contraddittorio sulla riservatezza dei lavorator
III) Il regime giuridico in materia di accesso agli atti ispettivi ante e post legge n 15 del 2005 299
Lo scenario delineato si complica però notevolmente se si volge lo sguardo al regime giuridico degli atti ispettivi aventi rilevanza esclusivamente amministrativa.
In primis occorre muovere dall’articolo 12, comma 11, del Decreto direttoriale
20 aprile 2006 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, recante «Codice
di comportamento degli ispettori del lavoro», ove è stabilito che «nessuna copia delle dichiarazioni deve essere rilasciata al lavoratore e/o al soggetto ispezionato in sede di ispezione e sino alla conclusione degli accertamenti. L'eventuale richiesta di accesso alle dichiarazioni deve essere rivolta direttamente all'Amministrazione».
La citata disposizione si spiega agevolmente considerando che il titolare del “fascicolo ispettivo” non è il singolo ispettore che provvede ad effettuare la visita ispettiva o che istruisce l’accertamento bensì l’Ufficio a cui quest’ultimo appartiene, ovvero nella fattispecie, la Direzione provinciale del lavoro (D.P.L.) presso la quale l’ispettore è addetto, sicché eventuali richieste di estrazione di copia delle dichiarazioni devono essere presentate direttamente all’Amministrazione che provvederà secondo legge.
Tale ultima osservazione richiama allo stesso tempo la necessità di esporre i riferimenti normativi essenziali, rispetto ai quali assumono particolare importanza le modifiche recentemente apportate dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15.
Precedentemente a quest’ultimo intervento normativo, infatti, il regime giuridico dei casi di esclusione del diritto di accesso agli atti ispettivi conosceva un certo ordine - logico e soprattutto giuridico – sotto il profilo della gerarchia delle fonti.
Più precisamente, il previgente testo dell’articolo 24 cit., da un lato, escludeva l’accesso con riferimento ai documenti coperti da segreto di Stato o da divieto di divulgazione «altrimenti previsti dall’ordinamento» (trattasi, quest’ultimi, di divieti riconducibili a situazioni di segreto che, pur non costituendo strictu sensu segreto di Stato, pur tuttavia, concernono notizie relative a fatti la cui tutela si coordina con la difesa dei segreti di Stato , propriamente detti, e tra questi: il segreto militare; il
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Ai fini della presente ricerca si sottolinea che alcuna modifica è stata apportata dalla legge n. 69 del 2009 alla legge 241/1990 con riferimento ai limiti all’accesso agli atti amministrativi.
segreto industriale; il segreto commerciale; il segreto professionale; il segreto bancario; il segreto epistolare300); dall'altro, rinviava ad uno o più regolamenti governativi per la disciplina delle modalità di esercizio del diritto di accesso nei casi in cui vi fosse l’ esigenza di salvaguardare, tra l’altro, la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati sempre la visione degli atti la cui conoscenza era necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici.
A scalare, quindi, delegava alle singole pubbliche amministrazioni l’individuazione, con uno o più regolamenti ministeriali, delle categorie di documenti, da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità, sottratti all’accesso per le predette esigenze di riservatezza di cui al regolamento governativo. L’amministrazione poteva rifiutare motivatamente l’accesso solo sulla base delle previsioni contenute nei regolamenti, quello generale adottato dal Governo e quelli specifici adottati da ogni singola amministrazione301.
In sintesi, i regolamenti ministeriali dovevano procedere all’individuazione dei tipi di atti da sottrarre all’accesso al fine di escludere ogni profilo di discrezionalità sul piano applicativo. Le previsioni regolamentari, infine, non potevano legittimamente né estendere né restringere i casi di esclusione del diritto di accesso.
