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Studi sugli Agrimensori Romani: per un commento a Hyginus Maior

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Bologna

Dipartimento di Filologia Classica e Medioevale

Dottorato di Ricerca in Filologia Greca e Latina

Ciclo XIX

Studi sugli Agrimensori Romani:

per un commento a Hyginus Maior

Dottoranda:

Libera Alexandratos

Relatore e Coordinatore:

Prof. Gualtiero Calboli

Anni Accademici 2003-04, 2004-05, 2005-06

Settore Disciplinare L-FIL-LET/04

(2)

Alla mia famiglia, con infinita gratitudine

(3)

INDICE

INTRODUZIONE 1

CAPITOLO I

I TESTI 7

1.1 Genesi del Corpus degli scritti dei gromatici 7 1.2 La tradizione manoscritta e le edizioni critiche 8 1.3 Il contenuto del Corpus degli scritti dei gromatici 12

CAPITOLO II

GLI AGRIMENSORI: PERSONALITÀ E COMPETENZE 31

2.1 Da misuratori di confini ad artisti della suddivisione territoriale 31 2.2 Istruzione e rapporto con le altre discipline 39

CAPITOLO III

LA CENTURIAZIONE ROMANA: UN PAESAGGIO NUOVO 49

3.1 La centuriazione: le forme antiche e l’unicità del modello romano 49 3.2 La centuriazione come categoria interpretativa della storia 52 3.3 La centuriazione come strumento di tutela fisica del territorio 55

CAPITOLO IV

IL TESTO DI HYGINUS MAIOR 59

4.1 Il testo latino di Hyginus Maior 59

(4)

CAPITOLO V

COMMENTO AL DE LIMITIBUS 107

5.1 La questione dei limiti nei testi dei gromatici 107 5.2 L’orientamento: gli agrimensori e l’astronomia 108

5.3 La limitatio 136

5.4 Il sorteggio degli appezzamenti e la loro registrazione 142

5.5 Le unità di misura romane 145

5.6 Commento al testo 146

CAPITOLO VI

COMMENTO AL DE CONDICIONIBUS AGRORUM 159

6.1 L’ager publicus 159

6.2 Le tipologie di agri nei testi degli agrimensori 164 6.3 L’ager occupatorius e l’ager arcifinius 166

6.4 L’ager quaestorius 170

6.5 L’ager vectigalis 172

6.6 Il subsecivum 174

6.7 Commento al testo 176

CAPITOLO VII

COMMENTO AL DE GENERIBUS CONTROVERSIARUM 247

7.1 Le controversiae nei testi degli agrimensori 247 7.2 Politica giuridica romana: centralismo e senati locali 249

(5)

CONCLUSIONI 287

IMMAGINI 291

BIBLIOGRAFIA 299

(6)

INTRODUZIONE

1

Questa ricerca riguarda la traduzione e il commento al testo dell’agrimensore romano Hyginus Maior, contenuto nel Corpus degli scritti dei gromatici, e consistente nei tre capitoli De Limitibus, De Condicionibus Agrorum e De Generibus Controversiarum.

La scelta di studiare i testi degli agrimensori romani è stata determinata da diverse motivazioni, prima fra tutte il fatto che manca uno studio filologico e una traduzione italiana.

I filologi hanno a lungo trascurato una delle fonti principali di diverse discipline che studiano la romanità, come la storia romana, la topografia antica, il diritto romano e così via, eppure la filologia classica non se ne è mai occupata.

I testi degli agrimensori sono stati considerati finora solo come fonti, mai come testi letterari. Questa considerazione diventa ancora più rilevante se si pensa che i testi gromatici sono alcuni tra i pochi testi tecnici arrivati ai giorni nostri2. Infatti, scorrendo rapidamente la bibliografia3 che riguarda questa branca di studi, ci si accorge subito che grande impulso è stato dato dagli studiosi di storia romana, che, interessata alla storia della colonizzazione romana nei suoi meccanismi più intrinseci, hanno trovato in questi testi tante informazioni sui modi della colonizzazione. Si pensi al fondamentale lavoro della scuola britannica, che ha in Oswald Dilke e Brian Campbell i suoi massimi esponenti, autori di testi imprescindibili per chi si accosta alla disciplina gromatica antica. Dilke, oltre ad altri contributi importanti, pubblicò nel 1971 un testo-guida, ancora oggi molto attuale, intitolato Roman Land Surveyors, che ebbe il merito

1

Un ringraziamento particolare va al mio maestro, prof. Gualtiero Calboli, che mi ha guidato in tutti questi anni con grande competenza, umanità e disponibilità. A lui va la mia più grande riconoscenza per avermi formata metodologicamente e sempre con spirito costruttivo. Sono altresì grata al prof. Pier Luigi Dall’Aglio per il prezioso supporto e l’aiuto elargitomi in questi anni, fornendomi preziose indicazioni. Desidero infine esprimere la mia stima al prof. Campbell che ha rappresentato per me un costante punto di riferimento con i suoi studi e, nel periodo della mia permanenza a Belfast, una preziosa guida nell’approccio rigoroso a questi testi.

2

Sui testi riguardanti l’agricoltura vd. White 1973; sulla dottrina varroniana vd. Calboli 1987, su Catone vd. Calboli 2003, cap.1.

3

Si fa ovviamente riferimento alle monografie, non agli articoli. A riguardo vd. anche Dilke 1974b, 564-68 (ovviamente è aggiornato al 1974).

(7)

di ridare impulso allo studio di questi testi, che erano stati trascurati da tempo. Il libro include una presentazione dell’agrimensura romana molto completa, che spazia dalla storia della disciplina, anche prima di Roma, alla figura degli agrimensori (istruzione, strumenti), e soprattutto alla cartografia e alle mappe antiche. Questo testo fu tradotto in italiano nel 1979 con il titolo di “Gli agrimensori di Roma antica”, che fu molto bene accolto dagli archeologi e topografi antichisti, come Castagnoli e Alfieri, che pure si interessavano di centuriazione. Campbell ha prodotto nel 2000 un nuovo testo fondamentale anche per la completezza della prospettiva e l’accuratezza della trattazione. Infatti, oltre ad offrire la prima traduzione integrale del Corpus degli scritti dei gromatici, ha compreso un commento al contenuto di ogni testo, introduzioni che rendono ragione degli aspetti più importanti della colonizzazione romana, della figura degli agrimensori romani, dei testi, e appendici su argomenti che richiedevano una trattazione a parte. Poco posteriore il lavoro di Dilke è quello di Hinrichs, intitolato “Die Geschichte der gromatischen Institutionen” del 1974, altra pietra miliare.

Per quanto riguarda gli archeologi e i topografi, sono stati fatti, grazie alla fotografia aerea, tanti studi sulla centuriazione, dai casi regionali della centuriazione, all’uso del paesaggio in antico (Alfieri, Schmiedt, Chouquer, Favory, Castagnoli e altri).

Per quanto riguarda gli studiosi di diritto romano, interessati alle controversiae agrorum di cui parlano gli agrimensori, non si può non ricordare il lavoro di Biagio Brugi “Le dottrine giuridiche dgli Agrimensori Romani comparate a quelle del Digesto” del 1897 e quello di Lauretta Maganzani “Gli agrimensori nel processo privato romano”, del 1997.

A partire dal 1993 sotto il patrocinio della Comunità Europea sono state realizzate pubblicazioni ‘miste’, cioè a cui hanno collaborato diversi studiosi (che sono stati citati in bibliografia sotto il nome del primo che compariva nell’elenco, dato che si trattava di una lunga serie di nomi e non erano dichiarate espressamente le parti assolte da ciascuno) di monografie con i testi agrimensori

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tradotti in francese e con commento al contenuto, che finora hanno riguardato Siculo Flacco (Clavel-Lévêque 1993), Balbo, insieme con gli estratti di Posidimo, Epafrodito e Vitruvio Rufo (Guillaumin 1996), Igino Minor (Clavel-Lévêque 1996), Frontino (Behrends 1998) , Igino Maior (Behrends 2000), e il Liber Coloniarum (Guillaumin 2006).

Alcuni di questi autori, insieme ad altri studiosi di discipline diverse che si sono occupati di questi scritti, hanno dato vita a un importante convegno i cui atti sono stati pubblicati nel 1992, dal titolo “Die römische Feldmesskunst: interdisziplinäre Beiträge zu ihrer Bedeutung für die Zivilisationgeschichte Roms”, che ha saputo cogliere l’essenza multiforme dei testi agrimensori. A questo convegno prese parte anche Lucio Toneatto, unico a portare avanti in questo anni uno studio filologico, essendosi occupato dei manoscritti di agrimensura (di cui ha completato una nuova recensione, confluita nella pubblicazione in tre tomi di Codices Artis Mensoriae 1994-95) in vista della pubblicazione di una nuova edizione critica.

