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Uno studio di caso: la Conferenza Cittadina delle Autonomie Scolastiche

5.4 Le interazioni tra gli stakeholder.

5.4.2 L’agito visibile e non visibile: esiti percepiti e dimensione fiduciaria

Fin dal primo anno dal suo avvio la CCAS è stata sottoposta ad alcuni importanti “stress test” sui quali è possibile iniziare a individuare alcuni elementi di tenuta o di sofferenza dell’impianto organizzativo complessivo.

La seconda metà dell’anno 2011 in particolare ha rappresentato un momento di significativo impegno nelle relazioni tra Comune di Genova e Scuole autonome in occasione di due eventi particolarmente rilevanti che hanno riverberato effetti

ancora fino ad oggi: la nascita degli Istituti Comprensivi e il nuovo piano di difensivamente cittadino e l’alluvione del Novembre 2011.

Nell’estate del 2011, al culmine di un momento davvero drammatico dell’intera storia nazionale, il D. L. 98/201149, poi convertito nella L. 111/2011, istituiva gli Istituti Comprensivi dall’accorpamento o fusione delle Direzioni Didattiche e delle Scuole medie, imponendo rigide norme sul dimensionamento dei nuovi Istituti. Si trattava di un passaggio particolarmente drastico e inaspettato, che imponeva un rapido e complessivo ripensamento di tutto l’assetto del Sistema scolastico.

La Regione Liguria, ente deputato al governo del dimensionamento scolastico, pur ricorrendo per vizio di incostituzionalità della legge, decideva di assumerne comunque i contenuti fondamentali, chiamando così gli enti locali a una proposta di riorganizzazione sui propri territori.

Fu indubbiamente una stagione importante di test della capacità di un organismo di governance come la CCAS, pensato e studiato proprio per orientare e organizzare il confronto interistituzionale, nel saper affrontare elementi di forte complessità e conflittualità.

Gli stakeholder da tenere in considerazione erano portatori di differenti visioni del problema e i diversi interessi andavano portati all’interno di un’unica visione comune e condivisa: i Dirigenti Scolastici erano sicuramente preoccupati dell’impatto gestionale e amministrativo dei nuovi IC che si andavano a formare, oltre a temere di perdere posizioni di prestigio acquisite negli anni, i Docenti portavano la preoccupazione per la costruzione di Collegi docenti di ampia portata, dove si potevano acuire tensioni tra le scuole dei diversi ordini e diventava più difficile il raccordo progettuale e pedagogico, le segreterie scolastiche si trovavano di fronte a una riorganizzazione e razionalizzazione del personale e degli spazi, le parti sindacali portavano avanti l’attenzione verso i rischi di mobilità forzate di personale, docente e non docente, i genitori, o almeno una parte più coinvolta e informata, presente tra i rappresentanti nei Consigli di istituto, sottolineavano la

tensioni presenti nei propri territori, dove la scuola rappresenta un presidio non solo per i bambini, ma per le famiglie e il tessuto sociale ed economico generale. Si aprì così una stagione assai intensa, di cui ancora a distanza di alcuni anni si sente l’importanza, di confronti a livello locale, che videro la partecipazione più allargata che si sia verificata sulle questioni scolastiche in città negli ultimi anni. Certo si aprì da subito un dibattito sulla legittimità delle decisioni assunte nei Comitati di coordinamento municipale, sui livelli di rappresentanza, sulle figure che apparivano meno presenti nel processo.

In ogni Municipio, al termine di un dibattito talvolta molto accanito e conflittuale, si arrivò a una deliberazione di Consiglio municipale che recepiva i lavori del tavolo di coordinamento permettendo così di dare voce alle diverse componenti.

Fu una decisione dell’amministrazione comunale impegnare tutte le realtà presenti nella Conferenza Cittadina prima di giungere a una Deliberazione di Giunta che raccogliesse tutto il lavoro territoriale50.

Il lavoro finale fu sottoposto alle parti sindacali e ai presidenti dei Consigli di Istituto, in un lavoro di condivisione e concertazione che non si è più ripetuto negli anni seguenti.

Il lavoro fatto in questo periodo, confluito nella Delibera di Consiglio Regionale51, che ancora oggi è alla base dell’attuale assetto del Sistema scolastico genovese, ha aperto un rapporto fiduciario reale tra scuola e Civica Amministrazione: tutti gli stakeholder hanno potuto verificare come il Comune, che si era impegnato ad agire solo in regime di concertazione delle decisioni, aveva effettivamente attuato quanto dichiarato.

