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La conservazione della memoria: il controllo

IV. USI ED ABUSI NELLA CONSERVAZIONE DELLA MEMORIA STORICA

IV.2 La conservazione della memoria: il controllo

La ricerca della comprensione degli eventi del passato e la formazione d’una memoria culturale, per gli esseri umani, si rivelerebbero d’estrema importanza, affinché si viva il presente con consapevolezza e, allo stesso tempo, si costruisca il futuro, sulle basi di conoscenze ed esperienze, non solo a livello personale, bensì a livello etico e morale. Il ricordo degli eventi del passato, il loro riconoscimento universale e, quindi, la trasformazione in memoria, costituiscono il punto di partenza sia per la nostra identità individuale (vogliamo sapere chi siamo e da dove veniamo) sia per il fatto che apparteniamo ad una collettività, ad un insieme, cioè, di persone, che s’identificano in quanto tali. La presa di coscienza del passato è, dunque, funzionale alla definizione identitaria d’un individuo o d’un gruppo ed alla loro realizzazione personale e collettiva, nel futuro36.

Non sempre, però, le nostre società passate hanno potuto godere del privilegio della memoria, poiché, molto spesso, essa è stata manipolata o, addirittura, distrutta per volontà dello Stato.

Nazismo e Comunismo, ad esempio, si contraddistinsero, nella storia, come si sa, quali sistemi antidemocratici ed antiliberali, per i quali la memoria rappresentava solo un pericolo nei confronti della loro legittimazione. Essi, infatti, seppur marcati da caratteri ideologici opposti, si configurerebbero quali simili sistemi di potere, entrambi basati sul terrore e sull’utilizzo di mezzi coercitivi. Furono proprio il Terzo Reich e l’URSS, infatti, ad adottare tecniche finalizzate alla manipolazione delle informazioni ed al controllo della memoria sia collettiva sia individuale.

In questa sede, riporterò le modalità, attuate dalla Germania e dalla Russia, durante la fase dittatoriale, rispettivamente nazista e comunista, attraverso le quali esse si garantirono il potere di controllo sulla comunicazione e sull’informazione37, con lo scopo dell’alterazione della memoria.

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Tzvetan Todorov, Memoria del male, tentazione del bene. Inchiesta su un secolo tragico, Garzanti, Milano 2004, p. 199.

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In primo luogo, si può parlare di «cancellazione delle tracce»: i nazisti, infatti, dopo la disfatta di Stalingrado, si trovarono nella situazione di dover cancellare tutte quelle tracce che avrebbero potuto provare, di fatto, l’attuazione dei loro crimini; dall’uccisione dei testimoni oculari all’occultamento dei cadaveri; essi distrussero anche i materiali documentari od archivistici, cancellando, così, per sempre, ogni indizio o testimonianza, a loro sfavorevole. Analogamente, si mossero i comunisti.

In secondo luogo, l’«intimidazione» costituì una vera e propria forma di minaccia per la popolazione, nella diffusione d’informazioni ritenute pericolose (e questo valeva, soprattutto, per coloro che facevano parte della “macchina omicida nazista”): nessun individuo poteva e doveva essere tenuto al corrente delle innumerevoli morti che avvenivano nel Paese, sia relativamente ai campi nazisti sia a quelli comunisti. Nei primi, infatti, furono addirittura gli stessi gerarchi ad affermare come le fucilazioni di massa fossero pericolose per la salute psicologica degli uccisori e, come per questa stessa ragione, fosse necessario predisporre delle camere a gas, in modo da rendere il “trattamento” meno “disumano” per gli esecutori. Il rischio, in questo senso, era che essi parlassero dei crimini commessi, dal momento che non erano rari i casi in cui si fossero trovati in condizioni psicologiche alterate (ad esempio, in seguito ad esecuzioni di massa). Il genocidio di milioni di persone doveva rimanere, così, segreto, anche, e soprattutto, alla popolazione civile.

