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1. Quadro normativo e contesto sociolinguistico

1.2 Contesto linguistico e socio-culturale

1.2.2 Caratteristiche del bilinguismo delle seconde generazioni di arabofoni

In questo paragrafo ci soffermeremo a delineare il contesto socio-culturale e linguistico dei ragazzi stranieri che saranno l’oggetto del nostro successivo studio. Le informazioni che daremo qui non sono certo esaustive per definire tutte le caratteristiche del dibattito sulle seconde generazioni di migranti e sulla loro specifica situazione linguistica, tuttavia, illustreremo qui gli elementi teorici necessari per spiegare alcuni degli aspetti che emergeranno nell’analisi dei corsi da noi studiati. In particolare questi dati saranno fondamentali per spiegare i paragrafi che dedicherò, nel terzo capitolo (3.1.3 e 3.2.3), ad illustrare il confronto tra prime e seconde generazioni di migranti, e sull’influenza che tale confronto ha sull’impostazione della scuola, in un contesto in cui sono i genitori stessi, in quanto membri dell’associazione che gestisce la scuola, ad influenzare fortemente gli obiettivi e le modalità di gestione dei corsi.

Il primo fattore fondamentale da sottolineare è che l’oggetto di questo studio è il mantenimento della lingua e cultura d’origine per dei ragazzi che sono prevalentemente seconde generazioni di migranti: non si tratta dunque di ragazzi che hanno personalmente vissuto la migrazione, ma che sono nati nel paese dove, da poco o lungo tempo, risiedevano i genitori. In questo contesto si verifica un forte allontanamento tra le due generazioni, genitori e figli, in quanto questi ultimi vivono un’esperienza e una relazione totalmente differente rispetto ai genitori, con il paese d’origine e il paese di residenza. Di conseguenza il passaggio dalla prima alla seconda generazione può risultare, a seconda dei casi, più o meno traumatico, così come il livello di inserimento dei figli nella società in cui nascono, potrà essere più o meno riuscito ed equilibrato. Tra le diverse forme di “discontinuità” cognitive, comportamentali e sociali, che si attuano nel passaggio tra prime e seconde generazioni di migranti, quella più significativa per la nostra discussione è sicuramente la specifica ricerca di identità che necessariamente affrontano i figli nell’età in cui avviene il loro personale ricollocamento nella società e nel mondo, attraverso la messa in discussione dei valori e delle tradizioni familiari. Questo

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passaggio, fisiologico e tipico dell’età adolescenziale, normalmente è caratterizzato dall’oscillazione tra due tendenze di origine opposta: il bisogno di sentirsi uguali e parte del contesto d’origine, e il desiderio di essere diversi e autonomi da questo. Nel caso dei figli di migranti, tuttavia, questa ricerca si amplifica a causa della distanza culturale che si genera, tipicamente, tra prime e seconde generazioni: per loro la costruzione identitaria assume il carattere di una personalissima ricerca di definizione di un’identità che non è per nulla già definita e data, e deve farsi strada e negoziarsi in due contesti, quello familiare, e quello societario, che potrebbero percepirli entrambi come antagonisti e stranieri. E come spiega Ambrosini:

Dalla dinamica conflittuale delle difficili conciliazioni di ruolo possono nascere crisi a diversi livelli: individuale (crisi identitarie), familiare (conflitti intergenerazionali), sociale e culturale (reinvenzione o reinterpretazione radicale della cultura d’origine)72

.

Non possiamo ora occuparci delle conseguenze che queste dinamiche possono causare a livello sociale, soprattutto in termini delle possibili aspettative e “dissonanze” (ad esempio molto frequente quella tra socializzazione culturale implicitamente riuscita ed esclusione socioeconomica73) legate all’inserimento nel mondo del lavoro e della “res publica”. È questo un capitolo che in Italia dovrebbe oggi essere condotto in termini di riflessione preventiva ed individuazione di politiche future. Qui ci vorremmo occupare solo di delineare alcune delle traiettorie che nascono all’interno delle famiglie nel confronto tra prime e seconde generazioni. La famiglia infatti, prima ancora della scuola, è l’istituzione sociale in cui le seconde generazioni ricevono gli input fondamentali che li indirizzeranno verso una crescita equilibrata o disequilibrata rispetto ai due mondi di appartenenza, e nelle difficoltà dell’inserimento nella società italiana. Le maggiori differenze che nascono tra prime e seconde generazioni, come conferma anche quanto emerge dall’osservazione del nostro contesto di studio74, sono la diversa integrazione culturale e sociale nell’ambiente circostante, e la padronanza comunicativa e formale nella lingua

72 M. Ambrosini; Seconde generazioni. Un’introduzione al futuro dell’immigrazione in Italia; F. Agnelli, Torino, 2004; pag. XV.

