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contraddittorio sulla riservatezza dei lavorator

II) L’accesso agli atti dell’ispezione nell’ambito di indagini di polizia giudiziaria.

Il riconoscimento in capo ai datori di lavoro oggetto di verifica ispettiva di poter accedere agli atti ispettivi, ed in particolare alle dichiarazioni spontanee rese dai lavoratori agli organi di vigilanza in occasione di visite ispettive, costituisce da sempre oggetto di un vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale291.

Tuttavia, la disputa si è di recente nuovamente alimentata a seguito di alcune statuizioni, per lo più contraddittorie, dei giudici amministrativi di primo e secondo grado292.

Prima ancora però di procedere all’analisi della questione specifica appena introdotta occorre preliminarmente evidenziare che costituisce punto fermo dello stato dell’arte il dato che il principio generale della trasparenza degli atti della p.a. subisca, a tutti i livelli, delle limitazioni. Tra queste vi rientrano, in particolare, quelle previste in via generale dalla stessa legge n. 241 del 1990, secondo la quale tutti i documenti amministrativi sono accessibili ad eccezione di quelli indicati all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

Tale ultima affermazione è utile per comprendere perché gli atti dell’accertamento possano essere esclusi dall’accesso al ricorrere di talune circostanze, tra le quali, senza destare particolari perplessità, anche l’ipotesi in cui la verifica - nel caso specifico l’ispezione del lavoro - conduca assuma rilevanza penale.

L’articolo 6, comma 1 e 2, del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124,

«Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di

291

Cfr. Cons. St., sez. VI, sentenza 22 aprile 2008, n. 1842; Id., sentenza 25 giugno 2007, n. 3601; Id., sentenza 13 dicembre 2006, n. 7391; Id., sentenza 13 dicembre 2006, n. 7389; Id., sentenza 29 luglio 2004, n. 5632; Id., sentenza 1 ottobre 2002, n. 5110; Id., sentenza 22 ottobre 2002, n. 5814; Id., sentenza 18 novembre 2000, n. 6012; Id., sentenza 27 gennaio 1999, n. 65; Cons. St., sez. V, sentenza 5 maggio 1999, n. 518; TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, sentenza 4 aprile 2008, n. 501; TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, sentenza 4 aprile 2008, n. 497; TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, sentenza 1 febbraio 2008, n. 900; TAR Lombardia, Brescia, sentenza 20 dicembre 2006, n. 1621; TAR Veneto, sentenza 27 aprile 2006, n.1130; TAR Lazio, Roma, sez. III-ter, sentenza 11 febbraio 2006, n. 1031;TAR Veneto, sentenza 18 gennaio 2006, n. 301; TAR Liguria, sentenza 7 giugno 2002, n. 629; TAR Abruzzo, Pescara, sentenza 23 febbraio 2001, n. 198, tutte consultabili in www.giustizia-

amministrativa.it.

292

In particolare ci si riferisce a T.A.R. Abruzzo, sez. I, sentenza 11 aprile 2008 n. 403; T.A.R. Lazio, sez. III bis, sentenze nn. 5671/10, 5672/2010 e 6915/10; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, 2 febbraio 2010, n. 633; Cons. St., sentenze nn. 1842/08 e 736/09.

lavoro, a norma dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30», stabilisce, come

visto, che «le funzioni di vigilanza in materia di lavoro e di legislazione sociale sono

svolte dal personale ispettivo in forza presso le direzioni regionali e provinciali del lavoro» e che «il personale ispettivo di cui al comma 1, nei limiti del servizio cui e' destinato e secondo le attribuzioni conferite dalla normativa vigente, opera anche in qualità di ufficiale di Polizia giudiziaria».

