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L’affettività dell’oggetto domestico e il suo essere un ente relazionale

«La casa inoltre raccoglie la storia della famiglia che vi abita e di quelle che vi hanno abitato, quando viene ereditata conserva le tracce dei genitori, talvolta dei nonni: le case sono non solo strutture in cui abitare, ma luoghi dove si costruisce lo status dell’individuo attraverso la memoria familiare e la domesticazione dello spazio di vita. […] La casa è quindi luogo di relazioni, di incontri, dove la cultura materiale consiste nell’appropriazione di un mondo più ampio (Miller 2001a) che si divide in spazi sacri e profani, pubblici e privati, in ribalta e retroscena (Pasquinelli 2004,63). Le persone si trovano spesso a dover negoziare i significati e l’appartenenza del luogo domestico non soltanto con chi vi ha abitato in precedenza, ma anche con la stessa agentività della casa, che implica una continua contrattazione imponendo delle scelte: la casa è un processo continuamente ridefinito, uno spazio agito (de Certeau, Giard, Mayol 1980) così come un territorio è un «luogo praticato» (de Certeau 1980; Turgeon 2009). Il rapporto con lo spazio domestico è anche un processo di appropriazione ed inserimento delle tecnologie nella vita quotidiana delle famiglie.»91

Come ho cercato di mettere in luce lungo questa tesi gli oggetti utilizzabili con cui entriamo in contatto quotidianamente sono enti relazionali, che assorbono significato attraverso valori che noi stessi o chi ci sta attorno, hanno per così dire una vita biografica che noi stessi gli diamo e che serve a connettere le vite di chi li possiede con altre e con il mondo circostante.

Allo stesso tempo essendomi concentrata ad analizzare il rapporto con oggetti chi vive in case popolari, chi rappresenta, almeno in parte, la classe popolare odierna, ho cercato di mettere in luce la relazione, il significato e che tipo di approccio c’è con l’oggetto inserito in una cultura di massa, cercando di capire che tipo di relazione si possa avere con oggetti comuni, a volte standardizzati e apparentemente ordinari.

Pietro Meloni nel suo libro “I Modi giusti, cultura materiale e pratiche d consumo nella provincia Toscana contemporanea” sottolinea come nella nostra quotidianità siamo scanditi da micro-ritualità, chi per credenze religiose, di consumo, in senso più generale, di relazioni e pratiche tra persone e oggetti materiali.

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P. Meloni, «Cultura materiale, pratiche di consumo, oggetti domestici Un’etnografia in Toscana», in Studi Culturali, Fascicolo 3, Dicembre 2011, pp. 398-399.

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«Il quotidiano è l’ordinario delle pratiche domestiche: il modo in cui si cura e arreda la casa, la disposizione dei letti ma anche il modo di rifarli, l’arredamento della cucina ma anche il suo utilizzo, la scelta del mobilio come anche le cose che vi sono contenute; vi si affiancano le ritualità ordinarie e banali, come il modo di salutare i conoscenti, o gli amici, o un superiore al lavoro, o il modo di vestirsi, che prevede la scelta del vestiario ma anche il modo in cui deve essere indossato, compreso l’acquisire le giuste tecniche per fare il nodo alla cravatta, allacciarsi le scarpe, abbottonarsi la camicia; il consumo degli alimenti, che lascia emergere affianco all’esigenza primaria del nutrimento un insieme di scelte di gusti e di atteggiamenti rituali – perfino liturgici – verso gli alimenti; un quotidiano della cultura materiale che comprende la produzione e l’acquisizione di oggetti, ma anche l’uso e lo spazio che gli oggetti occupano all’interno di una gerarchia delle necessità e dei sentimenti nella vita quotidiana dei diversi attori sociali»92.

