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L’Adolf-Hitler-Koog e la bonifica ad opera dei regimi totalitar

III. IL CONTESTO RURALE TEDESCO: L’ADOLF-HITLER-KOOG, COME TESTIMONIANZA STORICO-MEMORIALE

III.3 L’Adolf-Hitler-Koog

III.3.8 L’Adolf-Hitler-Koog e la bonifica ad opera dei regimi totalitar

Il polder dell’Adolf-Hitler, realizzato negli anni Trenta del periodo nazista, s’è dimostrato un tentativo di pianificazione del territorio, da parte dello stato nazionalsocialista tedesco, secondo ovvi motivi d’ordine e controllo, cui, da sempre, aspirava il governo hitleriano.

Le principali ragioni sono da ricercare, oggi, nella natura assolutistica e totalitaria del regime, nella sua volontà, quasi ossessiva, d’organizzare e regolamentare, per poter, poi, controllare qualsiasi ambito statale, regionale e pubblico/privato.

Dietro a questo progetto di trasformazione del territorio dello Schleswig-Holstein, si nascondeva la volontà d’attuazione del disegno di controllo, di pianificazione e di gestione del Terzo Reich. Sebbene le cause che spinsero a “strappare quella terra al mare” furono la propaganda ed il bisogno di distogliere l’attenzione dal disegno d’invasione e d’espansione verso altri Paesi, voluto da Hitler, risulta per noi fondamentale, in un’analisi dell’Adolf-Hitler-Koog, il ruolo che svolse lo Stato tedesco, relativamente alla sua volontà di prendere possesso d’una zona e procedere con la sua “nazificazione” (com’era stato fatto, d’altronde, per altri ambiti: per esempio, dalla regolazione del settore pubblico, alla gestione del tempo libero degli adulti e dei giovani ‒ si ricordano, infatti, la Kraft durch Freude e la Hitlerjugend).

Se già tra il Cinquecento e l’Ottocento, secondo Farinelli, si manifestarono azioni statali (riconducibili al caso di questo polder), aventi, prima di tutto, ragioni economiche e, poi, ragioni di “ordine, misura e disciplina”124, si dedurrebbe, allora, come vari fossero i tentativi degli Stati illuminati e dei regimi totalitari, d’occupare e conquistare i territori,

122

Vedi nota 121.

123

In merito a questo progetto, cfr. Uwe Danker, Volksgemeinschaft und Lebensraum: Die Neulandhalle

als historischer Lernort, Beiträge zur Zeit-und Regionalgeschichte, Band 3, Neumünster/Hamburg 2014.

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142

al fine d’esprimere, dinanzi al popolo ed agli altri Paesi, la forza e la vigorosità dello Stato medesimo.

Blackbourn riporta, infatti, come già nella Germania di Federico il Grande di Prussia, si procedesse a bonificare il territorio dell’Oderbruch, affinché “si mettesse in ordine” l’area paludosa, la cui presenza risultava rischiosa per il passaggio dei soldati, per la definizione della linea di confine e perché fungeva da rifugio per i banditi125.

L’acquisizione del territorio, tramite il processo di bonifica, costituiva anche l’azione necessaria, attraverso cui garantirsi nuovi spazi d’adibire all’attività agricola ed all’insediamento umano126

.

Infatti, come si può evincere dai primi paragrafi di questo capitolo, l’Adolf-Hitler-Koog aveva una duplice funzione: la prima era quella di provvedere all’approvvigionamento alimentare di tutta la Nazione tedesca, tramite la coltivazione della terra e la raccolta dei suoi frutti (rammento il ruolo insostituibile, secondo l’“ideologia ruralista”, del contadino e della sua forza-lavoro, elementi raffigurati anche negli affreschi di Thämer), cui s’aggiungeva anche quello dell’autosufficienza della Germania, in termini economici e di sostentamento; la seconda era quella di realizzare un insediamento umano, abitato da uomini e donne (prescelti) di razza tedesca, nel contesto di un’idilliaca e nostalgica campagna, costituendo, così, un villaggio-modello, esemplare per tutto il Paese; lo stesso Hitler disse che l’Adolf-Hitler-Koog si configurava come una riproduzione, in miniatura, di quello che doveva essere lo Stato tedesco.

L’attività di bonifica dei territori, per mano d’uno stato totalitario, avvenne, parallelamente allo Stato tedesco nazista, anche nell’Italia fascista di Mussolini, la cui idea principale era quella della “bonifica integrale”.

Gli scopi risultavano essere meramente propagandistici e, secondo Serpieri, funzionali anche all’accessibilità ed alla coltivazione del territorio127.

La “pianificazione territoriale” si risolveva, però, grazie alle teorie dell’urbanistica e grazie ad una nuova disciplina, connessa alla prima, e chiamata “ruralistica”128.

Rilevante, nell’avvio d’opere di bonifica, durante il Fascismo, fu l’impiego di forza- lavoro di massa, organizzata e comandata dall’autorità129

. Anche lo stato nazista, nello

125

David Blackbourn, The conquest of nature. Water, Landscape and the making of modern Germany, Norton & Company, New York 2006, p. 44.

126

Piero Bevilacqua, “Tra Europa e Mediterraneo. L’organizzazione degli spazi e i sistemi agrari”, in Piero Bevilacqua (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea. I. Spazi e paesaggi, Marsilio, Venezia 1989, p. 26.

127

Arrigo Serpieri, La bonifica nella storia e nella dottrina, Edagricole, Bologna 1991.

