• Non ci sono risultati.

Adorno laterale ed il «second'ordine» degli oggetti: uso domestico e funzione di compagnia dei media cultural

1. Cognizioni e discernimenti attorno alla fisiologia del consumo

2.3. Adorno laterale ed il «second'ordine» degli oggetti: uso domestico e funzione di compagnia dei media cultural

In procinto di terminare la riflessione su Adorno per come essa è risultata dalla lettura, sia detto che si stabilizza nel giudizio e nella sensazione l'idea di un pessimismo elitario e sistematico sopra ai temi del consumo di massa e della diffusione culturale.

Tale idea, che tanto si raccorda alla 'candida' impreparazione delle prime letture, è parsa dirimente alla vulgata, installandosi a titolo pieno nel domicilio indubbio del 'luogo comune'.

Sebbene ciò, codesta immagine di altero moralista è riequilibrata dal fatto che Adorno, all'interno del flusso dei consumi, ha altresì rilevato le importanti scriminature dei detriti, - importanti in quanto forme dell'arte 'bassa', atte a sfrangiare l'identità in differenze. Ne risulta, quindi, come una specie di autosviamento dell'analisi adorniana dalle sue stesse premesse svalutative, anche tenendo conto del fatto che la coscienza del lettore di Adorno è invece affinata e temprata, negli effetti, dal mordente di un atavico senso del valore, che oggi è divenuto estremamente ingerente, dilatato ed ansiogeno, a cagion del suo esponenziale diffrazionamento in campionari di prodotti, insensati in quanto omologati.

In ogni modo, i detriti e la musica popolare, il più lasso consumo e il più massificato consumatore si attestano e si fanno ricordare, in quanto da Theodor Adorno lucidamente descritti. ( Per contro, i giudizi su cui ci si impunta, invece, sono forse cicatrici del proprio carattere, più che

impressioni di lettura o addendi d'esperienza).

Per questa via, anche l'aprioristica sfiducia svalutativa nei confronti delle tecnologie della replicabilità, - nel suo essere un tratto quasi idiomatico del vulgato profilo adorniano, - si affina e completa con il «decriptare» le potenzialità creative dei prodotti industriali e dei consumi di massa, dal momento che stili di vita o modi della ricezione restano investiti di senso anche se predecisi entro orizzonte di forme tecnologiche.

A questo proposito, in un articolo del 1927 di Adorno, dal titolo Volteggi della puntina, la scrittura d'«occasione», qual è quella di un inserto d'opinione, pare la più adeguata per astringere la questione del mutuo condizionamento dei media morfematici con le estetiche e le pragmatiche modali della ricezione culturale14.

A questi argomenti, Adorno si apprende dalla prospettiva ravvicinata delle ore in fila delle giornate domestiche, e lo fa con dote vergine di straniamento, come chi sia nel procinto delle prime dizioni, approfondendo i solchi del disco in quanto increspature di crittogrammi circolari che promettono musica, o che trovano nel suono il corpo della voce. Si aggiunga, dipoi, che gli oggetti d'uso e i prodotti culturali di consumo, - quali sono, per esempio, dischi, grammofoni e canzonette, - decretano, oltre che lo strapotere del banale, anche la possibilità di una presa affettiva sul tempo, nel senso che la misteriosa ratio della memoria si rapprende all'impersonalità di una filastrocca o al piacere atmosferico di una musica del fonografo, per mutarli in suono panico dei giorni personali. Del resto, si arriva ai luoghi comuni attraverso la rispettabilità dell'individuale ricercare e al passo di uniche occorrenze.

In questo senso, una raccolta di dischi non soltanto denuncia l'automatismo grossolano del gesto assemblante ed il cinico predominio

14Per i sommari appunti di questo sottoparagrafo, si veda: Adorno, Long play e altri volteggi della

delle cose, ma soprattutto si autodichiara come professione di fede ideologica, che parla in vece del proprietario.

Le occorrenze dell'affezione volta agli oggetti dell'uso del mondo funzionale, sono, in fine, facilmente osservabili dall'angolo d'immunità rispetto alle prerogative aurali dell'arte; in virtù di ciò, è come se le cose ricevessero, per effetto della cura sentimentale, un quid che le invera, rendendole processuali, oltre che predecise dalla casualità deterministica dell'affetto, o, freudianamente, dai recapiti utilitaristici della libido.

