contra legem
III) Il regime procedimentale del provvedimento di sospensione dalle recenti pronunce del TAR Veneto all’ultimissimo d.lgs 9 aprile 2008, n
(c.d. Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).
L’ultima delle affermazioni svolte costituisce il dato di partenza da cui analizzare le recenti statuizioni offerte sul punto dal T.A.R. Veneto 261 e dalla sezione meneghina del T.A.R. Lombardia262.
Iniziando dal giudice amministrativo veneziano, nelle fattispecie si dibatteva sulla questione dell’applicabilità o meno, al provvedimento di sospensione, delle norme partecipative di cui alla legge n. 241/1990, in particolare quella di cui all’art. 7 cit. ove è sancito l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti.
In entrambe le circostanze, infatti, i datori di lavoro ispezionati si erano rivolti al giudice al fine di vedersi annullare, perchè non avvisati dell’avvio del procedimento, il provvedimento della Direzione provinciale del lavoro di Vicenza con i quali era stata disposta la sospensione dell’attività imprenditoriale svolta dai ricorrenti, essendo stata accertata, in sede di accesso ispettivo, l’impiego da parte degli stessi di personale c.d. in nero in misura superiore al 20 %.
Ebbene, per mezzo delle due citate decisioni, sbrigativamente adottate in forma semplificata, il Tribunale amministrativo adito ebbe modo di statuire testualmente che «non vi sono elementi da cui si possa desumere che ai procedimenti in subiecta materia non si applicano le norme generali di cui alla l. n. 241/1990, e,
così, le previsioni di cui all’art. 7 della stessa sulla comunicazione d’avvio del procedimento».
Nelle occasioni riportate, quindi, i giudici veneziani, presupponendo, a ragione, la natura amministrativa del provvedimento amministrativo, ritennero conseguentemente applicabile la disciplina di cui alla legge sul procedimento
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Cfr. T.A.R. Veneto, sentenza 24 ottobre 2007, n. 3614; Id., 7 novembre 2007, n. 3909; Id., 15 maggio 2008, n. 1391. Tutte le citate pronunce sono consultabili sul sito internet www.giustizia-
amministrativa.it
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amministrativo, e quindi anche la previsione riguardante l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento.
Relativamente a tale ultima specifica questione - che, come si vedrà, non poco ha influenzato la stesura del testo dell’art. 14 del recente Testo Unico - non possono non muoversi però una serie di obiezioni, di opportunità, prima, e giuridiche, poi, trattandosi di obbligo legislativo non applicabile al provvedimento di sospensione perché ontologicamente e giuridicamente incompatibile.
Nelle fattispecie esaminate, infatti, i giudici hanno dimostrano di non conoscere in modo approfondito come inizia e come si svolge un procedimento ispettivo in materia di lavoro: nel riprendere quanto esposto in precedenza263, occorre ricordare che il potere di accesso “a sorpresa” in azienda degli organi ispettivi del Ministero del lavoro e della previdenza sociale è disciplinato dal d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124, recante norme di «Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia
di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell’art. 8 della L 14 febbraio 2003, n. 30», oltre che, ovviamente, dalla legge 24 novembre 1981, n. 689.
Articolati normativi che, per ovvi motivi, non prevedono che prima dell’accesso ispettivo - volto alla verifica del rispetto della normativa legislativa e contrattuale in materia di lavoro – venga effettuata la comunicazione di inizio del procedimento sanzionatorio.
Se a quanto esposto si aggiunge la riflessione che il provvedimento di sospensione, seppur amministrativo, si innesta nell’ambito di un procedimento ispettivo già iniziato - essendo lo stesso adottabile solo allorquando si sia riscontrata, contestualmente all’accesso ispettivo, la ricorrenza della condizione percentuale precedentemente esposta, e ciò al fine di azzerare immediatamente i fattori di pericolo che minacciano la sicurezza dei luoghi di lavoro - si comprende: che prima dell’accesso ispettivo non può effettuarsi alcuna comunicazione di avvio non essendo ancora stati accertati i presupposti normativi della sospensione – e, quindi, non essendo ancora iniziato il sub-procedimento amministrativo vero e proprio; e che la comunicazione non potrebbe comunque essere effettuata, in via preventiva al datore
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di lavoro, per ovvie ragioni di opportunità, facendo parte l’ispezione in materia di lavoro delle c.d. attività “a sorpresa”.
