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2. L’insegnamento di lingua e cultura araba a Treviso presso la direzione del

2.2 Accoglienza da parte del territorio di Treviso

Al Professor Driss Guella, uno dei due docenti arrivati in Veneto nel Marzo del 2006, sono state assegnate cinque scuole primarie delle province di Treviso e Vicenza90: la “Pascoli” di Rosà, la “Campesano” di Bassano del Grappa, la “Bombieri” di Valstagna, la “Masaccio” di Castelfranco Veneto e la “Primo Maggio” di Treviso. La scuola Primo Maggio di Treviso, nella quale abbiamo indagato più nello specifico la storia e l’andamento dei corsi svoltisi dal 2006 al 2008, è una scuola che si distingue da anni per l’alto numero di studenti stranieri iscritti. Se il carattere di scuola multiculturale e plurilingue è condiviso anche da molte altre scuole del territorio trevisano, la scuola Primo Maggio, è un’eccezione nel panorama delle scuole del territorio per quanto riguarda le scelte intraprese in questi anni per favorire la messa in pratica nelle classi di un’educazione interculturale. Questo è avvenuto soprattutto grazie al fatto che la scuola è la scuola capofila della Rete per gli studenti stranieri di Treviso (rete che nasce nel 2000 e di cui oggi fanno parte 33 istituzioni scolastiche del Comune di Treviso), ed è dunque una delle scuole dove maggiormente si è lavorato per sensibilizzare e formare i docenti sulle tematiche dell’intercultura, del plurilinguismo e delle lingue e culture d’origine.91

90 Ci è stato possibile incontrare il docente inviato dal Regno del Marocco, Driss Guella, nel Settembre del 2011, e grazie alla Sua testimonianza abbiamo potuto ripercorrere le tappe più importanti della Sua missione in Italia, gettando luce su alcuni momenti, come quello della fine dei corsi istituzionali, su cui non ci è stato possibile rintracciare alcun altra traccia presso gli uffici competenti, e di cui nessuno sembra oggi sapere più nulla. Inoltre ci è stato, così, possibile compiere un’osservazione dei corsi che, attualmente, il docente segue presso due associazioni marocchine: una di Montebelluna e una di Oderzo. Nel prossimo capitolo faremo un’analisi approfondita del corso da lui seguito presso l’associazione “Senza Frontiere” di Montebelluna, che ci permetterà di mettere a fuoco le diversità tra questa nuova esperienza didattica e quella precedente, illustrata in questo capitolo.

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Nella Provincia di Treviso, in adempimento del D.P.R. 275/99, sono state istituite nove reti per l’integrazione degli alunni stranieri, che si sono date obiettivi comuni e promuovono azioni condivise. Le finalità delle suddette reti, secondo il documento del 19 Febbraio 2010, redatto da Paola Pasqualon, referente provinciale delle Reti, sono così definite:

 “Promuovere e diffondere la cultura dell’integrazione;

 Svolgere una funzione di coordinamento delle esperienze, di consulenza e di documentazione;

 Curare l’elaborazione di un progetto unitario di accoglienza e supporto agli alunni stranieri ed alle loro famiglie, con il coinvolgimento dei Comuni, degli Enti Locali, delle Associazioni, delle Università;

 Formare i docenti”.

Citiamo inoltre alcuni esempi di materiali prodotti in questi anni dalle reti di Treviso secondo il suddetto rapporto del 2010:

 Protocolli, procedure per l’applicazione del protocollo;

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Come abbiamo già sottolineato, uno dei principali obiettivi del progetto di insegnamento della lingua araba e della cultura marocchina era il desiderio, condiviso dal Marocco e dall’Italia, che i corsi di mantenimento della lingua e cultura d’origine potessero svolgersi in un contesto sicuro e controllato, dove non potessero infiltrarsi persone o inclinazioni ideologiche di tipo islamista, e in modo che fossero perseguiti gli obiettivi di interculturalità e plurilinguismo previsti dalle normative europee, grazie al controllo e al supporto degli istituti scolastici italiani. Tuttavia, nonostante le premesse e gli obiettivi del corso, non sono mancate le contestazioni e le polemiche soprattutto a livello locale, per arginare le quali la scuola ha dovuto ricorrere a diverse strategie per non affossare del tutto gli obiettivi e le sorti dell’iniziativa.

