• Non ci sono risultati.

La creazione del nostro Ambiente Circostante come il quartiere entra nelle case.

Nell’arco della nostra vita cresciamo con l’idea che sia necessario ritagliarsi un nostro spazio nel mondo, dove poterci orientare, conoscere, e costruirci come individui; la casa è lo spazio che ci costudisce e che allo stesso tempo ci pone in conflitto con noi stessi, la casa così come gli oggetti che ci sono dentro sono molto di più di semplici “cose comprate a caso”, sono prodotto di scelte specifiche anche quando sono apparentemente inconsapevoli e ovvie, proprio dentro quest’ ovvietà cerco in questa tesi di muovermi, provando a comprendere come gli individui possano appaesarsi, presentificarsi il proprio Umwelt partendo dall’incontro con delle persone con la loro esperienza quotidiana e domestica, scavando nell’ ovvio, nella pistìs e nella dòxa delle azioni ed espressioni di tutti i giorni cercando di capire come il folklore, inteso come agglomerato indigesto di frammenti in una cultura di massa, possa essere alla base del nostro esse re nel mondo e come questo sia costellato di segni e di rimandi tramite gli enti intramondani che ci circondano e che sono il ponte tra noi e il nostro essere nel mondo con altre presenze.

«Una distinzione fra strategie e tattiche sembra offrire uno schema iniziale più adeguato. Chiamo strategia il calcolo (o manipolazione) dei rapporti di forza che divengono possibili dal momento in cui un soggetto dotato di propria volontà e di proprio potere (un’impresa, un esercito, una città, un’istituzione scientifica) è isolabile. Essa postula un luogo suscettibile d’essere circoscritto come spazio proprio e di essere la base da cui gestire i rapporti con obbiettivi o minacce esteriori (i clienti, i concorrenti, i nemici la campagna intorno alla città, gli obbiettivi della ricerca). Come nel management, qualsiasi razionalizzazione strategica cerca di distinguere da un ambiente un luogo proprio, ovvero la sfera del potere e del volere proprio. Un gesto cartesiano, se si vuole circoscrivere un luogo proprio in un mondo stregato dai poteri invisibili dell’altro. […]

1. Un luogo proprio e una vittoria dello spazio sul tempo. Consente di capitalizzare vantaggi acquisiti, preparare future espressioni e acquisire un’indipendenza in rapporto alla variabilità di circostanze. È una forma di controllo del tempo attraverso l’istituzione di uno spazio autonomo

64

2. Consente inoltre un controllo dei luoghi attraverso lo sguardo. La suddivisione dello spazio permette una pratica panoptica a partire da un luogo in cui l’occhio trasforma le forze estranee in oggetti che possono osservare e misurare e dunque nel proprio campo visivo controllare e includere. Vedere (lontano) significa anche provvedere, anticipare il tempo attraverso la lettura di uno spazio.

3. Definire il potere del sapere attraverso questa capacità di trasformare le incertezze della storia in spazi leggibili un tipo specifico di sapere, quello che fonda e determina il potere di crearsi uno spazio proprio. […]

In relazione con le strategie definisco tattica l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio. Nessuna delimitazione di esteriorità le conferisce un’autonomia. La tattica ha come luogo solo quello dell’altro. Deve giocare così su un terreno che le è imposto così come lo organizza la forza di una legge estranea. […] Non ha la possibilità di darsi un progetto complessivo o totalizzante l’avversario in uno spazio distinto, visibile e oggettivabile. Si sviluppa di mossa in mossa. Approfitta delle occasioni …»50