Inoltre, a ciò si aggiunga: che se l’avviso di avvio del procedimento venisse comunque adottato in sede di accesso ispettivo, dopo aver accertato i presupposti legali ma prima dell’adozione del provvedimento di sospensione, lo stesso brillerebbe per inutilità – essendo le parti già venute in contatto - e sarebbe, anzi, in contrasto con il principio del divieto di aggravamento del procedimento di cui al comma 2 dell’art. 1 della stessa legge n. 241/1990; che, se il funzionario ispettivo, sempre in sede di accesso, comunque comunicasse al datore di lavoro l’avvio del procedimento di sospensione al fine di «dargli un termine per garantirgli il diritto
d’intervento, e valutare solo in seguito se emettere o meno il provvedimento, le finalità cautelari che presiedono a questa misura verrebbero vanificate»264
irrimediabilmente.
A tal ultimo proposito è utile ricordare le responsabilità in cui potrebbe incorre l’ispettore nell’eventualità che, terminati gli accertamenti ispettivi, e abbandonato il luogo di lavoro senza aver adottato il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, si verificasse un infortunio265.
Tali considerazioni di carattere strettamente operativo altro non sono, in realtà, il riflesso delle attente valutazioni, di ordine giuridico e soprattutto normativo, che sottendono l’istituto della comunicazione di avvio del procedimento.
Relativamente alle prime, è noto, ai sensi dell’art. 7, comma 1, cit., che l’amministrazione è tenuta a comunicare il predetto avvio ai diretti destinatari del provvedimento finale, a coloro che per legge debbono intervenire nel procedimento,
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ARIANO, op. cit., 3. 265
Responsabilità di natura sia penale, per lesioni colpose o omicidio colposo, che civile, secondo il disposto di cui all’art. 2043 c.c. La stessa disposizione – di dubbia comprensione – di cui al comma 11 bis dell’art. 14 cit., nella parte in cui dispone che «in ogni caso di sospensione […] gli
effetti della sospensione possono essere fatti decorrere dalle ore dodici del giorno lavorativo successivo […], salvo che non si riscontrino situazioni di pericolo imminente o di grave rischio per la salute dei lavoratori o di terzi» non contraddice il ragionamento esposto. Al di là del fatto che ogni
rischio della salute dovrebbe avere la stessa considerazione normativa non potendo distinguersi tra rischio grave e non grave, ed al di là del fatto che la disposizione attribuisce una facoltà e non il dovere di postergare gli effetti del provvedimento alle ore dodici del giorno successivo alla sua adozione, ciò che non confuta ma anzi conferma il ragionamento è il fatto che la norma presuppone la distinzione tra adozione del provvedimento e decorrenza degli effetti dello stesso. La norma dice, in sostanza, che il provvedimento ha effetti dalle ore dodici del giorno seguente e non che il provvedimento deve essere adottato il giorno seguente.
e ai soggetti, individuati o facilmente individuabili, che possono ricevere un pregiudizio dal provvedimento medesimo. In proposito pare evidente, riflettendo sulle categorie di soggetti ai quali la comunicazione deve essere rivolta, ed in particolare avendo riguardo ai soggetti “pregiudicati”, come in tanto questi ultimi possono essere correttamente avvisati in quanto l’amministrazione, nel momento in cui pone in essere l’atto di iniziativa, abbia già riscontrato una situazione di fatto dai contorni sufficientemente definiti, perché soltanto in presenza di tali elementi è possibile per l’amministrazione assolvere all’obbligo in questione (tant’è che ai sensi dell’art. 8, comma 2, l’amministrazione ha, tra gli altri, l’obbligo di indicare nella comunicazione l’oggetto del procedimento)266.
Nell’atto di iniziativa dev’esserci, infatti, in via provvisoria tutto ciò che poi verrà compiutamente svolto e risolto nel procedimento, e cioè: la qualificazione dei fatti, l’interpretazione del dato normativo, la valutazione degli interessi (primari e secondari), nonché, infine, la determinazione del contenuto della decisione, e dunque la previsione degli effetti giuridici che si produrranno con l’adozione del provvedimento.
La conoscenza preventiva degli elementi “fattuali” non può logicamente essere presente, invece, nel caso del provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, perché ancora non vi è stato alcun contatto (id est, l’accesso ispettivo) con la controparte.
