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Creazione Umwelt domestico: La casa Miller

«Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, poiché non son vive. Ci si serve, li si mette a posto, si vive in mezzo ad essi; sono utili niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi, come se fossero bestie vive.»39

Nella messa in opera di questa ricerca mi sono trovata difronte una serie di difficoltà da un punto di vista pratico e altre da un punto di vista più teorico- riflessivo. Per quanto riguarda il primo punto dover trovare e convincere le persone a lasciarsi intervistare, a lasciarmi entrare nelle proprie abitazioni e mostrarmi le loro storie attraverso gli oggetti

39J-P Sartre, «La nausea.» in E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all’ analisi delle apocalissi culturali. Giulio

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posseduti da quelli in mostra a quelli più nascosti non è stato facile soprattutto perché essendomi occupata di case popolari, le persone tendevano maggiormente a mostrarsi diffidenti, imbarazzate, timorose di essere doppiamente giudicate. Mi sono dovuta confrontare con varie storie di vita

, esperienze emotivamente forti, ma soprattutto molti spunti diversi da esaminare, cose apparentemente banali come gli oggetti domestici, comprese la costruzione del mondo ambiente di ciascuno, la rappresentazione estetica, mettendo in gioco il ruolo del Mercato e dello Stato in relazione alle pratiche quotidiane, alle tattiche che gli individui mettono in opera per sviare queste istituzioni, la creazione di comunità all’interno del quartiere e dei palazzi, l’incontro talvolta di comunità morali diverse che un’ apparente incomunicabilità, ma soprattutto il legame tra mondo materiale e mondo immateriale che prende vita attraverso l’Umwelt costruito e immaginato.

Gli oggetti hanno una vita, una presenza, molteplici significati e rimandi, che si manifestano all’ interno delle abitazioni anche se nell’abitudine della quotidianità non sono evidenti. «La casa è situata nello spazio, anche se non è sempre uno spazio fisso. Non deve essere per forza di mattoni e malta: può trattarsi di un furgone, di un camper, una barca o una tenda. Non deve essere uno spazio ampio, ma uno spazio deve comunque essere: la casa comincia tenendo sotto controllo quello spazio. Trovare un rifugio non equivale a trovare una casa, né avere una casa equivale a possedere un edificio o una famiglia. In una casa, né lo spazio né l’arredamento devono essere fissi: però ci deve essere qualcosa di regolare nel comparire e nello scomparire dei mobili. […] La casa non è solo uno spazio, ma anche una struttura temporale. E dal momento che è fatta per le persone che vivono in quello spazio e in quel tempo, ha dimensioni morali ed estetiche.»40

La casa è la messa in opera, la realizzazione di idee, nella scelta sul tipo di mobilio, riutilizzare vecchi oggetti, acquistare prodotti Ikea, o cercare “l’oggetto giusto” nei vari mercatini dell’antiquariato, intraprendere collezioni che si disseminano per la casa, o prediligere un arredamento minimalista. La casa mette in opera anche le auto percezioni, sui nostri bisogni o progetti, scegliere di andar a vivere da solo , cercare coinquilini, di trasferirsi all’ estero, scegliere di andare in affitto o comprare una casa, presentificarsi nel futuro, la casa viene vissuta come la rappresentazione di possibilità, l’ipotesi di costruire una famiglia, il

40 M. Douglas, «Il concetto di casa: un tipo di spazio», in La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli oggetti

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proprio percorso di studio o professionale, sono tutte scelte che riflettono un’idea, un modo di esprimere nella quotidianità, nelle azioni anche più scontate il nostro Dasein.

La casa stessa organizza e gestisce il tempo e lo spazio, lo fa anticipando i bisogni futuri, dalle scorte di cibo, la necessità di dover mettere delle inferriate alle finestre, di impostare il termostato affinché si accenda automaticamente anche quando in casa non c’è nessuno.