E così, con riferimento all’ambito del diritto del lavoro, la riservatezza dei lavoratori era oggetto della combinata disciplina oltre che della legge n. 241/1990, sia del regolamento governativo di cui al d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352 - che dettava, appunto, le modalità di esercizio dell’acceso, garantendo comunque e sempre all’istante la visione degli atti necessari per curare o difendere interessi giuridici – sia, infine, del regolamento del Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale adottato con decreto ministeriale 4 novembre 1994, n. 757, recante disciplina «concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero
300
Così, T.A.R. Puglia, Bari, 22 aprile 2004, 2031. 301
CARANTA,FERRARIS, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005, 202.
del lavoro e della Previdenza sociale sottratti al diritto di accesso, ai sensi dell’articolo 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241»302.
Nel rinviare al paragrafo successivo l’analisi puntuale del testo ministeriale, in questa sede ci si limita a segnalare che, come già affermato, mentre antecedentemente alla novella del 2005 vi era una ben delimitata linearità verticale nella gerarchia delle fonti, altrettanto non può più affermarsi, attualmente, in relazione all’articolato normativo statale vigente.
Nel riscrivere l’articolo 24, infatti, la citata legge di riforma n. 15 del 2005, da una parte, amplia lo spettro delle ipotesi in cui il diritto di accesso è escluso per motivi di segreto di Stato o di divieto di divulgazione, rinviando non solo, come in passato, ai casi espressamente previsti dalla legge, ma aggiungendo anche quelli individuati con regolamento governativo o dalle singole pubbliche amministrazioni con regolamento ministeriale; dall'altro, limita lo spazio di intervento in tal senso delle singole pubbliche amministrazioni, essendo le stesse oggi chiamate ad individuare esclusivamente quelle categorie di documenti - da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità - sottratti all’accesso per gli anzidetti motivi «di segreto di Stato o di divieto di divulgazione».
La disciplina del rapporto tra accesso e riservatezza, infatti, viene oggi riservata in via esclusiva alla competenza dei regolamenti governativi da adottare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della L 23 agosto 1988, n. 400. In tal senso dispone l’art. 24, comma 6, cit. ove è testualmente previsto che «il Governo può prevedere casi di
sottrazione all’accesso di documenti amministrativi […] quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni».
Allo stesso tempo, resta tuttavia ancora fermo e vigente il principio per cui deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici (art. 24, comma 7, cit).
Sintetizzando, il raffronto dell’articolato normativo precedente con l’attuale segnala, in parte qua, che le modifiche più rilevanti si incentrano principalmente, da
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Anche gli Enti previdenziali, in ragione delle proprie competenze, hanno provveduto in tal senso con l’emanazione, rispettivamente, del provvedimento I.N.P.S. n. 1951 del 16 febbraio 1994 e del regolamento I.N.A.I.L. 13 gennaio 2000, n. 5.
un lato, sulla circostanza che le singole pubbliche amministrazioni sono autorizzate ad individuare le categorie di documenti sottratti all’accesso non più, come in precedenza, con riferimento alle esigenze di riservatezza – perché, come visto, la formulazione attuale dell’art. 24 cit. a differenza della precedente rinvia esclusivamente ad un regolamento di livello governativo - ma esclusivamente in relazione alle ipotesi previste dal comma primo in punto di segreto di Stato o di divieto di divulgazione; dall’altro, che nel caso in cui la conoscenza dell’atto è necessaria per curare o difendere interessi giuridici, all’interessato debba comunque essere garantito l’accesso pieno al documento, e non più, come antecedentemente, nella limitata forma modale della sola visione303.
