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L'adozione del cost plus pricing secondo la contingency theory

3. I costi per le decision

3.2 Il costo per la determinazione del prezzo

3.2.1 L'adozione del cost plus pricing secondo la contingency theory

La teoria economica marginalistica prescrive che le imprese debbano fissare il prezzo al livello del costo marginale, ovvero del costo variabile, mentre i costi fissi sono ritenuti irrilevanti per il pricing. Tuttavia, tale prescrizione teorica è in netto contrasto con le politiche di prezzo, applicate nel mondo reale (Nabil Al-Najjar et Al,2008). Diversi studi empirici, condotti a partire dagli anni'80, hanno evidenziato la diffusione della

metodologia del cost-plus pricing, ed in particolare del full cost pricing. Govindarajan e Anthony (1983), esaminando un campione di aziende statunitensi, selezionato dalla classifica Fortune 1000, hanno rilevato che il 74% utilizza una forma di costo pieno come base per il mark-up, nella fissazione dei prezzi. Gli studi condotti negli anni '90 confermano i risultati di Govindarajan. Mill (1998), ad esempio, analizzando 52 aziende manifatturiere e 42 di servizi, operanti nel Regno Unito, ha dimostrato un'ampia

diffusione dei metodi basati sul principio del pieno assorbimento dei costi da parte dei prodotti: “full/absorption costing principles were the primary basis for determining product prices" (Mills, 1998, p. 38). Analogamente Joye e Blayney (1990) e Bright et Al. (1992) hanno individuato nel pricing la principale ragione alla base dell'allocazione degli overheads (cit. in Guilding et Al. 2005). Fabiani et Al. (2005) hanno condotto un'analisi approfondita delle tecniche di pricing in oltre 11.000 aziende provenienti da nove paesi della zona euro nel 2003 e nel 2004. Lo studio, che è stato sponsorizzato dalla Banca Centrale Europea, ha dimostrato che la metodologia di prezzo più diffusa è quella basata sul mark-up (cioè, il cost-plus pricing). Nessuno degli studi elencati ha però indagato i fattori di contesto, determinanti l'applicazione di tale metodologia. In questo senso il recente articolo di C.Guilding, C.Drury, M.Tayles ("An empirical investigation of the importance of cost-plus pricing", Managerial Auditing Journal, 2005) fornisce, su questo aspetto, un significativo contributo alla esistente letteratura; gli autori sono infatti i primi a sviluppare e testare una serie di ipotesi sui contingent factors che potrebbero influenzare il grado di importanza attribuita al cost-plus pricing. Le ipotesi formulate riguardano tre variabili: l'intensità della concorrenza, le dimensioni aziendali e il settore. In un mercato altamente competitivo le imprese sono spinte a tagliare i prezzi o ad allinearli al livello dei competitors, conseguendo così minori margini. In tale contesto, disporre di accurate informazioni sui costi è indispensabile per il marketing ed il personale di vendita, i quali necessitano di sapere quanto in basso possono spingersi con il prezzo, in modo da coprire i soli costi variabili (se è adottata una filosofia 'variabile costing', di breve termine) o anche i costi fissi (se si adotta una prospettiva 'full costing' di lungo termine). Inoltre, al crescere della competizione, le aziende possono essere indotte a differenziare i loro prodotti e servizi, per adattarli alle esigenze di particolari clienti. Secondo Drury et Al. (2005) la personalizzazione

dell'offerta, comportando anche una personalizzazione del prezzo del prodotto/servizio, tenderebbe ad accrescere l'importanza attribuita al cost plus pricing. Diversi studi in precedenza si sono occupati della relazione tra i sistemi contabili e la suddetta variabile

