Nel forgiare la strategia di un nesso, che funga da 'ponte' tra la scaltrita vox portante dei 'padri spirituali' delle scienze sociologiche e le sponde dell'attuale e derivativo pensiero critico 'postmoderno', abbozzo il presupposto corsivo di un'ipotizzabile correlatività tra i fragili epiteti d'identità' e l'implementato complemento del sentirsi soli.
Prima facie, sia che l'identità passi attraverso le probanti confermazioni dell'ethos pubblico, sia che essa s'installi a segnavia di privati passi, si ha l'impressione che, in ogni caso, l'incertezza nel sentirsi accasati entro un qualsivoglia perimetro identitario produca, di per se stessa, effetti di solitudine e proiezioni di desolazione, già a partire dall'esperienza della perdita dei diritti di autoaffermazione e di riflessività dell'io, anche per conseguenza dell'implosione della discussione pubblica tra le reti e nelle matrici dello spazio globale.
Ordunque, portando nel discorso gli essoterici 'temi ricorrenti' del pensiero sociologico di Zygmunt Bauman, si parla, fin da ora, di «modernità liquida», non soltanto per 'familiarizzare' con il gergo degli ámbiti strutturati di una storia della modernità, che sottintende, tra l'altro, il 'mondo solido' delle fasi premoderne, ma si parla di «modernità liquida» anche con l'intento di dare luce a come gli individui «si posizionino»
rispetto a questa corrente di realtà, dove agorà e spirito locale sono 'casse di risonanza' non tanto di una politica dell'autoaffermazione riflessiva, quanto, piuttosto, di un'eccentrica appartenenza ad una rete promozionale e glocal1.
Il pensiero critico di Zygmunt Bauman spazia, infatti, tra le costellazioni di segni della postmodernità, riconoscendo il 'principio di responsabilità' in qualità di atto preliminare di qualsivoglia discorso convenientemente pubblico, nonché 'dissezionando' le macrocampiture del reale e della soggettività collettiva, alla luce delle meccaniche della globalizzazione, con il riporto delle ricadute fenomenologiche del quotidiano individuale.
Ed è seguendo la metrica rapsodica della posta elettronica e la continuità tematica che Bauman si è lasciato interrogare da Benedetto Vecchi sull'identità, per come essa risulti oggi, al tempo della '«grande trasformazione» che ha coinvolto gli ordinamenti statali, la condizione lavorativa, i rapporti interstatali, le soggettività collettive, il rapporto tra l'io e l'altro, la produzione culturale e la vita quotidiana di uomini e donne2».
(Sia detto, per inciso, che a proposito delle evenienze – tutt'altro che infrequenti – di logoramento e travaglio del senso d'identità, Bauman fa accenno, nel prologo del libro-intervista sull'identità, alla propria vicenda biografica d'immigrazione in Gran Bretagna, allorquando, nel 1968, in Polonia, la repressione del dissenso stroncò gli entusiasmi del giovane movimento studentesco, usando l'antisemitismo per colpire, mediante l'ufficiale esclusione dai titoli di cittadinanza polacca, quegli studenti e docenti – e Bauman era tra quelli - che chiedevano di farla finita con il
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Stando al lemma di un dizionario italiano online, «glocal» è voce dell'economia politica, con la quale si designa «chi opera per la tutela e la valorizzazione di identità, tradizioni e realtà locali, pur all'interno dell'orizzonte della globalizzazione». Si tratta di una entrata lessicale piuttosto recente, in cui una lapalissiana evidenza, - quale è, per l'appunto, il bisticcio tra 'globale' e 'locale', traslato in nesso ossimorico - , restituisce la disarticolata coerenza e la disallineata allotropia di certo spirito da revival locale che, in definitiva, pare affatto eccepire dal trend consumistico dello spazio globale
2Cit. da.: Zygmunt Bauman, Intervista sull'identità, a cura di Benedetto Vecchi, Editori Laterza, Roma-
partito unico.
In conseguenza di ciò, trovandosi privato, per vie ufficiali, del diritto di insegnare in Polonia, Bauman sperimentò la condizione di 'nuovo venuto' e, di poi, di 'cittadino naturalizzato' in Gran Bretagna.
In questa guisa, egli rivolse il suo stesso caso biografico a testimonianza delle plurime possibilità dell'identità, dimostrando, coi conti dell'esperienza, la fondamentale 'reversibilità' delle identità definite nei termini della nazionalità.