Infatti, come si spiegherà meglio nel capitolo 1, le uniche due edizioni esistenti, Gromatici Veteres edito da Lachmann nel 1848, e Corpus Agrimensorum Romanorum edito da Thulin nel 1913 e rimasto incompleto, sono ormai inadeguate, per la scoperta di nuovi testimoni e per i criteri metodologici seguiti, anche se l’edizione di Thulin costituì un importante passo in avanti, rispetto alla precedente.

Le condizioni in cui si trovano i testi ha senza dubbio scoraggiato gli studiosi a un approccio di tipo filologico. I testi infatti sono il risultato di un lungo processo di corruttela aggravato, rispetto a quello cui furono sottoposti tutti i testi che dall’antichità sono arrivati fino ai giorni nostri, dal fatto che, presentandosi come una raccolta di testi tecnici sulla suddivisione territoriale trattata in tutti i suoi aspetti, ogni fruitore fu, in realtà, il redattore della propria raccolta (scegliendo cosa mantenere, cosa scartare, cosa uniformare e così via). A questo si aggiunge il lavoro degli editori che, pur compiendo un’operazione importantissima di restituzione di questi testi, ricostruirono, a volte in modo

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controverso, il testo. Passi furono spostati, attribuiti ad autori diversi, integrati, spesso riscritti, anziché emendati secondo le lezioni trasmesse dai codici. Il risultato è quello di un testo piuttosto incerto, che occorre ripulire il più possibile. Pertanto uno studio filologico rappresenta un interessante sfida con testi che già i copisti trovarono difficili da comprendere, per via del lessico tecnico, e di concetti poco chiari.

Infatti, spesso ci si imbatte in problemi di comprensione dei concetti espressi, e questo fondamentalmente per due motivi: come prima cosa, si è sprovvisti di un certo tipo di conoscenze tecniche, per cui è difficile seguire i punti in cui gli autori discutono dei tecnicismi della propria professione, e, in secondo luogo, gli agrimensori fanno volentieri digressioni di tipo storico sulla propria ars, dando gli etimi della terminologia agrimensoria, ma più per amore della tradizione che per reale conoscenza.

Per cui a volte si riscontrano contraddizioni, nozioni contrastanti o concetti lievemente confusi, che certo non rendono semplice il lavoro dello studioso moderno.

Pertanto, questa ricerca, pur incentrandosi sui testi di un agrimensore in particolare, ha costantemente fatto riferimento al Corpus degli scritti dei gromatici nella sua totalità. Infatti è solo attraverso una lettura incrociata e diacronica dei testi che è spesso possibile fare luce su quanto risultava nebuloso. Ovviamente, sono stati fatti spesso riferimenti anche ad altri autori latini, per fare confronti lessicali e sintattici.

Come si è detto poco sopra, la caratteristica principale di questi testi è la loro interdisciplinarietà. Questo è il loro punto di forza, ciò che li rende tanto interessanti e che permette loro di continuare a porre interrogativi e sollecitare indagini scientifiche. Ma questo può altresì costituire il loro punto di debolezza: infatti lo studio dell’ars mensoria richiede una prospettiva ampia, richiede, cioè, frequenti incursioni nelle altre discipline. In sostanza, studiando questi testi è necessario il sussidio delle altre branche che si occupano del mondo romano,

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operazione che, per quanto stimolante, risulta complessa e rischiosa. Infatti, ogni disciplina ha i propri metodi, le proprie fonti e il proprio linguaggio, quindi in questo studio si è cercata un’apertura verso le altri discipline che andasse in questo senso.

La scelta di occuparsi dei trattati di Igino Maior è stata determinata dagli argomenti trattati nei suoi testi e dalla sua personalità. Infatti, egli è l’unico agrimensore ad analizzare tutti e tre gli aspetti fondamentali di cui era composta l’ars gromatica, ossia la limitatio, la tipologia degli agri, e le dispute territoriali, sia da teorico-insegnante, sia da agrimensore sul campo. Infatti, frequenti sono i riferimenti alla sua esperienza personale, prezioso bagaglio di conoscenze. Inoltre, egli non era un senatore o un personaggio illustre, ma un agrimensore nella media, per cui, sulla base di tutte queste considerazioni, è sembrato il più rappresentativo.

PREMESSA

Per i testi degli agrimensori si è seguita l’edizione di Thulin (1913), tranne che per i testi mancanti, per i quali è stata quindi utilizzata l’edizione di Lachmann (1848). Il testo latino di Igino Maior offerto in questa ricerca è pertanto quello di Thulin (di cui si è mantenuto numero di pagina e linee), e, di conseguenza, si è tradotto quanto presente nel testo edito. Laddove non si concordasse con le scelte editoriali, non si è modificato il testo latino, ma si è discusso il passo e le possibili emendazioni nel commento.

Gli agrimensori non sono stati citati secondo le abbreviazioni del Thesaurus Linguae Latinae, per due motivi: innanzitutto perché le abbreviazioni dei nomi rischiano di generare confusione (Hyginus Maior viene abbreviato dal ThLL come Hyg. Grom., quando l’uso corrente suole riferirsi con il nome di Igino Gromatico all’omonimo Hyginus Minor), in secondo luogo non viene sempre

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fatto seguire il titolo dell’opera (che, invece, è importante indicare per capire subito su cosa verte, e su quali aspetti insiste la trattazione dell’agrimensore in questione).

Per tutti gli altri autori, invece, sono state utilizzate le abbreviazioni del ThLL. Ai testi citati degli agrimensori è accompagnata la traduzione, dato che non ne esiste una in italiano, tranne che per le citazioni dal testo di Igino Maior, essendo offerta in questa ricerca la traduzione completa. Per gli altri autori si è evitato di fornire una traduzione, essendocene diverse a disposizione.

I capitoli dell’opera di Igino Maior sono molto legati tra di loro e procedono per ripetizione dei medesimi concetti, analizzati però secondo prospettive diverse. Pertanto nel commento si è cercato di rimandare internamente il più possibile per evitare di appesantire eccessivamente la trattazione.

La traduzione è il più aderente possibile al testo latino, perché concepita come strumento di sussidio per la lettura del testo, a cui quindi si accompagna, senza esserne autonoma. Pertanto la lettura di uno si accompagna a quella dell’altra.

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CAPITOLO I

I TESTI

1. 1 GENESI DEL CORPUS DEGLI SCRITTI DEI GROMATICI

I testi di quello che viene chiamato Corpus degli scritti dei gromatici è una collezione di testi di agrimensura composta in epoche diverse da autori diversi, probabilmente compilata nel V secolo d. C. da un autore cristiano, erroneamente individuato in Agennio Urbico (il cui trattato compare pure nel corpus), a cui è stato dato pertanto il nome di Pseudoagennio. A questo materiale se ne aggiunse altro nel tempo, così da offrire al lettore una panoramica diacronica dell'evoluzione dell'agrimensura, nonché dei temi trattati, e delle modalità con cui erano proposti.

Ovviamente, proprio per questa genesi composita ad addendum è impossibile rintracciare con sicurezza il nucleo generativo di tale Corpus, come, del resto, circoscrivere la sua funzionalità ad ambiti specifici. Tuttavia, è lecito credere che i vari manualetti didascalici e le varie sezioni più o meno legislative legate alle controversiae agrorum siano stati raccolti come a creare un compendium dell'ars gromatica per chiunque avesse intenzione di intraprendere una carriera nel settore o solo a scopo divulgativo.

E' altresì vero che, con il tempo, questa raccolta venne a contatto con materiale piuttosto eterogeneo, tanto da far confluire questi testi in manoscritti di ambiti diversi (soprattutto matematico-geometrici) e intricare, così, la loro tradizione, e, di conseguenza, il lavoro degli editori, come si avrà modo di considerare. Ma del resto è anche nella natura della raccolta la tendenza alla duttilità, soprattutto se l’argomento, che fa da filo conduttore, è di fruizione pratica: infatti la raccolta sarà stata rimaneggiata dai suoi vari redattori-fruitori in base alle esigenze

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riscontrate di volta in volta, subendo tagli, aggiunte, risistemazioni, revisioni con intenti uniformatori e così via.

Questa complessa situazione, insieme con le peculiarità di un lessico legato a un “gergo professionale” non troppo familiare, ha reso i testi di agrimensura particolarmente ostici e complessi. Tuttavia, ad un'analisi attenta, è possibile restituire loro specificità e validità.

1. 2 LA TRADIZIONE MANOSCRITTA E LE EDIZIONI CRITICHE1:

Esistono solo due edizioni critiche del Corpus degli scritti dei gromatici. La prima è quella di F. Blume e K. Lachmann (1848-1852), intitolata Gromatici Veteres e costituita di due volumi: il primo raccoglie i testi, il secondo mette insieme una serie di interventi a cui contribuirono anche T. Mommsen e A. Rudorff.

La seconda è quella di C. Thulin, dal titolo Corpus Agrimensorum Romanorum (abbreviato CAR) che uscì nel 1913 e che rappresenta un notevole progresso rispetto alla precedente, dato che considera un maggior numero di manoscritti e le loro relazioni reciproche. Purtroppo è rimasta incompiuta, perciò trasmette solamente i testi degli agrimensori più noti (Frontino, il Commentum, Agennio Urbico, Igino Maior, Siculo Flacco, Igino Minor).