Allo stesso modo, dal punto di vista strettamente normativo non può non osservarsi come lo stesso art. 7 della legge 241/1990, invocato dal Tribunale amministrativo veneziano quale parametro normativo per l’annullamento del provvedimento di sospensione impugnato, espressamente prevede, in apertura del comma 1, che l’avviso di avvio del procedimento non deve essere comunicato ove «sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del
procedimento», ed in chiusura del secondo comma, che «resta salva la facoltà dell’amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari».
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ZITO, Considerazioni sui profili funzionali del procedimento alla luce della legge n. 241 del
Esigenze di celerità che, in quanto sottese alla ratio della norma che attribuisce il potere di sospensione, certamente ricorrono qualora in sede ispettiva venga accertata la presenza di quei fattori tipici presuntivamente assunti dalla norma a fonti di pericolo per l’integrità psicofisica dei lavoratori.
Senza tacere, per completezza, che in base al disposto di cui al citato comma 2, il funzionario ispettivo incaricato potrebbe – astrattamente - dapprima adottare il provvedimento cautelare sospensivo e poi comunicare al soggetto ispezionato la facoltà di partecipare alle fasi immediatamente successive del procedimento, depositando le memorie e gli scritti difensivi a cui agli articoli 7 e 10 sono finalizzati. Ipotesi quest’ultima che comunque renderebbe inutile la comunicazione di avvio “posticipata”, se si considera che, come detto, il provvedimento di sospensione contiene già tutte le notizie che sono previste per la comunicazione di avvio, e che le garanzie partecipative, seppur ex post, sono già riconosciute al datore di lavoro ispezionato dalla normativa ispettiva di settore di cui alla legge n. 689/1981 ed al d.lgs. n. 124/2004267.
Sicché, in conclusione, la legge n. 241/1990, seppur legge generale del procedimento amministrativo, deve ritenersi applicabile al provvedimento di sospensione tenendo però presente le peculiarità specifiche che connotano quest’ultimo e che lo differenziano da un ordinario provvedimento amministrativo, se non altro perché il relativo procedimento di adozione si inserisce, come sub- procedimento, in quello avente inizialmente natura marcatamente ispettiva.
Ma un’ulteriore riflessione critica si impone nei confronti delle conclusioni raggiunte dal T.A.R. del Veneto nelle citate pronunce “gemelle”.
Si è visto che il secondo periodo del comma 2 dell’art. 21 octies della legge 241/1990, come modificato dalla novella del 2005, espressamente prevede che il
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Il riferimento è, in particolare, al comma primo dell’art. 18 della Legge n. 689/1981, a tenore del quale «entro il termine di trenta giorni dalla data di contestazione o notificazione della
violazione, gli interessati possono far pervenire all’autorità competente a ricevere il rapporto a norma dell’art. 17 scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità». Come si vede il procedimento ispettivo è già improntato ai caratteri del contraddittorio,
concedendo ai soggetti privati ampie facoltà di interlocuzione con l’autorità procedente. In tal senso SANTORO, op. cit, a mente del quale, in un certo senso, «le previsioni della legge n. 689 hanno
anticipato i principi della Legge n. 241: si pensi, oltre al principio del contraddittorio e di difesa del soggetto privato, contemplato nell’art. 18, comma 1, Legge n. 689/1981, al principio della motivazione del provvedimento di cui all’art. 18, comma 2».
giudice amministrativo adito non possa annullare, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, il provvedimento amministrativo - quand’anche di natura discrezionale - qualora «l’amministrazione dimostri in giudizio che il
contenuto dello stesso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato».
La disposizione citata importa, quindi, che i provvedimenti sospensivi, adottati dagli ispettori del lavoro vicentini e sottoposti al vaglio del giudice veneziano, avrebbero dovuto conoscere, in realtà, un epilogo diverso dall’annullamento per mera violazione della norma sul procedimento prevista dall’art. 7 cit., considerato, tra l’altro, l’interesse sostanziale dagli stessi perseguito.
Questi, infatti, avrebbero dovuto, all’occorrenza, o essere annullati per eccesso di potere – essendo stati adottati sulla base dell’erronea valutazione circa la ricorrenza del presupposto previsto per la loro adozione dall’art. 14 cit. - oppure essere “salvati” dal giudice qualora l’amministrazione avesse dimostrato in giudizio l’esistenza effettiva del citato presupposto e che, conseguentemente, il loro contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato268.