A differenza, infatti, del personale di vigilanza dell'INPS, dell'INAIL, dell'ENPALS e degli altri enti per i quali sussiste la contribuzione obbligatoria – la cui attività di controllo è rivolta esclusivamente alla verifica del rispetto degli obblighi previdenziali e contributivi, e per il quale è espressamente previsto, al comma 3, che «nell'esercizio delle funzioni non compete la qualifica di ufficiale o di

agente di Polizia giudiziaria» - il personale ispettivo del Ministero del Lavoro e della

Previdenza Sociale esercita, nei limiti del servizio a cui è destinato, e secondo le attribuzioni ad esso conferite dalle singole leggi e dai regolamenti, le funzioni di polizia giudiziaria previste dall’art. 55 del c.p.p.

In sostanza, relativamente all’ambito esclusivo del diritto del lavoro e della legislazione sociale, l’ispettore del lavoro «deve, anche di propria iniziativa,

prendere notizia dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale» (art. 55

c.p.p.).

Sebbene le fattispecie di illecito aventi rilevanza penale siano abbastanza marginali nell’ambito della tutela pubblica del lavoro e della previdenza sociale, data la generale “depenalizzazione” che essa ha conosciuto nel corso degli ultimi anni, residuano tuttora, come sottolineato in dottrina293, ipotesi rispetto alle quali l’ordinamento ha inteso riservare un presidio penale. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’ipotesi di somministrazione illecita di manodopera; a quella di impiego di manodopera minorile; al divieto di controllo a distanza dell’attività lavorativa; al delitto di occupazione di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno; alle fattispecie di reato introdotte dal recente Testo unico in materia di

293

PARISI, Accesso agli atti dell’ispezione e tutela dei lavoratori, in Guida al lavoro, 2006, 25, 30.

salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. 80/2008); ed infine, all’omesso versamento della c.d. quota contributiva a carico dei lavoratori.

Ne deriva, conseguentemente, che rispetto ad accertamenti caratterizzati dalla ricorrenza delle citate ipotesi di reato, il funzionario ispettivo deve - in quanto aventi allo stesso tempo anche natura di indagine giudiziaria - dare priorità assoluta alla segretezza dell’istruttoria penale. Una volta riscontrata l’integrazione della fattispecie penale, deve cioè limitarsi a trasmettere immediatamente la notitia criminis all’autorità giudiziaria penale, che costituisce l’unico soggetto titolare dell’azione penale competente a valutare se consentire o meno all’interessato la visione di atti coperti da segreto istruttorio294.

In tal senso depongono, rispettivamente, gli artt. 329 e 116 del codice di procedura penale, secondo cui, in deroga alla normativa generale, «gli atti d'indagine

compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari», e che «durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti. Sulla richiesta provvede il pubblico ministero o il giudice che procede al momento della presentazione della domanda ovvero, dopo la definizione del procedimento, il presidente del collegio o il giudice che ha emesso il provvedimento di archiviazione o la sentenza»295.

E’ bene precisare, tuttavia, che non ogni atto di denuncia di reato presentato da una pubblica amministrazione all'autorità giudiziaria rientra di per sé solo

294

In tal senso Cons. St., sez. IV, sentenza 13 dicembre 2006, n. 7391, in Guida al lavoro, 2007, 3, 39, con nota diSANTORO, Accesso ai verbali ispettivi: inammissibile in materia penale.

295

Ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 9 marzo 2004, n. 2780, secondo il quale «in