Nel periodo compreso tra le due edizioni furono scoperti nuovi manoscritti soprattutto per merito di studiosi di matematica, o, più genericamente, di storia della scienza in cui erano confluiti testi di agrimensura, dato che erano presenti al loro interno sezioni di misurazione delle aree, elementi di geometria e così via. Queste nuove acquisizioni furono risistemate da Nicolaj Bubnov, che, censendo le opere di Gerberto d'Aurillac, si ritrovò spesso ad avere a che fare con testi

1 Per tutta questa sezione è grande il debito nei confronti degli studi di Toneatto 1992, 1994, 1995. Comunque, per uno studio di base, vd. anche Thulin 1911a e 1911b.

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gromatici2. Il suo lavoro fu talmente importante che Toneatto 1992, 29 ha scritto che “per alcuni mss., anche dei più importanti e noti, la sua fu la prima descrizione scientifica”. Bubnov non fu, chiaramente, l'unico studioso di altri settori a fare scoperte significative riguardo a testimonianze di testi d'agrimensura. Un altro studioso che vale la pena di ricordare è Menso Folkerts3, a cui si deve l'aggiunta di nuovi testimoni.

Tutte queste novità, che non si erano certo esaurite con l’edizione di Thulin, hanno avuto come conseguenza principale quella di stimolare l'interesse al fine di eseguire un nuovo censimento e la compilazione di un nuovo catalogo, sfida raccolta da Lucio Toneatto4, che è arrivato alla pubblicazione nel 1994-95 di un'opera monumentale, intitolata Codices artis mensoriae, I manoscritti degli antichi opuscoli latini d'agrimensura (V-XIX sec.) in tre tomi, Tomo Primo: tradizione diretta, Il Medioevo, Tomo secondo: tradizione diretta, l'Età Moderna, Tomo terzo: Tradizione indiretta.

Il lavoro di Toneatto segna sicuramente un importante passo in avanti, sia per lo studio della storia della tradizione gromatica, sia per una futura pubblicazione di una nuova edizione critica, che tenga conto non solo dei nuovi mss scoperti, ma anche dei quattro filoni individuati di trasmissione dei testi5. Il primo di questi viene identificato nella trascrizione delle raccolte gromatiche (nelle due fasi VIII- IX e XI-XII secc.), la seconda in collezioni di testi gromatici a cui sono stati aggiunti estratti da altri autori estranei alle tematiche agrimensorie, ma comunque inerenti, la terza nella presenza di excerpta di testi gromatici in manoscritti miscellanei di ispirazione per lo più scientifico, e la quarta in opere nuove che rispetto ai mss miscellanei sono chiaramente organizzate e rispondono a chiari criteri compositivi.

Il corpus di testi è arrivato in realtà in quattro collezioni, che, pur essendo

2

Vd. Bubnov 1899 (rist. 1967).

3

Vd. Folkerts 1969, 1970, 1971, 1982, 2003.

4 Si ricordano altri contributi importanti di Toneatto precedenti il 1994 e il 1995, ossia Toneatto 1982, 1983a, 1983b, 1983c, 1984, 1985, 1988, 1992, 1993 e posteriori, ossia 1996 e 1997. Vd. anche Gonzales 1997a.

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imparentate tra loro, basano la loro parentela su contenuti non omogenei e coprono quasi settecento anni. Queste collezioni hanno origine diverse, infatti le prime due ci sono arrivate attraverso manoscritti italiani che fanno riferimento al periodo gotico, mentre le altre due attraverso manoscritti carolingi bassorenani. Questo materiale risale a collezioni i cui archetipi possono essere riferiti a un arco di tempo che va dal V al VII secolo, e a questo stesso periodo appartengono i manoscritti più antichi. Toneatto ha rivisto, a questo punto, lo schema che segue le ipotesi di Thulin (ma i dati sui manoscritti sono stati aggiornati da Toneatto6, che tralascia i testimoni frammentari). Infatti lo studioso svedese aveva proposto7 una situazione che, in sostanza, era caratterizzata da una prima collezione risalente alla fine del V secolo e messa insieme forse a Ravenna, e sicuramente in un ambiente greco-bizantino. Testimoni di questa collezione sono i due celebri elementi A e B del codice Arcerianus8: il più antico dei due è il B (fine V secolo, probabilmente e di origine italiana), mentre l'A (del VI secolo e composto forse a Roma) è fornito di illustrazioni a colori. I due elementi sono stati spesso considerati erroneamente l’uno la continuazione dell’altro9. Questa collezione sarebbe stata poi rimaneggiata da un redattore cristiano, che viene identificato nello Pseudoagennio. Questo secondo intervento afferirebbe allo stesso ambiente di quella originaria e il terminus post quem è il 533, per l'inserimento di un titolo tratto dal Digesto di Giustiniano. I suoi rappresentati sono tre manoscritti imparentati tra loro, ossia: il Palatinus10 di inizio IX secolo (illustrato), il Gudianus11 della metà del IX secolo (di ambiente corbiense) e, infine, il III elemento del Brussellense12 della seconda metà del XII secolo (riconducibile a Treviri). Una terza collezione (basata su due manoscritti delle famiglie arceriana e palatina) risalirebbe a non oltre l'VIII secolo, senza che sia possibile individuare con precisione l'ambiente d'appartenenza. A questa collezione

6 Toneatto 1994a, 14. 7 Thulin 1911a.

8 Herzog-August-Bibliothek, Guelferb. 36.23 Aug. 2º. A proposito dell’A vd. Carder 1978.

9

Così Reeve 1983, 1, contra a ragione Toneatto 1994a, 15. 10 Biblioteca Vaticana, Pal. lat. 1564.

11 Herzog-August-Bibliothek, Guelferb. 105 Gud. lat. 2º. 12 Bibliothèque Royale, 10615-729.

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apparterrebbero i cosiddetti codices mixti di Thulin, costituiti da tre codici appartenenti ad una stessa famiglia, vale a dire: il Laurentianus13 dell’anno 800 (Bassa Renania), il IV elemento del mss. di Erfurt14 dell'XI-XII secolo (tedesco) e lo Scriverianus o Nansianus15 del XII secolo (tedesco occidentale o francese orientale).

A queste considerazioni, Toneatto aggiunge il proprio punto di vista16: prima di tutto non è d'accordo sul concetto di 'famiglia arceriana', come si è accennato, basata sul convincimento che “tutti gli opuscoli comuni alle tre famiglie dovevano discendere da una sola collezione originaria, vale a dire da un solo archetipo” (Toneatto 1994a, 15). Mommsen suppose che la 'famiglia palatina' fosse una filiazione dell' 'arceriana', e Thulin seguì questa linea. Toneatto 1994a 17 concorda, comunque, su alcune valutazioni, tra cui l'origine bizantina delle immagini contenute nell'Arceriano A, e la medesima influenza su quelle del Palatino, che il terminus post quem della raccolta Palatina (ma aggiunge “così come ci è giunta”) è il 533, che quella arceriana risale al V secolo, che il capostipite della collezione dei codices mixti era il risultato di una commistione fra collezione arceriana e palatina, e infine che il redattore aveva un ms. palatino diverso da quello che è arrivato fino ai giorni nostri.

Toneatto 1994a, 17 fa presente anche che la collezione palatina è il risultato di diverse aggregazioni, che i due manoscritti arceriani non sono complementari tra loro, e questo è il motivo per cui, a differenza di Thulin che parlava di tre corpora, egli preferisce parlare di quattro collezioni.

I manoscritti di tradizione diretta finora noti sono settantotto e si estendono per un arco cronologico che va dal V al XIX secolo (con picchi nel XVI, XII, XI, IX e XVII), quelli di tradizione indiretta sono ottantacinque e sono trasmessi attraverso i seguenti opuscoli medievali: ‘Ia Geometria pseudoboeziana’, ‘Geometria ars anonymi’, ‘Ars gromatica Gisemundi’, ‘Geometria incerti

13 Firenze, Plut. XXIX.32.

14 Wissenschaftliche Allgemeinbibliothek, Amplon. 4º 362. 15 British Library, Add. 47679.

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auctoris’, ‘IIa Geometria pseudoboeziana’, e il ‘Liber artis architectonicae’. Questi testi si estendono in un periodo di tempo che va dal IX al XVII secolo (con picchi nell’XI, XII, XIII secolo). E’ interessante notare che per quel che riguarda il periodo medioevale (dall’VIII al XIII secolo) i testimoni della tradizione diretta sono 37, 21 dei quali (ossia più del 73%) è contemporaneamente testimone della tradizione indiretta, e 9 dei quali (ossia il 43%) è collettore di almeno due rami distinti della tradizione indiretta17.

