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Alcune riflessioni sul significato di “atteggiamento”

Muovendo dall’ipotesi della “profezia che si auto adempie”, confermata dalla ricerca condotta da Rosenthal e Jacobson126 nella Oak School of the Unified School District di San Francisco, si è cercato di conoscere gli atteggiamenti degli insegnanti nella loro pratica didattica.

Rosenthal e Jacobson hanno dimostrato che la realtà spesso non è quella che contiene gli elementi della sua evoluzione ulteriore, ma piuttosto che la rappresentazione e l’affettività che si collegano alla percezione del reale finiscono con l’essere più forte del reale stesso. L’affettività si riversa sul reale con effetto predittivo. Ciò che si immagina, in definitiva, si contribuisce a realizzarlo e le aspettative migliorano i migliori e peggiorano i peggiori.

L’auto-esplorazione richiesta agli insegnanti tramite il questionario mira a rilevare il loro atteggiamento che ha, a sua volta, riflessi sui comportamenti che conducono alla configurazione delle attività didattiche e influiscono sui contesti relazionali.

Il termine “atteggiamento” deriva etimologicamente dal latino ed è composto dal verbo agere, dal suffisso eggi che designa un’azione continuata, e un suffisso nominale mento che designa un effetto, un risultato, ed è quindi traducibile in senso letterale con “modo di agire consueto”.

Il significato corrente della parola italiana è vicino al significato del termine inglese corrispondente “attitude” che non si traduce con “attitudine”, parola che in italiano ha un significato diverso.

Nel linguaggio comune fino a pochi anni fa (Potter127), la parola atteggiamento veniva utilizzata con un accezione diversa, più strettamente riferibile al modo in cui le persone si presentano pubblicamente. Gradualmente a questo significato, sia in italiano che in inglese, si sta sostituendo l’accezione di disposizione individuale, negativa o positiva, verso qualcosa o qualcuno.

Nella sua connotazione più generale di stato di disponibilità psicologica e neurologica per un’azione mentale e fisica, il termine atteggiamento è stato usato nel XX secolo in una molteplicità di significati e di contesti. Il concetto di atteggiamento arriva ad assumere una rilevante priorità come oggetto di ricerca

126

Robert Rosenthal, Leonore Jacobson, op. cit.

127

Jonathan Potter, “Attitudes, social representations and discursive psychology”, in Identity

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con il lavoro di Thomas a Znaniecki128 sui contadini polacchi in Europa e negli Stati Uniti ed è definito come un processo mentale individuale che determina le risposte sia effettive che potenziali di ogni individuo al suo mondo sociale. Il concetto di atteggiamento assume un significato psicologico. L’atteggiamento è, cioè, uno stato mentale nei confronti di un valore che supera la connotazione fisico-neurologica fino a quel momento utilizzata. La definizione di valore data da Thomas e Znaniecki mette in evidenza il valore sociale dell’oggetto dell’atteggiamento, riconosciuto all’interno di un comunità. Dalla pubblicazione del loro lavoro, il termine e il concetto “atteggiamento” si diffondono e sono utilizzati soprattutto in ambito psicologico ed educativo.

Le definizioni diffuse e utilizzate negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale sono la sintesi delle accezioni assunte dal termine nel campo della psicologia sperimentale di laboratorio e nelle ricerche psicologiche “sul campo”. Allport definisce l’atteggiamento come “a mental and neural state of readiness, organized through experience, exerting a directive or dynamic influence upon the individual's response to all objects and situations with which it is related”. 129

Nella letteratura socio-psicologica attuale, per atteggiamento si intende un’insieme di convinzioni, di sentimenti e predisposizioni ad agire nei confronti di un oggetto sociale. L’atteggiamento è un costrutto psicologico costituito da 3 componenti di natura diversa che, strettamente connesse l’una all’altra, costituiscono un vero e proprio sistema tale che, ad esempio, il pensiero di un individuo nei confronti di un oggetto sociale sia influenzato dai suoi sentimenti e dalle sue tendenze ad agire in un certo modo nei confronti dell’oggetto stesso. La componente cognitiva, la conoscenza di un certo oggetto o soggetto, ovvero le informazioni e le credenze che gli individui possiedono a proposito dell’oggetto a cui si volge l’attenzione, la componente emotiva, la reazione che l’oggetto suscita, e quella comportamentale, la predisposizione ad agire nei confronti di un oggetto per lo più sociale, ovvero l’azione di avvicinamento o esitamento rispetto all’oggetto.

128

William I. Thomas, Florian W. Znaniecki (1918-1920, The Polish Peasant in Europe and

America. Monograph of an Immigrant Group. Urbana, IL., University of Illinois Press, 1996.

129 Gordon W. Allport, “Attitudes”, in Hanbook of Social Psychology, M.Murchison (Ed.),

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L’idea di un individuo rispetto ad un oggetto è, quindi, influenzato sia dai suoi sentimenti sia dalla sua disponibilità ad agire, e viceversa.

Gli atteggiamenti sono, perciò, personali, si formano e si organizzano attraverso l’esperienza, vengono appresi e, quindi, si acquisiscono nel processo di socializzazione. Inoltre gli atteggiamenti per loro natura non sono passivi, ma esercitano un’influenza dinamica e direttiva sul comportamento e quindi sulla risposta dell’individuo nei confronti degli oggetti e delle situazioni con cui entra in relazione.

