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LA CENTURIAZIONE COME STRUMENTO DI TUTELA FISICA DEL TERRITORIO:

LA CENTURIAZIONE ROMANA: UN PAESAGGIO

3.3 LA CENTURIAZIONE COME STRUMENTO DI TUTELA FISICA DEL TERRITORIO:

Come si è già notato, le persistenze centuriati sono tuttora visibili, al punto che il topografo antichista in alcune zone riesce a ricostruire intere griglie senza fatica. Ovviamente non si riscontra lo stesso grado di conservazione ovunque: in alcune parti la centuriazione è rimasta pressoché inalterata, in altre è praticamente sparita, o si è mantenuta parzialmente.

Le cause di questa disomogeneità è facilmente imputabile al diverso sviluppo del territorio in concomitanza con la presenza dell’uomo, in continua interazione l’uno con l’altro17.

Dall’Aglio 2000a, 51 scrive: “Solo ricostruendo quella che doveva essere la situazione fisiografica di un territorio in un momento specifico e solo inserendo i dati storici all’interno dello stretto rapporto tra uomo e ambiente, le vicende o le scelte insediative, […], potranno essere comprese appieno, in tutte le loro valenze. L’analisi storico-topografica non può dunque prescindere da un puntuale studio della geografia fisica”.

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Di questo argomento si tornerà a parlare nell’introduzione del commento al De Condicionibus

Agrorum, a proposito dell’ager publicus. Vd. Salmon 1969, 129 e Marshall 1972.

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Vd. Regoli 1983; vd. Letta 1988, che, anche se tratta specificamente dell’area Marsa, analizza il rapporto insediamento-ambiente; sul rapporto tra la geografia fisica e popolamento vd. Dall’Aglio- Marchetti 1990 e Dall’Aglio 1994 b, 2000b.

I romani furono molto attenti al territorio e vi si inserirono intelligentemente, sia modificandolo, sia sfruttando le caratteristiche ambientali che trovavano di volta in volta. L’impressione è che presenza antropica e tratti geo-morfologici fossero parimenti protagonisti del paesaggio, influenzandosi a vicenda.

Sicuramente i grandi sconvolgimenti nell’assetto territoriale risalgono al periodo alto medioevale, come, del resto, confermano anche le fonti letterarie, che tingono di tinte fosche questo periodo, che coincide con profonda crisi, per le invasioni barbariche, il conseguente spopolamento delle campagne e così via. È pur vero che nei toni sconsolati di queste descrizioni è possibile sentire echi letterari e i tovpoi della tradizione letteraria precedente18

, tuttavia le parole di Rutilio Namaziano descrivono drammaticamente le località che l’autore vide nel 417 mentre navigava, da Ostia verso la Gallia, sua patria.

Nel De reditu suo (I, 409-414), Populonia fu descritta così:

Agnosci nequeunt aevi monumenta prioris: grandia consumpsit moenia tempus edax; sola manent interceptis vestigia muris, ruderibus latis tecta sepulta iacent. Non indignemur mortalia corpora solvi: cernimus exemplis oppida posse mori19.

Ovviamente questo panorama di decadenza e rovina è testimoniato da altre fonti letterarie e agiografiche, che, nonostante le esagerazioni richieste dai generi stessi, trovano un riscontro dal punto di vista archeologico e toponomastico20.

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Ad esempio l’epistola consolatoria per Cicerone da Servio Sulpicio Rufo per la morte della figlia, in cui l’amico scrive dei tot oppidum cadavera, riferendosi ai resti di Aegina, Megara, il Pireo, Corinto, che di ritorno dall’Asia Servio aveva visto, e che al pari degli uomini muoiono (Cic., fam., IV, 5).

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“I monumenti dell’età precedente non possono essere riconosciuti:/il tempo divoratore ha consumato le grandi mura;/rimangono le sole tracce fra muri qua e là diroccati,/le case giacciono sepolte da vasti ruderi./Non indigniamoci se i corpi mortali si dissolvono:/con (questi) esempi vediamo che le città possono morire”.

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Infatti come i testi letterari esprimevano la situazione in termini forzatamente cupi, così quelli agiografici la drammatizzavano facendo leva sull’evento miracoloso21.

Tornando all’evidenza storica, in questo periodo il dato che qui interessa considerare è l’abbandono delle campagne, perché questa fu la causa principale del cambiamento nella fisionomia paesaggistica e della perdita di parte delle griglie centuriati. Infatti, non c’era più nessuno nelle campagne a controllare la regimazione dei fiumi, attraverso la cura degli argini, e questo causò il dissesto idrogeologico che cancellò la centuriazione. Come si avrà modo di constatare, leggendo i testi degli agrimensori, la presenza dei fiumi che si snodavano per le griglie centuriati era molto curata, sia in termini pratici, sia legali. Dai fiumi, infatti, dipendeva molto della prosperità di un territorio, tuttavia occorreva fare il possibile perché non esondassero, o perché l’esondazione non fosse troppo dannosa, prendendo i provvedimenti necessari. In età romana i fiumi non furono semplicemente controllati, ma i loro corsi furono regolarizzati e la fitta rete di canalizzazione era atta non solo all’irrigazione, ma anche a far defluire le acque, dopo averle drenate.

Si pensi, per avere un’idea di cosa i fiumi potessero fare, al racconto che Paolo Diacono (hist. lang., 3, 23-24) fece del Tevere e dell’Adige22.

Il risultato finale complessivo fu un nuovo assestamento territoriale.

Per capire meglio, si può fare qualche considerazione sulla Pianura Padana, che, anche per i paragrafi precedenti, è stato il punto di riferimento seguito. L’Emilia Romagna conserva oggi due diverse situazioni per quanto riguarda le sopravvivenze centuriati, che corrispondono rispettivamente alla parte emiliana e a quella romagnola. Nella prima, la centuriazione si è conservata solo parzialmente, in quella romagnola lo stato conservativo è ottimo. La ragione di questa mancanza di uniformità sta, appunto, nel diverso comportamento fluviale, condizionato dalla vicinanza o dalla distanza dall’Appennino. Infatti, nel settore romagnolo, la vicinanza dell’Appennino ha garantito ai fiumi uno scorrimento più regolare, perché si manteneva naturalmente una certa velocità, mentre in

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Per i cambiamenti in Emilia Romagna tra età romana e altomedievale vd. Dall’Aglio 1996.

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Vd. Dall’Aglio 1997. Ovviamente è doveroso fare presente che, in base agli studi fatti, sembra che le condizioni climatiche dal V al VII sec. siano state peggiori, caratterizzate da precipitazioni più abbondanti e temperature più basse.

quello emiliano i fiumi diventavano pensili e quindi facili a sondare. Non a caso, la lacuna di un’intera parte di centuriazione nella zona di Reggio Emilia è riconducibile all’azione del Crostolo, che cambiando letto cancellò i limiti centuriali.

La centuriazione, insomma, mostra quanto i romani fossero abili nel controllare il territorio, e gli agrimensori a modellare il paesaggio a misura d’uomo.

CAPITOLO IV