Tra queste due grandi categorie di cui ci parla De Certeau l’individuo si muove nelle pratiche quotidiane la vita domestica, tra le abitudini e il tempo scandito e definito da impegni imposti dall’ esterno, e a cui tutti dobbiamo sottostare e che s’incontrano con le esigenze imposte dalla casa e se ci sono dagli altri individui che la abitano, dall’altra una serie di tattiche e pratiche che aggirano le strategie e il consumo, un uso creativo del quotidiano, il modo di arredarla, o di gestire l’economia, il riutilizzo e recupero di vecchi oggetti, la personalizzazione di piccoli spazi e l’uso comune di altri, il cercare di dare voce a tutti i componenti di un’ abitazione, una rievocazione di storie e narrazioni che si incrociano, il cucire da sole i vestiti per se stesse e per i nipoti, utilizzare le bottiglie del vino vuote come vasi, utilizzare un terrazzo come serra, queste piccole pratiche di resistenza e di creazione sono per De Certeau sono le modalità in cui la classe subalterna risponde alla classe egemonica. Sebbene la classe popolare oggi non produca necessariamente tutti i beni che consuma, ma li acquista spesso su in una dimensione globale e di facile accesso questo non vuol dire che non li usi e consumi in modo proprio, critico con un’opera di mediazione e di adattamento. In queste piccole modalità di appaesamento è possibile scorgere quegli elementi di folklore a cui ho accennato nel capitolo precedente.

65

«Le risorgenze delle pratiche “popolari” nella modernità industriale e scientifica indicano le vie che può prendere una trasformazione dell’oggetto da noi studiato e il luogo da cui lo studiamo.

Non è possibile relegare nel passato, nelle campagne o fra i primitivi i modelli operativi della cultura popolare. Questi esistono anche all’ interno dei luoghi più avanzati dell’economia contemporanea. […]

L’ordine effettivo delle cose è precisamente quello che le tattiche “popolari” aggirano a fini propri, senza illudersi che cambierà così presto. […] Nell’ istituzione del servire, si insinuano così uno stile di scambi sociali, uno stile di invenzioni tecniche e uno stile di scambi sociali, uno stile di invenzioni tecniche e uno stile di resistenza morale, ovvero un’economia del “dono” atti di generosità a buon rendere, un’estetica dei trucchi (ovvero un’arte dell’escogitare) un’etica della tenacia.

La cultura popolare consiste precisamente in questo, non è un oggetto considerato estraneo, smontato in vari pezzi per essere esposto, trattato e citato da un sistema che riproduce, con gli oggetti le condizioni che impone ai soggetti viventi.»51

«Lo spazio è un incrocio di entità mobili. È in qualche modo animato dall’insieme di movimenti che si verificano al suo interno. È spazio l’effetto prodotto dalle operazioni che l’orientano, lo circostanziano, lo temporalizzano e lo fanno funzionare come unità polivalente di programmi conflittuali o di prossimità contrattuali. Lo spazio sarebbe rispetto al luogo ciò che diventa la parola quando è parlata, ovvero quando è colta nell’ambiguità dell’esecuzione [...]

Insomma, lo spazio è un luogo praticato. Così la strada geograficamente definita da

un’urbanistica è trasformata in spazio dai camminatori. [...]

Merleau-Ponty distingueva tra spazio “geometrico” e una “spazialità” che definiva “spazio antropologico” [...] lo spazio è esistenziale e l’esistenza è spaziale. Questa esperienza è rapporto con il mondo, essa esprime la medesima struttura essenziale del nostro essere come essere situato in rapporto con un ambiente»52

La casa oltre che di oggetti domestici è piena di progetti, alcuni mai compiuti, di desideri, di piccole abitudini talvolta nascoste, dove è possibile esprime le idee, di scelte,

51 Ibidem. pp. 59-60. 52 Ibidem, p.176.

66

insomma la casa non è un semplice spazio, ma c’è una solida struttura temporale, dove vivono persone, che devono coordinarsi, organizzarsi e mediare le loro azioni, la casa è il centro di scambi, di leggi morali ed estetiche.

« Se la casa è uno spazio in cui le persone costruiscono anche una rappresentazione del sé, attraverso la storia degli oggetti e dei modi in cui vengono usati da chi li possiede, dalle biografie e dai criteri espositivi possiamo venire a conoscenza di un mondo culturale che rappresenta i gusti di un’ epoca, che rende manifesto il bisogno di domesticare gli oggetti per venire a patti con il mondo materiale, poiché attraverso essi possiamo cercare di mettere ordine nella vita quotidiana. Attraverso gli oggetti, infatti, possiamo cercare di mettere ordine nelle nostre vite, di costruire registri di memoria in cui i ricordi si fissano e vengono conservati attraverso l’incorporazione di un evento in un oggetto capace di richiamarlo alla memoria di chi lo possiede.»53