Sulla scorta di tale vicissitudine, scegliendo che fosse eseguito l'inno europeo durante la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa, Bauman compì un'operazione inclusiva di tutti i parametri, estremi ed alternativi, delle sue proprie appartenenze territoriali e nazionali, ma, al contempo, elesse una scelta anche esclusiva, nella misura in cui l'opzione 'europea' abbia la qualificata prerogativa di rimuovere le versatili e più particolari differenze tra le identità assunte per 'appartenenza nazionale'.
Da questa sua opzione risulta un concetto dell'identità come lavoro in progress sui costrutti personali di scelta, decisione e negoziazione. Ciò, in ogni caso, non è in indipendenza da quelle occorrenze e proiezioni di 'identità', che si dettagliano problematicamente, a forza di «tirare fuori [...] una vocazione, una missione, un destino scelto3», trascendendo i segni delle appartenenze nel 'costruzionismo' di un «io presunto».)
Ciononostante, la porosità di molti dei 'fattori predeterminati' induce ai sogni di appartenenza4, di cui v'è un riverbero, ad esempio, anche nell'esile spirito di discernimento con cui, oggi, si occasionano eventi e correlative comunità 'di appiglio' e contrappeso, che si radunano nel centro di gravità dell'evento, ed ivi si motivano, per poi decadere in dispersione dopo breve arco di vita, allorquando l'impatto dell'evento diventa, d'improvviso,
3Bauman, op. cit., p.9
4Un sogno di appartenenza è il titolo di un libro scritto da Janina, compagna di vita di Zygmunt Bauman,
remotamente datato e subitaneamente obsolescente.
Per altro, di questo genere di fenomeni, pare faccia parte il successo di cui oggi gode la 'terapia fondamentalista' (intendendo, con codesta espressione, qualsivoglia circoscrizione di un’ideologia dell’appartenenza pregiudizialmente rigida), anche in conseguenza dell'adescante semplicità con cui essa appronta misure di palliazione, a fronte di quello spettro dell'esclusione che, oggi, tanto più disorienta, quanto più va diventando indisponibile, oltre che realisticamente poco praticabile, l'opzione del riconoscersi «cittadini» di un'entità statale che, di fatto, ha ceduto buona parte delle sue antiche prerogative alle politiche dello sviluppo globale.
Ciò è potuto avvenire anche perchè le nuove forme di «prossimità» nello spazio globalizzato hanno ampiamente soppiantato i benefici che, nel passato, la 'rete fisica' di un immediato circondario territoriale apportava alle condotte e agli orientamenti di individui che, fino a qualche tempo fa, sapevano di poter contare su una «società di conoscenza reciproca5», nonché su una rete di familiarità atta a marginalizzare l'incertezza, esautorandone il potenziale di angoscia entro la consuetudine della vicinanza. A questo, inoltre, nell'ottica di uno schema più generale dei fatti, si aggiunga che il rilievo crescente acquisito, ai nostri giorni, dalla questione dell'identità, - che non è più soltanto un lacerto della meditazione filosofica, ma è, soprattutto, un impegno ricorrente nelle agende giornaliere, - fa tutt'uno con quello stato di cronicizzata epochè che ha intaccato i più solidi contrafforti del senso e del pensiero di appartenenza.
Con ciò, si vuole alludere, ad esempio, alla scoperta recente del carattere fittizio di quel concetto di 'identità nazionale' che, al tempo dell'indivisa sovranità degli Stati-nazione, teorizzava la «realtà di fatto» della «natività
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Di «prossimità» e di «società della conoscenza reciproca» ha parlato Philippe Robert, in un articolo apparso nel dicembre del 2002, in «Esprit», dal titolo Une généalogie de l'insécurité contemporaine,
entretien avec Philippe Robert. Si veda, a questo proposito, la menzione che ne fa Z. Bauman, op.cit.,
della nascita6», in quanto contrassegno d'indubitabile appartenenza ad una nazionalità; senonché, la corsiva registrazione dei censimenti di popolazione, condotti, ad esempio, in Polonia, nel periodo immediatamente precedente allo scoppio dell'ultima guerra mondiale, riferisce i molti casi di persone che rimanevano esterrefatti all'idea di una «identità nazionale», rivendicando nessun'altra 'appartenenza' al di fuori di quella locale.
In altre parole, a proposito di identità, quelle persone, a cui è stato chiesto, nello scorcio degli anni Trenta del Novecento, di dar prova di riconoscimento della propria «identità nazionale», forse si sentivano ingaggiate da un teorema quasi 'agonistico' e da un 'panico' difensivo, oltre che dalla 'trappola' simbolica di un'appartenenza che, in fin dei conti, afferiva ai rudimenti di legittimazione della sovranità dello Stato-nazione, in misura di gran lunga maggiore rispetto a quanto potesse fungere da apposizione individuante e connotativa della loro cronaca personale.
