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1. Aspetti storico-giuridici relativi ai provvedimenti di tutela minorile in Italia

1.3 Dalla Convenzione di New York ai nostri anni

Il 20 Novembre 1989, venne approvata a New York, la Convenzione dell’Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, entrata in vigore in Italia con la Legge del 27 maggio del 1991, n.179, e approvata da tutti gli stati del mondo tranne gli stati Uniti e la Somalia19.

Redatta esattamente trent’anni dopo la Dichiarazione di diritti del fanciullo, che era stata adottata dall’Assemblea generale il 20 novembre 1959 (e riconosciuta nella Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo) la Convenzione dell’89 riconosce al fanciullo la necessità di una ‘protezione e cure particolari’20. Sancisce nell’articolo 3 il principio del “superiore

interesse del minore”: Articolo 3

1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.

2. Gli Stati parti si impegnano ad assicurare al fanciullo la protezione e le cure necessarie al suo benessere, in considerazione dei diritti e dei doveri dei suoi genitori, dei suoi tutori o di altre persone che hanno la sua responsabilità legale, e a tal fine essi adottano tutti i provvedimenti legislativi e amministrativi appropriati. Il significato del “superiore interesse del fanciullo” non viene tuttavia approfondito ulteriormente, non esistono parametri attraverso i quali verificare il rispetto di tale principio e la sua interpretazione rimane tuttora ambigua.

Si specifica all’art.9 che, l’eventuale separazione dai genitori, dev’essere disposta dall’autorità soltanto se questo allontanamento è nell’interesse preminente del fanciullo, sottolineando nell’art.19 che:

“Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di

19 Fonte: http://www.savethechildren.it/chi_siamo/convenzione_diritti_infanzia.html 20 Unicef, 2004, Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, p. 4

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sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all’uno o all’altro, o a entrambi, i genitori, al suo tutore legale (o tutori legali), oppure a ogni altra persona che abbia il suo affidamento.”

A tale scopo protettivo, si dispongono la possibilità di ricorrere all’affido familiare, o al collocamento in “adeguati istituti per l’infanzia” (art.20), con l’impegno di rispettare le origini del fanciullo, la sua cultura originaria, la religione e la lingua, cercando di mantenere dunque una continuità educativa. Il fanciullo ha il diritto di esprimersi liberamente e le sue opinioni devono essere prese in considerazione tenendo conto del suo grado di maturità. (art.12)

La famiglia, viene considerata come “unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli”21. Gli stati

parti garantiscono il riconoscimento secondo cui entrambi i genitori hanno una responsabilità comune per quanto riguarda l’educazione del fanciullo e dispongono appropriati ai a genitori e ai tutori legali nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo, provvedendo alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo. (art.18)

Negli anni ’90 in Italia, nel terzo settore, si rafforzò il ruolo del volontariato e delle cooperative. Vennero istituiti il CNCM, "Coordinamento Nazionale Comunità per Minori di tipo familiare", a Firenze, il CISMAI, “Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia”. Negli anni ’80 erano stati fondati il CNCA, “Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza”, a Torino, e il CBM, “Centro per il bambino maltrattato”, a Milano. Associazioni di livello nazionale alle quali, da allora, si associano le diverse realtà educative per minori, per poter avere un coordinamento sinergico, e confrontarsi su quelle che possono essere delle problematiche comuni, provvedendo a corsi di formazione, aggiornamenti professionali, gruppi di lavoro e ricerca.22

Con la legge del 28 Agosto 1997, n.285, “Disposizioni per la promozione e di opportunità

per l’infanzia e l’adolescenza”, si istituì il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza,

con lo scopo di finanziare progetti a livello locale a sostegno della relazione genitori-figli e di contrasto alla povertà e alla violenza, per la realizzazione di servizi ricreativi ed

21 Ibid:3

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educativi per il tempo libero e di promozione dei diritti dell’infanzia, garantendo sostegno alle famiglie con figli disabili. Inoltre si provvedeva a sostenere economicamente minori in stato di bisogno inseriti in famiglie affidatarie e si garantiva l’accoglienza temporanea di minori, l’attivazione di residenze per donne in difficoltà con figli minori, interventi di prevenzione all’abuso, mediazione e consulenza familiare.