Il passaggio era effettivamente delicato e si è giocata, in questo frangente, tutta la credibilità di uno strumento che avrebbe potuto essere smentito immediatamente. Nello stesso autunno del 2011 un altro avvenimento mise in forte stress il rapporto tra Comune e scuole, rischiando di rimettere in discussione il processo fiduciario appena instaurato: l’alluvione del 4 novembre 2011.

Si trattato come noto, di uno dei passaggi più tragici della storia genovese degli ultimi anni, al centro di un processo giudiziario non ancora terminato, che ha

50 DGC 310/2011

coinvolto il Comune fino ai suoi più alti vertici, in cui il rapporto con la scuola ha rappresentato uno dei temi più al centro dell’attenzione.

Il fatto che tra i morti causati da quell’alluvione ci fossero una mamma, con le sue due bambine e la sorella di un ragazzo appena uscito da scuola sollevò inevitabilmente il problema, enorme, delle rispettive responsabilità in merito alla sicurezza di bambini e famiglie in queste circostanze.

Il tema è ancora al centro di un dibattito processuale in sede giudiziaria, per cui non ci pare opportuno commentare gli aspetti relativi ai fatti accaduti.

In questa sede è invece rilevante osservare come il rapporto fiduciario tra istituzioni abbia rischiato in questo frangente di incrinarsi in modo duraturo.

I lavori della CCAS negli anni seguenti sono stati ampiamente influenzati da questo avvenimento fino a farne uno degli argomenti maggiormente al centro delle azioni progettuali intraprese.

Come si è visto in precedenza, il Piano per la scuola, che pure era stato inserito nel Regolamento proprio per dare un senso compiuto all’operazione di regolazione del sistema, non è mai stato attuato.

É possibile ipotizzare che la presenza di un Piano triennale avrebbe facilitato anche l’operatività delle diverse parti del sistema, Uffici comunali, scuole stesse, consentendo di mettere in evidenza le priorità e stabilire un’agenda formalizzata di interventi.

Le parole del Dirigente, che come abbiamo già citato, ha curato l’avvio della CCAS, sono molto significative a riguardo

TESTIMONE 2 - (Il Piano triennale rispondeva all’esigenza) …che il Comune si ritrovasse una mappa che andava oltre il contingente, l'emergenza, perché il rischio è sempre quello di rincorrere il breve periodo.

Il piano triennale doveva individuare i macrotemi di sfondo da declinare ogni anno in azioni concrete, da tradurre in azioni visibili. Se vogliamo può essere definito l'impronta della politica scolastica nel rapporto tra scuole e Ente locale. Non era detto esplicitamente,

I tecnici non possono parlare di piano triennale. Ci vuole qualcuno che ogni volta venga e lasci la sua impronta politica, che individui e mostri dove vuole arrivare il Comune, dove vuole coinvolgere le scuole. Senza la politica scolastica l'istituzione rischia di essere appiattita sulle funzioni, sui compiti gestionali.

La parte politica però non è mai intervenuta a riguardo, né i Dirigenti hanno mai sollevato la questione.

Questa “timidezza istituzionale” dei Dirigenti Scolastici, che non hanno rivendicato mai l’importanza della redazione di un documento di sistema che riorganizzasse operativamente le azioni rivolte alle scuole, indica una certa difficoltà nel metabolizzare lo strumento della CCAS come davvero utile e condiviso. In un certo senso appare, dalle dichiarazioni dei testimoni ascoltati, la sensazione che la CCAS sia un fatto del Comune, non del sistema nel suo insieme: le scuole vengono invitate a farne parte, ma non si sentono protagoniste fino in fondo. In molti casi si preferisce il ricorso alle logiche del rapporto uno a uno con la struttura comunale o con l’Assessore, per affrontare problematiche puntuali, evidenziate solo in momenti di massima urgenza.

In verità un tentativo di stimolare l’azione è stato fatto da parte dello stesso Consiglio comunale che nel 2015 ha approvato una mozione di maggioranza dal titolo Piano triennale dell’Offerta formativa, che stimolava la Giunta a promuovere azioni di sistema per proporre alle scuole le domande formative necessarie alla predisposizione delle proprie offerte formative autonome, in una logica di sostegno complessivo ai bisogni dell’infanzia e dell’adolescenza.

Il tentativo tuttavia non ha ancora dato i risultati che si riproponeva e la discrepanza tra il dichiarato della CCAS e l’agito qui risulta così evidente che non può che sollevare alcune domande spinose.

La redazione di un Piano è apparsa fin dall’inizio troppo onerosa e quindi si è preferito soprassedere?

Quali elementi di preoccupazione hanno reso inapplicato uno strumento pensato per organizzare gli interventi in una logica di priorità condivise? Forse il timore di impegnarsi e esporsi troppo, da parte del Comune? Forse la difficoltà delle Scuole ad uscire da logiche autoreferenziali?