Un’altra modalità attuata per il controllo dell’informazione, fu la trasformazione del linguaggio corrente, in espressioni, parole od «eufemismi» particolari, utilizzati, esclusivamente, dalla cerchia di coloro i quali partecipavano allo sterminio. La mutazione linguistica serviva, così, innanzitutto per non essere compresi da soggetti esterni e, in secondo luogo, per l’esemplificazione idiomatica, al fine di facilitare gli esecutori nei loro compiti, grazie all’esistenza d’un linguaggio, considerato più “umano” (alcuni esempi d’espressioni sorte furono: “soluzione finale”, “trattamento speciale”, “evacuazione”).

Altro procedimento di controllo delle informazioni e della memoria, attuato dagli Stati nazista e comunista, fu la propaganda: sia la Germania sia l’Unione Sovietica, oltre alla diffusione di notizie falsate tramite radio, giornali e film, misero in atto una pratica divulgativa basata sulla “messa in scena”, sulla «menzogna».

Un esempio di ciò, furono le visite di giornalisti, d’intellettuali, di politici stranieri e d’osservatori, alle persone situate nei “campi di formazione”, nei “campi di rieducazione” ed in villaggi, con le finalità di propagandare un’immagine attiva e

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positiva del Paese, nella quale i delinquenti venivano rieducati ed i giovani istruiti, all’interno di contesti modello. Contrariamente a ciò che intendevano mostrare, e dimostrare, queste immagini non erano altro che una rappresentazione distorta della realtà, una simulazione attuata dalle persone che si trovavano in quei luoghi, le quali si vedevano obbligate a “mettere in scena” penose scene di felice vita quotidiana, ma che, di fatto, vivevano, invece, in siti restrittivi della libertà personale: quelli che furono poi chiamati “campi di concentramento”.

Anche il villaggio dell’Adolf-Hitler-Koog, nel passato, fu, più volte, propagandato all’intera Germania, talvolta anche all’estero, quale immagine idilliaca del popolo tedesco.

Bisogna chiedersi, se, effettivamente, nonostante si trattasse di un’area di residenza per i “tedeschi prescelti” (e, quindi, ciò presume che, questi, fossero orgogliosi d’essere stati selezionati), essa fosse stata davvero un villaggio ideale, nel quale vivere felici al servizio del Nazismo, o se invece, non fosse, piuttosto, stata una “messa in scena”, fatta propria da una classe sociale, la quale, ormai sul punto di collassare, non ebbe altra possibilità che quella di sperare nel regime hitleriano e, perciò, di condividerne l’ideologia ed i valori.

I governi totalitari del passato considerarono importante la «guerra dell’informazione»38

, perché è stato grazie a questa che essi hanno ricevuto l’approvazione della popolazione, sentendosi, così, legittimati a creare un sistema politico autoritario. Spesso, purtroppo, il consenso dei cittadini s’ottenne con l’utilizzo d’azioni intimidatorie e di minacce, nonché con la manipolazione e l’alterazione dei fatti.

Con il sistema democratico, invece, l’informazione non dovrebbe essere sottoposta a nessun tipo di controllo o divieto. Nella democrazia, si dovrebbe garantire la libertà d’espressione del proprio pensiero e della propria parola, la stampa non dovrebbe essere soggetta ad autorizzazioni o censure, secondo la Costituzione italiana39 (e secondo altre costituzioni democratiche).

Tuttavia, anche nel tempo contemporaneo, l’informazione presente (il racconto dei fatti attuali) e passata (il racconto dei fatti storici) subiscono, talvolta, un’alterazione, una

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Ivi, p. 144.

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Costituzione della Repubblica Italiana, PARTE PRIMA: DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI, TITOLO I: Rapporti civili, Art. 21, cc. 1-2.

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deformazione, mettendo in pericolo la nostra stessa libertà, nonostante tutto questo avvenga, perlopiù, all’insegna della nostra inconsapevolezza.