In altri termini, la relazione con gli oggetti, tinti d'occorrenza d'uso, parla altresì di un amore indistruttibile per la vita spirituale, che si rinnova quando il mondo delle cose diventa un orientamento dell'affetto o una segnalazione di compagnia.

3. I caratteri di Riesman e l'alienazione indiretta dei

«sovrasviluppati»

I capisaldi teorici e gli impressionistici cimenti dei pensatori nell'alveo della Scuola di Francoforte, - incentrandosi su una critica osservazione circa l'impianto 'di massa' del costume societario e delle sue tangenze con le onde di frequenza di consumo e produttività dell'industria tecnologica moderna, - dissimulano apologie sommesse dell'individualità, adombrando non di rado effetti di nostalgia in relazione alle conformazioni non sociologiche dei soggetti monovalenti e individuali del passato non tecnologico e preindustriale.

Collateralmente ai diagrammi di critica delle 'masse' dell'albo francofortese, quanto detto vorrebbe far rilucere, con evidenza di varco tautologico, l'equanimità del ragguaglio sociologico, quale traspare da un'opera fondativa alla quale spetta, con piena giustizia, il riconoscimento dell'appropriatezza dell'intuizione, per quanto la metodologia rudimentale

dell'impianto discorsivo concorra a farne un'opera datata e in larga misura sorpassata.

Con ciò si sta parlando de La folla solitaria, libro scritto da David Riesman (1909-2002) nell'immediato dopoguerra, quando la fiducia nella vista profonda e dirimente della ragione e nella diagnostica «progressista» della sociologia dava coraggio alla vita della cultura americana.

Sotteso a La folla solitaria è lo spirito da neofita dell'autore, acquisito all'ordine di misura del campo sociologico al culmine di un'esperienza di studi giuridici, che certo non poteva costituire il formale addestramento propedeutico al calcolo esatto del carattere sociale degli individui, per come esso precipuamente risulta dai modi interiorizzati di direzione attraverso cui gli individui si conformano alle polivalenze dell'ethos gregario e alla ratio di contrappeso dei suoi svantaggi.

David Riesman si approccia dunque al vivaio delle interpretazioni sociometriche con l'eclettismo metodologico proprio degli esordi non dogmatici e non radicali, facendo convergere gli assunti della psicoanalisi «sociale» di Erich Fromm, del quale Riesman fu allievo nell'alveo della tradizione dei neo-freudiani, con la riflessività antropologica di Margaret Mead e con i più tecnici uffici teorici della sociologia di Merton.

Nello studio di Riesman, focus dell'attenzione dell'autore è la foggia del «carattere sociale», che egli isola partendo dall'assunto che ogni epoca trasceglie elettivamente il carattere più appropriato alla natura del mutamento sociale che la attraversa, tralasciando, per contro, diverse altre opzioni 'possibilistiche' e formative ma, al contempo, dispersive o svantaggiose per il fine del progresso. Da questo argomento risulta dunque che dagli individui diretti dalla tradizione della società preindustriale, si passa alle risorse della libera iniziativa con gli individui autodiretti della società borghese, per arrivare, infine, agli eterodiretti della «società di massa», individui risecati e contesi dalle criptate 'ragioni' ed ellittiche

redarguizioni di «agenti formativi del carattere» sempre più difficilmente localizzabili.

Ad ogni modo, benché per il lettore, conformemente alle mozioni della nostalgia, sia più immediato inneggiare all''eroicità' del piglio pionieristico dell'autodiretto, presumendolo più libero di quanto in realtà egli sia potuto essere15, c'è da dire che David Riesman, riconoscendo la fondamentale ambivalenza e complessità dei prodotti della modernità, non marchia di abiezione il conformismo delle masse.

Avvalendosi, invece, delle calibrature analitiche dello strumento di indagine sociologica, Riesman si mantiene piuttosto distante dal preferire qualitativamente, con pertinenza di argomentazione, un 'tipo' sociale piuttosto che un altro.

Ciononostante, l'autore forse non è immune da una spontanea e complice inclinazione per il tipo di carattere autodiretto, per quanto Riesman sappia che anche l'intraprendenza autodiretta dei primi individui della società borghese conforma giochi di compromesso, interiorizzando una fonte di direzione che è, in ogni caso, sempre esterna.