Rimane la sensazione che questo aspetto rappresenti il più grande non detto di tutti questi anni di lavoro della CCAS e che se si potesse riprenderlo e affrontarlo con maggiore decisione potrebbe davvero contribuire a un miglioramento sensibile della qualità complessiva della governance.

L’assenza di un lavoro sui temi della pianificazione delle azioni ha avuto ricadute anche sulla capacità della CCAS di essere elemento propulsore di innovazione e progettualità pedagogica. La mancanza di una discussione e una condivisione sulle priorità e sui bisogni, non ha permesso di andare oltre la semplice risposta funzionale alle emergenze che si presentavano di volta in volta.

A più riprese compare la richiesta dei Dirigenti scolastici di costruire momenti di discussione cittadina sui temi pedagogici, che tuttavia rimangono difficili da individuare e da condividere. Non si riesce in sostanza a rendere efficace il ruolo di collettore e sistematizzatore che il Comune può avere nei confronti delle esigenze di territori e scuole molto diverse fra loro e incapaci oltre che impossibilitate a leggere la complessità globale del territorio.

Le recenti innovazioni introdotte nel sistema di valutazione delle scuole l’obbligo della redazione di piani dell’Offerta formativa triennali da parte delle scuole, fanno tuttavia pensare che a distanza di anni non è affatto diminuita l’importanza di un piano condiviso di azioni per la scuola a livello di sistema cittadino, e che forse potrebbe essere giunto il momento propizio per riproporne fattivamente la predisposizione.

Molti dei Dirigenti Scolastici intervistati segnalano l’opportunità che la CCAS ha rappresentato, in termini di riferimento complessivo del Sistema.

TESTIMONE 3 - Antidoto prezioso contro la malattia più frequente e pericolosa delle ISA (e dei relativi Dirigenti): l’autoreferenzialità e il senso di sentirsi “isolati”. Come tutti gli antidoti, consente di evitare la malattia, ma la CCAS non rappresenta ancora un fattore fondamentale per la sana e robusta crescita delle ISA, come forse la CCAS potrebbe essere.

Per i Dirigenti Scolastici la Conferenza rappresenta uno dei rarissimi momenti di incontro fisico con i propri colleghi e di confronto di buone pratiche, non solo di tipo gestionale e amministrativo, ma di indirizzo pedagogico.

Tuttavia, su quest’ultimo tema si lamenta una scarsa attenzione sia da parte delle scuole stesse sia da parte dell’Amministrazione locale verso le tematiche progettuali e pedagogiche trasversali: la scuola sembra essersi progressivamente ridotta alla mera gestione del funzionamento e il Comune sempre più appiattito sugli aspetti di erogazione dei servizi obbligatori.

La possibilità di dialogo e di proposta da parte dell’Ente Locale su temi quali, ad esempio, la dispersione scolastica, l’orientamento formativo, l’inclusione delle fasce deboli, sembra molto ricercata e vissuta come un’opportunità di grande valore nella costruzione dell’offerta formativa delle scuole, che talvolta rischia invece di avvitarsi in logiche di pura autoreferenzialità.

Non sempre la CCAS ha saputo mantenere viva questa attenzione, schiacciando l’attenzione sulle emergenze gestionali che si sono presentate di volta in volta.

TESTIMONE 8 - La percezione è che la CCAS sia vissuta come uno strumento puramente gestionale. Questa situazione in cui arriva in Conferenza il Dirigente comunale di turno per riepilogare quello che è stato fatto, e che peraltro gli compete, secondo me è da abbandonare, primo perché l'abbiamo sentita mille volte e sarebbe sufficiente una comunicazione alle scuole. É uno spreco dell'occasione di incontro. Abbiamo tutti bisogno di lavorare sugli aspetti educativi e didattici che non si riesce mai ad affrontare. La maggior parte del nostro tempo, e questo è il più grosso limite della governance della scuola, lo dedichiamo a risolvere questioni di burocrazia amministrativa.

Tra gli elementi di forza è più volte citato il lavoro dei tavoli tematici che hanno saputo costruire linee guida utili a indirizzare tutto il Sistema Scolastico verso comportamenti e procedure comuni.

La dolorosa esperienza dell’alluvione del 2011, che ha rischiato di incrinare in maniera irreversibile il rapporto fiduciario tra Scuole e Comune di Genova, ha insegnato come dalle situazioni conflittuali si può uscire attraverso un accurato e paziente lavoro di ricucitura delle relazioni, che passa inevitabilmente dalla stesura di procedure condivise che diventano così terreno di azioni comuni.