A partire da Gennaio nei giornali di Treviso sono iniziati a scorrere fiumi di inchiostro sull’argomento, con interventi più o meno favorevoli all’iniziativa. Ci occuperemo qui di riportare alcune delle opinioni espresse negli articoli, cercando di non dare adito alle polemiche di tipo demagogico e, come ha definito il sociologo Renzo Guolo dall’“evidente sapore pre-elettorale”, che hanno occupato gran parte della stampa di quel periodo, ma focalizzandoci sugli interventi a nostro parere più interessanti per contestualizzare i corsi di arabo nell’ambito territoriale di Treviso. Per dare un’idea della polemica sollevatasi cito solo i titoli più scioccanti apparsi nel periodo precedente l’arrivo del docente marocchino:

“Muraro: «Opponiamoci a un’iniziativa che ha solo lo scopo di far capire il Corano»” Da Il Gazzettino di Treviso del 12 Gennaio 2006.

“Zaia: «Arabo a scuola, i vescovi si ribellino»” da La Tribuna di Treviso del 14 Gennaio 2006, pag. 2.

“Luca Zaia sui corsi facoltativi alle elementari: «Insegnare l’arabo mina l’identità cristiana»”

 Schede di raccordo tra laboratorio IL2 e attività di classe;  Documenti sulla valutazione degli alunni;

 Questionari per indagare i livelli di integrazione delle prime e seconde generazioni;  Testi semplificati e attività stratificate;

 Monitoraggi gestione corsi IL2;

 Schede progetto insegnamento IL2, educazione interculturale;  Corsi lingua d’origine;

 Allestimento e gestione mostre;  Bibliografie e sitografie;

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da Il Gazzettino di Treviso del 14 Gennaio 2006, pag. III.

“Zaia si appella alla Curia sull’iniziativa: «I Vescovi fermino le lezioni di arabo»” dal Corriere del Veneto del 14 Gennaio 2006, pag. 9.

“Lega in rivolta contro le lezioni ai piccoli magrebini. Zaia: «Così violentiamo i nostri figli.» Il sociologo: «ottima idea, se evita fondamentalismi.»

MURARO: «L’ARABO SCUOLA DI BARBARIE»

Il presidente della Provincia spara sui nuovi corsi: legittimano aberrazioni.” da La Tribuna di Tv del 18 Gennaio, pag. 17

Citiamo le prime righe di quest’ultimo articolo da “La Tribuna”, decisamente forte per le illazioni in esso contenute, per dare un’idea dei vertici che la polemica ha toccato e di quali sono stati i temi usati dagli esponenti politici leghisti per contrastare l’iniziativa proposta dalla Direzione scolastica regionale - e che, ricordiamo, era stata approvata da un governo di destra in cui era presente la Lega stessa -

Muraro e la Lega stroncano i corsi di arabo a scuola. «Non possiamo rischiare di compromettere la nostra cultura, di azzerare le nostre radici – dice il Presidente della Provincia – si badi bene: l’insegnamento dell’arabo ha la funzione primaria di comprendere e recitare bene il testo coranico. Non solo: dare la possibilità ai figli di musulmani di conoscere le loro tradizioni significa legittimare le aberrazioni della loro cultura, come il non riconoscimento dei diritti umani, la sottomissione della donna, la poligamia, la barbara macellazione secondo il rito islamico. La nostra comunità non deve assistere impotente a questa esagerazione di permessi: basta.» Sono i termini del “no” di Leonardo Muraro ai corsi d’arabo nelle scuole trevigiane.” [E ancora poco dopo] “Mi rivolgo ai sindaci: opponiamoci insieme a questi soprusi.

Attraverso l’uso della stampa c’è stato anche chi ha cercato di rispondere alle polemiche evidentemente “surreali” della Lega, spiegando i termini e le condizioni dell’iniziativa, per cercare di rassicurare la popolazione. Il coordinatore regionale della Margherita Diego Bottaccin sostiene:

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Gli Stati con un’immigrazione più antica della nostra conoscono molto bene l’importanza proprio dell’integrazione degli extracomunitari di seconda e terza generazione. Proprio per questi giovani che non sentono più le proprie radici nel paese di provenienza, ma non si sentono neanche integrati in quello in cui vivono, è più alto il rischio di marginalità e devianza. E lo dimostrano gli alti tassi di devianza riscontrati in Francia [...] e in Svizzera proprio tra i ragazzi figli di immigrati già da tempo stanziati in un paese straniero.” Poi aggiunge “è chiaro che l’insegnante straniero deve essere assolutamente selezionato dalla scuola dove andrà a lavorare. [..] Va in ogni modo prevenuto con la massima determinazione il crearsi di sacche di sottocultura favorevoli a sostenere la diffusione del terrorismo. È un pericolo reale che non va sottovalutato.92

