1. Cognizioni e discernimenti attorno alla fisiologia del consumo
2.2. Gli accordi minori di Theodor Adorno opinionista televisivo
Oltre ai toni assertivi di una certa adorniana produzione maggiore, - di cui Dialettica dell'illuminismo e Minima moralia rappresentano, rispettivamente, l'una, la proposizione fondativa e l'esposizione dei temi, approfondita con acribia di concetto, l'altra, la disarticolazione del corpus teorico nelle particole della fruibilità aforistica - esiste un Adorno più essoterico, che partecipa, ad esempio, ai dibattiti televisivi.
Ne consegue che, in cotale occorrenza, il punto di vista adorniano risulti come doppiamente filtrato dalla mediazione dell'irretimento televisivo in congiuntura a un certo tradimento dei significati in senso opinionistico, autorizzato, a pieno diritto, dalla simulata linguistica del talk show.
Di questa evenienza, ho avuto informazione da un libretto9 che riporta il testo della registrazione, anno 1968, di un dibattito televisivo, nel corso del quale dicono la loro, riguardo a due filmati di due opere10 di Samuel Beckett, le tre voci intellettuali di Theodor W. Adorno, Martin Esslin ed Ernst Fischer, - voci rilevate nelle retroazioni delle cicatrizzazioni caratteriali, oltre che nei fissi contrappesi di idee di posizione e nella diplomatica pleonastica degli imbarazzi.
A proposito delle due rappresentazioni di Beckett, i tre parlano di personaggi astratti e di uno stato di attesa sulla morte, che si fa circolazione discorsiva ripartita in tre monologhi.
Annoto, senza aver intrapreso accertamento né approfondimento a
9 T.W. Adorno, Essere ottimisti è da criminali. Una conversazione televisiva su Beckett, L'ancora del
mediterraneo, Napoli, 2012
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riguardo, che l''andare avanti' pare faccia parte della poetica di Beckett. In questo senso, ordunque, è possibile forse interpretare il prolungamento dei tre personaggi sulla scena, fino al punto in cui, di essi, restano gli ultimi stati di coscienza, sospesi nell'aria e in eterno, gli unici pensieri, in fin dei conti, su cui non ricade sorte e riluce occorrenza.
In altre parole, dai due filmati in questione si ricava la percezione che i pensieri esistano autonomamente, condannando le persone a continuare a vivere, dopo morte, in forme inaudite e singolari, nei pensieri degli ultimi tempi che, in quanto non più ripensati, restano riflessi eternamente correnti, incipienti ed ilari, nell'estorcere relazioni, fin anche, per così dire, alla non datità.
Paradigma mistico di questo teatro è, infatti, l'atto del levare esistenziale, la sottrazione in luogo dei complementi, la rinuncia ontologizzata al posto dei riti confermativi.
Al contempo, però, non è opportuno tacere riguardo all'impressione vitale che da questo «nulla» pure si promana, non in quanto sporgenza nevrotica dell'autore o inganno compensatorio dello spettatore. Più che altro, invece, i punti di vita della latenza mortale in Beckett sono dovuti, piuttosto, alla forte coscienza che il nulla esiste, in quanto è il nulla di qualcosa.
E questo qualcosa, - che può essere anche la vita cronica e giornaliera - , si autodenuncia sulla scena come apprensione metafisica o ricerca della verità, per il tramite di figurazioni dialettiche, talora addirittura non concludenti, che sono alquanto lontane dai più plastici rilievi di un certo realismo del «fenomeno superficiale»11.
Secondo Adorno, il negativo dibattimento esistenziale di questi personaggi di indirizzo teatrale non rappresenterebbe soltanto la ricaduta, sul piano «contenutistico», della tecnica beckettiana dell'abbassamento, bensì sarebbe, piuttosto, la manifestazione della sorte dell'individuo
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all'interno del mondo delle funzioni, sfrangiata nei fotogrammi dell'accadere teatrale.
Quanto alla cifra autoriale di Samuel Beckett, sia detto che ricorrono nei testi vere e proprie enunciazioni di ineffabilità, attestanti, forse, una estrema difficoltà del linguaggio, nel suo farsi sintesi dell'embricazione tra livello del significato e nesso metafisico, con una logora fabula di situazione borghese.
Di questa zona pervia di disforia comunicativa, fa parte, forse, la reiterazione di certi stilemi, - si pensi, a questo proposito, al rattrappimento del lessico nello sgranarsi quasi fotogrammatico del movimento scenico.
Ad ogni modo, il fatto che Samuel Beckett, nel corso di una conversazione con Adorno, abbia detto che lo stesso parlare altro non è che «dissacrazione del silenzio12», fa sopraggiungere commozione e solitudine nelle celle esistenzialiste dei personaggi oltre che dell'autore. In conseguenza di ciò, sembra davvero che, più che trattamenti della significazione, le parole siano rumori linguistici; giustappunto in quanto tali, esse restano sospese e interpretabilmente aprocrife, a metà dell'esito in verticale dell'illetterale e simbolista spazio di scena.
In tale situazione, già lo sbalzo della parola sul nastro magnetico13 riseca la gemma del pensiero. Ne consegue che il perturbante in certi momenti si imprime all'attenzione nella misura in cui le parole sono trattate non più per essere comprese, bensì per restare fissate nel presente imperituro delle meccaniche della riproducibilità.
In siffatta conduzione tecnica delle forme e dei temi, è forse possibile ragguagliare un elemento di morale: ciò significa che quel solipsismo, a cagion del quale Samuel Beckett è stato non di rado stigmatizzato, non è un vero e letterale sprofondamento filosofico in rocca interiore, bensì è un
12Adorno, Essere ottimisti è da criminali, op.cit., p.25
13 Chiaro rimando: Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp. Me ne ricordo il tempo lunatico e solitario
rasciugato punto di visuale dell'io, una linea empirica pari ad un'altra, dopo che la frantumazione del discorso ha prodotto le sue nuove conformazioni, fraintendibili, ellittiche e dichiaratamente intramediali.
2.3. Adorno laterale ed il «second'ordine» degli oggetti: uso domestico