Nel tentativo di porre riparo all’errore commesso - consistito nell’aver trascurato la sussumibilità della fattispecie sottoposta al vaglio sotto l’alveo dell’eccezione prevista, alla regola generale, dall’inciso iniziale dell’ art. 7 cit - il T.A.R. veneziano, in una pronuncia di poco successiva269, si supera - nuovamente errando - affermando che «il provvedimento di sospensione dell’attività
imprenditoriale […] non sfugge all’applicazione delle norme di cui alla legge n. 241/1990, tra le quali l’art. 7 della stessa legge sulla comunicazione di avvio del procedimento, stante la possibilità per l’amministrazione procedente, in ipotesi di urgenza determinata dall’esigenza di evitare un pregiudizio alla salute ed all’incolumità delle persone, di adottare comunque provvedimenti cautelari, in assenza della suddetta comunicazione, ai sensi del comma 2 dello stesso art. 7 cit.».
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A tal proposito, per onestà intellettuale si sottolinea che le sentenze, in quanto adottate in forma semplificata, non evidenziano se l’Amministrazione abbia omesso ovvero non sia stata in grado di provare la ricorrenza dei presupposti - e quindi, a cascata, la legittimità contenutistica del provvedimento sospensivo - oppure se il giudice abbia ritenuto non assolto l’onus probandi.
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In sostanza, secondo il ragionamento del T.A.R. adito il provvedimento di sospensione adottato dalla D.p.l. competente doveva ritenersi illegittimo - e per questo è stato annullato - in quanto l’organo procedente non ha seguito l’iter delineato dal comma 2 del citato art 7 .
Secondo il giudice amministrativo, piuttosto che adottare immediatamente il provvedimento di sospensione, nella fattispecie (pur connotata dai caratteri di urgenza) si sarebbe dovuto procedere dapprima adottando il provvedimento cautelare/interinale del divieto di accesso nell’impresa (rectius, allontanamento) del presunto lavoratore irregolare – che comunque garantisce la sicurezza delle lavorazioni - e, successivamente, si sarebbe dovuto procedere provvedendo ad effettuare la comunicazione “posticipata” di avvio del procedimento che porta all’adozione della sospensione. Ciò in quanto, secondo il Collegio adito, l’art 7 cit. «consente di assumere provvedimenti cautelari interinali per l’intervallo necessario
a consentire la partecipazione».
Il ragionamento esposto, seppur interessante prime facie, non convince però per due ordini di motivi.
In primo luogo non si capisce come sia giuridicamente concepibile la possibilità di adottare un provvedimento cautelare in via interinale ( divieto di accesso o allontanamento del lavoratore irregolare) rispetto ad un provvedimento (quello di sospensione dell’attività imprenditoriale) anch’esso avente natura cautelare. Il T.A.R. si inventa, cioè, l’agere amministrativo cautelare della cautelare.
In secondo luogo, non può non rilevarsi che la ratio sottesa all’art. 7 cit. è costituita unicamente dal riconoscere in capo all’amministrazione la possibilità di omettere, in un primo momento, la comunicazione posticipandola ad un momento successivo – id est, dopo essere intervenuta in via cautelare - e non quella di implicitamente riconoscere in capo alla p.a. un generalizzato potere cautelare atipico, alla stregua, per intenderci, di quanto è previsto in favore del giudice amministrativo dall’art. 21, comma 8, della legge n. 1034 del 1971 (c.d. legge T.A.R.) ove però è expressis verbis stabilito che il giudice può provvedere alla «emanazione di misure cautelari […] che appaiono, secondo le circostanze, più
Si è visto270, infatti, che i poteri della pubblica amministrazione - a differenza di quelli giurisdizionali - devono essere tipici e prevedibili in base al principio di legalità (rectius, democraticità dell’azione amministrativa), per cui non è ammissibile né un riconoscimento implicito di poteri amministrativi - come si avrebbe nella fattispecie - né il riconoscimento in via espressa di un potere talmente generico che, nella sostanza, altro non costituirebbe se non la mera elusione del principio di legalità medesimo271.
Ne deriva, conseguentemente, che alcun potere di allontanamento in via interinale poteva essere esercitato nell’occasione dall’organo ispettivo procedente, attesa l’assenza di una espressa previsione legislativa in tal senso.
