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ISTRUZIONE E IL RAPPORTO CON LE ALTRE DISCIPLINE

GLI AGRIMENSORI: PERSONALITA’ E COMPETENZE

2.2 ISTRUZIONE E IL RAPPORTO CON LE ALTRE DISCIPLINE

Gli agrimensori svolgevano, come si è visto, una moltitudine di attività, che andavano dagli aspetti più tecnici a quelli più teorici della colonizzazione romana.

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Maganzani 1997, in particolare la Parte Seconda, su “Le funzioni del mensor nel processo”; Adamo, 2000, 522-44.

Per questo, proprio per il fatto che esercitavano una disciplina polimorfica, la loro istruzione doveva coprire più aree insieme. Come si è già anticipato sopra, i dati che riguardano il periodo repubblicano sono molto scarsi, mentre molto di più è ricavabile per il periodo imperiale, soprattutto grazie a quanto tramanda il corpus stesso24.

LE DISCIPLINE MATEMATICHE

Innanzitutto, le discipline matematiche avevano un ruolo centrale, per cui si studiavano la geometria euclidea e la matematica (sul genere di quella descritta da Columella nel V libro), per misurare aree, distanze, fare i calcoli, fare equivalenze fra le unità di misura25, ecc…

Non è un caso che i testi di agrimensura siano infatti finiti in manoscritti che si occupavano di geometria (si è visto nel capitolo precedente, che questo costituisce un prolifico filone della tradizione indiretta). Per capire che genere di conoscenze matematiche circolassero al tempo l’unica fonte sono per l’appunto i manoscritti medievali anteriori al XII secolo. Dopo quel periodo, infatti, furono tradotti i testi matematici arabi, che catalizzarono su di sé tutta l’attenzione. I romani non furono dei gran matematici, dei teorici della disciplina, ma furono sicuramente dei grandi utilizzatori di quelle nozioni immediatamente applicabili nei contesti in cui servivano loro. Si avrà sempre più modo di constatare questa caratteristica della società romana, sia perché si rimane sempre in un ambito tecnico-pratico, sia perché i romani tennero innegabilmente questo comportamento in quasi tutti gli ambiti del sapere, a cui attinsero presso i popoli che via via assoggettavano.

Le nozioni matematiche provenivano essenzialmente dall’Egitto, dalla Babilonia, dalla Grecia e zone di influenza greca, dove la matematica trovò presto una sua connotazione teoretica26. Certamente questa non è la sede più adatta per una lunga dissertazione sull’origine e lo sviluppo delle scienze matematiche, tuttavia

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Cf. a riguardo Rudorff 1852, 320-23 e Schindel 1992, 375-94.

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Sul rapporto tra geometria greca e agrimensura romana vd. Guillaumin 1994.

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è importante puntualizzare che queste “le matematiche furono inizialmente coltivate presso gli egizi e i babilonesi con intenti pratici, connessi con l’agrimensura, e ‘calcolistici’, in relazione all’astronomia. I greci, che mutuarono molti risultati di quelle indagini, non solo le fecero progredire, ma diedero a esse una nuova impronta di natura spiccatamente teoretica”27. Del resto, come si avrà modo di vedere nel capitolo sulla centuriazione, forme di divisione del territorio, anche se non programmatiche e concettualizzate come nel mondo romano, sono rintracciabili anche in queste culture. E’ ancora importante fare presente che nei numerosi documenti che sono sopravvissuti di questi popoli (tavolette caldaiche e papiri), anche se non sono presenti i procedimenti ma solo l’enunciazione e la risoluzione dei problemi, la tipologia di nozioni matematiche e geometriche sono molto progredite, al punto che accanto ad una fruizione esclusivamente pratica ne è stata supposta una esoterica, da cui sarebbe derivata l’astrologia (e quindi l’astronomia)28.