Quello che in questo paragrafo cercherò di mettere in luce è come nella quotidianità delle pratiche domestiche si instaurano legami e relazioni tra oggetti e persone, e come gli stessi oggetti racchiudono l’elemento di Sorge, ovvero la cura che si ha per gli altri e per il mondo circostante, il modo di relazionarsi agli oggetti è la messa in opera del nostro essere- nel-mondo con gli altri, l’oggetto è un oggetto utilizzabile perché esprime questo rapporto. Nei casi che ho potuto studiare tutte le persone con cui sono entrata in contattato costruivano il proprio Umwelt, inteso come mondo ambiente e comunità morale ed affettiva per mezzo di oggetti che simboleggiavano l’Esserci per la cura all’interno di relazioni quotidiane e domestiche.

Gianna (San Frediano)

La storia di Gianna, per esempio, che dopo un divorzio difficile si è ritrovata senza soldi e ha dovuto lasciare la casa in cui viveva da anni nel centro di Firenze, con la casa ha dovuto lasciare anche molti dei suoi beni e dei suoi ricordi, diciamo che uno dei suoi mondi è finito, e ha dovuto ricostruire sé stessa insieme ai due figli uno dei quali malato di cancro. Quando era sposata possedeva e lavorava in due ristoranti, successivamente ha fatto la cuoca per una famiglia benestante e la babysitter.

Sebbene ripeta più volte di non rimpiangere niente di ciò che ha lasciato nella casa precedente, non fa che parlare di tutto ciò che possedeva, dai tappeti, ai libri ai mobili.

92 P. Meloni, I modi giusti cultura materiale e pratiche di consumo nella provincia Toscana contemporanea, Pacini,

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Io non sono una persona che si attacca alleeee, non me ne frega niente, altrimenti non lasciavo tutto in quella casa ci soffrivo.>>

<<Non sono mai stata attaccata a niente, alle cose, nemmeno alle cose proprio

mia personali. […]

Prima avevo diciannove tappeti persiani, poi ho regalato tutto, io o regalo o butto via, non mi attacco a niente di questa roba, se ho una cosa e vedo una che non c’ha niente gliela do >>.

<< Sono andata via dalla mia casa dove sono stata trent’anni, via cancellata, come

se non ci fossi mai stata, mi sono separata e ho venduto la mia prima casa e non mi sono più guardata indietro. […] La vita è fatta a periodi lunghi o brevi che siano. >>

<< Prima avevo il di più, avevo tutto, ora ho l’utile, il pratico, l’essenziale.>>

In realtà sebbene la casa di Gianna sia estremamente piccola, infatti vi è solo una camera matrimoniale dove dorme il figlio maggiore, quello malato di cancro, mentre Gianna e l’altro figlio dormono insieme in salotto, quindi sia necessario venir a compromessi nell’arredamento e nella gestione degli spazi, la casa di Gianna è molto curata anche nelle piccole cose.

Ci sono alcuni elementi da cui non si separerebbe mai e che si porta dietro dalla vita precedente, come delle statue di ceramica che le ha regalato la madre.

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“Quelle statuine nemmeno se morissi di fame le darei via, sono una delle poche cose

che mi ricordano mia madre.” Nei confronti della madre Gianna prova grande stima e affetto,

“A lei devo tutto, mi ha cresciuto da sola, non ho mai conosciuto mio padre, mia madre ha

sempre lavorato per assicurarmi una bella vita, mi spiace solo che di lei mi restano poche cose.”

Anche la “Madonnina” in legno è uno dei ricordi piò cari che possiede, ci dice che è anche uno dei pochi oggetti che ha un certo valore economico, lo tiene in camera del figlio, dove sono presenti altri simboli religiosi, Gianna infatti dichiara che dopo aver scoperto il cancro il figlio ha ritrovato la fede e ha cambiato stile di vita, confidando che prima faceva uso di droghe pesanti.

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Gli oggetti che hanno una densità affettiva maggiore sono le fotografie della “vita precedente” le foto dei figli negli U.S.A, le foto di Gianna da giovane, le foto in cui si vede rappresentata la spensieratezza, nel mostrare queste foto Gianna si lascia trasportare dai ricordi, ci parla dettagliatamente dei ristoranti che aveva, di quando la chiamavano in America per cucinare, delle vacanze a Ischia e Capri che poteva permettersi in estate, elenca nomi di vecchi amici, di parti della città che frequentava, insomma fornisce un resoconto completo di quella che era la sua vita prima del tracollo finanziario e emotivo.