Pare, dunque, a ogni buon conto, che i discorsi sull'identità si infittiscano allorquando le 'prove' di appartenenza siano inficiate dal dubbio che tutto questo 'parlare di identità', e di «identità nazionale» in particolare, altro non sia che una cronicizzata simulazione, o, per lo meno, «una convenzione laboriosamente costruita7», volta a demarcare il prevalere delle leggi dello Stato su tutte le eventuali altre forme consuetudinarie di diritto, per quanto, oggi, talune mansioni di salvaguardia dell'ordine, istituzionalmente regolamentate dallo Stato o dalle sue agenzie, siano state assorbite, invece, dalle forze del mercato globale.
Tralasciando, per il fine di un discorso sulla 'solitudine', ogni questione relativa all'annoso dibattito circa l''affiliazione nazionale', si accenna, a questo punto, all'autorizzato repertorio gestuale di quella «disattenzione civile», - di cui Erving Goffman ha disvelato l'etichetta meramente
6Sul concetto di «natività di nascita», per come è stato messo in luce da Giorgio Agamben, cfr.: Bauman,
op. cit., p. 18
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strategica -, vigente nel dedalo reale delle nostre strade urbane, in quanto luoghi di pubbliche 'investiture' d'identità, 'soggette' all'osservanza del corpus normativo di quella socialità transeunte e transitante, che esonera dal dover saldare una contiguità tra prossimità fisica e vicinanza spirituale8. A ciò si aggiunga che il nostro 'mondo vissuto', soprattutto nel versante dell'Occidente in implacabile espansione 'planetaria', affatto occulta la produzione di scarti umani; al contrario, l'ostinata visibilità dei tanti «umani scartati» è un'icastica, tronca e disseccata versione dell'espansione, nonché un effetto della globalizzazione, rifranto, in piccola scala, nei 'margini' delle nostre città.
In conseguenza di ciò, l'estrema difficoltà, di cui le persone underclass fanno esperienza (intendendo qui, per underclass, l’«onnicomprensiva» ‘classe inferiore’ includente lo spettro amplissimo delle marginalità), nel refuso di un primario ed atavico dovere di autoaffermazione al di fuori di reiette riduzioni, è un dato d'indiscussa evidenza che, perpetrando il fato degli stereotipi assistenziali, attesta nient'altro che la sfrenata ingiustizia dell'extraterritoriale spazio globale, nei territori di tutti gli spazi locali.
In base a ciò si potrebbe dire, con formula di grossolana sineddoche, che gli impegni e i disimpegni di tutti i «sottoclasse» attestino, invero, la 'vulnerabilità universale'. (Va da sé, ordunque, che molta è la solitudine nell'ordine del giorno degli underclass, così come, del resto, pure molto incerto è il discrimine vero tra «noi» e «loro»9. In definitiva, forse, è proprio a causa dell'aleatorietà di ogni sicurezza se i 'margini', oggi, ispirino anche un rigetto di contrarietà, o, almeno, forniscano una messe di ragioni patenti per non guardare le possibili altre versioni di «noi», replicate in refrattarie 'visioni d'insieme'.)
8Bauman, op. cit., p.28: «Quando accendiamo il cellulare, spegniamo la strada.»
9Bauman, op. cit., p.92: «Le 'forze della globalizzazione' modificano [...] i paesaggi familiari. [...]
Rimescolano gli individui e mandano in rovina le loro identità sociali. Ci possono trasformare, dall'oggi al domani, in vagabondi senza casa, senza un indirizzo o un'identità fissa. [...] E ogni giorno ci ricordano che possono farlo impunemente, gettando davanti alle nostre porte quegli individui che sono già stati respinti [...]»
Di conseguenza, mettendo ora tra parentesi la «produzione» di quelli che sono denominati, con metafora linguistica, «umani scartati», sia detto che il 'liberalismo' consumistico dell'attuale mondo globalizzato è una superficiale strategia lenitiva, - qual è, del resto, anche il 'comunitarismo' -, che predispone una grande quantità di 'prodotti' allo status di scarto e detrito, anche in conseguenza della velocità di ricambio sovrimposta al mercato.