Anche gli oggetti di uso più comune come gli elettrodomestici o quelli di uso quotidiano, l’usare piatti di ceramica piuttosto che quelli di plastica può significare un tipo di scelta ecologica, pratica o economica, la “rivoluzione della plastica” che segnò gli anni ’60 - ’70 e che inizialmente rimpiazzò gli oggetti in rame che persero improvvisamente valore per poi tornare successivamente da chi aveva possibilità economiche più alte segnano un mutamento sociale, storico e culturale. ≪Le funzioni e le tipologie degli oggetti sono numerose. Abbiamo oggetti d’affezione, oggetti feticci, oggetti ancore, oggetti momenti funebri,oggetti autobiografie, vi sono oggetti testimoni, gli oggetti segno, gli oggetti sociali e gli oggetti memoria...≫54 Gli oggetti non sono mai qualcosa di estraneo, un mero utilizzo

pratico della tecnica che hanno solo lo scopo di rendere la vita più semplice, il nostro essere- nel-mondo è necessariamente un essere a contatto con questi enti, ci servono per conoscere e per rappresentare il proprio sé o quello di qualcun altro, per presentificarsi una persona, per avere una continuazione con gli eventi del passato, per questo si conservano le foto o giochi dei bambini. Gli oggetti non sono privi di valore simbolico, ci permettono di sentirci situati nel mondo che ci circonda.

Gli oggetti che teniamo nelle nostre case non giocano solamente un ruolo di primaria importanza per la costruzione del nostro Dasein in relazione all’ essere-nel mondo, ma ci collocano in un tipo di mondo ben preciso, ci possono anche etichettare in classi sociali ben

53 P. Meloni, «La cultura materiale nella sfera domestica», in La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli

oggetti ordinari, cit., p. 200.

67

definite, o almeno lo possono fare secondo alcuni pensatori ≪ I lavori di Pierre Bourdieu hanno avuto un grande impatto, soprattutto nel mondo anglosassone, mostrando come gli oggetti costruiscono le persone allo stesso modo in cui le persone fabbricano gli oggetti. In linea con il marxismo, Bourdieu sostiene che gli oggetti servano ad esprimere le classi sociali, ma più ancora servono a costruire un “Habitus”, ossia un numero di pratiche codificate, acquisite inconsciamente attraverso la socializzazione e trasmesse di generazione in generazione. [...] Attraverso la disposizione e l’uso dei locali e degli oggetti, la casa determina le gerarchie sociali, la divisione sessuale del lavoro, i sistemi di trasmissione, le rappresentazioni del mondo, in breve tutti gli aspetti della vita sociale. [...] Essa condiziona i rapporti con il mondo interno e con la quello esterno delle relazioni economiche e sociali come anche i movimenti degli uomini e delle donne tra questi due spazi≫55

Il rapporto tra il pensiero e la materia è un rapporto dialettico, non solamente fabbricazione e utilità stanno alla base di questo rapporto, lo scegliere un oggetto piuttosto che un altro anche se simile, non dipende solo da fattori economici o di classe, il valore che diamo agli oggetti e la rappresentazione simbolica che hanno, ovviamente non ogni oggetto ha lo stesso valore, ma è interessante sapere come mai in uno scenario così apparentemente fluido dove spesso è necessario esser capaci di lasciare luoghi e persone ci teniamo stretti alcuni oggetti e come questi hanno “il potere” di rievocare il nostro “Umwelt lontano”. Gli oggetti fanno parte dello spazio, essi vengono collocati in un posto preciso e il loro compito non è solamente da classificare nell’utilità pratica, appendere una foto in una parte appena si entra in una casa forse vuol farci presentificare qualcuno appena varcata la soglia, mettere i libri in un certo ordine, cronologico, alfabetico secondo l’ordine di grandezza, senza ordine, ci possono dire cose precise sulla persona. Conservare giornali di giorni specifici, o conservare quasi tutto e non buttare via nulla, scegliere un colore piuttosto che un altro. Sembrano tutte cose banali che gli individui compiono inconsciamente, ma questi oggetti materiali servono a evocare noi stessi, a rendere la nostra presenza, non una semplice presenza, ma a sentirci siutati nel nostro mondo.