Gianna è una persona che da un momento ad un altro ha dovuto cambiare casa, amici, affetti, lavoro, vita e sicuramente si è adattata a vivere con meno cercando di mantenere un certo tipo di gusto che la caratterizzava anche prima, la casa è molto piccola, ma piena di libri e quadri che possedeva prima, di foto, della vita che ha avuto e che si porta dietro, anche se nelle sue parole si sente il peso della vita che sta vivendo, il figlio malato e la mancanza di un progetto reale, la sua narrazione è rivolta tutta al passato, poco al presente, dove confessa che fare la babysitter oltre i 70 anni è sfiancante e che fa anche da segretaria per un dottore, al futuro non fa accenni se non per dire, “boh, si vedrà, non so”.

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Franca.

La storia di Franca è l’esempio perfetto per rappresentare gli oggetti come enti relazionali, nella casa di Franca ogni oggetto rappresenta un membro della grande famiglia allargata di Franca.

La sua casa come ho scritto in precedenza è un museo, dedicato alla propria famiglia, che parte dai nonni della stessa fino ai nipoti ormai adulti.

Foto, oggetti in ceramica, zuppiere, disegni delle figlie, tutto in questa casa ha una storia, dei rimandi, simboleggiano gli affetti, le storie, le aspettative di più vite che hanno in comune Franca, come punto nodale d’incontro e di trasmissione tramite i racconti di queste vite.

Franca ama gli oggetti che la circondano e se ne prende cura come fossero le persone che rappresentano, prendersi cura degli oggetti vuol dire ricordare e mantenere vivi dei legami.

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La zuppiera del matrimonio dei propri genitori per esempio che tieni in bella mostra nella sala da pranzo o i quadri delle figlie, di cui si vanta molto perché è riuscita a farle studiare anche contro il parere del marito, Franca infatti rimpiange di non aver studiato e mi dice di come “solo l’istruzione renda libere, soprattutto le donne”. Per questo conserva e ha letto le tesi della figlia e dei nipoti. Le ho lette tutte, non so se le ho capite, ma lette le ho lette tutte!”

Nella casa è possibile trovare tutto quello che riguarda la storia della famiglia, pupazzi, vestiti che Franca ha cucito per Carnevale ai nipoti, libri, bomboniere e dietro ogni piccolo e apparentemente insignificante oggetto si celano storie e aneddoti che Franca racconta con molta cura, cercando di dar voce ai vari protagonisti dei racconti.

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Dalla Matrioska con cui hanno giocato prima le figlie poi i nipoti e che adesso è custodita nella vetrina nella sala da pranzo, alla radio dei suoceri di Franca che è tenuta in bella vista in salotto.

Gli oggetti che parlano maggiormente nella casa di Franca sono le fotografie, nel salotto sono conservate a appese ai muri le foto più “recenti”, quelle dei nipoti, delle vacanze e dei matrimoni delle figlie, ma appena saliamo le scale inizia un piccolo viaggio nel tempo e nella vita di Franca, anche nel mondo prima di essa stessa.

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Nel corridoio che porta alle camere da letto è affissa una foto risalente alla Prima guerra mondiale che ritrae la nonna paterna di Franca insieme a figli piccoli (ci sono anche altre foto della “nonnastra” definita così da Franca che è la seconda moglie del nonno e che ha cresciuto la signora facendole quasi da madre), questa foto le è molto cara perché è l’unica immagine della nonna biologica che non ha mai conosciuto.

Nella camera da letto di Franca c’è una specie di altarino con le foto dei suoi cari, specialmente di chi non c’è più, Franca dice che non ci fa troppo caso altrimenti “Mi rattristo

troppo, vivevamo in otto in questa casa, eravamo tanti, troppi e ora ci sono rimasta io sola, se le guardo troppo queste foto penso a quanto è stata dura, mi fa male a volte.”