Occorre puntualizzare che la prima edizione a stampa fu realizzata nel 1545 da Pierre Galland, che tenne poco conto però dei mss. arceriani, la seconda fu opera di Nicolas Rigault nel 1614, una terza fu portata a termine nel 1674 da Willem van der Goes. Per tutto il Settecento ci furono pubblicazioni parziali, finché Blume cominciò ad occuparsene e, attraverso una serie di stadi intermedi, arrivò alla pubblicazione con Lachmann e Rudorff dei Gromatici Veteres, come si è già detto. Per quanto può sembrare un controsenso, i manoscritti continuarono a essere copiati fino al XIX secolo, nonostante circolassero già le opere a stampa.

1.3 IL CONTENUTO DEL CORPUS DEGLI SCRITTI DEI GROMATICI:

Nell’esame dei contenuti trasmessi dai testi contenuti nel Corpus, verranno seguite le due edizioni di Lachmann e Thulin per quanto riguarda gli agrimensori ‘noti’, mentre per i trattatelli rimanenti solo quella di Lachmann, dato che quella di Thulin, come già ricordato, è rimasta incompiuta.

Quando si parlerà di agrimensori ‘noti’ si intendono, come detto sopra, Frontino, Igino Maior, Igino Minor, l’autore del Commentum, Agennio Urbico e Siculo Flacco. La definizione non è dovuta ad una conoscenza biografica di questi autori, dei quali in realtà, a parte Frontino, non si può associare il nome di alcun personaggio noto, ma al fatto che le loro relazioni, per le caratteristiche di compiutezza e consistenza, sono quelle più frequentate e utilizzate.

17

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IULIUS FRONTINUS:

L’autore è probabilmente identificabile con Sesto Giulio Frontino (30-104 d. C. circa), personaggio noto sia per la sua attività politica, sia per le altre opere di cui è autore. Frontino, nato sotto il principato di Tiberio, fu senatore, console, governatore della Britannia, sovrintendente agli acquedotti sotto Nerva (curator aquarum), altre due volte console sotto Traiano, e augure fino al momento della morte. Al di là delle opere di agrimensura, fu autore di due celebri trattati: il De aquae ductu urbis Romae18 (comprensibile dato l’incarico politico che ricoprì) e gli Stratagemata19 (trattato di strategia militare20). Nonostante l’attribuzione sia ritenuta valida dagli studiosi, Keppie 1983, 12 preferì essere prudente, quando scrisse: “possibly, but not certainly the Flavian consular and governor of Britain”). Campbell 2000, XXVII-XXVIII non si risparmia il quesito e nota come in periodo imperiale chi si occupava di agrimensura non proveniva dalla classe sociale più alta, e che le altre attività svolte da Frontino, per l’appunto, rientravano pienamente nei compiti svolti dalla sua classe sociale d’appartenenza, essendo perfettamente inquadrate nell’amministrazione imperiale e militare. Campbell considera anche un altro aspetto: se Frontino è l’autore di questi trattati di agrimensura, è inevitabile chiedersi come mai si fosse interessato all’argomento (attraverso, appunto, i suoi incarichi, che in qualche modo potevano essere interrelati, anche se nel De aquae ductu non ne tratta mai). E dal momento che il suo trattato è quello meno didascalico fra tutti, sempre secondo Campbell, è difficile spiegarsi la complessa dissertazione sulle distanze. Sarebbe quindi verosimile che il De aquae ductu si sia trovato inserito in manoscritti in cui erano pure confluiti scritti di agrimensura e che il nome di Frontino abbia finito, erroneamente, per dare paternità ad altri titoli. Ovviamente, bisognerebbe basarsi sull’evidenza data dai manoscritti per invalidare questa ipotesi.

18

Edd. Grimal 1944 e Kunderewicz 1973. Vd. anche Del Chicca 2004.

19

Ed. Ireland 1990. A riguardo vd. Campbell 1987, 14-15.

20

(19)

A favore della paternità di Frontino nei confronti di questi testi si può considerare sia l’epoca a cui risalgono i testi traditi sotto il suo nome, che corrisponde effettivamente a quella in cui potrebbe averli scritti, sia la scelta degli argomenti trattati nei testi stessi, che sono inerenti ai compiti politici che svolse. Forse che un curator aquarum non si sarebbe potuto trovare ad avere a che fare con ricognizione e suddivisione territoriale? Forse che non ci sono collegamenti di sorta fra castrametatio e limitatio? Un motivo per cui nel De aquae ductu Frontino non parla mai di agrimensura potrebbe essere il fatto che abbia deliberatamente evitato l’argomento riservandolo ad una trattazione specifica, o che l’impostazione ‘da amministratore’ supervisore non fosse consona a dissertazioni più tecniche da addetti ai lavori.

Certo l’agrimensura era associata a un sapere tecnico e quindi non consona a un rappresentate del Senato, tuttavia, come si avrà modo di considerare in modo più approfondito oltre, all’agrimensura era riconosciuta una zona franca all’interno dei saperi tecnici in virtù delle sue origini divinatorie. Gli autori del corpus si mostrano sempre molto fieri della propria disciplina definendola con aggettivi aulici e solenni. Comunque sia i testi d’agrimensura attribuiti a Frontino non sono propriamente tecnici, ma illustrano le caratteristiche del lavoro di un agrimensore21, per cui fanno intuire che il loro autore non era un agrimensore sul campo, ma un conoscitore dei principi che stavano dietro alla suddivisione terriera.

Tra l’altro, i testi riferiti a Frontino, pur presentandosi piuttosto corrotti, rivelano lo stile controllato e consapevole di un autore colto, dunque, e i trattati degli altri agrimensori gli sono debitori su diversi piani. Mentre con alcuni (Igino Maior, Siculo Flacco) ci sono interessanti corrispondenze sia nell’organizzazione del materiale, sia a livello lessicale (la terminologia è spesso coincidente) per qualcuno Frontino funge direttamente da fonte (molto stretto il legame che ha nei suoi confronti Igino Minor, a meno che i due non siano legati perché entrambi

21

(20)

dipendenti da un terzo autore22).

I trattati di agrimensura a lui attribuiti facevano probabilmente parte di un’unica opera, di epoca flavia (70-90 d. C. circa) ed è accompagnato da illustrazioni23. Ci sono diverse teorie riguardo alla possibilità che quello che leggiamo non sia altro che epitome di un’opera più vasta, infatti all’interno del corpus è conservato un Commentum anonimo costituito dai paragrafi De agrorum qualitate e De controveriis che citano letteralmente passi di Frontino e citano pure il nome di Frontino. Anche la dissertazione di Agennio Urbico ha a che fare, tra le altre non più identificabili, con una fonte che non viene citata, ma che riconduce a Frontino24. I trattati sono25:

- De agrorum qualitate : tratta delle categorie gromatiche all’interno della suddivisione del terreno.

- De controversiis : tratta delle dispute fondiarie, riordinate per tipologie. - De limitibus: frammentario, tratta di limitatio, ossia della tecnica per

stabilire i confini.

- De arte mensoria: frammentario, tratta di coltellazione

Bisogna fare presente che Lachmann era convinto che l’opera di Frontino consistesse di due parti: la prima avrebbe compreso il primi due trattati e la seconda gli ultimi due più una parte del trattato di Agennio Urbico (26-58, Lach.). Nell’edizione di Thulin, il filologo svedese ha giustamente elencato sotto il nome di Frontino i soli testi che anche i manoscritti attribuiscono a lui.

Il testo è accompagnato da una trentina di illustrazioni.

22

L’ipotesi di un autore che faccia da fonte a entrambi (e di cui non sarebbe rimasta alcuna traccia) sembra meno improbabile di quella che considererebbe Frontino fonte di Igino Minor. I due autori sono, infatti, tra i più significativi del corpus come livello, coerenza compiutezza di trattazione. Per cui, pensando ai criteri selettivi alla base della sopravvivenza del corpus, e senza contare troppo sul caso come criterio, non sembra troppo convincente che la fonte comune sia stata scartata e sia andata completamente a perdersi nell’oblio.

23

Sulla presenza di immagini nei testi degli agrimensori si avrà modo di ritornare.

24

Contra Grelle 1963, 33-35, che crede che la fonte usata da Agennio fosse assolutamente più tarda di Frontino.

25

Vd. Lachmann 1852, 101-31; Thulin 1911c; per la presentazione del volume sui testi di Frontino di Behrends 1998 vd. Gonzales 1997b.

(21)

AGENNIUS URBICUS:

Sulla sua identità non si sa nulla, si riesce a ricavare dal suo stile che è un autore tardo, collocabile in età domizianea (per come l’imperatore viene citato), o posteriore (forse la fonte era contemporanea a Domiziano, che appunto è accompagnato dal titolo praestantissimus, quindi non ancora oscurato dalla damnatio memoriae).

Il suo testo è stato mal tradito, al punto che i due editori Lachmann e Thulin riferirono all’agrimensore passi diversi26, in particolare Lachmann attribuì ad Agennio il Commentum, in realtà anonimo, che è:

- De controversiis agrorum :

La sua opera si appoggia, comunque, ad una fonte antica non identificata. Lachmann credeva fosse Frontino (come per il Commentum, dal resto), più precisamente un’opera tecnica perduta, mentre Thulin soprasedette.