I romani non fecero altro che assorbire le nozioni che potevano servire loro, e certamente agli occhi dei moderni può costituire un paradosso che il popolo passato alla storia per le proprie doti ingegneristiche non avesse parte nel processo teoretico della disciplina portante il proprio sviluppo. Come scrisse Brugi 1897, 48: “attraeva in ogni scienza l’intelletto dei Romani, aborrente da speculare, tutto ciò che fosse praticabile e immediatamente utile”. E a riguardo fa presente come già Cicerone avesse notato che la geometria teorica tanto coltivata dai Greci fu impiegata per fare calcoli e misurare la terra (Tusc., 1, 2, 5). Tuttavia la capacità che il popolo romano ebbe nell’assorbire e fare proprie, selezionandole, le discipline sviluppate dai popoli assoggettati è comunque una delle peculiarità e dei meriti che vanno riconosciuti a questo popolo.

A Roma la matematica era insegnata nelle scuole da maestri per lo più greci e quel patrimonio nozionistico, non troppo ampio, costituì la base del sapere occidentale almeno fino al XII secolo, come abbiamo detto. A riguardo Folkerts

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Vd. Piazza 1993, 822.

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2003, 1-2 scrive: “It is generally known that few writings of mathematical content circulated in the early Middle Ages. This may be explained by the slight interest of the Romans in theoretical mathematics and by the sufficiency of a very little arithmetical and geometrical knowledge for daily life”.

Nello stesso contesto Folkerts fa giustamente presente che a riguardo sono noti i testi degli agrimensori romani. Ovviamente le relazioni di agrimensori che più interessano le conoscenze matematiche (e soprattutto le procedure geometriche) sono quelle di Balbo (presente nel corpus) e di Epafrodito e Vitruvio Rufo (non conservati nel corpus e pubblicati da Bubnov29). Per capire meglio di che tipo di istruzione, quindi, un agrimensore doveva conseguire in campo matematico, basta dare una scorsa a questi trattati. Balbo spiega: unità di misura, calcolo di aree e volumi, figure piane (triangoli, quadrilateri e cerchi), tipologie di confini (relativamente alle forme che essi potevano seguire). Epafrodito e Vitruvio Rufo trattano essenzialmente di misurazione (aree, perimetri) di triangoli (dei quali spiegano anche come calcolare altezza, base, e parti della base rispetto alla perpendicolare che parte dell’angolo opposto) quadrilateri (e altri poligoni) e cerchi.

Ovviamente l’influsso greco, pitagorico in prima istanza, è evidente anche se si mantiene a un livello base. E’ interessante, comunque, come in testi che avevano a che fare con questioni giuridiche di diritto confinario, con istruzioni centuriali, o con la storia della disciplina, che facciano la loro comparsa elementari nozioni di matematica teoretica, che andava ben al di là dell’uso pratico-quotidiano. Tant’è vero che nel corpus sono tramandati anche excerpta di Euclide.

Gli Elementa di Euclide furono, verosimilmente, tratti dalla traduzione di Boezio30 o dai rimaneggiamenti di autori più tardi, come Marziano Capella, Cassiodoro e Isidoro di Siviglia.

La presenza di testi di geometria e di matematica furono uno dei motivi per cui il corpus degli scritti dei gromatici sopravvisse. Anzi, per alcuni studiosi come

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Bubnov 1899, 518-51.

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Folkerts e prima di lui Ullman questa fu la ragione principale. Scrive, infatti, Folkerts 2003, 3: “Ulmann has convincingly shown that mathematical writings of the Corpus agrimensorum did not survive primarily because they were needed for the instruction of future surveyors, but because they were used for teaching geometry in the quadrivium. In this matter they were different from other technical writings, e. g. on medicine or agricolture, which were principally used for practical ends”31. Arrivare a tanto forse è eccessivo, dato che è provato che anche in età medievale l’agrimensura esisteva e quindi è ragionevole pensare che i testi antichi siano sopravvissuti anche per la necessità di tramandare il pensiero agrimensorio in totum, ma certamente anche chi era interessato a certe peculiarità di esso contribuì alla trasmissione di questi testi. E’ altrettanto convincente la teoria che gli scritti di agrimensura costituissero i testi di studio delle discipline matematiche32.

Questi aspetti sono studiati, per ora, dagli studiosi di storia della matematica che non dai filologi33.

L’ASTRONOMIA

Su questo aspetto dell’istruzione degli agrimensori, strettamente interrelato all’orientamento, si avrà modo di tornare nel dettaglio quando si tratterà il problema della limitatio, ossia nel commento al paragrafo De Limitibus.