73 È molto frequente, nelle società europee, l’emergere di discontinuità di tipo occupazionale. In questo ambito, infatti, emerge con forza tutto lo squilibrio tra le aspettative di integrazione dei migranti e le reali possibilità di soddisfarle attraverso il raggiungimento di un’elevazione sociale e professionale. Numerose possono essere le cause: discriminazioni, percorsi scolastici deboli o frammentati, concentrazione in aree povere di opportunità lavorative). Altri tipi di dissonanze sono quelle di tipo politico-civile, per cui, all’inserimento del migrante nella società, alle volte non vi è corrispondenza nella dimensione del riconoscimento della cittadinanza e del diritto di voto.

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italiana. I figli, infatti, immersi totalmente nella cultura del paese di residenza, e formati nelle scuole italiane, acquisiscono una comprensione e una dimestichezza molto maggiore con azioni, abitudini, procedure, modi di dire e simboli dei loro coetanei. Inoltre in molte famiglie i genitori non acquisiscono un buon livello di competenza nella lingua italiana, e i figli, al contrario, hanno una competenza solo limitata nella lingua madre dei genitori: si generano così dei forti problemi comunicativi che caratterizzano e rendono tipico e difficoltoso il rapporto genitori- figli nelle famiglie di migranti. Questo aspetto della difficoltà comunicativa in famiglia è molto rilevante perché determina il primo grosso distaccamento da parte dei figli nei confronti della condizione socio-culturale di emarginazione e non inserimento dei genitori nei confronti della società in cui risiedono. Inoltre genera un forte distacco tra le due generazioni: genitori e figli avranno sempre di più la sensazione di lontananza l’uno dall’altro, con la conseguenza anche di una notevole difficoltà a istituire una vicendevole relazione affettiva positiva. Infatti mentre la fase della prima infanzia è caratterizzata dall'uso totalitario e onnipresente della L1, attraverso un linguaggio semplice, pragmatico e affettivo75, con la scolarizzazione i bambini passano da questo linguaggio pragmatico in L1 ad un linguaggio via via più articolato e complesso.

Ma questo passaggio – così come l’accesso alla lingua scritta, che rappresenta la norma e la separazione dal mondo dell’infanzia, avvengono in L2, attraverso le nuove parole e il nuovo alfabeto. Dal punto di vista linguistico quindi i figli lasciano i genitori "sull'altra riva" e anzi diventano essi stessi spesso i portavoce e i traduttori delle comunicazioni e dei bisogni familiari nei confronti dell'esterno e dei servizi. Avviene dunque una sorta di ribaltamento dei ruoli tra le generazioni: il genitore ridiventa infans in L2 (letteralmente colui che non parla) e i figli acquisiscono il "potere linguistico" (e la eccessiva responsabilizzazione) che derivano dal fatto di saper capire, interagire, controllare la nuova realtà. La madrelingua, mezzo di comunicazione inter-famigliare, se debolmente sostenuta a casa e nella comunità linguistica di L1, rischia così di fossilizzarsi e di ridursi negli usi e nei domini. Questa sorta di bilinguismo sottrattivo può rendere limitata e molto ridotta la comunicazione all'interno del nucleo familiare. I genitori si rivolgono ai figli in L1 e questi rispondono in italiano, oppure anche gli adulti possono adottare la L2 che però si presenta rigida, "legnosa", priva di sfumature, emozioni e chiaroscuri. La prescrizione implicita o esplicitata, nei confronti dell'uso della lingua materna, norme psicopedagogiche errate, [...] precludono in modo arbitrario un'area di contatto psico- affettivo molto importante tra genitori e figli e determinano una sorta di artificiosa scissione nel mondo interno degli adulti e dei bambini. Da parte dei figli vi può essere,

75 Questo ci richiama al fatto che la competenza linguistica nella L1 delle seconde generazioni risulta spesso molto limitata e frammentata, in quanto il lessico e le strutture apprese risalgono solamente a questa prima fase infantile, dell’inculturazione e della socializzazione iniziali, in cui il linguaggio è sempre informale e affettivo, quotidiano e concreto.

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inoltre, una dolorosa sensazione di esilio dal mondo affettivo dei genitori e lo sviluppo di un sentimento di vergogna nei confronti della propria L1.76

Queste sono le considerazioni espresse da Graziella Favaro in merito alla situazione linguistica e al rapporto tra prime e seconde generazioni nell’intervento “Parole a più voci: alunni stranieri tra «prima» e «seconda» lingua” all’interno del volume curato dal Comune di Venezia e pubblicato nel 2008 sulla situazione delle lingue d’origine dei ragazzi stranieri delle scuole veneziane.

