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Alcuni aspetti critici: la definizione degli ‘standard’ e la gestione del quotidiano

2. In che cosa consiste una Comunità educativa per minori

2.1 Alcuni aspetti critici: la definizione degli ‘standard’ e la gestione del quotidiano

Liliana Marelli34(2015), che definisce le Comunità per minori come ‘Comunità di vita’ (ibid:124) mette in luce diversi aspetti “critici” che riguardano il sistema di tutela minorile. Innanzitutto il problema in cui si imbattono gli operatori del settore, siano essi assistenti sociali, psicologi, coordinatori o educatori: ovvero l’assenza di una definizione chiara, omogenea e valida per tutto il territorio nazionale per quanto riguarda il funzionamento, i principi e la struttura delle Comunità. Questa carenza di chiarezza sugli “standard” si ripercuote, secondo l’autrice, non soltanto sull’efficacia del lavoro dal punto di vista organizzativo, ma anche dal punto di vista della “qualità” dell’accoglienza, e quindi del rispetto del “diritto di non discriminazione per tutti i minorenni presenti a qualunque titolo sul territorio nazionale” (ibid:127). L’autrice mette in chiaro che, per realizzare il “superiore interesse del minore”, sancito dalla Convenzione dei diritti del Fanciullo nel 1989, ci sia il bisogno di ‘fare rete’ fra le diverse professionalità che lavorano a contatto con i ragazzi, creando un alfabeto comune, da mettere in campo per provvedere al meglio alla crescita dei bambini. Al raggiungimento di tale scopo Marelli evidenzia la necessità di un dialogo a livello istituzionale e nazionale che includa le organizzazioni interessate nelle pratiche dell’accoglienza nella definizione dei criteri di qualità delle Comunità

34 Liviana Marelli, membro esecutivo nazionale del Coordinamento Nazionale delle Comunità di Accoglienza,

competente in materia di politiche minorili e per le famiglie e membro dell’Osservatorio Nazionale Infanzia e Adolescenza

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(ibid:127)35. Sostiene infatti che sia importante promuovere l’interazione a tutti i livelli

interessati dall’Associazione dei Comuni Italiani, alla Conferenza delle Regioni, alla Magistratura minorile, alle organizzazioni/coordinamento di terzo settore, agli ordini professionali affinché venga pensato un sistema di welfare dove l’investimento sul futuro, e quindi lo stanziamento di risorse finanziarie, sia legato all’esigibilità dei diritti dei bambini e dei ragazzi. Secondo il suo punto di vista, si tratta di una responsabilità dello Stato, ma anche delle organizzazioni della società civile, sebbene sia evidente dalle sue parole che “non si possa delegare al privato tale responsabilità pubblica, propria dello Stato democratico e pertanto tenuto a garantire il benessere dei cittadini” (ibidem:125).

“Fare squadra” è ciò che anche Vincenzo Spadafora, ex-Autorità garante dell’infanzia e dell’adolescenza36 ritiene indispensabile in un settore dove i finanziamenti sono scarsi.

(Aa.Vv. 2015:7). Nel tentativo di offrire una risposta al bisogno condiviso di chiarire quale sia la classificazione delle Comunità a cui fare riferimento a livello nazionale e quali siano le caratteristiche comuni e specifiche, è stato elaborato nel 2015 un documento di proposta dal Gruppo di lavoro sulle Comunità di tipo familiare attivato dalla Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni, dove sono contenute delle linee guida di riferimento37.

In questo documento si sostiene che la distinzione basata sul criterio dell’organizzazione degli operatori sia riduttiva, mentre sarebbe più adeguata una descrizione delle caratteristiche e dei bisogni dei minori che vanno accolti (ibid:16-17). Al di là delle già note Comunità familiari e Comunità educative, viene evidenziata anche la presenza di Comunità socio-sanitarie, e la necessità di definire nello specifico Comunità terapeutiche, Comunità genitore-bambino (e per gestanti che non intendono riconoscere il loro figlio),

35 L’autrice fa soprattutto riferimento al tavolo nazionale per la definizione delle linee di indirizzo per

l’inserimento in Comunità, lavoro istituzionale i cui membri erano esclusivamente afferenti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e alle Regioni, non includendo rappresentanti delle associazioni che lavorano quotidianamente con i ragazzi. Parallelamente è stato organizzato un gruppo di lavoro presso la Consulta delle associazioni e l’Autorità Garante dell’Infanzia per creare un documento di proposta che possa essere preso in considerazione a livello istituzionale.

36 Autorità Garante per l’Infanzia e l’adolescenza, dal 2011 al 2015. Istituzione recentemente normata dalla

legge 112 del 12 luglio 2011, per monitorare a livello nazionale il rispetto dei diritti dei minori d’età sulla base della Convenzione Internazionale per i diritti dell’Infanzia e l’adolescenza.