«Studiare le case significa tenere insieme molteplici aspetti che vanno dall’ arredamento alla costruzione degli spazi dal punto di vista progettuale e architettonico, alla suddivisione in luoghi pubblici e privati, alle relazioni familiari, ai processi di demercificazione. La cultura materiale domestica è modellata dagli attori sociali, ma allo stesso tempo pone loro limiti e costrizioni: individui e famiglie sono dunque costantemente impegnati a negoziare forme di uso e di convivenza delle cose, adattandosi a quanto l’architettura, il mobilio, gli oggetti impongano, in un rapporto di continua reciproca ridefinizione.»41

In Cose che parlano di noi di Daniel Miller (2014), espone la sua ricerca etnografica svolta in un quartiere popolare nella periferia di Londra. Miller ha intervisto più volte undici persone, osservando le loro abitazioni, i loro oggetti e ascoltando le loro storie. Nella sua introduzione riesce a cogliere perfettamente l’intento di un antropologo che si occupa della cultura materiale e in particolar modo di quella riguardante la quotidianità.

«Le relazioni tra gli oggetti che possediamo sono molto spesso profonde e, di norma, più vicini siamo alle cose, più vicini siamo alle persone. […] Ovviamente gli oggetti non parlano. O forse lo fanno? Una persona seduta ne salotto comincia a raccontare di sé e risponde alle domande che le poniamo. Eppure, anche tutti gli oggetti presenti nella stanza sono una forma attraverso cui ha scelto di esprimersi. c’è chi ha disposto certi oggetti nello spazio, chi ha coperto il pavimento con dei tappeti, chi ha selezionato i mobili e ha scelto il vestito di quel giorno. Alcune cose potrebbero essere ricevute in regalo o essere invece oggetti conservati dal passato con cui qualcuno ha deciso di vivere mettendoli in fila o alla rinfusa. C’è chi ha arredato in maniera minimalista e chi l’ha stipata di cose fino a scoppiare. Tutti questi oggetti non compongono una collezione casuale. Sono stati accumulati gradualmente in quanto espressione di quella persona o famiglia. […]

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L’antropologia è la disciplina che tenta di entrare in contatto con le minuzie della vita quotidiana, mantenendo l’impegno di voler comprendere l’umanità nella sua totalità.»42

Nel suo piccolo libro mette in luce vari aspetti delle case in cui compie la propria ricerca che riassume nei titoli evocativi di ciascun capitolo, dedicato a una storia diversa. Vuoto, Pieno, Tatuaggi, Gli Happy Meal e la felicità, così come Fantasmi o Paperelle di Plastica. Queste varie storie di persone, o per meglio dire di relazioni tra persone e oggetti sono l’esemplificazione di quelli che l’autore ha scritto nelle prime pagine dell’introduzione.

Michelangelo Isolotto

A volte instaurare una relazione con la casa non è un atto spontaneo e naturale, immediato sentirsi a casa, in una situatività spaziale ed emotiva richiede sforzi e piccoli smarrimenti, in un’intervista svolta nei pressi dell’Isolotto, un quartiere periferico di Firenze ho incontrato Michelangelo. Ci accoglie tranquillamente e si sente a suo agio e ci mostra molta confidenza.

Michelangelo vive da solo dopo un periodo di convivenza con l’ex fidanzata, talvolta durante il corso dell’intervista sembra quasi che Michelangelo viva con il fantasma dell’ex fidanzata, il rapporto di M. con la casa è piuttosto complesso, ci dice che si è ambientato solo, sebbene la possegga da otto anni, si è trasferito stabilmente soltanto dal 2016, quella casa infatti è stata acquistata con l’idea di “metter su famiglia”, ma per una serie di circostanze lavorative instabili ( anche durante il periodo dell’ intervista M. svolgeva tre lavori, insegna in una palestra aiuta la famiglia che affitta un monolocale tramite Airbnb, e ogni tanto dà una mano in un negozio di ferramenta, ma nessuno di questi con un contratto stabile), sta cercando di trasformare il suo lavoretto part-time in palestra in un lavoro a tempo pieno con un contratto più sicuro, ma soprattutto dal punto di vista dell’intervistato erano state le difficoltà sentimentali a rallentare il suo ingresso definitivo alla casa; pochi mesi prima dell’ intervista si è lasciato con la ragazza con cui stava da anni e con cui viveva in quella casa, infatti più volte fa riferimento all’ ex fidanzata che è ancora molto presente ovunque nell’abitazione, “è

anche un po’ triste a volte, vedi c’è ancora tanto di lei in questa casa, i mobili sono stati scelti da lei, il porta medaglie ( M. insegna e pratica Jujitsu) è stato costruito da suo babbo, il mio