Sulla formazione degli atteggiamenti, sia il contesto sociale in cui la persona vive, sia le sue caratteristiche personali e dinamiche sono determinanti. Sono molti gli studi che mettono in evidenza come un atteggiamento si sviluppi in funzione del soddisfacimento dei bisogni di un individuo, ad esempio il bisogno di accrescere l’autostima può indurre a cercare oggetti sociali inferiori a sé e in questo contesto ciò può favorire lo sviluppo della convinzione che esistono gruppi sociali “inferiori”.

Inoltre, le informazioni che sono selezionate sulla base del contesto sociale, dei sentimenti e dei bisogni hanno una forte influenza sugli atteggiamenti. Tali informazioni spesso non favoriscono nuovi modi di comportamento e giudizio, ma rafforzano atteggiamenti esistenti.

Le diverse componenti di un atteggiamento possono variare per valenza e cioè possono essere orientate positivamente o negativamente verso l’oggetto sociale e variare per il grado di intensità. Possono, inoltre, variare per complessità nelle sue tre componenti. Nella tendenza all’azione, ad esempio, un insegnante ha una gamma di possibilità di comportamento che va dal “fare il suo dovere”, evitando di assentarsi ripetutamente all’”elaborare strategie complesse” con una programmazione pianificata e verificata.

Il grado di stabilità di un atteggiamento dipende dalla valenza e dalla complessità delle sue componenti, dalla loro coerenza interna e interconnessione con altri atteggiamenti.

Allport130 sostiene che spesso gli atteggiamenti rimangono stabili durante il corso della vita e che, più le sue componenti sono congruenti fra loro, più

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tendono a caratterizzare il modo di essere di un soggetto che, tuttavia, è sempre capace di modificarsi per adattarsi all’ambiente circostante.

Nel complesso l’idea di stabilità degli atteggiamenti si poggia sul presupposto che i soggetti detengano stati che gli strumenti di indagine riescono a rilevare in forma più o meno fedele.

La definizione di Allport mette in evidenza il fatto che l’atteggiamento sia uno stato non direttamente osservabile e che si tratta di una variabile che interviene fra lo stimolo e la risposta.

La misurazione degli atteggiamenti è un problema complesso affrontato dai ricercatori sociali con tecniche diverse e da una molteplicità di posizioni teoriche.

Per raccogliere informazioni sulle opinioni, sugli atteggiamenti e sui comportamenti degli insegnanti e dei dirigenti a cui è stato somministrato il questionario nell’ambito del presente lavoro di ricerca, si è ricorsi alla tecnica di scale del tipo Likert.

La consapevolezza che la conoscenza di opinioni e atteggiamenti pone una varietà di problemi ha guidato sia la fase di costruzione degli strumenti, sia la fase dell’elaborazione dei dati e dell’interpretazione.

In primo luogo, la natura stessa degli atteggiamenti rende difficoltosa la trasformazione del concetto in variabili; in secondo luogo, le questioni che attengono gli atteggiamenti si riferiscono ad argomenti sui quali l’intervistato può rispondere sulla base della desiderabilità sociale e tendere quindi, anche inconsciamente, a dare risposte false al fine di risultare più adeguato a livello sociale, ovvero tendere a rispondere positivamente, in modo remissivo e accondiscendente, ad ogni domanda a prescindere dal suo contenuto.

L’intervistato può essere riluttante a esprimere opinioni o a rispondere a domande sui suoi atteggiamenti, se tali atteggiamenti e comportamenti sono fortemente connotati a livello sociale in senso positivo o negativo. E’ un meccanismo che può scattare non solo nei casi più ovvi che violano norme riconosciute, ma si può manifestare anche quando si tratta di norme tacite del gruppo di riferimento dell’intervistato.

Si è tenuta in considerazione, oltre alla distorsione sistematica causata dalla desiderabilità sociale, e sempre per effetto degli stessi meccanismi, la possibilità che l’intervistato possa rispondere, inconsciamente, in modo non veritiero. Gli

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psicologi riconoscono nella negazione di fatti che non coincidono con l’immagine che un individuo ha di sé stesso un meccanismo ricorrente nei processi mentali. La propensione a negare l’evidenza dei fatti quando entrano in contraddizione con le proprie credenze di fondo viene designata come “processo di razionalizzazione”. La risposta quindi potrebbe anche non rilevare il vero comportamento o atteggiamento, ma solo l’immagine che l’intervistato ha di sé stesso.

Un altro problema, nella rilevazione degli atteggiamenti, potrebbe derivare da ciò che in inglese viene definita non attitude, e cioè assenza di opinioni. E’ plausibile che l’individuo non abbia mai riflettuto in modo serio e sistematico e quindi non abbia opinioni rispetto al tema proposto. Le risposte, in questo caso, potrebbero essere scelte a caso tra le possibili risposte oppure dar luogo a risposte volatili perché basate su opinioni sorte nel momento stesso della domanda.

E si pone, inoltre, un questione strettamente correlata alla precedente: la domanda standardizzata può rilevare l’opinione, il comportamento, l’atteggiamento, ma non la sua intensità, né il suo grado di stabilità e di radicamento. Con domande per le quali si richiede all’intervistato di esprimere accordo o disaccordo rispetto ad un’affermazione, è difficile distinguere all’interno delle risposte le opinioni, gli atteggiamenti o i comportamenti profondamente radicati da quelli passeggeri o volubili.

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Capitolo Secondo

METODOLOGIA E STRUMENTI