I tavoli di lavoro hanno contribuito a cementare in maniera molto più forte i rapporti tra Comune e scuole: si è trattato di arene di dibattito e di responsabilità pubblica dove si è potuto misurare con mano l’impegno del Comune nel condividere davvero con le scuole le regole dei comportamenti di tutti i soggetti.

Questo sforzo è stato riconosciuto unanimemente come un elemento di grande valore. A fronte di ciò serpeggia tuttavia una certa insofferenza per le tempistiche talvolta troppo lunghe per giungere alle stesure definitive dei documenti.

Quando i tempi si dilatano ciò è dovuto non solo a rallentamenti opportunistici voluti dai soggetti che devono prendere le decisioni finali per rinviarle sine die, ma anche alla difficoltà di dar voce realmente a tutte le istanze che nelle partite più complesse si presentano come portatrici di punti di vista non sempre facilmente convergenti.

A fronte degli impegni stilati tra Comune e Scuole, non sempre le pratiche dei soggetti chiamati ad agire sono state coerenti. La debolezza che abbiamo già segnalato in termini di effettiva apertura e partecipazione ha portato a rendere meno incisive nella pratica quotidiana della scuola quelle procedure condivise che hanno visto tanto lavoro da parte dei tavoli tematici: insegnanti, operatori scolastici, i genitori stessi hanno talvolta visto come aspetti lontani dal loro orizzonte concreto quelli che invece erano tentativi di riportare le azioni collettive entro linee definitorie comuni.

Per completare questa analisi delle percezioni riguardo agli esiti delle azioni messe in atto nell’ambito dei lavori della CCAS è importante sottolineare un aspetto che non è tuttavia facile da evidenziare, cioè una dimensione di agito non documentato ufficialmente né rilevato negli atti pubblici.

Si tratta di un insieme di elementi che hanno a che fare con gli aspetti relazionali e fiduciari che si creano nei tavoli di lavoro, nella condivisione di progetti, nella quotidiana pratica di ufficio.

Molti dirigenti hanno riconosciuto nella continuità dell’impegno degli uffici un elemento di grande sostegno alla scuola nel suo complesso e un sicuro punto di riferimento come interfaccia con la macchina comunale nel suo complesso.

TESTIMONE 5 - La macchina comunale viene giudicata spesso troppo lenta e vincolata ai tempi della politica rispetto alle urgenze delle ISA: tuttavia la gestione dei Funzionari dell’Assessorato impegnati nella gestione del CCAS ha reso questi vincoli meno pesanti. TESTIMONE 6 - L’elemento maggiormente rilevante è comunque a mio avviso la presenza di un interlocutore che offre un canale di comunicazione ben delineato

TESTIMONE 1 - Certo è stato notato spesso questo atteggiamento del politico di partecipare all'inizio della riunione e poi andare via, avendo sempre impegni impellenti, però il fatto di sentirsi poco considerati non è positivo e i dirigenti lo hanno rilevato. Tutti soffrivamo questa situazione perché dicevamo “proprio adesso che c'è da discutere il problema fondamentale lui se ne va”… che si può comprendere anche al di là degli aspetti personali con la difficoltà a poter dare delle risposte visto che non hai tutto il potere che vorresti avere o non ti interessa averlo perché lo vedi come una grana. Ma la relazione che funziona si crea se si promettono delle cose, anche piccole e si cerca il più possibile di metterle sempre in pratica, in trasparenza delle difficoltà incontrate. Ma è stato l’ufficio che ha tenuto la Conferenza in questi anni. É stato l’ufficio a tenere le fila di questo percorso, ma questo è un rischio, perché … è comunque quella di un elemento di un ingranaggio che può cambiare in ogni momento

Come si intuisce da questa ultima dichiarazione l’elemento fiduciario è estremamente labile e rapidamente intaccato da atteggiamenti che rischiano di smentire le promesse fatte.

Una coerenza complessiva tra le dichiarazioni e le azioni crea una rete fiduciaria che consente a sua volta un potenziamento delle azioni dichiarate, in un circolo che diventa immediatamente virtuoso.

La coerenza delle azioni è tuttavia stata riconosciuta ai funzionari e agli operatori degli uffici molto di più che alla dimensione politica o dirigenziale; questa osservazione, se da un lato rafforza l’importanza della dimensione delle relazioni personali che creano il rapporto fiduciario, mette tuttavia in evidenza il rischio che l’eccessiva personalizzazione delle relazioni istituzionali possa rendere fragile l’intero apparato organizzativo.

Si gioca quindi in maniera evidente il difficile equilibrio tra una dimensione calda, accogliente, inclusiva, personale, indispensabile per il lavoro di rete e per la creazione di comunità, e una dimensione razionale, organizzativa, procedurale, necessaria per dare continuità e stabilità nel tempo alle relazioni istituzionali.