Lo scopo del trattato di Agennio è meramente didattico, e di riorganizzazione del materiale informativo sulla disciplina mensoria che aveva a disposizione. Infatti, ciò che colpisce leggendo il testo è proprio lo sforzo lessicale di classificare, definire e precisare concetti, tecnicismi e così via. Sforzo che non è presente negli altri autori, che, forse perché per loro si trattava di un fatto quotidiano, sono più grossolani, anche quando hanno a che fare con definizioni da spiegare. Forse per Agennio Urbico, più tardo, la lontananza da un pratica di questo tipo ha avuto come conseguenza una maggiore attenzione teorica, percepita come una necessità e un criterio di impostazione dell’opera.

Da segnalare la pubblicazione e il commento della prefazione dell’opera di Agennio per merito di Santini 1990.

Si accompagnano al testo sette illustrazioni.

26

Vd. Lachmann 1852, 142. Un riassunto efficace delle posizioni dei due editori rispetto a quanto tradito dai codici è reperibile in Campbell 2000, XXXI.

(22)

COMMENTUM27

Come accennato, il trattato è un commento a Frontino (così come si legge oggi) e altri, e si occupa di tipologie di campi e di controversiae terriere, ed era stato attribuito ad Agennio Urbico. Thulin, invece, identificò l’anonimo autore in un insegnante cristiano collocabile tra la metà del V se colo e l’inizio del VI. Queste informazioni sono ricavabili dal testo, dato che l’autore elogia la religione Cristiana (Comm. 68, 17-18), ma non tutti28 credono a questa informazione (suggerendo si possa trattare di un’aggiunta di epoca posteriore) come che dagli elementi testuali non si possa nemmeno arguire con certezza la sua professione. Thulin si convinse appunto che l’autore fosse un insegnante per il fatto che dice che i giovani devono imparare con precisione (Comm, 1, 7-15, Lach.), ed effettivamente da come l’intera opera si presenta (si tratta di una dissertazione sui principi a base dell’agrimensura), senza dare alcuna impressione che l’autore fosse un agrimensore sul campo. L’opera sembrerebbe essere davvero frutto dell’iniziativa di un insegnante che aveva a cuore

l’educazione dei propri studenti, anche in un settore, forse non suo, ma che riteneva comunque importante.

Per tornare alla datazione Blume aveva datato l’opera a non oltre la riforma politico-amministrativa di Diocleziano (per il fatto che l’autore parla di praesides provinciarum attivi), escludendo una collocazione dopo il crollo dell’Impero Romano d’occidente. Thulin (trovando una somiglianza con una costituzione di Costantino contenuta nel Codex Theodesianus) individuò come terminus post quem il 330. Ancora Thulin pensava che la raccolta dei testi in un Corpus fosse responsabilità di questo autore, raccolta che lui data alla metà del VI sec. Con questa datazione sembra concordare Toneatto 1994a, 10 che come criterio di datazione utilizza il liber diazographus, così chiamato dal medesimo autore del

27

Per questa parte si è fortemente debitori nei confronti di Thulin 1913a.

28

(23)

Commentum, una sorta di appendice contenente le illustrazioni, e che è in linea con altre tradizioni testuali illustrate di quel periodo.

Il testo di Frontino non è il solo con cui si confronta, infatti ci sono frequenti riferimenti al testo di Igino Maior, Agennio Urbico, Siculo Flacco e, in misura minore, di Igino Minor e Balbo. Gli autori sono citati parola per parola e commentati brevemente, e in maniera non sempre corretta, sia da un punto di vista della comprensione del lessico tecnico29, sia dalle forzature a cui costringe i testi che cita, per renderli funzionali al proprio discorso .

BALBUS30 Autore della:

- Ad Celsum expositio et ratio omnium formarum: tratta di unità di misura, elementi di geometria piana (linee, angoli, forme geometriche).

Sull’identificazione dell’autore e della persona a cui viene fatta la dedica, suo maestro, tanto si è detto. Dal punto di vista cronologico, sono le affermazioni stesse fatte dall’autore ad aiutare gli studiosi: da quanto detto (93, 10, Lach.) Balbo partecipò a una spedizione in Dacia. Quest’informazione permette di circoscrivere il periodo cronologico alle guerre daciche sotto il principato di Domiziano o di Traiano. Inoltre, per l’alta considerazione in cui tiene il suo lavoro e il suo ruolo (nonché quello di Celso) nei confronti dell’Imperatore, gli studiosi hanno cercato di identificare entrambi in personalità di spicco del tempo. Dilke 1979,17 propone per Balbo una datazione domizianea (in particolare afferma che i fatti di cui Balbo sta parlando facciano riferimento al periodo precedente la pace stipulata da Domiziano31 (89). Campbell 2000, XXXIX esamina diverse identificazioni: per Balbo, Q. Iulius Balbus, console nell’ 85, o l’omonimo, console del 129; il maestro sarebbe stato identificato con Publius Iuventius Celsus, illustre scrittore di diritto, a capo della scuola proculiana,

29

Celebre il fatto che fraintenda il lessico di Agennio Urbico, vd. Campbell 2000, XXXIII, nt. 88.

30

Vd. Lachmann 1852, 131-36..

31

(24)

governatore della Tracia (114), due volte console, proconsole in Asia, oppure con Ti. Iulius Candidus Marius Celsus, console (86) e ordinarius (105), governatore della Galatea e Cappadocia. Tuttavia lo studioso non è troppo persuaso da queste ipotesi, proponendo il medesimo criterio che aveva già esposto per Frontino, ossia questo personaggi gli sembrano essere troppo altolocati per essere esperti di questo genere di saperi. E che Balbo e Celso lo fossero è fuor di dubbio per tutti i riferimenti che l’autore fa alla nostra professio (93, 13, Lach.). E’ anche possibile che lo stretto legame con l’Imperatore non significhi niente di più che un legame di impiego e non collochi per forza i due personaggi negli strati più alti della società (anche perché da Augusto in poi il livello sociale degli agrimensori tende a scendere). Ovviamente, queste sono solo speculazioni, anche perché il testo è molto frammentario32. Per la datazione, comunque, Toneatto 1994a, 5 propone un periodo che va dal 102 al 106.

La caratteristica che lo differenzia dagli altri è la forma in cui è stato composto, ossia di epistola indirizzata a Celso lo stretto contatto che stabilisce tra agrimensura e altre attività come costruzione di strade, organizzazione di campagne militari, traguardare fiumi e così via.

L’opera è accompagnata da una sessantina di illustrazioni.

HYGINUS MAIOR

E’ l’agrimensore preso in esame in questo studio. Di epoca traianea, i suoi scritti sono circoscritti tra il 98 e il 10233. Come è stato spesso sottolineato è l’autore stesso che permette una collocazione cronologica grazie a quanto dice (De cond. agr., 84, 8-11, Th.) circa un evocatus Augusti che ha svolto il suo lavoro in Pannonia per le assegnazioni viritane volute da Traianus Augustus Germanicus (quindi il teminus post quem è la salita al potere dell’imperatore e quello ante quem il 98, anno della sua assunzione del titolo Dacicus, che non compare nella

32

Vd. Schanz- Hosius 1935, 802.

33

(25)

titolatura data da Igino). La distribuzione agraria suddetta è stata riferita34 alla fondazione di Poetovio.

L’identificazione con Gaius Iulius Hyginus, potente liberto di Augusto e bibliotecario della Biblioteca Palatina è ovviamente considerata errata oggi.

Il testo attribuito da Thulin a Igino Maior non concorda sempre con quello di Lachmann, come si avrà modo di vedere meglio quando si tratterà specificamente dei passaggi in discussione. Fondamentalmente, Thulin attribuì ad Igino Maior un paragrafo che nel manoscritto B è attribuito ad Agennio Urbicum sotto il titolo Agrorum quae sit inspectio e che Thulin 1910 giustificò sulla scorta dello stile e ovviamente del contenuto. Campbell 2000, XXXV e 359, nt. 8 è comunque dubbioso. Per le conclusioni tratte in questo studio si rimanda alla sede opportuna, ossia al commento al paragrafo De limitibus.

Anche sul contenuto e lo stile di Igino Maior non sembra il caso di dilungarsi troppo, essendogli dedicato la presente ricerca.

Per cui, basti dire che i testi attribuiti ad Igino Maior sono35:

- De limitibus: frammentario, sulla limitatio e l’orientamento.

- De condicionibus agrorum: acefalo, sulle varie tipologie di agri e con interessanti puntualizzazioni di carattere amministrativo-giuridico.

- De generibus controversiarum36: generalmente considerata integra, sulla classificazioni delle liti terriere.