punto di diritto, va rilevato che l’art 24, comma 1 ultima parte, della legge 241/1990 dispone l’esclusione del diritto di accesso nei casi di “segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento”, tra i quali rientra il segreto istruttorio di cui all’art 329 c.p.p. In particolare, gli articoli 329 e 114 del codice di procedura penale disciplinano il regime del segreto degli atti delle indagini preliminari e i relativi divieti di pubblicazione e divulgazione, prevedendo limiti e tempi diversi a seconda del tipo di atto e delle garanzie difensive per esso previste. In virtù di detti divieti la pubblica amministrazione che ha formato l’atto divenuto oggetto di sequestro è vincolata al regime di segretezza e perciò non può rilasciare copia degli atti appresi dall’autorità giudiziaria penale (art 114 c.p.p.). Ciò peraltro non significa che il singolo che abbia interesse alla conoscenza di quegli atti sia sprovvisto di tutela, poiché l’ordinamento prevede che egli possa ottenerne copia dall’autorità giudiziaria penale (art 116 c.p.p.), senza che ciò faccia venir meno il divieto di pubblicazione di cui al sopra citato art 114 c.p.p.; la norma, nell’evidente finalità di contemperare le ragioni della giustizia penale con le ragioni del singolo, attribuisce la competenza a decidere sulla domanda all’autorità giudiziaria procedente (pubblico ministero o giudice) al momento della presentazione dell’istanza».

nell’ambito degli atti coperti da segreto istruttorio penale, come tali sottratti all'accesso “amministrativo”, in quanto se la predetta comunicazione proviene da una pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni istituzionali aventi natura esclusivamente amministrativa (perché, ad esempio, proveniente da un funzionario dell' I.N.P.S.), non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p., che presuppone, come detto, l’esercizio di funzioni di polizia giudiziaria296.

Ciò posto, aspetti di criticità emergono, invece, nell’ipotesi in cui l’istanza di accesso abbia ad oggetto atti – quali, ad esempio, le dichiarazioni rese dai lavoratori297 agli organi di vigilanza in sede di accesso - che nell’ambito dello stesso procedimento ispettivo acquistano valenza sia amministrativa che di indagine di polizia giudiziaria.

Vi sono accertamenti, infatti, che possono portare allo stesso tempo e nei confronti della stessa persona – nella fattispecie, il datore di lavoro - al contemporaneo accertamento di più violazioni aventi diversa natura.

In particolare, non è rara l’ipotesi in cui si riscontrano contemporaneamente sia violazioni penalmente sanzionate, sicché l’ispettore, assumendo la qualifica di organo di polizia giudiziaria, è sottoposto al regime giuridico suindicato, sia violazioni meramente amministrative, rispetto alle quali, quindi, non dovrebbero esserci ostacoli al riconoscimento del diritto all’ostensione.

Deve precisarsi, tuttavia, che l’eventuale istanza di accesso presentata dal datore di lavoro in tali evenienze pone la questione di dover scindere, ove possibile, gli atti aventi rilevanza penale da quelli aventi, di contro, risalto meramente amministrativo.

Ed invero, nel caso contrario, ossia laddove lo stesso atto abbia con riferimento alla medesima vicenda complessivamente intesa entrambe le valenze, deve ritenersi che la disciplina generale dell’accesso di cui alla legge n. 241/1990 sia recessiva a fronte della necessità di tutelare il segreto istruttorio penale.

296

In tal senso, Cons. St., sez. VI, sentenza 13 dicembre 2006, n. 7391 in www.giustizia-

amministrativa.it. In tale ultima ipotesi, infatti, l’atto conserva la sua natura prettamente

amministrativa perché formato da personale che, in quanto non titolare di funzioni di polizia giudiziaria, non è competente all’accertamento di reati. In via approssimativa, può affermarsi che in tali circostanze la comunicazione è come se provenisse da un privato: ossia non riveste il ruolo di

notitia criminis - che nel gergo tecnico è denominata «comunicazione di notizia di reato», c.d. C.N.R.

– ma di mera denuncia. 297

Relativamente all’oggetto delle dichiarazioni che vengono abitualmente assunte dagli ispettori del lavoro vedi infra.

Concludendo, ciò che vuole essere evidenziato è che il combinato disposto degli articoli 329 c.p.p. e 24 cit. determina l’inaccessibilità agli atti accertativi di natura amministrativa che essi siano intimamente connessi ad atti istruttori aventi rilevanza penale298.

298

III) Il regime giuridico in materia di accesso agli atti ispettivi ante e post

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