• Non ci sono risultati.

L’AGER OCCUPATORIUS E L’AGER ARCIFINIUS:

COMMENTO AL DE CONDICIONIBUS AGRORUM DI HYGINUS MAIOR

6 2 LE TIPOLOGIE DI AGRI NEI TESTI DEGLI AGRIMENSOR

6.3 L’AGER OCCUPATORIUS E L’AGER ARCIFINIUS:

L’ ager occupatorius deve il suo nome alle prime fasi della colonizzazione, come spiega Igino (de cond. agr., 78, 9-17, Th.), quando dice che il limite entro cui una comunità si ritirava, dopo una sconfitta, o si fermava, dopo una vittoria, sanciva pure il limite della propria proprietà19. Quindi l’ager occupatorius era il risultato di un’occupazione, subita nei proprti territori o inflitta ai danni del territorio altrui. I limiti, pertanto, erano costituiti da elementi del paesaggio naturale come fiumi, colline e via dicendo. Poco prima (de cond. agr., 78, 3.6, Th.), parlando della categoria dei subsecivii, per cui riconferma le stesse informazioni date da Frontino (vd. sopra) sottolineandone la natura di estremità e la loro appartenenza al diritto comune o pubblico, Igino fa una precisazione storica, informando che l’imperatore Domziano convertì i subsecivii in occupatorii o arcifinales20, come se i due termini fossero più o meno sinonimi.

Questo dato è confermato da Siculo Flacco, de cond. agr., 102, 1-8, Th.:

18 Vd. Duncan-Jones 1976. 19 Vd. Botteri 1992 e Gabba 1992.

Occupatorii autem dicuntur agri, quos quidam arcifinales uocant, [hi autem arcifinales dici debent]. quibus agris uictor populus occupando nomen dedit. bellis enim gestis uictores populi terras omnes, ex quibus uictos eiecerunt, publicauere, atque uniuersaliter territorium dixerunt, intra quos fines iuris dicendi ius esset21.

Siculo Flacco (de cond. agr., 102, 9-15, Th.) aggiunge anche che di questi terreni non esiste una documentazione ufficiale, ma solo ufficiosa, privata, dato che gli occupanti non avevano ricevuto l’appezzamento attraverso una suddivisione e una assegnazione, ma avevano semplicemente occupato l’appezzamento che coltivavano o che avevano intenzione di coltivare22.

La definizione giuridica dell’ager occupatorius era diversa da quella dell’ager publicus: Tibiletti 1948, 182 fa presente che restava comunque “nella piena disponibilità dello stato” e specifica che in origine non era gravato di vectigal, ma che poi ne fu affetto23. A riguardo vd. Tibiletti 1948, 182-183 che sul vectigal scrive “[…] Sebbene le proprietà pubbliche non fossero usucapibili, era nondimeno opportuno imporre ad esse almeno una tassa di ricognizione. Che poi all’origine i contratti d’affitto siano stai tecnicamente manchevoli, e che i Romani abbiano via via compreso la necessità di perfezionarli mercè l’arte agrimensoria, le misurazioni, le formae, l’introduzione di canoni più reddittizi per le finanze dello stato, ecc., è abbastanza probabile […]”. Tibiletti insiste sulla strada delle locazioni, dicendo che un vectigal imposto sull’ager publicus (come nel caso, insomma, dell’occupatorius) dava esito a delle possessiones, e quindi a delle locazioni24. Un’osservazione interessante di Tibiletti sul testo di Siculo

21 “Sono detti agri occupatorii quelli che alcuni che chiamano arcifinales. A questi campi diede il nome il

popolo vincitore, occupandoli. Con le imprese belliche i popoli vincitori hanno reso pubbliche tutte le terre, da cui cacciarono i nemici, e li chiamarono generalmente ‘territorio’, (con lìintento che) tra i cui confini ci fosse diritto di giurisdizione ”.

22 In questo passo Siculo Falcco utilizza l’esspressione in spem colendi occupavit, per la quale vd. sopra. 23 Su questo punto e sulla questione se si trattasse di locazione o meno la posizione di Tibiletti apre una

terza strada all’interno delle due posizioni del dibattito.

24 Tibiletti 1948, 190 scrive: “La figura giuridica dell’agro pubblico occupato era probabilmente quella

dell ‘possesso’, alla quale si sostituì poi, sopra alcune sezioni di terra, nell’atto che queste vennero gravate di vectigal, quella della locazione.