≪Gli oggetti evocano sé stessi e non hanno bisogno di parole e di testi per comunicare e per agire. Più che dare senso, essi possono mobilitare i sensi e gli attori sociali.≫56

Gli oggetti sono capaci di farci provare molteplici stati emozionali, rabbia, tristezza, gioia, affetto, nostalgia, anche ciò che è apparentemente banale, ovvio, standardizzato, una

55L. Turgeon, «La memoria culturale e la cultura materiale della memoria»in La materia del quotidiano. Per

un’antropologia degli oggetti ordinari, cit., p. 113.

68

penna per esempio, una Parker, che ci ha regalato un amico che sta lontano e ogni volta che la guardiamo ce lo presentifica, o la stessa penna che smette di funzionare proprio mentre si sta svolgendo un esame importante e ci provoca simultaneamente ansia e rabbia, oppure la teniamo semplicemente in borsa “perché non si sa mai”. Tutti questi stati emozionali quotidiani che esprimono una relazione, tra noi gli enti intramondani, il mondo e le altre presenze passano inosservate nella routine delle nostre giornate, ma hanno una carica e un peso ontologico non indifferente sono le piccole pratiche che servono alla nostra presenza per restare ferma nella relazione con il mondo.

«Gli oggetti occupano un ruolo importante nelle nostre vite. Non soltanto occupano sempre più spazio negli armadi, scatole dei giochi, mobili di cucina e cantine strapiene, pretendono in maniera concreta spazio e tempo, riempiendo ancora la nostra coscienza di dubbi sulla scelta o il rifiuto, l’uso e l’usura, l’acquisto e lo scarto. Gli oggetti non cessano di semplificare o complicare la nostra esistenza, mettendoci a dura prova quando decidono di rompersi o di funzionare male. A intervalli regolari la maggior parte di noi si trova sul pinto di piangere o di infuriarsi quando non riusciamo a riprogrammare il videoregistratore o a montare l’armadio a muro Princip di Ikea, quando la nostra macchina va in panne in un sentiero di campagna, o lasciamo bruciare la padella sul fuoco o vacilliamo di fronte ai 367 pezzi della Lego dispersi per terra. […]

Ma più importante di tutte queste relazioni quotidiane è forse il modo in cui il desiderio, l’acquisizione e l’uso degli oggetti materiali crea i problemi di scelta quando sono limitati nel tempo, i soldi e le energie emozionali della casa, quando cioè bisogna stabilire delle priorità tra ciò che è utile e ciò che è inutile.

Abbiamo bisogno di riflettere di più sul consumo come arte per sfruttare meglio le risorse.

[,,,]

Gli oggetti sono manifesti e concreti. Talvolta permangono come resti archeologici di epoche precedenti. Stanno là, tranquilli sul comò o negli sportelli della cucina richiamandoci situazioni, esperienze e stati d’animo. Ma la loro paziente immutabilità, naturalmente non è che un’apparenza: cambiano aspetto, si scaricano e ricaricano, acquistano nuovi significati con il passare del tempo. […] Essi non sono più un pullover usato, un cavallino, un boccale in ceramica: essi si individualizzano, si personalizzano. Attraverso questo processo, ciò che è anonimo e serializzato può trasformarsi in qualcosa di unico, acquisendo al contempo una

69

posizione importante come supporto della memoria e punto di riferimento nella storia di vita. »57

Nelle prossime tre storie di vita di Gianna, Marcella e Francesca un dato che emerge è lo scambio reciproco che si evince tra le soggettività di queste tre donne e il quartiere in cui vivono, sono legate profondamente al loro luogo di appartenenza, hanno speso tempo e energia nelle attività del quartiere e questo è penetrato nelle loro case, con oggetti, libri, magliette, articoli di giornali. Quando parlano di loro stesse lo fanno sempre in relazione al contesto del quartiere chi si è riscoperto grazie a esso, chi ne fa parte attivamente da tutta la vita. Lo difendono dai pregiudizi, trattandosi di quartieri popolari, cercano di far emergere le attività positive, o ne parlano al passato cercando di mettere in luce che “non è sempre stato così”. Queste tre storie sono anche storie di comunità che entrano in relazione e vengono raccontate tramite gli oggetti domestici.