Per queste vie di osservazioni acute circa la 'verità' della relazione tra individui e società, Riesman non acclude al proprio metodo di lavoro l'apporto francofortese di critica dell'omologazione consumistica; per contro, l'autore dispone le linee delle sue teorie in un orizzonte 'liberale' e 'progressista', preposto al pronto riconoscimento di quell'equilibrio dei poteri garantito, in primis, dalla pluralità di istanze e élite, dagli istituti di

15Si noti, sotto questo rispetto, che nelle prefazioni alle varie e successive edizioni de La folla solitaria,

David Riesman più volte ha richiamato l'attenzione di lettori e 'addetti ai lavori' circa la fondamentale differenza concettuale tra la prassi dell'autodirezione e l'esercizio dell'autonomia. A Riesman, infatti, era ben nota la confusione e l'equivocità perpetuatasi, in sede di storia della cultura e teoria delle idee, a proposito della distinzione tra l'ordine dell'autodirezione e quello dell'autonomia. Ciononostante, pare che questo fraintendimento non sia stato mai del tutto chiarito, forse perché manca, ne La folla

solitaria , un'analisi approfondita di come si sia di volta in volta combinato il mix tra i tre tipi storici,

vale a dire il tipo diretto dalla tradizione, l'autodiretto e l'eterodiretto, dominanti in tre successive fasi della storia dell'Occidente, e i tre tipi 'universali', presenti cioè in tutte le fasi, dell'adattato, dell'anomico e dell'autonomo. A ogni modo, pur ammettendo l'ipotesi di talune occasionali 'cadute' di rigore, i pregi dell'opera di Riesman restano cospicui. Cfr.: David Riesman, La folla solitaria, il Mulino, Bologna, 1999.

favori e concessioni e, non ultimo, dal contrappeso dei veti.

Con buona ragione, però, è opportuno almeno dare conto che nel corso dello sviluppo delle teorie «sociali» di Riesman e dei suoi collaboratori, le occorrenze evenienziali di inesattezze o errori non fanno difficoltà, in quanto si conformano alla ragione empirica e genericamente dimostrativa di una trafila cognitiva irrelata a un'interpretazione del fenomeno sociale che procede per tentativi.

Anzi, a conti fatti, le linee teoriche generali tratteggiate da Riesman hanno forse costituito il più semplice orizzonte di afferenza per l'immagine sfocata che molti americani avevano di se stessi, nel senso che certe letture 'diagnostiche' fondano oggi i motivi per il nichilismo dei reazionari anticonformisti e degli insistenti bigotti di ieri.

In questo modo, certi livori generici e a-ideologici del comportamento, - si pensi per esempio, a tal proposito, all'animosità del 'conservatore morale' - , smettono di ispessirsi e scaricano le maniere reazionarie del passato nella nuova sincerità di un punto di vista più nichilistico, acquisito più specificamente da quei giovani americani istruiti, per i quali l'autocritica è più convincente dell'autosoddisfazione, anche alla luce di certe nozioni sul 'carattere morale', acquisite da letture sociologiche o, di necessità, dai fotogrammi mediatici che ricadono nello spazio delle ragioni della mente.

Già l'osservare che a nulla è valsa un certa storica coscienza americana progressista e liberale al fine di provvedere alla pace in patria e all'estero, contribuisce a meglio tratteggiare la contraddittorietà profonda incorporata nella società americana, costitutivamente polarizzata tra le traiettorie della generosità da una parte, e fobiche prudenze e paure a lungo termine e di portata storica dall'altra.

Nel quadro generale, perciò, è innegabilmente rilevabile il senso accertato di disagio che molti provano tra le reti e per i retaggi della contemporaneità; ma, col suo stesso autoincriminarsi, questo malessere ci

parla anche di un accrescimento dell'aspettativa e della spinta desiderante riversata sul vivere sociale.

Questo incremento della domanda volta dagli individui alla società riflette, e in parte conferma, l'aria di dubbiosa e interdetta 'inquisitorietà' su cui si attesta la fede nei sondaggi e nell'opinione, oggi così prolifica in quanto sempre più spesso la forma della realtà passa dal vaglio del pensiero comune.

Per queste vie si accentua, altresì, il senso di democraticità, dal momento che, come fa notare Riesman, l'uso sistematico dei sondaggi trascina precipuamente gli individui privi di potere di parola nell'orbita dell'interesse degli studi sociali per i dati «non-privilegiati».

A tal proposito, si dica per inciso che dati «non-privilegiati» sono anche il rimosso e l'onirico, il carattere del gioco dell'infanzia, il sottinteso simbolismo della pubblicità e le linee di derivazione che si dipartono dai metodi di svezzamento, fino a risultare di poi nel variegato folclore delle società adulte: di questo si occupa precipuamente la psicoanalisi, oltre che l'antropologia.

Tornando ora ai rilievi delle scienze sociali, c'è da dire che essi rendono conto ampiamente di certi umori dell'incertezza e misurano l'ambito delle relazioni coi gradi della consonanza variabile e col contrappeso delle resistenze che gli individui sempre più frappongono alle ubiquitarie conformità di una certa «etica dell'egualitarismo», storicamente costitutiva del carattere americano fin dai primordi della repubblica16.

Correlativamente alla facilitazione del business dell'opinione e dell'indagine ripetibile, la società americana di oggi ha rinvigorito un catalizzatore morale, che induce molte persone a rifiutare il «compromesso immorale» dell'adattamento, tentando la difficile scommessa dell'autonomia o, a limite, i baricentri altri della devianza o anomia.

16

Se con la pratica di un'alternativa autonomia si riesce a digredire dall'eterodirezione – che è il tipo di carattere sociale oggi storicamente dominante, secondo l'indagine empirica di Riesman - avviene che oggetti immateriali, quali ad esempio la qualità delle relazioni o il piacere del lavoro, pesino sulle bilance personali più degli apprensivi valori economici costituenti la moda dello 'stile di vita'. Questa nuova sensibilità è anche conseguenza della maggiore prodigalità di certi atteggiamenti postindustriali oggi largamente diffusi, che hanno marginalizzato l'importanza del lavoro produttivo, in ragione dell'impressione, - rivelatasi poi erronea – secondo la quale «il problema economico della ricchezza in America sarebbe stato completamente risolto sul piano della produzione17». In realtà, che l'accertamento valutativo della ricchezza sia spesso relativo al proprio stato personale o, al massimo, alle condizioni delle «realtà» più limitrofe, è d'altra parte un dato di chiara evidenza. Oltre all'America profonda e veramente povera e oltre al precario benessere dei ceti medio- bassi dei lavoratori, nel macro e microcosmo opaco di quasi tutti i livelli sociali esistono infatti gli indigenti, congiuntamente a certe preformate solidarietà del residuo consumistico.

A ciò si aggiunga, come ovvia nota a margine, che alla penuria materiale di certe falangi periferiche della società, si affiancano i ben altri livelli di una diversa inadeguatezza.

Con ciò si sta parlando di quel sentimento dell'irrealtà che struttura il background psichico delle classi professionali dei colletti bianchi, in concomitanza alle screziature di intransigente perplessità morale sollevate dalle meccaniche dirigenziali della mastership, nonché del collasso dell'affetto e della smodatezza delle invidie di certa spregiudicata imprenditorialità, anche a cagione della distanza tra gli agenti di produzione e l'aleatorietà ostica del prodotto finito.

17

Si tratta insomma, in poche parole, di tutta una caratterologia dell'alienazione, risultata nei “nuovi ceti medi” in conseguenza dei tassi di dissimulata coercizione imposti dalle politiche manageriali. D'altra parte, che l'individuo si sia sempre più concretato in quanto duplicato del suo proprio ruolo sociale e occupazionale è un dato che parla, ordunque, di una inattesa evoluzione della conformità, stando all'osservatorio delle scienze sociali, più incline a rilevare primariamente i quadri della tensione, che a rendere conto dei modi dell'adattamento o dell'adeguamento alle burocrazie attese da istituzioni e società.

Ciononostante, incrementando l'indagine empirica e teorica a forza di domande e griglie di raffronto, Riesman e collaboratori si sono potuti accorgere che «tutti, dall'imprenditore al capitalista, si sono dichiarati contro la conformità» (cit.: Riesman, La folla solitaria, cit., p. 21), deplorando l'immanenza eterodiretta del pubblicitario, con lo scopo di «evadere» nell'imagery del cowboy autodiretto della letteratura d'ispirazione per adulti.

A questo punto, però, è d'uopo dire tra parentesi, poiché non è ancora stato detto, che autodirezione e eterodirezione sono concetti evidentemente astratti: nessun individuo infatti è mai esclusivamente l'uno o l'altro, tanto nella gestazione intensiva quanto nella complessiva durata estensiva della sua propria vita.