128

Federica Letizia Cavallo, Terre, acque, macchine. Geografie della bonifica in Italia tra Ottocento e

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stesso tempo, ricorse, principalmente, all’occupazione volontaria e coatta della massa, per la realizzazione dell’Adolf-Hitler-Koog (il lavoro coatto, nella Germania nazista, era molto frequente, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Esempi di beni immobili, nella cui costruzione s’impiegarono lavoratori coatti, sono bunker e rifugi, come il già trattato Vallo Atlantico, ed i campi di concentramento).

Tutti questi elementi comuni fanno comprendere come la bonifica sia strettamente collegata al potere totalitario, dal momento che il connubio bonifica-potere s’è, sempre, concretizzato nel passato: nell’Italia fascista e nella Germania nazista, nella Spagna franchista e nella regione balcanica130.

Piastra identifica, nella relazione tra bonifica e totalitarismo, dei comuni denominatori: la propaganda, sia nella presentazione dello Stato totalitario all’estero sia nell’esibizione del suo ruolo attivo, dinanzi alla popolazione, in particolare quella rurale, alla quale fornire terreni da coltivare; la volontà d’aumentare i beni agricoli, necessari per l’alimentazione ed il sostentamento131

.

Fra le bonifiche compiute dagli Stati totalitari (oltre che dalla Germania e dall’Italia), sono da ricordare anche le mastodontiche opere intraprese dall’Unione Sovietica di Stalin (le quali, durante la loro costruzione, previdero l’impiego d’una massa coatta di lavoratori, fra cui prigionieri, kulaki, oppositori politici e svariate figure professionali, incriminate d’essersi opposte all’attuazione dei medesimi piani) e dalla Repubblica Popolare Cinese di Mao Tse Tung132.

Malgrado si parli di “pianificazione integrale”, la cui espressione ci dà l’idea d’una organizzazione e gestione complete ed integrate, nell’area interessata, sovente, questa regolazione assoluta e totale si sarebbe concretizzata in una reale gestione di tutte le risorse, impiegate nell’opera di bonifica. Questo vuol dire che gli stati totalitari sopracitati (compresa l’Italia fascista, nonostante essa amasse pianificare in modo minuzioso e dettagliato, includendo ogni elemento), attuarono il loro progetto, talvolta frettolosamente (affinché i tempi di compimento fossero ristretti, per motivi propagandistici 133 ), senza tenere in considerazione eventuali piani in favore

129

Ivi, p. 40.

130

Stefano Piastra, “The linkage between land reclamation and dictatorial ideology: case-studies from Europe dating to the 20th century”, in Stefano Piastra (edito da), Land Reclamations: Geo-Historical

Issues in a Global Perspectives. Proceedings of the International Conference held at the University of Bologna, Patron, Bologna 2010, pp. 57-76, pp. 56-57.

131

Ibid.

132

Federica Letizia Cavallo, op. cit., p. 42.

133

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dell’agricoltura o dell’insediamento umano134, quindi, lasciando l’opera di bonifica

incompiuta, relativamente alle sue conseguenze (cioè s’adempiva solo relativamente al piano idraulico).

L’Adolf-Hitler-Koog è il caso più esemplare, quanto a patrimonio ereditato in un contesto rurale e non urbano, ma non è l’unico: esistono, difatti, altri polder nella stessa regione dello Schleswig-Holstein (vedi sopra) ed altri territori bonificati135, in Germania ed in Europa, per mano dello Stato tedesco, allo scopo d’ottenere Lebensraum e di permettersi un controllo tanto territoriale quanto demografico ed economico136. Controllo demografico, per la Germania nazista (in base all’“ideologia ruralista”), significava regolare la vita degli individui, sia relativamente al luogo in cui abitavano, contrastando eventuali spostamenti dalla campagna alla città ed incentivando, al contrario, la permanenza nei territori rurali (affinché il “contadinato” potesse trasmettere il sangue sano tedesco), sia relativamente alla presenza/assenza di “razze” non ariane. Quanto a controllo economico, s’intendeva con esso, la volontà statale di procedere con misure atte a favorire la produzione agricola, importante per l’approvvigionamento e l’auto sostentamento del popolo tedesco, e d’ostacolare, invece, ogni qualsivoglia misura tesa ad incoraggiare lo sviluppo tecnologico ed industriale, nelle città e nell’intero Paese.

L’Adolf-Hitler-Koog costituisce un patrimonio storico, poiché è risultato della volontà statale nazista, un patrimonio rurale, con le sue campagne, rese accessibili e coltivabili grazie all’azione di bonifica del territorio, e, infine, un patrimonio architettonico, per la presenza d’elementi strutturali/architettonici, come la Neulandhalle e gli edifici del villaggio, a carattere, per lo più, unico. Come tale, dev’essere riportato alla luce e valorizzato, come luogo della memoria, nel quale confrontarsi ed aprire una riflessione sui temi sociali ed antropologici (l’“ideologia ruralista”, la manodopera impiegata, la popolazione rurale, ecc.) della Germania nazista.

134

Ibid.

135

Cfr. Gustavo Corni, Il sogno del “Grande Spazio”. Le politiche d’occupazione nell’Europa nazista, Laterza, Bari 2005.

136

(Vedi paragrafo III.1), Gabriele Zanetto, “La tradizione oltre la modernità: ovvero non cercate i paesaggi tra i presepi, trovereste solo ortiche”, in Giorgio Botta (a cura di), Tradurre la tradizione,