Il testo di Igino Maior è stato preso in analisi per uno studio più approfondito per diversi motivi. Il primo riguarda il fatto che è l’unico a consegnare un trattato che copre tutti i campi di competenza della disciplina agrimensoria. In secondo luogo, era un agrimensore sul campo (egli fa spesso riferimento alla propria esperienza diretta), pur non essendo un tecnico puro e semplice: infatti il suo stile e la sua lingua offrono agli studiosi un interessante panorama culturale alla base

34

Grelle 1972, 5 e 31; Dilke 1979, 18. Toneatto 1994a, 5, nt. 9 è possibilista ma non certo. Campbell 2000, XXXV-XXXVI non si esprime.

35

Vd. Thulin 1910.

36

(26)

della formazione di un agrimensore di età imperiale, senza che gli vengano accostati altisonanti nomi di personaggi appartenenti all’aristocrazia romana per identificarlo. Le informazioni che Igino passa alla storia sono di rilievo e oggi riguardano diverse discipline che studiano la società romana: infatti questo autore è interessato alla storia della sua disciplina, di cui dà ragguagli (aiutando lo studioso moderno a capire qualcosa in più delle caratteristiche della colonizzazione romana), alle situazioni amministrative, alla normativa relativa (per cui cita editti, leggi e così via) che spiega, a casi regionali, e ai meccanismi nonché alle difficoltà sottese alla creazione di una centuriazione.

Non sono presenti illustrazioni.

SICULUS FLACCUS

Da quanto riferisce nel suo trattato, senza però essere troppo specifico, l’autore dovrebbe aver composto la sua opera tra il 96, ossia la fine del principato di Domiziano (per il fatto che quando si riferisce a lui in merito a una sua decisione l’autore non utilizza titoli onorifici) e il 290-91, ossia la creazione da parte di Diocleziano delle province italiche37.

Il testo che il corpus ha tramandato è:

- De condicionibus agrorum: probabilmente incompleto (della parte iniziale e di quella conclusiva), sulla tipologia della documentazione catastale e dei termini.

Per Campbell 2000, XXXVI questa è una delle relazioni più coerenti e competenti sul materiale agrimensorio che esisteva a quei tempi. E’ assolutamente evidente che Siculo Flacco era un agrimensore e non un teorico, per le frequenti menzioni alla propria professione e alla propria esperienza. Del materiale che utilizza fornisce descrizioni e fa della precisione e del rigore i principi guida per sé come per gli altri agrimensori. L’errore e l’approssimazione

37

(27)

sono quanto di più deleterio per lo svolgimento dell’indagine mensoria e la sua applicazione pratica sul territorio. La lettura del suo testo è una sorta di istantanea sulla realtà e la problematicità della disciplina in quel tempo, che è contestualizzata meglio che in qualunque altro testo pervenuto.

Nessuna illustrazione accompagna il testo.

HYGINUS MINOR

Detto anche Gromaticus (da un’intestazione non troppo affidabile, anche se poi è il più usato dagli studiosi) o Pseudoigino (come preferisce, tra altri, Toneatto) per distinguerlo dall’omonimo38 (dato che sono considerati due autori distinti dai più).

Anche per lui è da rifiutare l’identificazione con il liberto di Augusto39.

La datazione è piuttosto problematica: per alcuni sarebbe collocabile poco dopo l’Igino traianeo40, per altri tra Frontino e l’epoca dei primi Severi41, per altri ancora non oltre il II o il III secolo42, datazione che sembra più corretta, per diverse ragioni: innanzitutto, se l’autore fosse poco più tardo dell’omonimo, gli sarebbe nota la sua opera, e forse sarebbe più propenso a citarlo, invece di ricorrere a Frontino (che sembra essere ‘la’ fonte, soprattutto per gli autori più tardi), e per un problema di citazione di Lucano su cui si avrà modo di tornare). Il testo tramandato dal corpus è:

- Constitutio limitum: sostanzialmente considerata integra, sulla limitatio, l’orientamento, la distribuzione dei lotti e così dicendo.

Il manoscritto A recava un trattato acefalo e mutilo sull’impianto di un campo

38

Sulla tradizione e attribuzione dei testi vd. Toneatto 1983b. Per le differenze stilistiche tra i due Igini (elemento che porterebbe alla loro diversificazione) vd. Gemoll 1876, in particolare 168-170, anche se le osservazioni fatte non sono così significative tali da confermare questa ipotesi. Si fa presente che si avrà modo di tornare sull’argomento.

39

Vd. Campbell 1996.

40

Dilke 1979, 106.

41

Toneatto 1994a, 6, in particolare nt. 11.

42

(28)

militare direttamente collegato a immagini geometriche, a cui un copista nel XVI secolo diede, non a caso, il titolo di De Munitionibus Castrorum, che fu attribuito a Igino Minor. L’attribuzione è ovviamente considerata errata43, per entrambi gli Igini.

Il testo si presenta come una relazione di alto livello, che tiene conto, oltre che di casi regionali e dei principi fondamentali alla base di un impianto centuriale e alla suddivisione terriera, di esigenze culturali che spaziano in altre discipline, tra cui la filosofia e la letteratura. Di grande interesse è la sua digressione cosmologica, ad esempio, su cui si avrà modo di tornare in maniera approfondita. Da quanto detto, è evidente che il suo trattato non risponde solo a scopi didascalici, ma che vuole essere al contempo una descrizione dell’agrimensura, con riferimenti ala storia della disciplina. Grande è il debito che Igino Minor sembra avere verso Frontino, anche se questo rapporto andrebbe approfondito. Sono tramandate un’ottantina di immagini.

LIBRI COLONIARUM44

Si tratta di due cataloghi coloniali municipali, piuttosto particolareggiati che hanno come sfondo geografico l’Italia centro- meridionale (anche se il primo considera territori dalmati, il che ha fatto pensare che esistessero altri libri regionali oltre a questi)45. Il primo reca anche delle illustrazioni.

La situazione così come è presentata sembra riferirsi alla metà del IV sec., anche se la fonte potrebbe essere più antica (II sec.). L’intestazione data dai manoscritti ai libri è Liber Augusti Caesaris et Neronis, che Campbell 2000, XLI considera fonte dei Libri Coloniarum, sostenendo che la grande opera coloniale di Augusto dovette per forza trovare sistemazione in una precisa compilazione documentaria. Compilazione a cui gli altri imperatori aggiunsero via via notizie (l’ultimo sarebbe Claudio). 43 Toneatto 1983b. 44 Vd. Mommsen 1852, 145-220, e Grelle 1992, 67-85. 45 vd. Grelle 1992, 67-85.

(29)

L’ipotesi è molto suggestiva e di compilazioni del genere ne esistettero sicuramente, ma in questo caso i Libri Coloniarum sarebbero da considerare delle epitomi degli elenchi amministrativi originali, magari a scopo didattico, dato che le informazioni registrate per ogni territorio sembrano coprire interessi prettamente agrimensori (descrizione dell’identità amministrativa, delle assegnazioni terriere attinenti, del ‘piano regolatore’ che gli stava dietro e via dicendo). E se non si vuole per forza credere che si tratti di una compilazione ad uso didattico del Liber Augusti in particolare, certo non si può negare che lo sia di un qualunque documento catastale che gli agrimensori potevano consultare in ogni momento nel tabularium Caesaris, in cui andava anche a confluire tutta la documentazione prodotta dagli agrimensori stessi preposti alla creazione di una centuria e all’assegnazione dei terreni divisi.

IL RESTO DEL CORPUS

I manualetti restanti non sono di facile datazione, e spesso altri non sono che degli excerpta, di cui sarà indicato solo il titolo e una breve descrizione. Sono tutti contenuti nei Gromatici Veteres di Lechmann.

LEX MAMILIA

Questa legge è tramandata nel corpus sotto il nome di Lex Mamilia Roscia Peducaea Alliena Fabia, che probabilmente si riferiva ad una Lex Mamilia Roscia Peducaea Alliena Fabia Agraria, che però non deve coincidere con la Lex Mamilia cui gli agrimensori fanno spesso riferimento nei loro testi (i contenuti sono diversi). Probabilmente il titolo della Lex Mamilia Roscia Peducaea Alliena Fabia (che si riferiva ad una legge di cui non si conosce né il contenuto né la data) finì con il mescolarsi erroneamente con parte del titolo di una legge di Cesare, ossia la Lex Iulia Agraria (59 a.C.), di cui assunse il testo.

(30)

tribuno della plebe per l’anno 109 a.C. C. Mamilio Limitano. Questa legge non è accompagnata da illustrazioni, e sulle sue specifiche si avrà modo di parlare oltre46.

CODEX THEODESIANUS E ALTRE FONTI

Dal codice vengono ripresi solo alcuni estratti, così come da altre fonti, non meglio identificate.

DE SEPULCHRIS

Testo di brevi dimensioni riguardo ai luoghi adibiti a sepoltura. Nessuna illustrazione.

AGRORUM QUAE SIT INSPECTIO

Si è già parlato di questo paragrafo, sulle varie tipologie di terra, che Thulin, differentemente da Lachmann, attribuisce ad Igino Maior. Senza illustrazioni.