Tuttavia, è opportuno in questa sede formulare comunque qualche considerazione.

L’astronomia era importante per gli agrimensori nella delicata fase dell’orientamento delle suddivisioni. L’argomento è molto vasto e complesso, in merito alle origini di questa pratica, alla componente religiosa (o meno) e alla sostanziale contrapposizione, nella realtà dell’evidenza testuale, ma soprattutto archeologica, di una generale tendenza a privilegiare altri criteri.

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Ullman 1964, 263-285.

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E’ infatti possibile constatare nella Geometria incerti auctoris, pubblicata sempre da Bubnov 1899, 317-365 del IX-X secolo che sono trattate tematiche di tradizione agrimensoria (in particolare nella seconda parte).

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Il che ha portato a una fiorente letteratura contrastante al proprio interno: c’è chi è assolutamente a favore di un’origine e un’influenza etrusca, chi le ritiene probabili ma non determinanti, chi le nega e le sostituisce con quelle greche. C’è chi insiste con il valore religioso dell’intera operazione e chi la ritiene un retaggio lontano sostenendo la laicità dei testi agrimensori. Ancora, c’è chi trascura l’aspetto dell’orientamento e chi lo esalta, perdendo completamente di vista le testimonianze.

L’iter percorso dagli studiosi e quello per arrivare alle conclusioni proposte in questa ricerca si rimanda al riferimento fatto poco sopra.

Qui basti presentare le conclusioni.

L’esigenza di orientare le suddivisioni territoriali fu praticamente contemporanea a quella di suddividere. Questo perché l’impulso di lottizzare rispose anche a criteri organizzativi, o ri-organizzativi, dello spazio. Quindi, è facile capire che in un’ottica razionalizzante si tenesse anche conto delle caratteristiche geo- morfologiche del territorio. Anzi, in alcune zone (si pensi, per dire, all’Egitto) furono proprio quelle condizioni a determinare l’esigenza di un riassetto di qualche genere. In questo stesso contesto finirono certamente per confluire tutta una serie di riti e credenze religiose, che possono essere compiutamente riassunti (e da un punto di storia della tradizione e da uno strettamente concettuale) nell’immagine del tevmeno§ (che non a caso significa contemporaneamente “recinto sacro” e “campo”) e del templum etrusco. Anche i romani, scrive Hübner K. 1990, 179 “consideravano il templum, in quanto territorio delimitato sacralmente, come il punto di partenza della misurazione, e che, come possiamo apprendere dagli scritti degli agrimensori, attribuivano a Iupiter l’atto della limitazione”34.

E qui si tocca il punto focale del discorso, ossia la religiosità o meno dell’orientamento agrimensorio, che va tenuto ben distinto e dal tracciato del sulcus primigenius, e dall’inviolabilità dei confini (con gli annessi riti di deposizione dei cippi confinari). La conclusione dello studio fatto a proposito

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della limitatio è il seguente: la suggestione religiosa era un retaggio, che rientrava più nella tradizione che nella prassi. Ogni agrimensore, infatti, suggerisce un orientamento preferito a livello teorico (verso punti cardinali diversi l’uno dall’altro, addirittura Igino Maior non rispetta neppure la tradizionale direzione N-S per il kardo ed E-O per il decumanus), pur riconoscendone e ammettendone altri (anche se storcendo un po’ il naso). Ma soprattutto, tutti antepongono alle loro preferenze teoriche il diktat delle condizioni morfologiche di un territorio (fiumi, linee di costa, catene montuose) o la necessità di adeguarsi alla presenza di elementi antropici (strade, città). E questa non sarà certo la prima volta, in questo studio, in cui si constata che fu proprio la priorità data a questi fattori a fare della centuriazione romana un elemento costante del paesaggio, arrivato e sfruttato fino ai tempi moderni (con qualche eccezione per le zone in cui durante il Medioevo il controllo sul territorio fu allentato, con conseguente perdita di interi settori di centuriazione).

IL DIRITTO

Anche quest’aspetto sarà meglio approfondito nel commento al De Condicionibus Agrorum a proposito del publicum instrumentum, ma comunque si tireranno brevemente le somme.