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Quello che emerge dalla storia di Franca come ho accennato nel precedente capitolo è che ha vissuto la casa in due modi contrapposti quando si è sposata e si è trasferita lì nel 1961 con la famiglia allargata del marito, in quel periodo si sentiva un’intrusa, non poteva esprimere opinioni sulla gestione della casa, e subiva passivamente i giudizi e le decisioni degli altri. Ma nel corso degli anni acquistando più autonomia e confidenza con le persone e gli spazi non solo è riuscita ad appaesarsi, a costruire il proprio Umwelt, ma è diventata la custode delle storie della famiglia, si prende cura della casa-museo, inoltre ospita i nipoti che vanno da lei quando devono preparare gli esami all’università e la domenica cucina per tutta la famiglia, ripara i vestiti per nipoti e figlie, è l’esempio perfetto di chi mette in opera la cura delle proprie relazioni interpersonali attraverso il rapporto con i beni materiali nella quotidianità, la casa di Franca è cura, per la famiglia, per gli oggetti e per tutto il proprio mondo relazionale.

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Quello che è emerso nell’intervista di Michelangelo è quanto non sia affatto semplice riuscire ad appaesarsi, a sentirsi a casa, e allo stesso tempo di quante aspettative, sogni e progetti si creino attorno alla propria casa, alla propria sfera domestica. Michelangelo ha sempre visto la propria casa come un nido da condividere con qualcuno con la propria partner, un posto dove creare una famiglia e stabilizzarsi, quando la sua relazione precedente è finita il suo rapporto con la casa si è fatto estremamente pesante, svelando che “Non mi sento totalmente a casa qui.”

Parlando con lui si può intuire che questa difficoltà di creare una relazione con la propria casa il sentirsi un ospite a casa propria deriva dal fatto che sta continuando a convivere con un fantasma. Michelangelo non fa altro che sottolineare i cassetti lasciati vuoti che non riesce a riempire, i mobili scelti da lei, quelli regalati dal padre dell’ex fidanzata. è anche un po’ triste a volte, vedi c’è ancora tanto di lei in questa casa, i mobili sono stati scelti da lei, la porta medaglie (M. insegna e pratica Jujitsu) è stato costruito da suo babbo, il mio ex suocero, alcune cose mi mettono un po’ di nostalgia”.

“Questi li avevo comprati per la mia ex, erano suoi per metterci la sua roba, ora sono vuoti e

io non c’ho ancora messo niente, non me la sento”.

Ma questa sebbene sia stata la storia più lunga e secondo le parole di Michelangelo anche la piò importante non è certamente la sola che ha lasciato un segno all’interno dell’abitazione, “l’altarino” vicino all’ingresso, la lavagnetta con cartoline, calamite e pupazzetti delle relazioni precedenti che Michelangelo conserva, “Mi ricorda i vari avvicendamenti con le persone”. Da una parte per ricordare le persone, le esperienze di vita, storie, dall’altra forse per presitificare il suo desiderio di costruire una casa che sia l’inizio di una famiglia futura, la messa in opera di due persone che sia amano e che insieme danno forma a qualcosa.

La casa per Michelangelo è questo, la messa in opera delle relazioni, delle aspettative e gli oggetti devono simboleggiare la presenza di chi vive in quella casa, di chi s’impegna nella realizzazione di questo progetto che non ha una dimensione allargata come un quartiere o un paesino, ma solamente una famiglia, un nucleo ristretto che però condivide un sistema di valori e una visione del mondo comune.

Lo dimostra a mio avviso anche il fatto che soffra del fatto che l’attuale partner non lasci niente sì sé stessa nella casa, Nemmeno lo spazzolino lascia qui, io gliel’ho detto non sai quante volte”, per Michelangelo credo l’unico modo per appaesarsi in qualche parte è farlo con qualcuno che condivida con lui questo.