In quest'ottica, anche quei legami relazionali che più dappresso replicherebbero, presuntamente, l'archetipo della 'libertà di scelta', - ovvio riferimento è, sotto questo rispetto, alla relazione d'amicizia - nascono, per così dire, col marchio di scadenza, come se fossero, esse stesse, oggetti di consumo. Ad ogni modo, questa onnipervasiva revocabilità delle scelte, enfatizzando il 'potere di controllo' di tutte le 'parti' in gioco, produce, in realtà, dissonanze cognitive tra rivendicazioni generiche di 'liberazioni individuali' e l'apprensivo bisogno di altri 'di fiducia', in cui potersi riconoscere e rispecchiare.
A questo proposito, nel libro-intervista sul tema dell'identità, - libro dal quale si diparte la riflessione del corrente paragrafo, fin qui condotta - a proposito della 'relazione sentimentale', Bauman espone l'opinione che «è proprio la disponibilità di una facile via d'uscita a rappresentare un formidabile ostacolo alla realizzazione dell'amore10».
In altre parole, nel 'sottodefinito' e deregolamentato mondo sociale che, congiuntamente, tutti noi condividiamo, non pare troppo audace dire che, in certe occasioni, il paradigma fondamentalista, col suo 'digradare' dalle estreme 'falangi' della religione fino al giornaliero e pratico diritto degli ordini delle relazioni, funge da stratagemma palliativo e da 'fabbrica di significati', anche allo scopo di occultare le tante solitudini reali, fornendo calore, connettività e comunità d'appiglio.
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In breve, dunque, ogni sorta di ordinamento variamente 'fondamentalista' rivendica, in definitiva, una ragion d'essere tutta pragmatica, nel senso che, sul filo di un'articolazione surrettizia dei significati e di una 'nutriente bugia', esso compendia lo sforzo del trascendere il vuoto politico e le scarse risorse del dibattito pubblico attraverso la distorsione dell'istinto della fede, nonché attraverso la strumentalizzazione dell'istanza comunitaria.
Rimanendo nell'ambito del 'fondamentalismo', si può constatare, altresì, che, oggigiorno, la negazione degli strumenti collettivi e pubblici di trascendenza11 è sempre più diffusa, in conseguenza del fatto che, sempre più profusamente, gli uomini e le donne risultano inclini alle burocrazie dogmatiche, più di quanto siano propensi a immaginare le possibilità di una più democratica articolazione dei «fattori di stratificazione».
A questo punto, in qualità di nesso di raccordo, - atto almeno a far menzione dell'assodata interrelazione tra 'fondamentalismo' e 'ideologia' -, pare pertinente accennare a quella tesi dell'«egemonia ideologica», che motiva l'ideologia non tanto come la 'stigmatizzazione' di un pensiero in accordi di dominante, quanto, piuttosto, come un inclusivo addendo 'incorporato' nello stile di vita delle persone.)
Orbene, accade che, prendendo le mosse dalla strutturata antinomia tra «declino dell'uomo pubblico», di cui parla Richard Sennett, e «bisogno di comunità», si esacerba la tendenza delle persone a trattare la propria esistenza come un florilegio di esemplarità biografica, non soltanto allorquando vengano disaminate le condizioni in cui l'esistenza stessa si svolge, ma, soprattutto, allorquando certe rivendicazioni d'individualizzazione si rapprendano nell'ordito narrativo e nel filo discorsivo per mezzo del quale sono condotte e argomentate tutte le
11A proposito della «negazione degli strumenti collettivi e pubblici di trascendenza», si veda: Zygmunt
Bauman, The Individualized Society, Polity Press, Cambridge, 2001 (Trad. it.: La società
ragioni, tanto quelle della vita vissuta nello sfondo non negoziabile delle condizioni, quanto quelle altre della vita raccontata nella vibrazione della scelta e nella gamma dell'omissione.
Circa poi la scena della nuova 'società degli individui', con facile clausola si potrebbe dire che, oggi, una gestione privata e solitaria delle istanze di socialità e dei motivi dell'incertezza ha soppiantato alcuni tra i più 'incandescenti' tracciati di socializzazione, - il riferimento va, sotto questo rispetto, agli interessi ed acclamati sodalizi delle cosiddette «crociate culturali», o a quelle istituzioni panottiche di controllo diretto, nelle quali le posizioni di «dominati» e «dominatori», di 'controllati' e di 'controllori', erano rese reversibili lungo confini confutabilissimi.
Ed è per controbilanciare i termini evasivi e parziali del discorso pubblico che il summenzionato contraltare della 'soggettività' ricostruisce le ragioni perdute dell'impegno; il tutto, però, si svolge nell'ambito del 'complotto' autobiografico di un vaglio discorsivo illusoriamente 'retrospettivo', dal momento che, in realtà, la riflessività autoreferenziale delle 'storie di vita' articola una logica 'curiosamente' profetica, anticipando, nella vita narrata, la vita vissuta.