In questa direzione si è collocata la recente pregevolissima statuizione del T.A.R. Emilia Romagna304 che, nell’affrontare la fattispecie sottoposta al vaglio, ha stabilito che «prima delle recenti modifiche normative, l'art. 24 prevedeva, al comma
4, l'obbligo per le singole amministrazioni "di individuare, con uno o più regolamenti [...], le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all'accesso per le esigenze di cui al comma 2", tra le quali era compresa, alla lett. d), quella di salvaguardare "la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici". Il nuovo testo dell’art. 24, come sostituito dall'art. 16, legge 11 febbraio 2005 n. 15, al comma 1 esclude il diritto di accesso solo: a) per i documenti coperti da segreto di Stato, e nei casi di segreto o di divieto
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L’ultima modifica evidenziata è scaturita dalla considerazione che la semplice visione dei documenti importa comunque una lesione agli interessi di riservatezza che si intende preservare, sicché la scelta che si impone è esclusivamente quella di consentire, o meno, in toto l’accesso all’atto. A tal proposito, ex multis, Cons. St., sez. VI, 14 novembre 2003, n. 7296, ove si legge che «del resto,
come già osservato dalla giurisprudenza (cfr. C.d.S., sez. IV, 26 ottobre 1999, n. 1627), il preteso scorporo della facoltà di esame del documento da quello di estrazione non sarebbe idoneo a tutelare nessuno dei confliggenti interessi in gioco: non quello – alla riservatezza – dei terzi, giacché il richiedente avrebbe, comunque, conoscenza del documento; non quello – alla difesa – del richiedente che, in mancanza della copia del documento, non potrebbe finalizzarne l’accesso ad un uso giuridico». La nuova regola, in realtà, è oggetto di un vivace dibattito, egregiamente riassunto da DI
MARIO, Accesso a fini difensivi e tutela dei dati personali non sensibili: superato in anticipo l’accesso
parziale, nota a Cons. St., sez. VI, 20 aprile 2006, n. 2233, in UA, 2006, 8, 947. Secondo una prima
tesi si tratta di una imprecisione che non travolge la vecchia distinzione tra visione ed estrazione di copia. Altra tesi, invece, afferma il definitivo superamento dell’accesso c.d. parziale. Una terza impostazione, infine, ritiene che la norma lascerebbe all’amministrazione il compito di trovare un contemperamento attraverso la schermatura dei dati riservati.
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di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2; b) nei procedimenti tributari; c) nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta all'emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. In definitiva, con specifico riferimento ai rapporti tra accesso e riservatezza, la nuova disciplina contenuta nell'art. 24 della legge n. 241/1990, come sostituito dall'art. 16 della legge n. 15/2005, appresta al primo una tutela più ampia che in passato, sotto due distinti profili. Innanzitutto, l'individuazione dei casi in cui l'accesso può essere escluso per ragioni, tra l'altro, di riservatezza, può aver luogo solo con il regolamento governativo (comma 6, lett. d), mentre alle singole amministrazioni viene sottratta ogni potestà d'intervento in materia. In secondo luogo, mentre nell'originaria versione dell'art. 24, secondo quanto prevedeva il comma 2, lettera d), l'accesso a documenti riservati era limitato alla sola "visione" degli atti amministrativi necessari alla cura dei propri interessi, nell'attuale versione dell'art. 24, come sostituito dall'art. 16 della legge 15/2005, tale previsione è stata sostituita dal nuovo comma 7, ai sensi del quale "deve comunque essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici". In sostanza, la tutela dell'istante, prima limitata alla visione degli atti, viene quindi estesa all'onnicomprensivo concetto di "accesso" che - secondo la definizione contenuta nell'art. 22, comma 1, lettera a) della L. 241/90, come sostituito dall'art. 15 della legge n. 15/2005 - include sia la visione degli atti che l'estrazione di copia».
Ai segnalati mutamenti del testo normativo dell’art. 24 cit., non ha fatto seguito, tuttavia, alcuna modifica di livello ministeriale con riferimento al regolamento n. 757 del 1994, sicché la questione che prioritariamente si pone è quella di stabilire se sia ancora così scontata l’affermazione che vede il citato decreto ministeriale tuttora giuridicamente vigente.
Antecedentemente alla recente – viene da dire, illuminante e perciò isolata - pronuncia del T.A.R. Emilia305, la giurisprudenza amministrativa non si era mai posta la questione in tali termini, avendo sempre ragionato sulla base del presupposto che il decreto ministeriale conservasse, ancora oggi, una propria ragion d’essere, ossia un’efficacia giuridica vigente.
Anticipando quanto si vedrà oltre, le numerose pronunce che sono intervenute sull’argomento successivamente all’entrata in vigore delle modifiche apportate nel 2005 hanno sempre sottinteso l’attuale perdurare del d.m. n. 757 avendo stabilito, con eccessiva disinvoltura, o che il regolamento ministeriale debba essere disapplicato306-307, in quanto in contrasto con il comma 7 dell’art. 24308, o che debba essere negato, stante la vigenza del d.m. n. 757, l’accesso agli atti ispettivi 309.