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La storia di Valentino e Chiara ha dei punti di contatto con quella di Michelangelo, ma se l’esempio precedente potrebbe essere descritta con “La presenza dell’assenza” o “Presenza vuota”, per l’ideale di creare casa insieme a qualcuno finita e ciò che resta sono gli oggetti che parlano ed esprimono la mancanza il vuoto nella casa, il loro caso potrebbe esser letto come “Working in progress”, la loro è una piccola famiglia che si sta formando, così come sta cercando di creare una casa che sia l’espressione di due personalità definite e quella di loro figlio piccolo che deve ancora formarsi. Chiara è quella che maggiormente si prende il carico di creare una casa che parli di tutti e tre che sia un nido e un ambiente amorevole.

Chiara si è portata dietro i peluche di quando era bambina, i libri, cd, con l’idea che la casa nuova esprima anche il suo percorso e la sua storia.

“ Se noti poi ci soni tanti peluche , ma non sono di Aurelio, ma miei, per esempio sulla mensola lì c’è Dumbo il pupazzetto a forma d’elefante di quando ero proprio bambina , da quando sono mamma ho nostalgia di quando ero bimba, non so se è normale, ma guardando mio figlio che gioca o che esplora il mondo sto ripensando molto anche alla mia vita e come mi pongo io con il mondo, poi mi manca davvero , molto casa e quindi mi sono portata i giochi di quando ero bambina ho preso anche la bomboniera del battesimo di Vale, perché lui non ci sente per queste cose , ma io la tengo in camera sopra il letto, vorrei che casa nostra parlasse di noi di tutti e tre della nostra famiglia, tutte queste cose mi fanno sentire meno sola, anche se avrei bisogno di fare di più, di uscire, e vorrei trovare un lavoro, io sono più grande di Vale, ma non ho mai lavorato, sono stata una studentessa fuori corso, poi ho fatto un anno di servizio civile, e sono rimasta incinta, non so mi sento bloccata e fuori dal mondo, quindi ho bisogno di un posto sicuro qui. Un posto per mettere le radici”

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Oppure “io sì, effettivamente ci sono tanti oggetti che mi ricordano la mia vita di prima, ma vedi io vengo da un paesino vicino Firenze, mia mamma e mia sorella stanno lì e le vedo solo nel fine settimana, le mie amiche vivono tutte a Firenze, io qui non conosco ancora nessuno, non era previsto che ci trasferissimo qui, poi non lavoro, sto sempre a casa con Aurelio e avevo bisogno di sentirmi a casa mia, quindi ho portato le cose più importanti da casa, per esempio alcuni libri dell’ Università, altri che mi sono cari, poi un sacco di peluche di quando ero bambina e che ho riscoperto anche da quando sono diventata mamma.”

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Una cosa che può sembrare banale come mettere insieme i libri in una libreria per Chiara vuol dire unire due personalità, due interessi e formazioni diverse, chi entra in casa può vedere sia lei che Valentino nelle scelte dei vari testi, chi ha scelto cosa e cosa hanno scelto insieme, è una cosa che piace molto a Chiara, “Piccole cose, per una piccola casa”.

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Inoltre, Chiara sta cercando di capire dove si dirige l’attenzione del figlio che aveva pochi mesi al momento dell’intervista, prova a cogliere con quali oggetti interagisce maggiormente, cosa ricerca di più, non ha ancora un gioco o un oggetto preferito, ma Chiara ha notato che un orologio con un pendolo a forma di cane lo ha incantato, lo guarda con attenzione e lei usa questo escamotage per farlo stare calmo.

Chiara così come le altre persone con cui ho parlato cercano si prendono il compito di custodire la memoria e le relazioni all’interno della famiglia o della propria comunità, Meloni citando Jedlowski scrive «Sono spesso le donne, scrive Paolo Jedlowski, a farsi carico di questo ruolo di conservazione e trasmissione della memoria: le donne sono le custodi delle