Il dibattito si è poi pian piano allargato, anche nei giornali, all’ambito che gli era proprio, cioè quello del tipo di integrazione che il nostro stato ha scelto di portare avanti, e della problematica dell’inserimento nella società italiana delle seconde generazioni di migranti. Infatti, come sostengono alcuni esponenti politici negli articoli del periodo, i ragazzi stranieri, che oggi riempiono le scuole italiane e che faranno sempre più parte a pieno titolo della nostra popolazione e del nostro sistema civile, rischiano di essere emarginati e di conoscere fenomeni di esclusione sociale, che potrebbero condurre ad una crisi sociale, e allo scoppio di rivolte e di fenomeni di devianza. Tuttavia, non tutti sono d’accordo con questo discorso: per alcuni l’integrazione deve passare attraverso l’apprendimento della lingua e cultura italiana, e veneta. Qualsiasi altra conoscenza pregressa, o parallela, sembra poter minare una buona integrazione e poter danneggiare un processo scolastico e di alfabetizzazione equilibrato di questi ragazzi. L’idea che giace sotto questi interventi è chiaramente quella di un’Italia monoculturale e monolingue, che non accetta, anzi, teme la diversità, e non sa apprezzare la ricchezza proveniente dalle storie e dalle culture altre dalla nostra. Questo tipo di posizioni, come vediamo dagli articoli dei quotidiani di quel periodo, finiscono per alimentare ancor di più la paura: paura che la diversità possa minare la base del nostro stato e della nostra cultura, come se il confronto non sia in grado di arricchire entrambi, ma sia una perdita e una minaccia per la nostra “identità italiana”. Su questa linea è la dichiarazione dell’assessore regionale

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all’istruzione Elena Donazzan (An), che cerca di opporsi all’iniziativa; tuttavia è costretta a realizzare che l’Ufficio scolastico regionale non fa altro che eseguire ordini ricevuti dal Ministero, per cui non si può contrastare in alcun modo l’iniziativa:

Ho verificato con l’Ufficio scolastico: non possiamo intervenire. Ma resto contraria: l’integrazione e la didattica devono passare per la lingua italiana e le regole della società in cui gli allievi stranieri vivono, cioè quella veneta. Già ora evidenziano difficoltà di apprendimento legate alla lingua, che spesso frenano la crescita dell’intera classe: la novità rischia di peggiorare la situazione. Farò il possibile perché le lezioni di arabo siano affiancate da approfondimenti alternativi su tradizioni, dialetto e feste del Veneto.

La sostiene anche il governatore della regione Giancarlo Galan:

La cultura di norma mal sopporta limiti e divieti, ma se si tratta di scuola e istruzione occorrono fondamenta solide e funzionali allo scopo, che per noi è l’Europa. Dobbiamo intenderci con gli altri europei, pertanto le nostre priorità sono altre rispetto all’arabo.

Ma negli schieramenti di destra non tutti condividono queste posizioni e le opinioni sono diverse anche all’interno degli stessi partiti. L’assessore all’Economia Fabio Gava ribatte:

Disporre di uno strumento in più per restare competivi nel nostro Paese è un’ottima occasione per le nuove generazioni, il dialetto e le tradizioni locali uno può impararle a casa.

Il senatore Gianpietro Favaro gli fa eco:

Il vero obiettivo finale è l’integrazione e tale progetto va in questa direzione, è un arricchimento che onora l’autonomia scolastica e la libertà di scelta delle famiglie. Resta inteso che i bambini devono conoscere anche italiano e inglese.

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Ancora, anche l’onorevole di An Maurizio Saia, contraddice la collega di partito Donazzan dichiarando:

Il corso di arabo va incoraggiato e non combattuto, è il modo migliore per evitare la nascita di pericolose scuole interne alle moschee e per trasmettere ai musulmani la legalità. L’importante è vigilare sulle lezioni e impedire eventuali estremismi.93