Intervista Gianna Piagge

Gianna ci accoglie un po’ intimorita, ha un piede ingessato, ci spiega che proprio quella mattina mentre aiutava la figlia a salire sul bus è caduta e si è fatta male. Gianna è una madre single di tre figli, la maggiore ha una disabilità fisica e cognitiva, nel corso dell’intervista Gianna ci spiegherà che dopo un divorzio difficile è stata per anni n un appartamento vicino Firenze, ma l’affitto era troppo alto pagava 1500 euro, per avere una casa “attrezzata per la figlia”, fortunatamente da qualche anno ha ottenuto un appartamento nel quartiere popolare delle Piagge. L’ appartamento è al secondo piano senza ascensore, l’appartamento è composto da una cucina tre stanze e un bagno.

Gianna ci fa sedere nella cucina- sala da pranzo , per rompere il ghiaccio ci parla subito della macchina del caffè che tiene lì vicina, ci dice di essere una vera caffeinomane e non potrebbe stare senza una macchinetta del caffè o senza la Moka, poi riflettendo sugli oggetti a cui tiene pensa alle foto, anche se dice di avere un rapporto “un po’ così, a seconda delle

57 O. Löfgren, «Il ritorno degli oggetti? Gli studi di cultura materiale nell’etnologia svedese», in La materia del

70

foto provo nostalgia”, poi indica una foto dei figli che tiene in una mensola in cucina, “ A

questa foto per esempio ci sono legata anche se è di un periodo un po’ così, ero sposata e quello è stato l’ultimo Natale in cui … il Natale in cui pensavo fosse l’ultima possibilità, mi viene il magone a pensarci, posso parlare a ruota libera? Il mio ex marito mi aveva chiesto di allontanarci dalla mia ex suocera perché uno dei problemi che avevamo era il rapporto con questa. Anche se dopo pochi mesi da quel trasloco gli feci le valige e lo mandai via, io restai in quella casa per tre anni, ma non ce la facevo più a pagare 1500 euro di affitto, poi dopo una serie di lotte, da buona Napoletana ho fatto una serie di lotte con il comune e mi hanno dato la casa nel 2007, prima una piccola di 60 metri quadri, da tre anni vivo qui e da uno ci vive anche il mio compagno ”.

72

Arrivata qui ha subito conosciuto Don Santoro, mio intermediario per due interviste, Gianna ha una serie di libri e di materiale che tiene in bella mostra sul mobile della cucina che rappresentano il suo legame con la comunità delle Piagge, hanno una serie di libri edizioni Piagge, che raccontano le storie delle persone della comunità. Gianna ci tiene a ribadire che nonostante i pregiudizi che ci sono nei confronti della periferia in realtà la comunità è viva grazie soprattutto alle attività che ci sono nel centro culturale di Don Santoro “Pensano che si

sia una zona malfamata, alla fine del mondo, piena di Albanesi, Napoletani, Io sono Napoletana e fiera di Esserlo! Le mie colleghe che vengono da Campo di Marte che hanno la borsetta firmata mi guardano un po’ strano, ma poi hanno imparato a conoscermi, hanno visto che faccio un sacco di cose raccolta dei tappi, le attività di quartiere .Io sono resuscitata alle Piagge, una cosa che ho imparato da questa comunità è la resistenza, essere fuori dagli

73

schemi, prima io ho frequentato ambienti cattolici, io da giovane a Napoli facevo parte della gioventù Francescana, dove ho conosciuto il mio ex marito, che io chiamo fondamentalista Cattolico.”

Ci fa fare un piccolo giro della casa, mostrandoci la camera delle figlie dove ci sono tutti i pupazzi e giochi di quando erano piccole, giochi regalati dai genitori di Gianna che non ci sono più.

Nella camera del figlio ci sono varie foto dell’infanzia una della famiglia a Disneyworld, quello che Gianna chiama il viaggio della separazione, poiché appena tornati si separò dal marito.”

Nel corridoio ci sono dei quadretti che ha preso al mercatino dell’usato del quartiere,