MARCUS IUNIUS NIPSUS:

A questo autore Lachmann ha attribuito tre capitoletti, ma l’attribuzione non è sicura, così come, del resto, l’appartenenza dei tre ad una medesima opera47. I testi sono: - Fluminis varatio - Limitis repositio - Posidimus 46

E’ grazie alla brillante ricostruzione di M. Crawford 1989, 179-90 che si è potuto districare questo complesso nodo di attribuzione e identificazione.

47

(31)

DOLABELLA

L’autore non è identificabile, anche se sicuramente tardo. Il testo, riguardante la misurazione, si presenta come un excerptum, essendo intitolato:

- Ex libris Dolabellae

LATINUS

Ancora un excerptum, anzi due sui termini, accompagnati da illustrazioni. L’autore è tardo.

- Ex libris Latini de terminibus

GAIUS, VITALIS, FAUSTUS, VALERIUS E LATINUS TOGATUS

Si tratta di brevi paragrafi, di autori diversi e non identificabili, sui termini. Alcuni di essi (i testi di Gaio e Fausto) sono accompagnati da illustrazioni.

- Gaius auctor V. P.48 - Auctor Vitalis

- Faustus et Valerius VV. PP. Auctores - Latinus V. P. Togatus

CASAE LITTERARUM

Sono elenchi delle litterae singulares (lettere catastali), di età tardo- Imperiale. Le lettere individuano le singole proprietà, mentre casa può essere reso come ‘podere’49.

Nello specifico sono quattro elenchi, e solo del primo e terso possediamo il titolo, ossia:

48

L’abbreviazione V. P. può significare Vicarius Praefectus, Vir Patricius, o più probabilmente Vir

Perfectus, cf. Cappelli 1985, V. P., 512.

49

(32)

- De litteris et notis iuris exponendis

- De casis litterarum montium (che in realtà tratta di proprietà in pianura)

La paternità del primo è fatta risalire a Innocentius, attribuzione considerata però errata, perché se è lo stesso menzionato da Ammiano Marcellino (XIX, 11, 8) è troppo tardo rispetto ai testi in questione.

LITTERES SINGULARES

Erano, come detto, lettere catastali, ossia incise sui cippi confinari. Non è ancora chiaro cosa significassero precisamente.

TERMINORUM DIAGRAMMATA

Disegni di termini accompagnati tutti da una sorta di didascalia.

ORDINES FINITIONUM

Ancora note sui cippi ex diversis auctoribus, corredati di illustrazioni.

VITALIS, ARCADIUS

Definiti auctores, scrivono di confini. Con illustrazioni.

GAIUS, THEODOSIUS Excerpta sui termini.

LATINUS, MYSRONTIUS

(33)

MAGO E VEGOIA50

Si tratta di due trattati distinti. Il primo è di Magone che doveva essere l’autore cartaginese che scrisse di agrimensura e da cui sarebbe estratto il primo trattato sui confini, acquedotti, e via dicendo (due illustrazioni).

Il secondo trattato (che testimonierebbe l’origine etrusca dell’agrimensura romana51), sull’inviolabilità (prima di tutto religiosa) dei confini, ispirato dalla ninfa Veglia.

IMPERATORE ARCADIO O IL SUO CAPO AGRIMENSORE

Trattasi di un trattato sui confini di Costantinopoli (due illustrazioni), fatto risalire al 400 d.C.

VITALIS, FAUSTUS, VALERIUS

Sono trattati sui cippi confinari, con caratteristiche però differenti rispetto a quelli già esaminati. Non si tramandano illustrazioni.

LITTERAE SINGULARES

La tipologia è la medesima rispetto alle litterae già menzionate. Non sono illustrate.

DE IUGERIBUS METIUNDIS

Come dice il titolo questi sono testi che si occupano delle misurazioni degli iugeri nei campi di forme diverse. Sono provvisti di disegni geometrici.

50

Su Vegoia, vd. Zancan 1939, 203-19; Heurgon 1959, 41-44; Valvo 1987b, 427-51 e 1988. Contra Le Gall 1975, 287-320, in particolare 308.

51

(34)

LITTERAE SINGULARES

Altre abbreviazioni con annotazioni, non illustrate.

RATIO LIMITUM REDEGENDORUM Su cippi, confini, valli e paludi.

ORIGINES 15.15

Estratto da Isidoro, riguarda terre e misurazione.

ESTRATTI DALLA GEOMETRIA DI EUCLIDE (in latino)

ESTRATTI DALLA GEOMETRIA DI CASSIODORO

ESTRATTI DALLA GEOMETRIA DI BOEZIO

(35)

CAPITOLO II

GLI AGRIMENSORI: PERSONALITA’ E COMPETENZE

2.1 DA MISURATORI DI CONFINI AD ARTISTI DELLA SUDDIVISIONE TERRITORIALE

Il termine agrimensor ovviamente significa “misuratore di campi” e rende chiaro quale fosse il compito principale di chi era definito in questo modo: il termine viene usato dagli agrimensori stessi nei loro testi per riferirsi a se stessi, ed entra a dar parte della terminologia giuridica fin dal Medioevo.

Tuttavia gli agrimensori erano indicati anche con altri termini, più o meno sinonimici, e che specificano ulteriormente, soprattutto in relazione al periodo storico in cui più venivano rispettivamente usati, il tipo di funzioni svolte dagli appartenenti alla categoria.

Mensores è uno dei primi termini usati per indicare gli agrimensori, e risale alla prima fase di sviluppo dell’attività mensoria, legata allo sviluppo dell’espansionismo romano, e quindi alle attività svolte dagli eserciti, al di là della conquista pure e semplice1. Su questi aspetti si tornerà in seguito in maniera più approfondita, qui basti dire che agli eserciti spettava anche il compito di una prima organizzazione dei territori sottomessi, per consolidarne la conquista, e che poi lo stato romano provvedeva a inquadrare più solidamente al proprio interno. In questo senso, c’erano mensores militari, che altro non erano che geometri che prestavano servizio militari, che si occupavano di castrametatio (ossia di stanziamento degli accampamenti, che erano configurati come piccole cittadelle a

1

Si desidera precisare che ci si sta riferendo all’uso del termine mensor, non alla disciplina mensoria. Infatti il dibattito sulla sua genesi in ambito militare o religioso è ancora aperto. Cf. Behrends 1992, 192-280.

(36)

pianta ortogonale), di una prima definizione di confini e lotti, di deduzione delle colonie e assegnazioni demaniali, in una fase più avanzata della colonizzazione2 (fig. 3). Non a caso nell’Arceriano A era stato allegato agli scritti di Igino Maior anche un trattatelo militare intitolato De Metatione Castrorum (questa attribuzione è considerata errata e il suo autore è genericamente indicato come Pseudo Igino3), e anche Frontino si occupò di aspetti militari4. Del resto la centuriazione nasce come strumento di controllo parcellizzato, e le colonie stesse sono inizialmente roccaforti militari di controllo sul territorio5. Era possibile che, una volta congedati, i militari sfruttassero le nozioni di agrimensura imparate grazie al servizio militare e continuassero ad esercitare privatamente6.

Il termine mensores, proprio per a sua genericità7 (è anche più attestato a livello epigrafico), veniva accompagnato da aggettivi o genitivi di specificazioni, per affinarne il significato e attribuirlo a mansioni specifiche, quindi si avevano mensores agrarii o agrorum, frumentarii, aedificiorum.

Oltre che a “misuratori”, gli agrimensori erano chiamati finitores8, per la loro funzione di stabilire i confini. Il termine è utilizzato per primo da Plauto (Poen., 49-51)9 e non più attestato da Cicerone in poi.

E proprio su Cicerone e sull’uso che fa del termine è il caso di spendere qualche parola. Nella De lege agraria (II, 32) Cicerone parla della Rogatio Servilia10: la rogatio prevedeva che la commissione agraria fosse composta da duecento finitores ex equestri loco, ossia venti finitores per ogni decemviro. Che Cicerone non vedesse positivamente quest’iniziativa è chiaro dai successivi paragrafi (34,

2

E’ possibile vedere mensores militari all’opera nella Colonna Aureliana.

3

Edd.: Grillone 1977; Lenoir, 1979. Per i problemi di datazione, le caratteristiche linguistiche e così via vd. Grillone 1982, 1984, 1984-85, 1987; Frere 1980.

4

Ed.: Ireland 1990. Vd. anche Galli 1999.

5

Su questo argomento vd. Brunt 1962, 69-86; Salmon 1969, cap.1; Sherk 1974, 544-558 (proprio sui

mensores militari); Frere 1980 (sul de munitione castrorum); Keppie 1983, in particolare cap. IV; Gabba

1988, 19-22; Campbell 1984, 1987, 13-29 e 1994. 6 Vd. Hinrichs 1974, 84-85 e Sherk 1974, 555. 7 ThLL, VIII, 753-54, 37-15. 8 ThLL, VI.1, 803-4, 72-6. 9

Vd. Valvo 1987a, 166-77, il cui contributo è commentato da Maganzani 1993-94, 561-74, in particolare 565-67.