In una situazione così complessa come quella sopra delineata, che ricalca precisamente le esperienze delle famiglie da me incontrate, il clima di tensione che si genera tra le due generazioni potrà facilmente influenzare molto negativamente una costruzione identitaria equilibrata, creando un handicap notevole nei ragazzi, che si sentiranno poco sicuri e poco legati alla loro cultura e alle loro origini. Infatti, prosegue la Favaro:

l'incapacità di parlare in maniera adeguata la lingua della propria famiglia può rendere il figlio estraneo nei confronti della storia famigliare e delle origini: da qui un vissuto di provvisorietà, di sentirsi ai margini dei due mondi. Può succedere allora che durante l'adolescenza si riprenda interesse per quella stessa lingua nei confronti della quale si è provato in precedenza un senso di vergogna e di rifiuto.77

Come dicevamo precedentemente questo emergere di discontinuità all’interno delle famiglie, seppur problematico, ha una natura prettamente fisiologica e può essere gestito dall’individuo come una normale fase di maturazione, come delineato nelle ultime righe della Favaro. Può succedere, però – e la situazione da noi rilevata non ci sembra molto distante da queste condizioni - che la ricerca di definizione del ragazzo, seppur fisiologica, si inserisca da una parte in un contesto di diffidenza da parte della società ospitante e di difficoltà di inserimento e successo socio- professionale, e dall’altra parte in un contesto di eccessivo controllo e “inculcazione” culturale da parte delle famiglie: il processo di costruzione identitaria in questo caso può diventare fonte di forti disagi e tensioni intergenerazionali e sociali, che in alcuni stati europei hanno dato origine a drammatici fenomeni di rivolta sociale e di reinvenzione radicale della cultura d’origine.

76 FAVARO G. “Parole a più voci: alunni stranieri tra “prima” e “seconda” lingua in FRIGO V. COLORIO C. (a cura di) Tante lingue a scuola: riconoscere e valorizzare le lingue d’origine degli

alunni stranieri; Comune di Venezia, Assessorato alle Politiche Educative; 2008; pag. 19-20.

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In sintesi Ambrosini identifica sei aspetti che caratterizzano la particolare relazione che si instaura tra prime e seconde generazioni:

 Il fenomeno del rovesciamento dei ruoli, quando il figlio grazie alla maggiore padronanza della lingua e alla maggiore capacità di movimento nella società, diventa una guida per il genitore stesso, aiutandolo e supportandolo nei rapporti con le amministrazioni pubbliche, scolastiche ecc.

 La precoce perdita di autorevolezza e capacità educativa da parte dei genitori, non supportati da una forte rete parentale e di vicinato.

 Le tendenze dei figli a fuoriuscire dalle forme di integrazione subalterna accettate dai padri.

 La resistenza nei confronti della trasmissione di modelli culturali ispirati alla società di origine.

 I conflitti intergenerazionali.

 Le problematiche di genere e di equilibri interni alle famiglie: infatti le pressioni conformistiche sono normalmente più forti nei confronti delle figlie. Uno degli aspetti fondamentali, dunque, della particolare situazione dei ragazzi di seconda generazione, rispetto ai loro coetanei italiani o appena giunti da un paese straniero, è il loro particolare repertorio linguistico. Non si tratta, infatti, di ragazzi, la cui L1 è senza dubbio una lingua straniera (in questo caso l’arabo), e per i quali l’italiano è una L2, come si verifica per i ragazzi appena giunti da un paese straniero e inseriti nel nostro sistema scolastico, quanto piuttosto parliamo di ragazzi con una particolare, e loro propria, forma di bilinguismo italiano/arabo.78 A questo punto, ancora una volta, vogliamo sottolineare che per la nostra trattazione, così come evidenziato dalle teorie di Cummins, è assolutamente inutile e improduttiva la discussione su quale sia la loro L1, se l’italiano o l’arabo, e quale sia la loro L2. Possiamo dire, infatti, che questi ragazzi possiedono una competenza, seppur non completa, e magari non “equilibrata”, come afferma Barbara Abdelilah Bauer (cfr. il precedente paragrafo), in entrambe queste due lingue, e per la nostra discussione, che vorrebbe un’educazione linguistica mirata a far crescere le competenze formali in entrambe queste lingue, è assolutamente indifferente decidere se considerare l’arabo o l’italiano come la loro L1, e viceversa per la L2. Infatti, l’azione che ci apprestiamo

78

Tratteremo questo argomento, non il linea teorica, ma relativamente ai ragazzi oggetto del nostro studio a Montebelluna, nel paragrafo 3.3.3.1.

