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ALCUNE RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Le preoccupazioni, già espresse a livello comunitario (Commissione europea, 2012b) relativamente ai possibili impatti dell’abolizione del regime delle quote latte nelle zone rurali più marginali, dove la produzione lattiera svolge un ruolo fondamentale, trovano conferma anche nel contesto regionale della Valle d’Aosta.

Come facilmente ipotizzabile, in un contesto liberalizzato, ad accelerare la produzione saranno le zone più vocate, dove costi di produzione inferiori permettono di immettere sul mercato prodotti a prezzi competitivi. La European Dairy Farmer Association (associazione di allevatori di vacche da latte che ha lo scopo di scambiare esperienze e informazioni da allevatori a allevatori di tutti i Paesi europei) ipotizza che nel 2020 la produzione italiana di latte si concentrerà nell’area padana, mentre si avrà una progressiva marginalizzazione delle aree che già oggi sono marginali, con un impatto negativo sulla gestione del territorio. Produrre in zone di montagna, come illustrano i paragrafi precedenti, ha dei costi rilevanti; se il latte non viene valorizzato nel modo corretto, si rischia che l’unico elemento di distinzione sia il costo del prodotto e, chiaramente, i territori di montagna non possono essere competitivi su questo versante.

In tale contesto, un aspetto di indubbio vantaggio è costituito dal fatto che in Valle d’Aosta il latte bovino prodotto è principalmente destinato alla trasformazione in Fontina DOP. Nel momento in cui il latte per le produzioni DOP può essere reperito solo localmente, il settore dovrebbe essere relativamente più protetto. L’obiettivo, anche per i prodotti lattiero-caseari non rientranti nella DOP, deve essere quello di rafforzare il potenziale vantaggio competitivo derivante dalla trasformazione in prodotti di qualità. In quest’ottica le strategie di marketing e la comunicazione giocano un ruolo importante e tracciabilità ed etichettatura dei prodotti sono premesse fondamentali.

In linea con queste considerazioni, si seguono con attenzione gli sviluppi dell’etichettatura europea “Prodotto di montagna”, recentemente introdotta dall’art. 31 del Regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari; si tratta di “un’indicazione facoltativa di qualità” prevista per i prodotti in merito ai quali

sia le materie prime che gli alimenti per gli animali provengono “essenzialmente” da zone di montagna e, nel caso dei prodotti trasformati, anche la trasformazione ha luogo in zone di montagna. Tuttavia, delle perplessità emergono in merito a tale etichettatura: in primis riguardo all’estensione della definizione di “zone di montagna”, come classificate dall’articolo 18, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1257/1999, che comprende più del 18% del territorio europeo. L’estensione di tale classificazione mette, di fatto, sullo stesso piano territori molto diversi, con caratteristiche climatiche e geomorfologiche fortemente variegate. Inoltre, così come impostata, l’etichettatura privilegia il legame con un dato territorio senza, di fatto, contemplare metodi di lavorazione o particolari criteri di qualità.

A tal proposito, l’esperienza francese, dove un “label montagne”, con caratteristiche molto simili a quello ora proposto a livello europeo è stato introdotto a livello nazionale da un Decreto del 17 dicembre 2000, mette in luce tali criticità. In particolare gli allevatori alpini francesi denunciano come possano beneficiare dell’appellativo “prodotto di montagna” anche allevamenti intensivi, situati a più di 500 m s.l.m., che utilizzano razze geneticamente selezionate per la produzione di latte senza nessuna garanzia di qualità. Il timore, chiaramente espresso dagli allevatori della Savoia e dell’Alta Savoia, è che tali prodotti, di fatto, entrino in competizione con le numerose DOP dei territori alpini, frutto di savoir- faire specifici e di qualità certificate da rigorosi disciplinari e controlli.

A fronte di tali scenari, in vista della prossima fine delle quote latte, gli allevatori e le cooperative savoiarde propongono, per preservare la qualità dei loro prodotti e garantire il mantenimento dei prezzi, il proseguimento, in Savoia e Alta Savoia, di un sistema di quote che prevede la differenziazione di volumi e prezzi: un prezzo per una “quota A” che corrisponde al volume trasformato in formaggi DOP, un prezzo inferiore per una “quota B” di latte, di identica qualità, ma non trasformato (Luneau, 2012).

L’importanza di preservare le esternalità derivanti dal permanere dell’attività zootecnica in montagna (conservazione del paesaggio, presidio del territorio, rafforzamento del tessuto sociale nelle comunità rurali) fa riflettere anche in Italia sulla possibilità del mantenimento, sotto qualche forma, dopo il 2015, del vincolo delle quote nelle zone di montagna in vista di prevenire l’ulteriore marginalizzazione di tali zone in un contesto totalmente liberalizzato (Sckokai, 2008).

Tuttavia, come evidenziato nel presente studio, il mantenimento della zootecnia valdostana è fortemente vincolato, prima di tutto, al permanere degli aiuti pubblici che, come si è visto, giocano un ruolo centrale nella sostenibilità delle aziende. Pertanto, l’attenzione si concentra sulle future disponibilità e sui

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nuovi vincoli e obblighi che discendono dal nuovo quadro normativo che regolerà il prossimo periodo di programmazione.

In particolare, rispetto al primo pilastro della PAC, si auspica, per il prossimo futuro, un aumento dei pagamenti diretti per le zone di montagna che, fino ad oggi, hanno beneficiato solo marginalmente di tali aiuti di sostegno al reddito. Il modello agricolo regionale sopra descritto, tipico delle zone di montagna alpine, a carattere estensivo, con una scarsissima differenziazione produttiva, connotato da piccole aziende familiari è stato infatti fino ad oggi penalizzato nella distribuzione degli aiuti del primo pilastro. L’aiuto legato alla produzione, prima, e l’applicazione del criterio storico – nonostante l’introduzione del disaccoppiamento – poi, hanno favorito maggiormente le aziende più grandi o specifici orientamenti produttivi a carattere intensivo.

A livello nazionale, nelle zone montane, dove è maggiore l’estensività degli allevamenti, l’incidenza dei pagamenti è ai livelli minimi. Tuttavia, dalle prime simulazioni effettuate a partire dalle informazioni contenute nella proposta di regolamento sui pagamenti diretti pubblicata il 12 ottobre 2011 (COM(2011) 625/3), le zone di montagna potrebbero veder aumentare la dotazione complessiva del primo pilastro; tale aumento potrebbe essere decisamente consistente qualora il massimale per il pagamento di base e per il pagamento verde fossero distribuiti tra le regioni sulla base del peso che ciascuna di esse riveste sulla SAU nazionale.

Con riferimento allo sviluppo rurale, tra le priorità espresse trasversalmente dagli operatori del settore riuniti nei gruppi di lavoro per la preparazione del nuovo programma regionale emerge, in particolare, l’esigenza di procedere verso una semplificazione procedurale. L’auspicio è che, nel quadro delle nuove misure, possa trovare spazio una logica maggiormente connessa ai risultati e meno vincolata alle procedure volte all’ottenimento di tali risultati. La richiesta, legata a tale prospettiva, è di cercare di alleggerire, per quanto possibile, il carico burocratico che grava sugli agricoltori, segnalato a più riprese fra le problematiche maggiori nella conduzione dell’attività agricola.