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ex suocero, alcune cose mi mettono un po’ di nostalgia ”, il medagliere è suddiviso tra le

medaglie vinte in Italia e quelle fatte all’estero, poi ci racconta alcune cose inerenti dal suo sport, ci dice che sono dieci anni che lo pratica e dal 2011 cerca di insegnarlo nelle varie palestre, a qualche sponsor. Anche quando mostra le varie stanze M. sottolinea la presenza di cassetti vuoti lasciati da lei, nonostante sia passato del tempo da questa separazione la presenza dell’assenza di B. è ovunque, insieme a altre presenze di altre relazioni precedenti , vicino all’ ingresso della casa c’è una lavagnetta con affisso sopra calamite, lettere cartoline, foto di molte relazioni finite, una specie di altarino degli amori passati, di possibili vite non realizzate “Mi ricorda i vari avvicendamenti con le persone”. M. è proprio questo che fa trapelare nelle sue parole, cercava qualcuno con cui condividere una casa e una vita in questa, quando ci parla della cucina pone l’attenzione su un piccolo tavolo, un’“isola” con due sgabelli, forma un angolo, dice “L’ho chiesta io al falegname, di farla così, l’avevo pensata

per me e B. per mangiare senza apparecchiare, per fare colazione o aperitivi insieme.” ci fa

vedere un peluche a forma di gatto rosso “ me lo ha regalato mia mamma, mi ricordda la

famiglia e i miei gatti che dovrebbero essere qui invece non ci sono, perché sono rimasti da loro, però questo pupazzo mi fa tenerezza”, nel salotto c’è una piccola collezione di coltelli,

una spada giapponese e un’ascia, ci dice che sono per lo più regali dell’ex suocero che per hobby le costruisce, in salotto conserva la chitarra “Questa ormai la strimpello una volta al

mese, ma appena la mia ex mi ha lasciato ci ho passato le giornate intere”. La casa di M. è

abbastanza minimalista, ma le vere presenze sono effettivamente le assenze, sia quelle passate sia quelle generate dalle aspettative future, Michelangelo colleziona aspettative e relazioni che puntualmente colloca fisicamente all’interno dell’abitazione, ogni volta che conosce qualcuno con cui sceglie di impegnarsi allora gli viene attribuito un luogo anche all’interno della casa stessa, per esempio adesso sta frequentando un’altra persona che viene chiamata come la

ragazza X, con cui condivide l’amore per le motociclette, anche riguardo questa che viene

descritta come una ragazza molto indipendente e schiva che frequenta da pochissimo tempo M. fa presente come vorrebbe che questa lasciasse delle tracce a casa sua “Nemmeno lo

spazzolino lascia qui, io gliel’ho detto non sai quante volte”. C’è un oggetto di cui M. è

particolarmente orgoglioso, il frigorifero, questo ha uno stile anni ‘50 con disegnata sopra una grande bandiera inglese, dice in modo convinto che è un oggetto pensato e ricercato, che lui e solo lui ha voluto, scelto e cercato, “è una delle cose di cui vado orgoglioso, l’ho voluto l’ho

scelto, la cucina l’abbiamo fatta intorno a questo”, quel frigorifero insieme a pochi altri

elementi che piano piano M sta aggiungendo alla casa, o l’allestimento della sala, che dopo la separazione con B. era rimasta praticamente vuota e adesso fanno la loro comparsa la

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playstation, e molti dei manuali di lingue straniere che M. ha studiato e che prima aveva lasciato a casa dei suoi genitori e ora piano piano sta riprendendo, cosi per coltivare qualcosa di suo. Durante l’intervista Michelangelo parla di due piccoli monili vuoti in camera da letto “Questi li avevo comprati per la mia ex, erano suoi per metterci la sua roba, ora sono vuoti e

io non c’ho ancora messo niente, non me la sento”.