Nel suo libro, tradotto col titolo La società individualizzata, Zygmunt Bauman raduna un certo numero di saggi, tra loro correlati da una comune domanda ed ossessione, volta a dare luce al fatto che, oggi, noi raccontiamo e ascoltiamo storie che «esorbitano solo raramente, o mai, dal terreno angusto e meticolosamente recintato dell'io privato e 'soggettivo'12».
Per contro, collazionando livelli di lettura disparati, allo scopo di diffondere ipotesi parallele rispetto alla non vagliata cornice della doxa, nonché facendo assegnamento sulla prerogativa – propria della sociologia – del delucidare, anziché proteggere, le cause dei problemi, si può forse intravedere l'alternativa alla sempre più accentuata 'individualizzazione
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degli individui13' nella volontà di recuperare quegli ambiti generalmente estromessi dai noveri delle 'storie di vita'.
A questo proposito, si pensi che sempre più raramente, nei resoconti autobiografici, si accenna al nesso causale, o per lo meno d'interdipendenza e reciproca influenza, tra l'inquietudine dell'io e le contraddizioni sistemiche del mondo dell'economia finanziaria.
Si tratta, in altre parole, del tentativo puntuale di ampliare le dizioni dell'articolazione tematica e motivazionale, recuperando quello sfondo politico e condizionale che, proprio in quanto tale, si scosta dal volume delle scelte individuali, al fine di risaldare la gamma del diritto del 'soggettivo' con quella radice di responsabilità, della quale, in definitiva, può farsi garante soltanto una fattiva e ampliata agenda politica.
Pur tuttavia, al di là delle linee programmatiche impresse sulle lavagne dei pensatori e sui tracciati mordaci delle scienze sociologiche, resta il fatto che, nel mondo della modernità «liquefatta», «paure, ansie e risentimenti sono fatti in modo tale da dover essere sopportati in solitudine, dal momento che essi non si sommano, non si coagulano in una 'causa comune'14».
Ciò è senz'altro indice del collasso del «potere di contenimento» di quei tanti contesti che, mentre un tempo proiettavano certezze sul 'lungo termine', oggi, invece, hanno ceduto i diritti di quelle lealtà al calcolo dei profitti dei momenti di mercato e delle economie finanziarie.
Ed è in ragione di tale mutamento che la disponibilità all'impegno politico risulta crollata col crollo di quella fiducia che, un tempo, veniva riposta in talune immanenze istituzionali del 'lungo termine' – a questo proposito, ovvio riferimento, sulla scorta della lettura di Bauman, va al modello fordista di «capitalismo ortodosso», consistente nel legare capitale
13Per il fornire l'attinenza e il contesto del discorso, a proposito della 'fraseologia pleonastica' «individui
sempre più individualizzati», cfr.: Bauman, La società individualizzata, op. cit., p. 21
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e lavoro in sodalizi lunghi l'intera vita lavorativa.
Tra le evidenze implicite, si nota il fatto che, oggi, non è più così, per il fatto che l'ordine, nel tempo della globalizzazione, corre lungo reti e collegamenti che prescindono in toto da qualsivoglia principio predittivo, orientato a una più equa distribuzione 'allocativa' tra risorse del benessere e scorie di malessere.
Ne consegue che i parametri del senso di sicurezza, mentre in passato, come è stato più volte detto, vertevano sugli orizzonti del 'lungo termine', nonché sulla chiara individuazione territoriale degli enti a cui le persone legavano la propria sussistenza materiale, oggi, invece, risultano frantumati nell'extraterritorialità15 di quel «nuovo disordine mondiale16», detto, appunto, «globalizzazione».
In conseguenza di ciò, nei nuovi Panopticon moderni, la mansione tecnica di controllo è svolta dalla nuova forza globale della precarietà; di poi, per altro verso, l'accesso al ciberspazio, - accesso che è libero, si potrebbe dire, proprio in quanto è soggetto a tariffazione – ha tolto importanza alle più locali autonomie delle singole comunità reali.
Più propriamente, per quello che concerne l'ambito della relazione tra le classi, l'ineguale incidenza e distribuzione dei fattori di tempo e di spazio concorre a divaricare la forbice delle differenze e del mutuo isolamento tra vertici e piani bassi delle nuove scale del potere globale, nel senso che, mentre «coloro che ne hanno i mezzi vivono esclusivamente nel tempo, gli altri vivono nello spazio; per i primi lo spazio non ha importanza, mentre i