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Il Sistema scolastico: metafore e strumenti di analis

8) La pianta e il giardino

3.3 Il modello dei beni comun

Alla luce delle riflessioni precedenti, il modello teorico, o meglio lo schema logico, attraverso il quale vogliamo tentare una lettura del sistema educativo e della sua governance si fonda sull’adattamento della proposta teorica studiata e diffusa da Elinor Ostrom a proposito del governo dei cosiddetti “beni comuni” (commons). Il ricorso al costrutto di bene comune nell’ambito delle istituzioni della conoscenza richiede una giustificazione preliminare trattandosi di un concetto applicato originariamente all’analisi di beni fisici. Numerosi studi ne hanno propugnato la legittimità e segnalato le potenzialità esplicative, ma la trasposizione di un concetto da un campo all’altro del sapere ha sempre necessità di essere riconsiderato in maniera analiticamente rigorosa, al di là delle suggestioni proposte fino a qui. Innanzitutto, è bene riprendere la definizione fondamentale di bene comune (commons) come proposta da HESS, OSTROM (2009).

Una prima definizione generalissima, preliminare a tutti i successivi approfondimenti, indica come bene comune

“una risorsa condivisa da un gruppo di persone e soggetta a dilemmi (ossia interrogativi, controversie, dubbi, dispute ecc.) sociali”.

Un bene comune non è semplicemente un bene la cui proprietà è condivisa, o pubblica, ma la cui disponibilità stessa è condivisa e pertanto soggetta a controversie o dilemmi.

La distinzione è importante: la teoria economica classica, infatti, riconosce solo i beni privati e quelli pubblici, classificandoli in base al regime giuridico di proprietà. La teoria dei commons introduce un ulteriore livello di complessità dato dall’intreccio delle dimensioni della proprietà e della disponibilità, che si intersecano a più livelli.

La dimensione giuridica definisce i livelli di escludibilità (exclusion) nell’accesso alla fruizione di un bene.

É facile vedere come un bene privato sia caratterizzato da alta escludibilità, ovvero come la sua fruizione sia riservata al solo proprietario e tutti gli altri ne siano esclusi.

Viceversa, un bene pubblico appare a escludibilità bassa o addirittura nulla: nessuno può essere giuridicamente escluso dalla sua fruizione.

É abbastanza intuitivo collegare l’aspetto del regime proprietario con la disponibilità del bene, definita, in negativo, come possibilità di escludere altri soggetti dalla fruibilità e dal consumo (subtractability).

I beni privati appaiono fruibili solo dai loro proprietari, cioè in sostanza appaiono completamente sottratti all’uso di altri, viceversa la sottraibilità è nulla per i beni pubblici, a cui tutti possono accedere, in quanto ugualmente proprietari.

Exclusion relates to the difficulty of restricting those who benefit from the provision of a good or a service. Subtractability refers to the extent to which one individual’s use subtracts from the availability of a good or service for consumption by others (OSTROM 2005, p.23)

Se si ipotizza di rappresentare su un piano cartesiano l’intreccio di queste due dimensioni si può vedere come il modello si arricchisce di due ulteriori tipologie di beni, spesso trascurati dall’analisi: i cosiddetti beni di club e i beni, o risorse, comuni. (Figura 8)

Figura 8 Adattamento da OSTROM (2009)

I beni privati (private goods) sono caratterizzati da alta escludibilità e alta sottraibilità, ovvero sono tali per cui è facile escluderne l’accesso e la fruizione singola ne sottrae l’uso ad altri;

i beni pubblici (public goods), a bassa o nulla escludibilità e bassa sottraibilità, sono quei beni la cui fruizione non può essere preclusa e nello stesso tempo non si esaurisce;

i beni di club (tool goods), riguardano solo pochi individui poiché sono beni dalla cui fruizione è facile escludere gli altri e che preservano un alto grado di

alta

Beni privati

Beni di club

bassa

escludibilità

sottraibilità

alta

Beni comuni

Beni pubblici

bassa

sottraibilità, ovvero alta rivalità fra i fruitori, perché l’uso rischia di esaurirne la disponibilità.

Lo studio dell’azione collettiva relativa ai beni comuni prende avvio dal dilemma noto come Tragedy of the commons, proposto per la prima volta da HARDIN (1968), che vede nella rovina collettiva l’esito inevitabile del comportamento razionale individuale nei confronti dell’appropriazione di una risorsa comune.

Freedom in commons brings ruin to all (HARDIN 1968, pp. 1244)

Non c’è via di uscita di fronte al tentativo di massimizzare l’utilità personale da parte di tutti i componenti di un sistema chiuso: di fronte all’impossibilità di escludere qualcuno dall’utilizzo di un bene comune questo è destinato a esaurirsi e a portare alla guerra e alla rovina dei singoli.

La via d’uscita proposta da Hardin è una drastica limitazione della libertà personale in nome di un bene collettivo da preservare come superiore interesse dei singoli stessi, i quali tuttavia non sono in grado di riconoscerlo da soli e necessitano di un’imposizione centrale a forte indirizzo etico.

Si tratta di una posizione che ha molto diviso gli studiosi di scienze politiche provocando critiche e prese di posizione molto forti sia pro sia contro.

Sono stati gli studi di Elinor Ostrom a indirizzare la riflessione verso una terza via che, senza negare né l’approccio liberista, né quello statalista-centralista, li ha saputi superare e integrare con una visione estremamente pragmatica e operativa. (OSTROM 2003, 2006).

Il tema centrale del mio studio è il modo in cui un gruppo di soggetti economici che si trovano in una situazione di interdipendenza possono auto-organizzarsi per ottenere vantaggi collettivi permanenti, pur essendo tentati di sfruttare le risorse gratuitamente, evadere i contributi o comunque agire in modo opportunistico” (OSTROM 2006, p.51).

Ostrom dimostra che, in condizioni di conoscenza e informazioni diffuse, di fiducia tra i soggetti coinvolti, in presenza di regole consolidate e accettate, in assenza di imposizioni o interferenze esterne al sistema di riferimento (lo Stato tipicamente rispetto alle comunità locali) gli utilizzatori dei beni comuni sono in grado di trovare forme di autoregolazione soddisfacenti per tutti e relativamente più vantaggiose dei comportamenti opportunistici nel medio lungo periodo.