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a studiare, secondo le linee in cui è delineata nelle normative di riferimento esposte nei precedenti paragrafi, mira a valorizzare il variegato e in continuo mutamento repertorio linguistico dei ragazzi di seconda generazione. Vogliamo assumere in questa tesi la prospettiva, che caratterizza un filone degli studi di sociolinguistica (Santipolo, D’Annunzio e Caon), secondo la quale non è tanto importante definire i concetti di L1, L2, LS o lingua etnica, e nemmeno attribuire a ciascun idioma, o varietà linguistica parlata da un individuo, una di queste “etichette” necessarie solo in un livello teorico di studio, distante dall’ambito propriamente contestuale della nostra ricerca. Nell’ambito della sociolinguistica, dove la lingua non viene studiata a livello teorico, ma nel suo rapporto con il contesto situazionale – la società e il momento – in cui viene essa parlata, risulta molto più utile parlare di repertorio linguistico

individuale.79 Questo termine richiama di per sé stesso alla coesione e all’interrelazione esistente tra le diverse lingue e varietà linguistiche, che nei diversi stadi di crescita, e con competenza diverse, sono utilizzate dall’individuo. Santipolo ricorda a questo proposito che è utile

Reinterpretare il rapporto che normalmente si instaura tra la lingua materna degli stranieri e la lingua target. [...] al fine di garantire lo sviluppo di una competenza comunicativa e meta-comunicativa più completa, può risultare strategico ampliare tali concetti fino a includere quelli di repertorio. Il confronto, dunque, non sarà più tra L1 e L2/LS ma piuttosto tra Repertorio Linguistico 1 (RL1) e Repertorio Linguistico 2/S (RL2/S). In questa prospettiva vengono dunque compresi anche tutti gli aspetti gerarchici dei codici che costituiscono i repertori in questione e le norme che ne governano l’uso.80

Il repertorio linguistico è dunque un sistema formato da diverse componenti, ma è allo stesso tempo un sistema unitario, in cui le lingue e le strutture psichiche su cui esse si poggiano, entrano in contatto, si influenzano: è, dunque, di fatto un sistema in continuo mutamento. Per questo motivo le politiche di mantenimento della lingua d’origine dovrebbero agire, in maniera quanto più integrata possibile, valorizzando e dando dignità a tutte le componenti linguistiche e varietà dialettali di cui il parlante è entrato in contatto nella sua storia linguistica.

C’è un’altra questione linguistica che dobbiamo qui, seppur brevemente ricordare, ed essa riguarda la condizione, ancora più specifica, dei ragazzi bilingui arabofoni.

79 Si intende per repertorio linguistico l’insieme delle lingue, dei dialetti e delle varietà impiegate da una comunità linguistica (Berruto, 1995).

80

SANTIPOLO M.; L’italiano. Contesti di insegnamento in Italia e all’estero; Utet Università, Torino, 2006, pag.17.

73

Infatti molte ricerche in ambito italiano81 ed europeo82 si sono chieste quale sia la vera lingua madre – parlando della lingua dei genitori - che, secondo le normative e gli studi scientifici, dovrebbe essere mantenuta e valorizzata per dei ragazzi arabofoni. Gandolfi sintetizza così la questione:

Nel caso degli arabi, anche all’interno dei loro stessi paesi d’origine, la complessa realtà pluriglossica dell’arabo comporta di per sé alcune difficoltà nella condivisione del significato di lingua materna. La lingua araba non è mai stata la lingua materna, la lingua parlata nel quotidiano, di alcun locutore arabo: questa funzione è stata invece espletata dalle lingue orali, modellate sulla diversità delle etnie e delle regioni, che come tutte le lingue parlate cambiano a seconda delle dinamiche sociali. (pag. 26)

Dunque se si parla di mantenimento dell’arabo come lingua d’origine, si intende il MSA (Modern Standard Arabic), cioè quella varietà che oggi viene designata come l’arabo standard attualmente in uso, in un registro alto e in particolari circostanze, negli atti comunicativi di un locutore arabofono istruito? Oppure si intende il dialetto specifico parlato nel paese, nella regione e dalla famiglia del ragazzo? Come concludono tutte gli studi a riguardo, tale discussione non può che concorrere positivamente all’elaborazione di politiche educative contestuali ed efficaci, e

81 Tra queste ricordiamo in particolare lo studio svolto dall’Ateneo padovano e dal CIRSSI (Centro

Interdipartimentale di Ricerca e Servizi per gli Studi Interculturali) riguardo l’insegnamento della lingua araba ai giovani di origine magrebina presso gli istituti pubblici e privati del territorio padovano, che ha cercato di porre in atto la discussione su quale arabo insegnare all’interno del contesto specifico studiato. Una breve relazione di tale progetto è contenuto in:

BRANDALISE A., CELLI A., RHAZZALI K., SARTORI E., “Il multilinguismo nella migrazione” in MANTOVANI G. (a cura di) Intercultura e mediazione. Teorie ed esperienze, Carocci, Roma, 2008; pag. 47-81.