Ulteriori indicazioni sugli incentivi finanziari alle famiglie con disagi economici e la disposizione di servizi di sostegno anche a domicilio e supporto alle famiglie monoparentali, sono contenuti nella legge quadro dell’8 novembre 2000, n.328. La “Legge

quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", le cui

norme di attuazione vengono delegate alla responsabilità di Enti Locali, Regioni e Stato, è stata emanata a regolare il settore dell’assistenza sociale alla persona, che ancora poggiava le sue basi sulla legge Crispi del 1890, in modo da riorganizzare gli ambiti territoriali. Tra le altre indicazioni viene specificata la necessità di stabilire a livello regionale, e locale, i requisiti per l’autorizzazione e l’accreditamento delle associazioni no-profit che decidono di mettere i loro servizi al fianco di quelli pubblici.

Con la legge del 28 marzo 2001 n.149, attraverso la quale vengono apportate delle modifiche alla legge 4 maggio 1983, n 184, recante ‘Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori’ abbiamo riferimenti più chiari nella definizione dell’affidamento, sia familiare che in Comunità. Si amplia l’articolo 1, ove si provvede a specificare che il minore non ha soltanto il diritto di essere educato nella propria famiglia, ma anche quello di crescervi. Una significativa azione normata da questa legge è la programmazione della chiusura definitiva degli istituti per minori entro il 31 dicembre 2006, con l’intento di porre fine all’esperienza delle “istituzioni totali” (Goffman 1968). All’ottenimento di questo scopo venne specificato al comma 4 dell’articolo 2, che tutti i ragazzi che erano temporaneamente allontanati dalla famiglia, venissero accolti da una famiglia affidataria, o nel caso in questo non fosse stato possibile, in “Comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia.”23.

“Tale dichiarazione caratterizza, quindi, quella ‘atmosfera familiare’ che le Comunità devono poter offrire; la questione rimane particolarmente spinosa, dal momento che la normativa non disciplina criteri specifici o caratteristiche tecniche per valutarla.” (Saglietti, 2010:27).

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Il Decreto del Ministro per la Solidarietà Sociale del 21 maggio 2001, n. 308 (emanato in relazione all’art.11 della legge quadro sopra citata dell’8 novembre 2000 n.328) esplicita i "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e

delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale". La definizione specifica dei criteri

strutturali viene delegata alle Regioni, denotando così quel quadro estremamente eterogeneo di cui si parlerà nei paragrafi successivi. Nell’art.5 vengono definiti i requisiti minimi, identici per tutte le Comunità presenti sul territorio italiano: la struttura deve essere facilmente raggiungibile da mezzi pubblici, di modo che gli ospiti abbiano la possibilità di avere contatti sociali, raggiungere autonomamente luoghi di aggregazione, ricevere visite; all’interno della struttura devono esserci spazi comuni per la socializzazione, differenziati dalle camere; deve esserci del personale qualificato, che abbia un’adeguata formazione per il ruolo da svolgere; deve esserci un coordinatore a cui lo staff faccia riferimento. Nel caso delle Comunità per minori, per ogni bambino deve essere predisposto un piano educativo individualizzato, all’interno del quale vengano specificati gli obiettivi specifici, le modalità dell’intervento e quelle di verifica, permettendo quindi di differenziare anche il tipo di relazione tra educatori e bambini, e di individuare quelle attività che sembrano più adatte alle necessità del bambino. Si intende con questo strumento personalizzare la permanenza dei minori, creando dei progetti specifici per ciascuno di essi. Nella Comunità devono essere rispettati i normali ritmi di vita; ogni ente gestore deve redigere una “carta dei servizi”, dove esplica la complessità e la specificità delle proprie attività e della propria organizzazione. Sulla base di queste indicazioni ogni Regione ha emanato i propri decreti, differenziandosi dalle altre per diversi aspetti tra cui la nominazione delle strutture, le caratteristiche dei progetti educativi individualizzati e i requisiti del personale.24

Il 25 ottobre 2007 è stata adottata dal Consiglio d’Europa la Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, ratificata in Italia il 19 settembre 2012. Questo è il primo trattato internazionale che si occupa della questione degli abusi sessuali sui bambini, includendo quelli che avvengono fra le mura domestiche. Nei primi

24 Per un’analisi globale di confronto su queste differenze vedere il documento “CNCA, 2012, Parliamo

ancora di Comunità. Roma.”

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articoli si ribadisce l’importanza di effettuare programmi di prevenzione e di aggiornamento soprattutto fra coloro che lavorano con i ragazzi. