1. Cognizioni e discernimenti attorno alla fisiologia del consumo
2.1. Critica delle apparenze e antropologia negativa della società: Minima moralia di Theodor W Adorno
Dall'immaginare di affiancare due successive occasioni di lettura dell'opera adorniana, - in un primo momento infilare gnoseologie relative alla società dei consumi, con la lettura della Dialettica dell'illuminismo, in un secondo momento aspettarsi la diversione dai Minima moralia5, stando alla soglia dell'attesa per la tetica promessa della divaganza, inseparabile dalla texture aforistica – viene fuori la sensazione di essersi protratti in un eccesso. Come se la collazione del detrimento morale, la retroazione delle varie reificazioni, dicessero di una «morte dell'etica», con la sanzione di un discorso quasi alla fine regresso alla tautologia e alla sigla ostinata.
Quanto detto, è impressione di lettura personale, volendo dire, con ciò, che è il prodotto di un disorientamento, nel tessuto delle apparenze discorsive del connubio adorniano di logica e critica.
L'introduzione ai Minima moralia, scritta da Leonardo Ceppa per l'Edizione Einaudi 1994, prolunga fino alla speranza i livelli di senso negativo di certune letture personali, empiriche, d'occasione e male in arnese, ben avvezze a rendere la 'disperazione' molto più provveduta del gesto che la liquidi.
Anche per effetto della vischiosità della civiltà dei consumi, che marcia a pari passo con le riproduzioni modulari dell'industria culturale, è molto facile, nei fatti, adottare l'uso di spalmare la speculazione di Adorno ad ogni ambito, privato e sociale, della propria vita materiale e spirituale, finendo col fare, di questo uso improprio del discernimento, la mappa tattica su cui fondare la ragione assiomatica della rassegnazione.
La fondatezza di ciò l'ho sperimentata nella tanta cupezza, ad esempio, che
5 Per queste assommate notizie e rielaborazioni relative alla critica francofortiana, cfr. : Theodor W.
mi è venuta dalla lettura delle suddette opere della Scuola di Francoforte, anche in considerazione del fatto che, della lettera del testo, ho preso l'apparenza del movimento, circolare e spiraliforme, e non il riporto al passato delle linee di fuga.
Al fine di conformare le proporzionate correzioni dei sensi di lettura, lo squarcio della profondità prospettica è, invece, varco e vaglio da cui l'opera riluce, in tutta la razionalità strategica del suo disegno dialettico e filologico, pertinente e progettuale, e non più soltanto sciattamente attuale o rivendicativamente personale.
Ne consegue che, ad un primo e superficiale livello di lettura dell'opera adorniana, la rilevata linea di un tema antiredentivo si svolge nella timbrica dell'uggia – il primo dei mordaci umori da cui è colpito il senso d'attenzione del lettore. Pare d'uopo però constatare che, con l'apporto di una lettura meno pregiudiziale, i giri 'autodistruttivi' della dialettica di Adorno diventano solchi di un discorso più profondo, che si prolunga, in scacco alle false autonomie degli idealismi ed alla stasi borghese, fino alla scommessa attorno ad un progetto di libertà.
Sia detto, a questo proposito, che una lettura più positivamente germinale del testo adorniano è possibile soltanto al prezzo di una precisa collocazione storica.
In altre parole, se da una parte - con l'immaginare gli afferenti alla Scuola di Francoforte nella loro condizione, materiale e spirituale, di esuli dalla Germania nazista – si sta forse commettendo il vistoso errore di riversare la grande storia nel vivaio delle ideologie privatamente partitiche, oltre che nel viavai dei destini personali, dall'altra parte è senz'altro vero che un'ambientazione e motivazione storica per le condizioni di vita di persone e di idee dispiega variazioni.
Ciò detto, nel caso della Scuola di Francoforte, un appunto sulla compagine storica aiuta forse a meglio chiarire la positività di
un'operazione di costruzione della speranza, la volontà, insomma, «di salvare la vita, studiando le ferite»6, resistendo alla «cattiva mediazione» di storia e dominio col mezzo di un ostinato richiedere, o puntuale domandare, attorno alla verità.
Senza contare, di poi, che le adorniane «meditazioni della vita offesa», anche se col silenzio dell'assenza di un oggetto, sommuovono ancora l'etica, nel senso che l'imprecisa stupefazione della saggezza adorniana si sostanzia col desiderio d'infanzia e di teologica felicità, non dissimilmente da quanto, dall'altra parte, cotale saggezza si inoltri nel cuneo del rimpianto e del dolore per la perdita della 'retta vita' e per la confusione delle rappresentazioni d'amore.
Ne risulta che la forma della nostalgia e l'esperienza della perdita, le mutilazioni della guerra e i micrologici traumi, - tanto negletti presso i tribunali dei vari positivismi - non depistano il soggetto, né decretano la fine vera dell'etica, dal momento che il lutto – parola psichica di traccia freudiana - configura, rispetto alla speranza, l'ascendenza di poterla ingenerare.
Ad ogni modo, nella riflessione critica dei francofortesi, la quasi aporetica difficoltà della moderna situazione di produzione è di ben decifrata chiarità in tutta una costellazione di fattori. Si pensi, per esempio, alla nemesi giornaliera che il capitale invisibile compie sull'umano, all'astrazione del valore d'uso, subordinato ad un'inarrestabile dogmatica dello scambio, alla compartimentazione delle forme del lavoro, e ad altri e simili processi di generalizzazione che hanno predeterminato lo sfruttamento e la scomparsa della libertà.
Resta però da annotare che proprio un siffatto pervertimento procura all'etica la possibilità di rifondarsi trasfigurata, di evolversi da saggezza di religioni filosofiche, a discorso sociologico di antropologie economiche,
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sul tema dei rapporti tra la vita e le diverse manifestazioni della produzione.
La sciolta forma testuale di Minima moralia disarticola una critica, talora quasi inappellabile, delle apparenze e dei modi borghesi, condensandola nel parametro dell'aforisma. Ne viene fuori un'architettura del discorso centrifugo, oltre che una dialettica a spirale, che – pur nella severità del concetto che sostanzia i frammenti - non si coniuga a sistematicità.
Giustappunto, a proposito del lavoro teorico del concetto, si potrebbe dire, per esempio, che nelle circostanze del soggetto moderno, la costruzione motivazionale della solitudine trova acrimoniosi argomenti dimostrativi in certe considerazioni adorniane sulla socievolezza, come comprova, tra gli altri, l'aforisma 5, di cui qui appunto un breve periodo: «La stessa socievolezza è partecipazione all'ingiustizia, in quanto prospetta il mondo congelato come un mondo in cui si può ancora discorrere; e la parola facile, cordiale, contribuisce a perpetuare il silenzio7».
Similmente, dall'aforisma 103, annoto un altro passaggio di un giro di frase: «[...] gli uomini socializzati e ridotti, dalla socializzazione, in disperato isolamento, sono assetati di convivenza, e confluiscono in gelidi mucchi8».
In definitiva, dunque, non c'è più niente di vero, anche in considerazione del fatto che la trasfusione di certi pesanti stereotipi nell'individuo è particolarmente ingente e continuativa.
Si pensi, sotto questo rispetto, ad alcuni delucidati caratteri fisionomici del tempo corrente: essi sono, per esempio, l'ipocrisia del piacere, il compito del benessere, la legge numerica della produzione, gli usi strumentali della spiritualità, l'avventura del caso entro la democrazia del guadagno, e diverse altre bugie che l'industria culturale propaga, con la tipica
7Cit. : Adorno, Minima moralia, op. cit., p. 17 8
sfrontatezza delle infrascritture e degli atti deliberatamente ottusi ed extracognitivi.