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45 e 53). Nel paragrafo 34 scrive: interea dissolvant iudicia publica, e consiliis abducant quos velint, singuli de maximis rebus iudicent, quaestori permittant, finitorem mittant, ratum sit, quod finitor uni illi, a quo missus erit, renuntiaverit. Questo presupponeva che il decemviro in caso di controversia avrebbe svolto il ruolo di giudice (unico) e che la deposizione del finitor sulla posizione dei confini avrebbe valuto valore di sentenza. In ultima istanza questa rogatio esaltava i poteri dei decemviri, ampliando la loro giurisdizione dall’ambito civile a quello criminale11.

La Maganzani fa comunque presente che, secondo lei, il finitor di età repubblicana non era che un tecnico, privo di competenze agrimensorie, e che invece sarebbe dal III-IV secolo che l’agrimensore (non più finitor) si troverebbe ad avere un ruolo sempre più di rilievo, soprattutto in ambito legale, riguardo cioè alle controverisae de finibus, diventando una sorta di braccio destro del giudice. In età repubblicana poteva accadere che svolgessero queste funzioni da privati cittadini, non come impiegati statali. L’analisi fatta dalla studiosa sulla figura degli agrimensori è sicuramente molto interessante e importante, soprattutto per il dispiegato uso delle fonti (in particolare epigrafiche) che permettono di ritrarre un quadro variegato e approfondito della situazione. Tuttavia per quanto riguarda l’importanza giuridica degli agrimensori, in età imperiale, su cui si tornerà, forse le conclusioni tratte sono forse un po’ eccessive.

Tornando a Cicerone, i finitores che accompagnavano i decemviri vengono colti mentre vagano per totum orbem, ironicamente definiti (leg. agr., 2, 45) delecta iuventus, dove iuventus richiama più alla loro giovinezza in fatto di esperienza, e quindi sostanzialmente di inesperienza, e vengono infine (leg. agr., 2, 53) anche mentre assistono i decemviri alle vendite all’asta. In quest’ultimo caso Cicerone non si risparmia di fare considerazioni anche sull’aspetto fisico dei finitores, definendoli formosi, e ha ragione Classen 1994, 164 quando scrive: “First Cicero introduces the finitores in his attack on Rullus in terms which allow him to make

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his enemy appear as a tyrant; later he insists on the attractiveness of the finitores in order to make his audience associate such vices as the general public would attribute to young menmbers of the wealth class”.

Altri termini12 con cui vengono indicati gli agrimensori derivano dal nome degli strumenti che utilizzavano, ossia metatores (da meta: la palina), o decempedatores (da decempeda: una pertica di dieci piedi, per misurare), o il più noto gromatici (da groma: la croce con i contrappesi, di cui si tornerà). Di questi termini occorre specificare alcuni aspetti: metatores era usato per i mensores militari, ma, come suggerisce la Maganzani 1997a, 36 indicava più una funzione che una funzione specifica.

Il termine decempedatores viene usato solo da Cicerone (Phil. 13.37) nei confronti di Lucio Antonio e probabilmente è da intendersi in senso dispregiativo, infatti di lui scrive: cauebat etiam L. Antonio, qui fuerat aequissimus agri priuati et publici decempedator, Nucula et Lentone conlega (colleghi in quanto facenti parte dei una commissione agraria). Che Cicerone usasse la figura degli agrimensori come paragone dispregiativo da fare ai su suoi nemici è chiaro anche dall’uso che ne fa nei riguardi di L. Decidio Saxa, sempre nello stesso contesto, che definisce castrorum metator (Phil., 11, 12), oppure peritus metator et callidus decempeda (Phil., 14,10). Il motivo per cui usa questi termini è sicuramente offensivo, e non ha nulla a che fare con la reale professione dei personaggi in questione né con le loro origini, e la prova è che ne è vittima anche Lucio Antonio. Infatti se gli altri tre nominati Saxa, Nucula e Lentone erano personaggi ambigui, dalle tinte fosche, Lucio Antonio era di tutt’altra estrazione: evidentemente quello che i quattro avevano in comune era di essere coinvolti nella medesima commissione agraria (per Saxa, a questo punto, è facilmente deducibile, o forse era parte di un contesto simile)13.

12

Vd. Maganzani 1997, in particolare cap. II.

13

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Per quanto riguarda il termine gromatici (attestato dalla fine del I o inizio II secolo d. C.), la groma, com’è noto, faceva parte degli strumenti che gli agrimensori usavano di più. Il termine groma deriva dal greco *gnw'mon attraverso *cruma etrusco14, e questo tipo di strumento era costituito da una croce con i quattro bracci lunghi uguali, perpendicolari tra loro e infissa su un’asta (ferramentum, di bronzo o più spesso di legno). Da ciascuno dei quattro bracci scendevano dei contrappesi, quelli opposti uguali due a due (perpendiculum). La croce era collegata all’asta da una mensolina di sostegno, che si infilava in un collarino di bronzo attaccato al bastone, perché si traguardava meglio se la croce non era in asse15. Ovviamente il centro del rilevamento era dato dal punto di incrocio dei quattro bracci e non dal punto in cui la groma, o meglio il suo puntale di ferro, era infissa nel terreno. Oltre che a traguardare, questo strumento nella sua stazione zero determinava il punto di incontro tra il kardo e il decumanus maximi.

Di questo attrezzo non si trova descrizione nei testi d’agrimensura (anche se si parla di ferramentum), tuttavia il ritrovamento nel 1912 a Pompei in Via dell’Abbondanza del kit degli strumenti dell’agrimensore Vero ha permesso di ricostruirla (ovviamente grazie ai soli pezzi che si erano conservati). Sulla strumentazione degli agrimensori si riparlerà più avanti16.

Tornando all’ agrimensura e al suo sviluppo, i suoi presupposti costitutivi trovano origine sia in ambito militare (come si è visto), sia sacrale (sulcus primigenius, delimitazione di spazi religiosi, di probabile ascendenza etrusca)17. Tuttavia, per quanto riguarda l’età repubblicana non ci sono molti dati su cui basarsi, per ricostruire con un certo margine d’esattezza le caratteristiche della

14

Sulla mediazione etrusca nei rapporti Grecia- Roma e l’influenza stessi che gli etruschi ebbero sulla cultura romana soprattutto in ambito centuriale e di suddivisione del territorio si avrà modo di tornare.

15

Vd. Lewis 2001, 120-33.

16

Per ora vd. Panerai 1983c, 115-119 e 1983d, 119-121.

17

Sul templum etrusco, e la generale influenza dell’aruspicina etrusca sulla limitatio romana si tornerà oltre. Per quanto riguarda il templum vd. Nissen 1869.

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disciplina, ossia le mansioni precise svolte dagli agrimensori, il loro percorso scolastico e così via.

Sicuramente la definizione di Nonio Marcello, può aiutare a trarre qualche conclusione (de comp. doctr., I, 17, 22 ss., Lindsay): finitores dicebantur quos nunc agrimensores dicimus: dicti quod finis dividerent. Il fatto che il termine finitor, strettamente legato alla mansione tecnica di stabilire i confini, sia abbandonato per essere sostituito da uno più ampio probabilmente coincide con uno sviluppo delle capacità e un aumento di responsabilità della categoria18. E’ chiaro che man mano che l’espansionismo romano prese piede, le tecniche e i presupposti su cui si basava si affinarono proporzionalmente. Per cui dalla semplice organizzazione di un accampamento, o dalla preliminare suddivisione territoriale tanto per marcare i confini principali, si passò alla deduzione di colonie, all’impianto di centuriazioni anche in ambienti non ideali da un punto di vista geomorfologico, e a tutte queste operazioni si accompagnava un iter burocratico- amministrativo e tutta una serie di attività capillari e sempre più raffinate. Per cui i tecnici, i geometri del territorio si trovarono a svolgere nuovi compiti, a imparare nuove cose, finché si sentì la necessità di riorganizzare l’intera categoria. Per non parlare del fatto che la quantità di lavoro si impennò drasticamente19. Situazione descritta in una celebre epistola di Plinio (epist., 10 17b-18), quando era governatore della Bitinia, a Traiano, chiedendogli un mensor

(Dispice, domine, an necessarium putes mittere huc mensorem) per un problema di calcolo delle imposte, richiesta a cui l’imperatore non può acconsentire per la scarsità di rappresentanti della categoria anche a Roma e nelle vicinanze.

L’incremento del lavoro da svolgere fece sì che i nuovi agrimensori, via via che ci si avvicina alla fine della repubblica, si trovarono a gestire due aspetti della disciplina molto diversi e fino ad allora rimasti ben distinti: quello tecnico-pratico e quello legale-teorico20.

18

Vd. Maganzani 1993-94, 561-574.

19

Dilke 1979, 13 scrive: “si stima che, fra gli anni 200 e 190 a.C. un milione di iugera di terra siano stati distribuiti a 100.000 famiglie”.

20

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