Alla stessa stregua, pare opportuno aggiungere che quella stessa eterodirezione, che è così facilmente confutabile, è in realtà qualcosa di più che un apprensivo conformismo al fine di ottenere l'approvazione altrui. Riesman fa notare, piuttosto, che «ciò che intendiamo per eterodirezione include una ridefinizione del Sé [...] nel senso delle qualità interne e d'interazione. La persona eterodiretta vuole essere amata piuttosto che stimata. [...] Non ha un interesse snobistico per uno status che la innalzi agli occhi degli altri, ma cerca di essere emotivamente in sintonia con loro»

(cit. Riesman, La folla solitaria, p. 24). Dalla persuasione che il problema delle persone sono 'gli altri', trae ulteriore rafforzamento l'opinione di Riesman, secondo cui le vecchie scienze sociali – quali la storia, l'economia e le scienze politiche – sarebbero in fondo inadeguate nel rendere conto opportunamente di quel mutamento sociale che, per essere meglio compreso, abbisogna, piuttosto, della psicologia psicoanalitica.

A ogni modo, insistendo ancora con l'accento terminologico della sociologia, dalla lettura della Folla solitaria, la scomparsa dell'autodirezione, al culmine della delineata sequenza storica deterministica dei caratteri, risulta con l'evidenza del dato assodato, per quanto lo scritto di Riesman non renda però affatto conto in modo dettagliato delle ragioni di formazione e d'imponenza di siffatto «carattere» sociale dell'efficienza. Sebbene ciò, a proposito di autodirezione, va detto che le ultime occorrenze congetturali e prove indiziarie di essa paiono accompagnarsi, altresì, a una perdita crescente del senso del destino personale.

Tràttasi di evoluzioni socio-psicologiche tutto sommato recenti, delle quali sono coresponsabili, tra gli altri, certune istituzioni per alcuni versi germinate dalla stessa qualità di durezza dell'autodirezione: con ciò ci si sta richiamando all'istituzione del libero mercato che, sorto dalla solida fiducia che gli autodiretti ripongono in sé, si esterna nell'orientamento degli individui a vendere se stessi nel «mercato della personalità»18 e delle piccole diffrazioni differenziali tra prodotti equivalenti (o, parafrasando Freud, «narcisismo delle differenze minime»), dove 'gli altri', invero, fungono spesso da pretesto per giustificare l'apprensione delle proprie personali vanità.

Si aggiunga, inoltre, che il perplesso clima morale, proprio dell'opulenza americana, unito alla relativa impotenza del governo e ad una non chiara

18

gerarchia del potere, - da cui deriva, tra l'altro, la ricerca dei poteri di equilibrio - entra in concorso a suggellare il quadro di una società dagli sprazzi sconcertanti di passività e 'mancanza di gioia', per cui, muovendosi tra i pluralismi degli Stati Uniti, nell'intrattenimento di una politica giocata ai livelli intermedi, non sorprende ravvisare coalizioni di élite che beneficiano dei vuoti di potere civile e della relativa libertà concessa ai piccoli poteri, non sapendo bene cosa desiderare.

Che «gli uomini non concorrono più con entusiasmo a produrre la loro alienazione19» è constatazione che imprende, per esempio, il dolorabile mondo percepito di un David Foster Wallace, tra il bombardamento massmediatico e la veste ammaliante di merci simboliche che occultano le non pubblicizzabili petizioni dell'emozione.

In questo contesto, l'opzione dell'autonomia, delineata poco approfonditamente nella terza parte del volume di David Riesman, sembra essere la più prossima al tipo della personalità indipendente: gli autonomi configurano infatti i tratti della logica polivalente, del debole legame di lealtà e del desiderio per l'azione antisociale.

Quest'ultimo aspetto, in particolare, costituisce la vera area di pericolosità per siffatto «carattere» dell'immunità al consenso. Al contempo, la discontinuità dell'evoluzione e la difficoltà combinatoria tra risultanti delle «direzioni» e autolegislazioni dell'autonomia, rendono conto di un generale riposizionamento degli interessi e dei centri di gravità nella vita di molti, con lo scollinare dal piano del lavoro alla derivazione del 'tempo libero', i cui costi non sono stati dettagliatamente disaminati da Riesman e collaboratori nelle varie edizioni del libro.

Negli spazi dello svago si avverte, dunque, l'esigenza di una più profonda riorganizzazione del lavoro, dal momento che il relazionarsi alla vita attraverso i consumi ed il prezzo del proprio lavoro appaiono lacunosi a

19

sempre più persone.

Ad ogni buon conto, l'autonomia si delinea comunque come il temperamento dalle inesplorate potenzialità. Quando essa è presente, gli uomini, infatti, possono fuoriuscire dai confini ristretti e nominali della