officina Libraria, Milano 2017, pp. 236-237. 89 Anno MDCCCXCII, MDCCCXCIII e MDCCCXCIV Atti della R. Accademia di Belle Arti in Milano, Manini-Wiget, Milano 1896, pp. 253-254.

diramati più di 700 inviti, intervennero 13, dico tredici, artisti e anche questo numero si raggiunse dopo due ore da quella indetta per l'assemblea. Forse che dinanzi a queste verità dolorose, si può illudersi e sperare ?

No certamente.

Dunque bisogna pensare a qualcosa che sostituisca l’interessamento individuale degli artisti, e che dia per lo meno delle garanzie di giustizia e di equità e io sono tentato di fare una proposta che farà rider molti, ma che, dato l’andamento delle cose è più seria di quello che può sembrare a tutta prima: e questa proposta è che nella futura Esposizione triennale i premi si estraggano a sorte. Come giustizia, buon senso, eguaglianza di trattamento, potrebbe darsi che la cecità della fortuna avesse a servir meglio la causa dell’arte vera.90

La natura del Premio Principe Umberto, al contrario di quella del Fumagalli, era estremamente particolare perché si conferiva non quale incoraggiamento ad artisti emergenti o ad opere significative nel senso della ricerca e che, dunque, potevano anche essere fatte oggetto di mende dal punto di vista della qualità, ma doveva premiare le opere più commendevoli dell’Esposizione selezionando su un campione enorme: alla Triennale del 1894 le opere ammesse furono 1313 delle quali tutte, a patto di essere state realizzate da artisti italiani e di non essere mai state esposte, erano ammissibili al Premio. Il grande nodo del Premio Principe Umberto risiedeva forse più nella natura intrinseca del concorso che nelle Commissioni: illuminante è, in tal senso, un articolo di Vittore Grubicy pubblicato già nel 1888.

Sento che la Società degli Amatori e Cultori delle Belle Arti di Roma ha raccomandato all’on. Presidente del Consiglio la nuova istituzione di grandi premi per la pittura e la scultura. Mi sembra strano che la presidenza di detta Società sia così poco al corrente delle innumerevoli e vivissime disquisizioni che si agitano da un decennio in tutti i grandi centri artistici, a proposito delle premiazioni ufficiali in genere e delle pecunarie in ispecie, da ignorare che dappertutto i veri artisti combattono vigorosamente come esiziali per l’arte le cuccagne dei premi, e che in molti paesi, dove esistevano, furono aboliti e surrogati da acquisti pei musei pubblici. A chiunque avesse seguito attentamente negli ultimi 15 anni l’aggiudicazione p.es. del premio annuale Principe Umberto a Milano, non occorrerebbero altre dimostrazioni per essere pienamente convinto del danno, o quantomeno del nessun vantaggio che derivò all’arte da questo premio. Nessuno sforzo per conquistarlo. Oramai si è convertito in un semplice turno: oggi a me, l’altranno a te, e via dicendo.

Qualche grosso scandalo tratto tratto, e grida all’ingiustizia, eppoi tutto si rimette in quiete. La giuria e le opere contendenti si eclissano, i danari sono sfumati, ed il morale di qualche vero artista ha ricevuto uno sfregio sanguinoso, senza neppur poter sperare che il tempo gli faccia giustizia, perché sono scomparsi dalla scena gli elementi pel giudizio.

Nessuno più di noi ha combattuto per dimostrare essere doveroso pei reggitori della nazione il preoccuparsi di dare un valido indirizzo ed un oculato incoraggiamento all’arte: ma non arriveremo mai a persuaderci che questo risultato si possa conseguire coll’istituzione di premi, come pure non troveremo mai che possa dirsi equa amministrazione lo spendere il danaro dei contribuenti per premiare chi fa un bel quadro od una bella statua, anziché chi crea una bell’opera letteraria, musicale, architettonica e via dicendo. […] Aggiudicato un premio e chiusa l’esposizione, tutto è finito, e nessuno più risponde neanche moralmente dell’errore commesso nello spendere il danaro del paese. […] 91

