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La conservazione della memoria: i risch

IV. USI ED ABUSI NELLA CONSERVAZIONE DELLA MEMORIA STORICA

IV.3 La conservazione della memoria: i risch

Nella conservazione della memoria, e nella sua manifestazione, si celerebbero alcuni pericoli ostacolanti per il corretto “uso della memoria”. Todorov stabilisce quali sono e ci mette in guardia da eventuali comportamenti viziosi o abusivi, nell’utilizzo della memoria.

Con il processo di sacralizzazione, si tende a considerare un evento in tutta la sua esclusività ed assolutezza, senza una benché minima comparazione a fini analitici. È vero che il genocidio degli ebrei, appare ai nostri occhi, come unico ed esclusivo, ma, come afferma Todorov, esso non lo è «sul piano dei valori: tutti gli esseri umani sono preziosi gli uni come gli altri, e quando le vittime di un regime si contano a milioni, è vano, per non dire di più, volere stabilire gerarchie nel martirio»40.

La conseguenza, secondo questa logica, sarebbe quella di denunciare il fatto che più ci sta a cuore, che più ci ha sconvolto, perché più vicino. Se il genocidio degli ebrei s’è verificato in Europa, precisamente in Germania (Paese, il quale, da sempre, è considerato civilizzato), allora la tragedia di Hiroshima, le guerre di Corea, la tratta degli schiavi africana, le guerre balcaniche e quelle in Medio Oriente, le quali costituirebbero realtà troppo lontane a noi, non sarebbero, dunque, da considerare meno importanti o gravi, dato il livello esclusivo occupato dal genocidio degli ebrei.

Penso che il massacro nazista sia stato un evento unico, per il fatto che è stata predisposta una “macchina della morte” (il sistema concentrazionario e le sue camere a gas), supportata da una burocrazia e da un’organizzazione, ai limiti dell’umano, e per il fatto che questi elementi mi abbiano dato la prova della “disumanità” dell’uomo, in certe circostanze. In quanto tale, la comprensione o la spiegazione della Shoah non sono percepibili dalla mente umana, sono inumane.

Allo stesso tempo, però, è importante affermare anche come simili tragedie siano avvenute, in maniera analoga, anche in Unione Sovietica, in Armenia, in Corea, in Africa e nei Paesi dell’Est; talvolta, senza l’ausilio d’una perversa, quanto paradossale,

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“macchina omicida”, ma, sempre e comunque, con l’impiego d’una violenza e d’una brutalità incomparabili e con la medesima conseguenza: la morte.

Se dessimo, quindi, più peso ad un evento, piuttosto che ad un altro, il rischio sarebbe quello di rendere tale evento “sacro”, ossia giudicarlo più grave e più rilevante, rispetto ad altri: ma, chi siamo noi per esporre al mondo la nostra sentenza, sulla gravità e sulla drammaticità di quello o di talaltro sterminio? Nonostante questa incertezza, credo che l’atteggiamento di giudizio e quello di determinazione d’un valore assoluto, con i quali affrontare la storia, siano insiti nell’essere umano: egli sentenzia, dunque, ciò che è più grave, in base alla capacità di differenziazione tra bene e male ed in base ad una scala di valori personale.

La considerazione dell’unicità e dell’esclusività dell’evento storico della Shoah non vieta di poter, comunque, effettuare analisi e riflessioni comparative, traendo, da tutto questo, una “lezione generale”, quale dovrebbe, immancabilmente, consegnarci la storia, grazie alla sua “messa a servizio”41.

Il processo contrario alla sacralizzazione è quello della banalizzazione, che consiste, invece, nel considerare un evento storico assimilabile ad altri, rischiando, così, la perdita di tutta la sua particolarità42.

Questo accade, molto spesso, nella nostra società moderna: la commercializzazione d’immagini (come le “icone dello sterminio”, di cui sopra), di materiale cinematografico e fotografico (talvolta, al limite dell’offensivo), nonché di “viaggi della memoria”, sorti a causa della formazione d’un fiorente mercato turistico culturale/memoriale, finiscono per essere riproduzioni banalizzanti della Shoah, non sempre, però, per volontà degli individui, bensì per mancanza di sensibilità o d’accortezza. La diffusione, in modo “virale”, tramite supporti d’ogni genere, di tali prodotti, sulla rete di internet, diviene un effetto irreversibile, al quale pare non potersi porre rimedio.

Un esempio di fatto banalizzante, avvenuto proprio quest’anno, è quello della messa in commercio, da parte d’una nota azienda d’abbigliamento, d’una linea di magliette per bambino, avente la grafica della divisa a righe (simile a quella che veniva utilizzata nei campi di concentramento) ed una stella di David. In seguito all’uscita di questa linea di prodotto, è stato, immediatamente, richiesto, per ovvi motivi, il suo ritiro dal mercato.

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Ivi, p. 196.

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I pericoli insiti in un uso inadeguato della memoria non s’esplicano solo attraverso questi due processi, bensì anche in circostanze aggiuntive: purtroppo, alle volte, il genocidio degli ebrei viene evocato mediante un meccanismo psicologico non sano43. Oggigiorno, infatti, sono svariati i casi in cui la rievocazione dei fatti storici del Nazismo e dello sterminio (o d’ogni altra tragedia storica), avviene per cause estranee alla pura commemorazione delle vittime: per motivi razzisti, antisemiti o xenofobi s’originano atteggiamenti aggressivi e brutali per mano d’estremisti (come ad esempio islamisti, fanatici o nazionalisti), parate e manifestazioni, nonché pulsioni sadiche o ciniche44, le cui azioni sono rivolte, esclusivamente, all’offesa od alla violenza psicologica (spesso, anche fisica) nei confronti degli individui.

Spesso accade che, poiché si sono subiti certi traumi, ed, abusando, così, della propria memoria, si pensa d’essere autorizzati, successivamente, ad esternare il male patito, sotto forma d’atti, a loro volta, aggressivi o violenti, verso il carnefice. Ciò succede sia sul piano individuale sia su quello universale, ad esempio, quando un Paese riceve un’offensiva, prepara, subito, il contrattacco militare e questo crea, inevitabilmente, un circolo vizioso: alla violenta azione offensiva segue, subito, quella vendicativa, dalle quale ultima scaturiscono, inesorabilmente, il deterioramento dei valori sociali, etici e morali degli individui.

Scrive Todorov:

[…] mentre i genocidi di metà secolo, […] erano compiuti in nome del futuro (il totalitarismo si proponeva di creare un uomo nuovo, bisognava quindi eliminare quelli che si prestavano male a questo progetto), i massacri più recenti sono stati perpetrati in nome di un richiamo al passato […]. La memoria della violenza passata nutre la violenza presente: ecco il meccanismo della vendetta […]45

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Ivi, p. 200.

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Interessante riportare come, ancora una volta, sia un termine tedesco, Schadenfreude, ad esprimere al meglio, concettualmente, una particolare forma cinica e sadica di perversione. La parola è composta da

Schaden-, che vuol dire “danno”, e -freude, che vuol dire “gioia”. Il suo valore semantico, quindi, è

“provare gioia per una disgrazia altrui”.

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