Come vediamo da questi interventi, il clima politico è teso e controverso, nessuno si esime dal commentare l’iniziativa, che, nonostante tutti gli sforzi degli attori scolastici coinvolti, finisce sulla prima pagina di tutti i giornali locali, dalla Tribuna al Corriere di Treviso. Se i Dirigenti scolastici speravano di riuscire a far passare l’iniziativa in sordina, al contrario l’obiettivo di alcuni esponenti locali della Lega è quello di suscitare clamore: l’allora vice-presidente della Regione Veneto Luca Zaia, dichiara che “porterà avanti la sua contestazione con tutti i mezzi possibili per attirare attenzione sulla questione” (da Corriere della Sera, del 24 Gennaio 2006, pag. 2). Tuttavia è interessante notare come, tra le polemiche fine a sé stesse, e le esagerazioni politiche tipiche del panorama italiano contemporaneo, compaiono pareri discordanti anche all’interno degli schieramenti e dei partiti. Emblematica da questo punto di vista la frattura interna alla Lega: mentre in Parlamento il partito aveva approvato l’iniziativa, tanto che la Legge del 24 marzo 2003, n.79, accanto alle firme di Berlusconi e del Presidente della repubblica Ciampi, ha il visto di Roberto Castelli, ministro Guardasigilli della lega, in Veneto vi è una forte contestazione all’iniziativa, e chi inizialmente si era dimostrato favorevole, è costretto dai compagni di partito ad un brusco dietro front. D’altra parte i concetti implicati nella questione del mantenimento della lingua d’origine come fattore d’integrazione sono necessariamente fonte di forte dibattito: sembra esserci una totale divergenza tra i diversi schieramenti e tra i vari attori politici sulla definizione di concetti quali identità, cultura e cittadinanza.94 Inoltre il dibattito aumenta ulteriormente quando si tratta di capire che cosa è veramente prioritario per la scuola e per la società italiana. Tra le righe degli

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Gli ultimi cinque interventi sono estratti dal “Corriere del Veneto” del 22 Gennaio 2006. 94

Per una trattazione di questi argomenti in relazione alla questione del mantenimento della lingua e cultura d’origine vedi il paragrafo 1.1.1.

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articoli di quel caldo periodo compaiono dichiarazioni emblematiche in questo senso come quella dell’Assessore regionale all’Istruzione, Elena Donazzan (An):

La mia è una netta contrarietà a un progetto che non è culturale, ma scolastico e quindi educativo. Un conto è la cultura – ha specificato l’assessore – e un altro è l’educazione, che essendo anche educazione civica non può essere in continua mutazione: ciò porterebbe all’esatto contrario, alla chiusura, alla creazione di micro comunità fra loro semplicemente diverse e tutte insieme diverse dal tutto.95

Oppure ancora il presidente della Provincia si discosta dicendo:

Dissento da questa iniziativa. Prima che insegnare l’arabo, ai bambini marocchini si insegni a rispettare le leggi italiane, le nostre regole. Non mi scandalizza il corso, mi scandalizza però il fatto che le priorità erano ben altre.96

Di fronte a questo sollevamento generale, il ruolo dei Dirigenti e delle amministrazioni scolastiche è diventato fondamentale. Le scuole interessate hanno cercato per lo più di restare ai margini del dibattito, per non essere coinvolte e per non alimentare ulteriormente la polemica. Certamente però il clima esterno non ha contribuito a far partire i corsi sotto i migliori auspici. Fortunatamente, alla scuola Primo Maggio di Treviso il Dirigente e i suoi collaboratori non erano nuovi a questo tipo di problemi. Cito un passo dell’intervista al Dirigente scolastico e alla responsabile della rete per gli alunni stranieri, che ci spiega come il clima politico ha influenzato la posizione assunta dai diversi attori scolastici coinvolti.

I: Da come ho visto anch’io l’iniziativa è stata fatta partire in una veste sperimentale, e forse ha risentito anche, come diceva anche Lei prima, del fatto che per l’USR era più che altro un adempimento da compiere più che un’iniziativa propria...

C: Sì, un adempimento... perché veniva attuata in un territorio dove non c’era un ambiente particolarmente favorevole! Immagino che Lei abbia avuto modo di recuperare gli articoli di giornali di quel periodo. Io ad esempio personalmente ho cercato di mantenere un basso profilo. Ad esempio prima che

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Da “Corriere del Veneto” del 21 Gennaio 2006, pag.6. 96 Da “La Tribuna di Treviso”, del 18 gennaio 2006 pag. 17.

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il corso fosse avviato si è alzato un polverone e io ho cercato di non essere coinvolto mantenendo un basso profilo perché correvamo il rischio di far fallire tutto come a Castello di Godego. Abbiamo aspettato, diciamo, che passasse la tempesta. Poi abbiamo agito, e comunque alla fine siamo riusciti a cavarcela senza troppi problemi.

P: Si in quel primo periodo, tenendo all’esterno la nostra scuola, non ci sono state contestazioni o contenziosi sui corsi.