37 AA.VV.2015. Doc. Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard:

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alloggi per neo-maggiorenni, strutture residenziali per minorenni con gravi disabilità e Comunità per minori con dipendenze. (ibid:16-17).

Gli autori si soffermano sommariamente anche sull’aspetto delle pratiche quotidiane e del ‘come’ queste dovrebbero essere messe in atto. Vengono specificate alcune linee generali a cui fare riferimento: un approccio ‘psico-pedagogico di tipo relazionale’ (ibid:17) ove questo significa che l’adulto di riferimento dovrebbe essere per il bambino una ‘guida’ e “rispecchiamento” attraverso ‘contenimento’, ‘normatività’ ed ‘empatia’, affinché la relazione stessa possa considerarsi per il bambino un’‘esperienza riparativa’. Viene sostenuto che lo scopo è aiutare il ragazzo a superare e rielaborare i traumi subiti e fare in modo che possa conquistare “una rinnovata fiducia nell’adulto e successivamente un’apertura verso la costruzione di nuovi legami familiari e/o rinnovate relazioni con la famiglia d’origine/rete parentale” (ibid:18).

Si sottolinea anche che dalle modalità di relazione messe in atto dagli educatori, vanno esclusi i metodi tipici degli istituti, come la presenza di minacce e ricatti per ottenere un comportamento, l’escalation del tono della voce come modalità quotidiana di interazione per ottenere il rispetto delle regole o una risposta ad una richiesta, e favorire una partecipazione nello stabilire le regole di riferimento. Il documento cerca attraverso queste accortezze di ribadire la centralità del minore nella relazione, sottolineando che, laddove l’educatore non si pone in maniera empatica nei confronti del bambino, si presenta il rischio di porre “al centro dell’azione ‘educativa’ il ‘potere’ dell’adulto di usare la ‘forza’ derivante dal suo ruolo ‘istituzionale’ quale metodo rapido e apparentemente efficace di ottenere il rispetto”, fallendo in questo modo nel tentativo di creare una relazione di fiducia (ibid:18).

Un ultimo aspetto da portare alla luce con questo primo sguardo sulla realtà delle Comunità di accoglienza è l’idea che le pratiche del quotidiano abbiano valenza ‘terapeutica’ e che siano esse stesse uno strumento essenziale nella costruzione della relazione fra adulti e bambini. Secondo Norma Perotto,

“Il ruolo educativo richiede la capacità di stare, di esserci, condividere la quotidianità e la routine, in una sorta di pedagogia delle piccole cose […] continuativa nel tempo e nello spazio” (Perotto in Aa.Vv. 2009:31).

Questa condivisione di esperienze costituisce, secondo l’autrice, un terreno favorevole alla costruzione del rapporto di fiducia tra educatore e ragazzi. Luisa Della Rosa (in AaVv

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2009.77-78), responsabile clinico-scientifico del “Centro per la cura del trauma nell’infanzia e nella famiglia” di Milano, sostiene che:

“Il quotidiano è per eccellenza il luogo generatore del senso stesso della vita. […] oggi sta aumentando nei diversi ambiti disciplinari e professionali la consapevolezza che i ragazzi in difficoltà hanno estremo bisogno di una ‘terapia del quotidiano’ prima che di una ‘terapia nel quotidiano’.[…] finché gli educatori non riescono a dare un senso a tutto questo e non accettano di vivere consapevolmente il quotidiano con i bambini come luogo di apprendimenti e di cambiamenti decisivi per il loro futuro, il rischio è che gli stessi educatori banalizzino il loro lavoro e tendano a rifugiarsi in un iper-coinvolgimento emotivo, oppure in un disbrigo di compiti di accudimento a cui non si riesce a dare significato, finendo per burocratizzarsi e rendersi assenti sul piano delle relazioni ”

Come viene specificato nel documento prodotto dal Coordinamento nazionale di Comunità di accoglienza nel 2012, “il quotidiano” è costituito dalle azioni che vengono svolte dai genitori in una casa, a partire dal cucinare, fare la spesa, lavare, riparare ciò che si rompe, accompagnare nello svolgimento dei compiti della scuola.

“In Comunità vivono bambini e ragazzi che provengono spesso da contesti famigliari difficili, disgregati o disorganizzati che non hanno potuto garantire ai figli la sicurezza e la stabilità di un contesto di vita adeguato. E’ così che mangiare dormire, lavarsi studiare, essere rispettati ed accuditi diventano nel quotidiano sfide educative”.(CNCA, 2012:34)

È proprio nell’intento di offrire uno sguardo sugli aspetti del quotidiano che nasce questa tesi, soffermandosi non solo sulle pratiche, e le azioni di ogni giorno ma anche su quei momenti, come le riunioni fra educatori, previsti per il funzionamento delle Comunità.

3.Alcuni dati sulla situazione delle Comunità educative e dei minori allontanati