Che gli agrimensori studiassero quello che, anche se impropriamente, potrebbe essere definito il diritto agrario è un dato incontrovertibile per la presenza nel corpus di lunghe sezioni inerenti alle dispute de finibus e de loco.

Senza tergiversare, dunque, sulle funzioni (avvocato, giudice o assistente) e il livello di coinvolgimento (a seconda dei periodi) dell’agrimensore nelle dispute stesse, di cui si è già parlato e su cui si tornerà a parlare, ciò che si evidenzia autonomamente leggendo gli scritti dei gromatici è che essi maneggiavano con proprietà il materiale giuridico che gli competeva. Non solo quindi classificano le controversiae e indicano che atteggiamento l’agrimensore dovesse seguire di volta in volta, ma citano editti, leggi, autori giuridici (come Cassio Longino), spiegano concetti. Usano una terminologia appropriata, che però non si peritano

di spiegare, ma forse perché la davano per scontata (solo Siculo Flacco, ogni tanto, dà qualche spiegazione terminologica). “Ciò dimostra la loro istruzione secondo un metodo tradizionalmente uniforme”, scrive Brugi 1897, 51, che ha proprio studiato l’argomento, restando sempre molto attuale. E’ sempre molto interessante che questi autori facciano anche riferimento alle proprie collezioni di leggi: il famigerato libellum (de gen. contr., 96, 7-8, Th.). Il testo di Igino Maior in particolare illustra quanta iuris dictio faceva parte dell’istruzione mensoria. La ripetizione, che caratterizza queste sezioni, era propedeutica e definisce con chiarezza l’intento didattico.

Sempre Brugi 1897, 49-50 evidenziò due anime all’interno del corpus, una geometrica e una giuridica.

LE DISCIPLINE TECNICHE

Su questa componente dell’istruzione c’è meno da dire, perché è ovviamente la meno controversa. Che gli agrimensori dovessero, dal principio alla fine, sapere usare la strumentazione necessaria è innegabile. Ovviamente si può notare che forse non fosse la mano di un senatore come Frontino a piantare la groma nel terreno. E’ probabile che lui sovrintendesse ai lavori e avesse una squadra di sottoposti che svolgeva le operazioni più tecniche. Tuttavia è stato visto come per il periodo imperiale tutte le funzioni (teoriche e pratiche) tendessero a confluire nelle mani di un unico esperto. Ed è su quest’ultimo periodo che conviene soffermarsi.

Da quanto reperito a Pompei, Vero nella sua bottega (regio I, insula 6, n.3) conservava una groma e una meridiana. Un altro strumento restituito dagli scavi archeologici è la livella.

Altre testimonianze sulla strumentazione utilizzata per livellare e rilevare sono fornite anche dalle fonti letterarie35.

Ad esempio, Varrone nel De Architectura (8, 5, 1-3) spiega nei particolari le caratteristiche e le modalità di impiego di uno strumento detto chorobates, che è

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stato possibile ricostruire proprio grazie alla descrizione di questo autore, dato che non se ne è conservato neppure un esemplare, con la conseguenza che si pensa fossero esclusivamente di legno. Il chorobates era un cavalletto con 2 fili a piombo, che permettevano di posizionare orizzontalmente lo strumento con precisione. Era anche provvisto di un canale in superficie che era riempito d’acqua, nel caso ci fosse vento e i fili a piombo fossero pertanto inutilizzabili, trasformando così lo strumento in una livella ad acqua. Grazie alla testimonianza fornita da Erone, nel suo testo Dioptra, si è a conoscenza della dioptra, appunto. La dioptra36 era uno strumento di cui l’autore si attribuisce con orgoglio l’invenzione, notando che permetteva di eseguire una serie di operazioni per le quali precedentemente si era costretti ad utilizzare più strumenti. Inoltre, permetteva di ovviare agli errori di cui era responsabile la groma, che Erone si perita di illustrare e calcolare. Lo strumento di sua invenzione era costituito da vari ingranaggi che terminavano in un semicerchio dentato su cui era posato un disco con due mirini issati su una base culminante, a sua volta, in un disco issato su un mozzo a ruota dentata. La dioptra poteva essere usata anche per operazioni ingegneristiche, e per le osservazioni astronomiche.

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CAPITOLO III