C: Anche perché personalmente, piuttosto che finire sui giornali, ho ritenuto di dover andare a parlare direttamente con influenti esponenti politici della città, per spiegare loro di cosa si trattava. Perché attraverso la stampa, in effetti era uscita qualche imprecisione, ad esempio si faceva molta confusione sul fatto che il corso veniva proposto anche agli alunni italiani, o che ci fosse una libertà di accesso, o che il corso potesse avere un’espansione oltre misura...

P: E che ci fosse una diffusione del Corano...

I: Quello che dovrebbe essere un fattore positivo, di apertura, è stato dunque percepito come una minaccia...

C: Sì, e siccome noi sapevamo di queste preoccupazioni che ci potevano essere a livello politico, abbiamo cercato di tutelarci. Perché chiaramente se l’ambiente politico fosse stato diverso, sarebbe potuta essere un’opportunità! Le dirò che qualcuno mi aveva telefonato per sapere che cosa doveva fare per iscriversi al corso, parlo di adulti italiani che avevano l’interesse di frequentare dei corsi di arabo.

P: Anche gli anni successivi ci sono state di queste richieste. Alcuni bambini sono andati a Venezia dalla Miola a premere affinché noi li accettassimo, o figli di coppie miste, o figli di italiani che magari lavoravano all’estero. Ma noi non avevamo proprio i numeri per poterlo permettere. Hanno insistito anche a lungo con l’Ufficio Scolastico Regionale.97

Dunque, “se l’ambiente politico fosse stato diverso”, i corsi avrebbero potuto essere un’opportunità maggiore e più estesa per le scuole e per il territorio. Se ci fosse stato uno spazio più favorevole e un clima più aperto al dialogo e al sostegno dell’iniziativa, si sarebbe anche potuto dare risposta alle ulteriori richieste di chi voleva accedere ai corsi, ma era impossibilitato a causa dei numeri molto limitati di alunni e di classi gestibili dai due insegnanti.

97 Dall’intervista all’allora Dirigente Scolastico della scuola Primo Maggio di Treviso e alla Professoressa Paola Pasqualon, referente della rete per gli studenti stranieri, avvenuta in data 16 Febbraio 2012 presso la scuola stessa.

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Le risposte dei dirigenti scolastici sono apparse sui giornali solo qualche settimana dopo lo scoppio della prima grossa polemica e cercavano di ridonare profondità e senso all’iniziativa ormai in corso di avvio. Il Dirigente della Primo Maggio di Treviso, Caminiti, dichiara:

L’alunno apprende con maggiore serenità la cultura italiana se conosce bene la propria. È una questione di sicurezza.98

Il Dirigente dell’Istituto capofila per l’iniziativa a Vicenza, Lorenzo Battistin spiega ulteriormente:

Così i bambini possono mantenere i contatti con la propria cultura d’origine, apprezzando ed accogliendo anche quella del paese che li ospita. Il nostro scopo è di agevolare la riuscita scolastica dei bambini e consentire loro un adattamento armonioso nel contesto in cui vivono.99

Il direttore del secondo circolo didattico Pierluigi Furlanetto aggiunge:

L’inserimento è migliore se c’è anche uno strumento linguistico che aiuta a dar voce alla loro cultura. [...] C’è chi vede nell’ iniziativa un attentato alle nostre radici. Il confronto con le altre culture non è mai un attentato. [...] Nell’incontro con le altre culture io vedo un rafforzamento del sé non una perdita del sé.100

Tra le voci che si levano a favore dei corsi ricordiamo in particolare quella del sociologo Renzo Guolo, esperto di Islam, movimenti fondamentalisti e dei rapporti tra gli attori politici e sociali nazionali con l’Islam italiano, che all’interno di un’intervista rilasciata a “La Tribuna” di Treviso, e pubblicata il 17 Gennaio, dichiara:

Questo corso è il risultato di un accordo tra Stati e tende ad evitare che l’associazionismo islamico, particolarmente vivo, provveda da sé all’insegnamento dell’arabo e quindi del Corano. [...] Questo è un tentativo di de-ideologizzare l’insegnamento. È un dato di fatto che quasi tutte le

98 Da “La Tribuna” di Treviso del 18 Marzo. 99

Da “Metropoli” del 19 Febbraio 2006

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associazioni islamiche, altrimenti, creino doposcuola domenicali e corsi per i propri figli in cui davvero le lezioni impartite sono fuori da ogni controllo”.