L’analisi del critico era indubbiamente veritiera e nel caso del Premio Principe Umberto la questione era ulteriormente complicata dalla formazione della giuria: il caso dei Giurì del 1891 e del 1894 rappresenta un’eccezione alla storia del Principe Umberto. Dopo anni di commissioni formate d’ufficio dal Consiglio Accademico a causa della mancata partecipazione degli artisti alle votazioni, 90 Br., L’Esposizione Triennale di Belle Arti. Lombardi e Piemontesi, «Corriere della Sera», XIX (1894), 154, 7 giugno 1894, pp. 2-3.

nel 1885 si raggiunse un punto di non ritorno: non solo non si ebbe il numero di schede utili ad eleggere la giuria, ma quella eletta d’ufficio dal Consiglio rinunciò al mandato obbligando il Consiglio Accademico stesso a subentrare nella valutazione delle opere. Il Consiglio a seguito del ripresentarsi della stessa situazione per il 1886 decideva di avocare a sé il diritto di conferire il premio senza che si costituisse formalmente la commissione: benché il Consiglio avesse cercato, infatti, di chiamare artisti non milanesi pur di evitare critiche circa il conferimento dell’incarico ad artisti perennemente presenti nelle commissioni accademiche92, anche in questo caso le rinunce avevano causato l’impossibilità di formare una giuria. La mancata organizzazione della classe artistica e, soprattutto, il palese disinteresse degli artisti nell’esercitare il diritto di scelta della commissione, come rileva l’articolista del «Corriere» nel 1894, fa sì che, per anni, il Consiglio Accademico sia costretto a, letteralmente, colmare il vuoto lasciato dagli espositori, con un malcontento che non si manifestava soltanto all’esterno dell’Istituto, ma anche all’interno dell’Accademia. Il collasso del Premio regio era evidente considerando quanto Luigi Chirtani già gridava dalle colonne del «Corriere» in merito alla decisione del Consiglio del 1886:

Il regolamento pel concorso che porta il nome del re, prescrive che la nomina della Commissione pel conferimento del premio sia fatta dagli stessi concorrenti, col mezzo di schede unite alla lettera di spedizione delle opere; qualora i voti riescissero deficienti, o tanto suddivisi da non riunirne — credo — 12 su ciascun membro della commissione, la nomina di questa spetterà alla R, Accademia di Belle arti93. Da qualche anno il caso previsto dal regola mento si è avverato, e si è provvisto dall'Accademia a termine delle prescrizioni. Quest'anno la regia suddetta Accademia, ha creduto bene, di finirla con un colpo di Stato in sessantaquattresimo, decretando: «Gli esponenti non mandano la scheda, dunque non si curano dell'elezione; ebbene da qui innanzi l'elezione la faremo noi.»94 È come se un governo costituzionale decretasse questa grottesca legge: «Vista, l'apatia degl’elettori, da qui innanzi i deputati saranno nominati dal Ministero!». Non ci fu allora nessuna manifestazione di malcontento; la Famiglia Artistica, gli artisti della Patriottica, aveano facile mezzo per protestare e richiamare l'Accademia al rispetto dei regolamenti e delle istituzioni democratiche; l'autorità provinciale avea forse obbligo di intervenire per l'osservanza della legge, nessuno si mosse, né fiatò. Così per quel concorso annuo che porta il nome del più liberale sovrano d'Europa, in seno dell'Italia libera, non tedesca né francese, nel campo delle arti dette liberali anche sotto i despoti, nella città delle cinque giornate e capitale morale d'Italia, d'ora innanzi nell'amministrazione artistica si governa anche per ukase accademico colle leggi del dispotismo. Fosse almeno un dispotismo intelligente! Eppure sarebbe ridicolo pigliarsela calda. In tale ordine di fatti c'è tanto guasto introdotto da un piccolo gruppo di condottieri che comandano sui grandi sbocchi dell'arte, che non merita l'incomodo di occuparsi delle imprese perpetrate in Milano, le quali poi in fin dei conti sono mere infrazioni e puri calpestij di regolamenti.95

Anche Grubicy, in uno dei suoi interventi, approfittava della decisione del Consiglio per attaccare in maniera violentissima l’Accademia.