Ricordiamo anche il paragrafo “Quale lingua materna per gli arabi in Europa” nel testo: GANDOLFI P., L'arabo a scuola? Progetti di insegnamento per figli di migranti nelle scuole primarie in Europa; il Ponte, Città di Castello (PG), 2006; pag. 26-30.

82 Tra queste ricordiamo:

TILMATINE M. (a cura di), Enseignement des langues d'origine et immigration nord-africaine en

Europe: langue maternelle ou langue d'Etat?, Paris, Inalco, 1997

DICHY J., "Qu'est-ce qu'un programme d'apprentissage de la compétence communicative d'un locuteur arabe scolarisé ?", in Actes du Colloque sur les " Langues et cultures populaires dans le

domaine arabe" (16-18 oct. 1986), Association française des Arabisants (AFDA) et Institut du Monde

arabe, Paris, 1987, p. 49-61.

DICHY J., "La pluriglossie de l'arabe", in LARCHER P. (a cura di), Langue et littératures arabes,

Bulletin d'Études orientales, Institut français d'Études arabes de Damas (IFEAD), N. XLVI, 1994, p.

19-42.

OWENS J. et BANI Y., « Spoken arabic and language mixture » in P. Larcher (a cura di), Bulletin

d'Études orientales, Institut français d'Études arabes de Damas (IFEAD), vol. 43, 1991, pag. 17-31.

DAKWAR R. K., Children's attitudes towards the diglossic situation in Arabic and its impact on

learning, in Z. Zakharia, T. Arnstein (eds.), Languages, Communities, and Education, Society for

International Education, New York, 2005, pp. 75-86.

MAAMOURI M., Language education and human development: arabic diglossia and its impact on

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dovrebbe, dunque, avviare una negoziazione specifica all’interno di ogni particolare contesto in cui un corso di arabo, come lingua d’origine, venga avviato. Non mi occupo in questa sede di affrontare i diversi risvolti e la storia di questa discussione scientifica, tuttavia rimando al paragrafo 3.3.3 per ulteriori riferimenti riguardo alla situazione sociolinguistica specifica della lingua araba, e per una messa in discussione pratica di tale questione. Ci interrogheremo, infatti, su quale sia l’arabo da insegnare, nel particolare contesto oggetto del nostro studio, e illustreremo come tale discussione stia avvenendo, o meno, all’interno dell’associazione di migranti “Senza Frontiere” di Montebelluna.

Ritornando al bilinguismo dei ragazzi immigrati, dobbiamo, quindi, affermare che esso è un fenomeno molto variegato e soprattutto individuale, che si collega in maniera determinante all’ambiente familiare e all’educazione acquisita in casa e fuori casa. In particolare il livello di conoscenza della lingua d’origine dipende da diversi fattori: l’età, il luogo di nascita, il percorso scolastico, le scelte famigliari e la tipologia delle lingue che si contendono. Graziella Favaro stabilisce una catalogazione delle diverse tipologie di bilinguismo che si possono verificare. Fra i bambini stranieri nati in Italia e di età più bassa, vi sono:

 coloro che sono, al momento del loro ingresso nella scuola dell'infanzia, monolingui in L1 e diventano in seguito bilingui, con l'aggiunta dell'italiano, sviluppando un bilinguismo precoce consecutivo;

 coloro che sviluppano da subito una competenza nelle due lingue, grazie all'inserimento all'asilo nido, praticando la madrelingua a casa e l'italiano al servizio educativo, e praticando cosi il bilinguismo precoce simultaneo;  coloro che imparano a parlare solo in italiano per scelta della famiglia, o in

seguito a un discutibile e dannoso orientamento in tal senso da parte degli operatori e dei servizi per l'infanzia.

Fra gli alunni nati all'estero vi sono, al momento dell'ingresso nella scuola:

 coloro che praticano la L1 per gli usi comunicativi e solo orali, perché non ancora scolarizzati nel paese d'origine;

 coloro che praticano una lingua orale (un dialetto) a casa, ma hanno imparato a leggere e a scrivere nella lingua nazionale del contesto di provenienza (caso