Flacco (137, 19-20, e 138, 11-15, Lach.)25 riguarda lo stile e soprattutto l’uso di correlazioni tipo nec tantum…sed quantum o aut…aut e simili che indicherebbero un allargamento della concessione sugli agri occupatorii, probabilmente come “riserva di appezzamenti di agro pubblico da sfruttarsi più tardi” (p.223). E’ doveroso segnalare, sull’argomento, la posizione di Campbell 2000, 473 che, facendo leva anche sull’evidenza testuaria fornita dagli agrimensori, rifiuta l’idea che si debba per forza identificare nell’ager occupatorius un terreno sottoposto a vectigal, sulla base di una testimonianza di Appiano, che i sostenitori del vectigal applicato agli occupatorii interpretano in accordo con questa idea26.

Del resto non c’è traccia nei testi circa una tassa imposta agli agri occupatorii, ed anche a livello teorico risulterebbe lievemente arduo nell’ottica romana fissare un’imposta su un terreno che non possedeva neppure dei confini approvati e documentati27. L’ager occupatorius, come suggerisce anche Campbell, forse era uno status temporaneo conferito a territori appena acquisiti. E’ infatti verosimile che questa terminologia faccia veramente riferimento ad una fase iniziale della colonizzazione romana, in cui i terreni acquisiti mediante occupazione bellica ricevessero lo status di occupatorius che permetteva di occupare gli stessi, ma a livello non ufficiale. La situazione sarebbe stata regolamentata in un secondo momento, attraverso le procedure di cui si è parlato, confermando proprio la caratteristaica temporale della prima definizione dei terreni.

Alla domanda come mai la terminologia di pratiche antiche siano presenti in testi di epoca imperiale, collocabili nel I sec. d. C., si possono avanzare due risposte: da un lato, gli agrimensori si mostrano molto interessati all’evoluzione anche terminologica dei meccanismi che riguardavano la loro professione, e nella storia della procedura, visto che i fruitori delle loro opere si sarebbero trovati a

25 = de cond. agr., 101, 11-13, Th. e de cond. agr., 102, 9-13, Th.

26 Il dibattito è complesso, per cui si rimanda anche alle conclusioni, contro il vectigal, di Zancan 1935,

10-11 e Burdese 1952, 63-68.

27 Tant’è vero che Igino Minor quando contempla la possibilità di un arcifinius a cui fosse sottoposto un

vectigal scrive (const. limit., 167-68, 17-1, Th.):| | Agrum arcifinium uectigalem ad mensuram | sic redigere debemus, ut et recturis et quadam terminatione in perpetuum seruetur.

confrontarsi con esse, dall’altro questo status temporaneo di occupatorius, così come l’iter procedurale che lo riguardava, poteva essere ancora usato nelle zone periferiche della conquista. Anche l’etimologia di arcifinius, che si è detto considerato sinonimo di occupatorius, richiama un contesto bellico di cui gli agrimensori erano ben consapevoli.

Come dice Igino Maior (de cond. agr. 78, 7-8, Th.):

Arcifinales agri dicuntur qui arcendo, hoc est prohibendo, uicinum nomen acceperunt.

E Frontino (de agr. qual., 2, 12-14, Th.):

nam ager arcifinius, sicut ait Varro, ab arcendis hostibus est appellatus: qui postea interuentu litium per ea loca quibus finit terminos accipere coepit28.

E Siculo Flacco, nella continuazione di un passo che si è già ricordato in precedenza, (de cond. agr., 102, 6-7, Th.):

deinde ut quisque uirtute colendi quid occupauit, arcendo [uero] uicinum arcifinale[m] dixit29.

28 “Infatti un campo, come dice Varrone, è chiamato arcifinius dall’azione di respingere i nemici: in

seguito questo cominciò a ricevere dei confini per l’intervento di liti in quei luoghi con cui confina”. Lintott (1992, 36) scrive: “Varro believed that the so-called ager arcifinius- which in the late Republic was land outside the formally measured territory, defined by reference to natural features like hills, rivers and trees- derived its name ab arcendis hostibus, by being a buffer against enemy invasion. This view was maintened by the writers on Roman land-surveying, who believed that originally land seized by a victorious Roman army was left for occupation by Roman settlers without rent (ager occupatorius), simply to ensure that it did not fall abck into enemy hands”.

29 “E quindi come qualcuno occupò qualche terreno in virtù di coltivarlo, con l’atto di respingere il vicino