Dopo una pausa dove M. cambia argomento parlando del Calcio Storico Fiorentino e la sua vicinanza per la squadra dei Bianchi, anche se ha assistito a degli allenamenti dei Verdi, questo evento segna l’appartenenza a specifici quartieri di Firenze, M. che viveva all’Isolotto e frequentava Santo Spirito sente molto vicino il Calcio Mascherato Poi riprendiamo e M. ci racconta che è stato il primo a trasferirsi nel palazzo poi si sono trasferite delle coppie giovani con cui hanno fatto amicizia ogni tanto mangiano insieme.

Ci racconta che frequenta qualche “barettino”, o qualche ristorantino, anche se manifesta il fatto che ci siano prevalentemente cinesi e questo impedisce di sentirsi totalmente situato nel quartiere.

C’è una piazzetta fruisce ogni tanto, ma come luogo di passaggio per andare dal barbiere.

Mentre sente ancora “suo “il quartiere dell’Isolotto, dove stanno i genitori e dove è cresciuto. Da qui ci spostiamo nuovamente sull’ argomento del calcio storico cosa che da buon fiorentino sente molto.

Molto probabilmente

La maggior parte delle abitazioni che ho visitato nel corso di questa ricerca sono case popolari, in quanto tali hanno delle caratteristiche comuni, il ruolo decisivo dello Stato nel processo che ha portato all’ edificazione, e i destinatari originari a cui erano destinate, ovvero nella maggior parte dei casi operai che negli anni ‘70 sono cresciuti in modo esponenziale nelle varie città. Il modo di presentarsi di queste case inizialmente può sembrare anonimo, lunghe schiere di appartamenti ravvicinati con attorno pochi parchi gioco spesso lasciati un po’ a se stessi, sono poche le attività commerciali presenti nei quartieri che ho visto tra Livorno e Firenze in particola modo e il diminuire di questi è proporzionale alla vicinanza con la città, per esempio all’Isolotto ce ne sono più che alle Piagge, così come sono di più in Garibaldi a Livorno che è in una zona centrale piuttosto che a Shangai.

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«Una classe al potere ha costruito delle case che hanno oggettificato i suoi valori, ma ha anche costruito delle case che hanno poi rappresentato i valori contro i quali ha definito sé stessa. Quindi le masse popolari sono state forzate a vedere sé stessa nello specchio degli oggetti prodotti da una classe dominante e non quelli prodotti da loro. […] Sì, è vero che le persone sono costruite dal mondo che le circonda, ma spesso gli agenti che hanno creato il mondo in cui devono vivere non sono queste stesse persone.»43

Allo stesso tempo però quello che emerge è proprio la rappresentazione dello Stato non come entità data che gli individui subiscono passivamente, ma una rete di articolazioni esperienziali.

Essendomi concentrata perlopiù sulle case e ceti popolari quello che ho potuto osservare sono case e oggetti prodotti per la massa, gli appartamenti sono edificati in modo standard, sia la distribuzione delle stanze che il mobilio di base, prodotti di consumo fruiti in maniera differente dai soggetti che ho intervistato.

Nelle abitazioni però è necessario entrare se si vuol cogliere la libera rappresentazione delle idee, il vissuto, le tattiche degli individui, all’interno delle case possiamo cogliere le relazioni anche conflittuali con gli oggetti e con la casa stessa.

«Teoricamente se fossero proprietario di una casa dovrei poterci fare qualsiasi cosa io voglia ed essere soggetto solamente ai sentimenti della mia famiglia e alle leggi dello Stato. Ovviamente però non è così. quella casa maledetta è tropo bella per essere umiliata costantemente. Tuttavia, quando sono pronto ad essere umile e a rispettare le sue caratteristiche organiche riesco a trarne un grande piacere. Questa è in parte proveniente dalla mia consapevolezza che la casa fu costruita nel 1906 ed ebbe molti abitanti prima di me potrebbe averne altri dopo di me. In confronto io sono transitorio.

[…] La casa si presta a essere vissuta come qualcosa con un’agency autonoma ed indipendente molto più di altre tipologie di culture materiali meno evolute.»44

43D. Miller «Per un’ Antropologia delle cose. », Ledizioni, Milano, 2013, p.78 44Ibidem, p.87.