Le acquisizioni critiche raggiunte sono state fatte proprie, invece, da una recente sentenza del T.A.R. meneghino272, il quale ha avuto modo di mettere in risalto che il legislatore ha derogato alla regola generale di cui all’art 17, comma 1, lett. b) del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 - che attribuisce ai dirigenti preposti agli uffici il potere di adottare provvedimenti amministrativi – perché nel caso del provvedimento di sospensione sussiste una «urgenza» che «è insita nella loro stessa
funzione», sicché «non ha rilievo, contrariamente a quanto sostenuto in giurisprudenza (cfr. T.A.R. Veneto, sez. III, 15/05/2008, n. 1391), il mancato inoltro dell’avviso di avvio del procedimento: quando l’urgenza è insita nel provvedimento, la p.a. può anche non provvedere a tale incombente, senza che sia necessaria in proposito alcuna particolare motivazione specifica. In ogni caso, trattandosi di atto
270
Cfr. par. I, cap. I, sez. I. 271
Deve essere detto, a tal proposito, che la soluzione prospettata dal T.A.R. Veneto trovava in realtà un avallo nella Direttiva c.d. Sacconi (Direttiva del Ministro del Lavoro datata 18 settembre 2008) ove si prevedeva la possibilità di un intervallo temporale, tale da consentire appunto l’adozione del provvedimento interinale di allontanamento, tra l’accertamento dell’irregolarità e l’adozione del provvedimento sospensivo. Ivi era previsto, infatti, che «si ritiene che la sospensione possa essere
adottata normalmente con decorrenza dalle ore 12 del giorno successivo». Previsione quest’ultima,
però, che non essendo prevista a livello legislativo non aveva altra natura che di indirizzo meramente programmatico.; sia, come detto, in alcuni orientamenti dottrinari – D.PAPA, Il potere di sospensione
dell’attività imprenditoriale dopo il correttivo al T.U., in www.adapt.it – che espressamente
ipotizzavano la possibilità del mero allontanamento del lavoratore irregolare, tralasciando di indicare, però, il fondamento legale di tale potere. Ne è riprova la circostanza che solo nell’ipotesi in cui il lavoratore irregolare sia anche un immigrato clandestino, assumendo la sua presenza nel territorio rilevanza penale, è possibile allontanarlo dal luogo di lavoro, e ciò intanto è possibile in quanto venga formalmente sottoposto in stato di arresto in flagranza.
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vincolato il cui contenuto è predeterminato dalla legge, è applicabile alla fattispecie l’art. 21 octies, comma secondo, della legge 7 agosto 1990, n. 241»273.
Ma le sentenze del T.A.R. veneziano e di quello meneghino non hanno in sé nulla di veramente originale se non per comprendere l’assurdità della disposizione di cui all’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 14 del Testo Unico, che testualmente recita: «ai provvedimenti del presente articolo non si applicano le disposizioni di cui
alla legge 7 agosto 1990, n. 241».
E’ accaduto, infatti, che il legislatore, spinto dalla necessità di evitare che gli indirizzi pretori, sebbene differenti, del Tribunale amministrativo veneziano e di quello meneghino - in merito alla applicazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990 al provvedimento sospensivo - fossero fatti propri da altri giudici amministrativi, è intervenuto con la disposizione appena citata approntando, a parere di chi scrive, “una cura peggiore della malattia”.
Al di là della riflessione che le citate vicende processuali, se avessero avuto il tempo richiesto dalla giustizia, avrebbero trovato la propria soluzione nella diversa e più opportuna sede, ossia dinanzi al Consiglio di Stato in sede di appello, quel che realmente preme evidenziare è che aberranti sono le conseguenze che potrebbero delinearsi a seguito del suddetto intervento normativo.
In prima battuta, l’esclusione tranchant dell’applicazione della legge n. 241/1990, pur non incidendo, automaticamente, sulla natura del provvedimento sospensivo - che è e resta misura amministrativa a finalità cautelare non potendosi comunque ammettere una conversione automatica della stessa in misura esclusivamente sanzionatoria non condividendone le finalità - importa, per assurdo, la creazione di un vulnus normativo.
Si vuole in sostanza sottolineare che non essendo più cogenti in toto le disposizioni procedimentali dettate dalla legge n. 241/1990 e non essendo allo stesso tempo applicabili quelle di cui alla legge n. 689/1981 - non avendo la sospensione natura di sanzione amministrativa pecuniaria così come richiesto dagli art. 12 e 13 e
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In tema di provvedimenti amministrativi che in quanto urgenti non necessitano di essere preannunciati può citarsi, a titolo esemplificativo, il caso del provvedimento di espulsione adottato dal