Nel tentativo di dare, all’assunto giurisprudenziale - implicito e scontato - della persistente vigenza del regolamento ministeriale n. 757/1994, una giustificazione piuttosto esplicita e ragionata, l’unica possibile ricostruzione percorribile è quella, difficilmente plausibile, che rinviene il referente normativo nell’attuale articolo 24, comma 1, della legge n. 241/1990.
Sintetizzando, potrebbe sostenersi che, anche se l’articolo 2 del d.m. continua a giustificare la sottrazione al diritto di accesso di talune categorie di atti «in relazione
305
Il riferimento è, come si vedrà, alla recentissima ed illuminante pronuncia del T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, sentenza 2 febbraio 2010, n. 633.
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I presupposti richiesti dalla c.d. disapplicazione normativa, che si determina, è bene ricordarlo, in base al principio della gerarchia delle fonti, sono, da un lato, che i testi normativi appartengano ad ordini diversi della stessa scala gerarchica, dall’altro, ovviamente, la contemporanea vigenza nell’ordinamento di entrambi.
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Disapplicazione che poteva dirsi scontata nel caso del datore di lavoro stante sempre la necessità, da parte di quest’ultimo, di curare e difendere i propri interessi, come richiesto dalla norma, trattandosi di istanza presentata da un soggetto qualificato interventore necessario ex art. 10 della legge n. 241/1990, ricorrendo, cioè, l’ipotesi di c.d. accesso endoprocediemtale, rispetto al quale, come è noto, l’ineresse a partecipare, id est la legittimazione all’accesso, è in re ipsa.
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Cons. St., Sez. VI, sentenza 24 ottobre 2006, n. 7389 ove testualmente si legge che «l’art. 2,
comma 1, lett. c) D.M. 4 novembre 1994, n. 757, che sottrae al diritto di accesso le dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione di indagini ispettive a carico del loro datore di lavoro fino a quando non sia cessato il rapporto, si pone in palese contrasto con l’art. 24 della L. 7 agosto 1990, n. 241, per il quale il diritto alla riservatezza recede di fronte al diritto di difesa, e pertanto deve essere disapplicato in virtù del principio generale secondo il quale, nel conflitto fra due norme diverse, occorre dare preminenza a quella legislativa rispetto alla norma regolamentare ogni volta che questa precluda l’esercizio di un diritto soggettivo».; TAR Veneto, sentenza 16 gennaio 2006, n. 301; TAR
Lombardia, Milano, sez, III, sentenza 8 marzo 2007, n. 405; TAR Piemonte, sez. I, sentenza 14 dicembre 2005 n. 4022, in www.giustizia-amministrativa.it. Si segnala che già precedentemente alla novella del 2005 l’orientamento giurisprudenziale maggioritario era volto a disapplicare il regolamento: in tale prospettiva Cons. St., Ad. Pl., sentenza 4 febbraio 1997, n.5; Cons. St., sentenza 10 aprile 2003, n. 1923, in www.giustizia-amministrativa.it.
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alla esigenza di salvaguardare la vita privata e la riservatezza di persone»
(richiamando così l’art. 24, comma 4, cit. testo previgente310), attualmente lo stesso troverebbe copertura nella parte in cui la versione, attuale e vigente, dell’art. 24, comma 1, dispone l’esclusione del «diritto di accesso […] nei casi di segreto o di
divieto di divulgazione espressamente previsti [….] dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2».
Senonchè, tale tipo di spiegazione non solo non è plausibile311 e non è stata mai esplicitamente svolta, ma viene ripetutamente smentita dalla giurisprudenza amministrativa.