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La casa è lo spazio intimo in cui la nostra presenza può manifestarsi liberamente, dove può riaffermarsi tramite piccole pratiche e rituali che si instaurano all’interno delle relazioni anche con gli oggetti stessi con cui interagiamo all’interno dell’abitazione.

Immaginate di entrare in casa vostra e trovare la disposizione dei mobili completamente diversa da come l’avete lasciata, magari con all’interno nuove persone che hanno regole diverse, su come cenare, sistemare gli oggetti, le cose apparentemente più banali e quotidiane possibili, resterete almeno un po’ spaesati, penserete di aver sbagliato casa, non vi riconoscereste più all’interno di quelle pratiche simili alle vostre eppure così diverse da smarrirvi.

La casa è il primo luogo in cui iniziamo a costruire un Umwelt, dove impariamo a muoverci e ad orientarci nel tempo e nello spazio, la casa è il primo punto di riferimento esistenziale ed esperienziale per ciascuno, è il campanile di Marcellinara che ci portiamo dentro, sebbene non si veda più all’orizzonte.

«Un mondo è sempre mondo culturale, cioè è sempre esperibile per un certo ordine di valorizzazioni intersoggettive umane, per entro un certo progetto comunitario dell’operabile. Ciò che sostiene il mondo è l’ethos valorizzatore, ed il rischio a cui questo ethos è esposto sta nel riflettersi del suo slancio valorizzante su tutto il fronte della possibile valorizzazione. Allora il mondo perde la sua condizione fondamentale ed entra nel finire. La cultura è l’anastrofe di questa catastrofe, la ripresa e la riplasmazione del finire, il recupero di senso, il configurarsi della prospettiva dell’operabile, il dischiudersi ad una progettazione comunitaria e comunicabile della vita.»45

Miller non elabora una trattazione sistematica sul concetto di folklore, né come frammenti di agglomerato indigesto né come limite estremo della cultura egemonica, non parla neppure del rapporto tra Dasein e ente intramondano come possibilità di essere del nostro esserci, ma in questo breve libro riesce a cogliere tutto questo raccontando semplicemente le storie di persone e dei loro oggetti.

«Mettiamo da parte la storia della filosofia, le scienze umane e la religione e indirizziamoci alle persone reali, che vivono nella strada reale che è oggetto del nostro studio.

45E. De Martino «La fine del mondo. Contributo all’ analisi delle apocalissi culturali.» Giulio Enaudi editore, 1977,

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Chiediamo loro “Oh, gente di Stuart Street, diteci cosa dovrebbe essere e cosa è davvero importante nella vita?” Se li interrogassimo sulla differenza tra una vita piena e una vuota, sospetto che udiremmo una risposta straordinariamente uniforme, che si concentrerebbe sul fatto di aver esperito o meno un numero significativo di relazioni. [ …]

Riconosceremmo allora che gli individui sono, in larga misura il prodotto e non solo gli agenti di queste relazioni. […] Questo libro però intende illuminare un’altra serie di relazioni che è più improbabile che essi menzionino, e che è emersa solo perché ho scelto di porre loro certe domande. È la relazione con gli oggetti. Il mio approccio teorico deriva da una prospettiva dialettica in cui gli oggetti materiali sono considerati come un aspetto integrale e inseparabile di tutte le relazioni. Le persone esistono per noi nella loro presenza materiale e attraverso essa.

Un antropologo non inizia dagli individui che creano i propri mondi. Comincia dai processi storici e dall’ordine materiale che crea quei particolari individui e le loro aspettative. In breve, la cultura materiale è importante perché gli oggetti creano i soggetti molto più che il contrario. È l’ordine delle relazioni gli oggetti e tra oggetti, che attraverso la socializzazione reciproca, crea gli uomini che l’antropologia usa per esemplificare le categorie sociali, come catalano, bengalese, ma anche operaio, maschio o giovane. […]

Ogni classe definisce il gusto in opposizione ad un’altra.

Già per Hegel avere la responsabilità di creare l’ordine attraverso cui si vive era segno di autenticità di questo stesso ordine. Così le persone non sono totalmente determinate dalla