(Govindarajan, 1984; Guilding e McManus, 2002; Khandwalla, 1972; Libby e Waterhouse, 1996; Merchant, 1981, 1984; Simons, 1990), dimostrando una positiva relazione tra l'intensità della concorrenza, da un lato, e l'impiego dei sistemi di gestione e controllo e l'importanza attribuita al cost plus pricing, dall'altro. La seconda variabile testata nello studio di Drury et Al. (2005) è data dalle dimensioni aziendali; gli autori si aspettano una correlazione positiva tra la suddetta variabile e l'importanza attribuita al cost-plus pricing. L'idea alla base di questa ipotesi è che le imprese di maggiori

dimensioni sono spesso i principali operatori nei mercati, se non i leader, e tendono ad avere una maggiore capacità di influenzare i prezzi. L'applicazione del cost-plus pricing presuppone, infatti, che l'impresa sia price maker, e secondo gli autori questa

condizione è molto più probabile che si verifichi nelle aziende più grandi, o con prodotti altamente personalizzati. Al contrario, le piccole imprese che operano in un settore dove i prezzi sono fissati dai leader, o dagli operatori dominanti, hanno limitata influenza sui prezzi, e tendono perciò a comportarsi come price taker. Per queste aziende i prezzi sono visti come funzione delle forze di mercato e quindi le informazioni sui costi sono impiegate nella scelta del product mix ottimale, dati i prezzi di mercato esistenti. La dimensione dell'impresa è stata oggetto di precedenti studi condotti nell'ambito della Contingecy Theory (Bruns e Waterhouse, 1975; Gordon e Miller, 1976; Guilding, 1999; Merchant, 1981), che hanno evidenziato una relazione positiva tra le dimensioni

aziendali e il grado di avanzamento dei sistemi di controllo di gestione. La terza ed ultima ipotesi formulata da Drury et Al (2005) riguarda il settore di appartenenza. Le aziende del settore manifatturiero tendono ad avere un'elevata quota di costi fissi, dovuti agli investimenti in impianti, macchinari e infrastrutture, e una percentuale maggiore di costi congiunti. Questi due aspetti, secondo gli autori, tenderebbero a inibire

l'accuratezza dei sistemi full costing a livello di singolo prodotto. Nelle aziende di servizi, invece, i processi di erogazione si basano principalmente sul personale, il cui costo tende ad essere relativamente tracciabile rispetto alle singole prestazioni. Inoltre, molte delle prestazioni vendute non hanno esatti sostituti: ad esempio l'esperienza relativa al consumo di un pasto presso il ristorante dell'hotel A è improbabile che equivalga all'esperienza di consumare lo stesso pasto presso il ristorante dell'hotel B (Drury, 2005). Le aziende del settore terziario, data la maggiore capacità di

differenziare i servizi offerti, tendono a comportarsi come price maker. Questo orientamento, unito alla relativamente elevata tracciabilità del costo del lavoro,

dell'analisi di regressione condotta su un campione di aziende operanti nel Regno Unito e in Australia, supportano la prima ipotesi, evidenziando una correlazione positiva tra l'intensità della concorrenza e l'impiego del cost plus pricing. Questi risultati sono in linea con i precedenti studi condotti sul ruolo che della concorrenza nella progettazione dei sistemi contabili (ad esempio Bromwich, 1990; Khandwalla, 1972; Merchant, 1981; Simons, 1990). Anche la seconda ipotesi, relativa al settore di appartenenza, è

confermata: le imprese del settore manifatturiero tendono ad attribuire un'importanza minore al cost-plus pricing. Non è supportata invece la terza ipotesi relativa al ruolo delle dimensioni aziendali. Un fattore che, secondo gli autori, può in parte spiegare questo risultato è la presenza, in molte grandi imprese, di un'ampia gamma di prodotti e servizi, ciascuno con una quota di mercato limitata. Alla luce di questo, secondo Drury et Al, sarebbe opportuno, in futuro, concentrarsi sul rapporto tra la quota di mercato del singolo prodotto e l'utilizzo del cost-plus pricing. E' infatti probabile, secondo gli autori, che una quota di mercato elevata sia positivamente correlata all'utilizzo dei costi nella fissazione dei prezzi.