92 Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Legati (A-Z). Premio Principe Umberto 1885-1894, Carpi C II 15, Esposizione 1886 – Premi Principe Umberto.

93 Così, ad esempio, avviene nel 1884 (Atti della R. Accademia di Belle Arti in Milano, Manini, Milano 1885, p. 55) e nel 1885.

94 Si tratta di una deliberazione presa durante l’adunanza dell’8 settembre 1886: Archivio Accademia Belle Arti di Milano, Consigli Accademici. Adunanze dall’anno 1881 al 1886, Carpi A, III, 22, Adunanza ordinaria tenuta dal Consiglio Accademico il giorno 8 settembre 1886. Il fascicolo con la relazione della seduta risulta prelevato dalla cartella nel 1905 per il Segretario ma non più ricollocato in sede.

95 L. Chirtani, Esposizione di Belle Arti. I premi ai due grandi concorsi, «Corriere della Sera», XI (1886), 252, 11 settembre 1886, pp. 2-3.

Bisogna sentire che venticello di reazione soffia da qualche mese dai voltoni del palazzo di Brera! Quali parate epiletticamente senili di prepotente autoritarismo vanno escogitando per spaventare i ribelli più timidi e attirare a loro i transfughi ex scapigliati, a cui l’ignavia consiglia ad avvicinarsi alla greppia ufficiale. Per uno di costoro, soccombente nel concorso di Roma, si creò espressamente e per la prima volta una mancia consolatoria di L. 2000, per tenerlo savio e rispettoso nel futuro. La giuria per l’aggiudicazione del premio Umberto di 4000 lire poteva sinora essere nominata dal voto degli esponenti: in caso d’insufficienza nel numero dei voti prescritti – ciò che si verificava quasi sempre – la nomina veniva fatta dall’Accademia (1).

Quest’anno, con draconiana quanto inutile deliberazione, si sopprime un diritto, se non per legge, certo acquisito per l’uso, si toglie agli esponenti il voto, e si infeuda esclusivamente all’Accademia la nomina della Giuria. La sera del 15 corrente scadeva il termine per la consegna dei quadri a Brera. Alle ore due dello stesso giorno il comm. Bertini proclama l’arrivo d’uno splendido quadro del veronese Dall’Oca: tre giorni dopo – cioè tredici giorni prima dell’apertura della Mostra – tutta Milano sapeva che il quadro di Dall’Oca era già stato comperato dal non mai abbastanza sopra lodato comm. Bertini non so se per Brera o per la Galleria Nazionale di Roma. Il re dell’Olimpo non avrebbe potuto escogitare un saggio più sbalorditivo per convincere i miseri mortali della fulminea rapidità della propria onnipotenza!

Non ho visto il quadro, e quindi non mi pronuncio in merito: ma non posso a meno di mettere in rilievo la coincidenza di questi varii atti, che, in fondo, non saranno che di legittima autorità; ma che, per la forma pretoriana della loro applicazione, arieggiano un’ostentazione di autoritarismo abbastanza disgustoso, quando lo si vede messo in opera, nel maneggiare non il proprio, ma il danaro altrui. La considerazione per l’artista, il rispetto pel docente declinando ogni giorno, pare si voglia sostituirvi il terror bianco per gli uni e il favoritismo per altri. […] (1) Per chi nol sapesse, a Milano quando si dice “Accademia” s’intende sempre il professore comm. Bertini, nel quale essa è ormai esclusivamente incarnata, o meglio, pietrificata.96

L’attacco di Grubicy, al quale seguivano altre critiche sui quotidiani in merito alla premiazione di Dall’Oca Bianca, sembrava indicare che l’Accademia stesse malevolmente cercando di attuare una serrata coll’arrogarsi ogni diritto di scelta. In realtà la situazione si stava rivelando realmente