A titolo esemplificativo, può farsi riferimento alla recente affermazione del Consiglio di Stato, contenuta nella sentenza 22 aprile 2008, n. 1842, secondo la quale l’odierna versione dell’«articolo 24 della legge n. 241/1990312, che disciplina i casi di
310
Per comodità si riporta, di seguito, l’intero testo del previdente art. 24, della legge n. 241/1990, antecedentemente alle modifiche introdotte dalla legge n.15 del 2005: «1. Il diritto di
accesso è escluso per i documenti coperti da segreto di Stato ai sensi dell’ articolo 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, per quelli relativi ai procedimenti previsti dal decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8 convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 e successive modificazioni, e dal decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119 e successive modificazioni nonché nei casi di segreto o di divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento. 2. Il Governo è autorizzato ad emanare, ai sensi del comma 2 dell’ art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti intesi a disciplinare le modalità di esercizio del diritto di accesso e gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare:[…] d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici.3. […] 4. Le singole amministrazioni hanno l’obbligo di individuare, con uno o più regolamenti da emanarsi entro i sei mesi successivi, le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso per le esigenze di cui al comma 2. 5.[…]. 6. I soggetti indicati nell’articolo 23 hanno facoltà di differire l’accesso ai documenti richiesti sino a quando la conoscenza di essi possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Non è comunque ammesso l’accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’articolo 13, salvo diverse disposizioni di legge».
311
La non plausibilità della ricostruzione – secondo la quale l’attuale vigenza del d.m. 757/1994 si giustificherebbe in forza del comma 1 dell’art. 24 cit. (testo vigente) - deriva dal fatto che i singoli atti sottratti dal D.m. alla disciplina dell’accesso non hanno alcun collegamento con il segreto di Stato e né possono essere ricondotti ad un divieto di divulgazione genericamente inteso. Anche quest’ultimo, infatti, deve intendersi come collegato ad una esigenza di segretezza statale diversa da quella connessa alla mera riservatezza delle persone, stante quanto disposto, successivamente, in modo espresso dal comma 6 dell’art. 24, cit. (testo vigente), altrimenti inutile.
312
Per aiutare la comprensione del ragionamento, si riporta, anche in questo caso, la versione vigente del richiamato art. 24 cit.: «1. Il diritto di accesso é escluso: a) per i documenti coperti da
segreto di Stato ai sensi della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e successive modificazioni, e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, dal regolamento governativo di cui al comma 6 e dalle pubbliche amministrazioni ai sensi del comma 2 del presente articolo; b) nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano; c) nei confronti dell’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le
esclusione dal diritto in questione, prevede al sesto comma i casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare” (di natura governativa però, n.d.r.) «e fra questi – al punto d) – quelli relativi a “documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni”, e che “in via attuativa, il D.M. 4.11.1994, n. 757 (Regolamento concernente le categorie di documenti, formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al diritto di accesso) inserisce fra tali categorie – all’art. 2, lettere b) e c) – i documenti contenenti le richieste di intervento dell’Ispettorato del Lavoro, nonché i documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie, o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi»313.
E’ evidente, infatti, che nella riportata pronuncia il Consiglio di Stato da un lato cita l’attuale testo della lettera d) dell’articolo 24, comma 6, della legge n. 241 del 1990, come modificato nel 2005 - che, come detto, rinvia in via esclusiva ad un regolamento governativo - dall’altro afferma che il d.m. n. 757 - adottato nel 1994 in attuazione di quel superato ordine normativo dettato, illo tempore, dal vecchio art. 24, comma 4, cit. - è attuativo delle esigenze di riservatezza di cui al corrente comma sesto, quando in realtà, a normativa vigente, le pubbliche amministrazioni sono competenti ad individuare le singole categorie di atti sottratti all’accesso con
particolari norme che ne regolano la formazione; d) nei procedimenti selettivi, nei confronti dei documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi. 2. Le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso ai sensi del comma 1. 3.[…]. 4.[…]. 5. I documenti contenenti informazioni connesse agli interessi di cui al comma 1 sono considerati segreti solo nell’ambito e nei limiti di tale connessione. A tale fine le pubbliche amministrazioni fissano, per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso. 6. Con regolamento, adottato ai sensi dell’ articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi: […] d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone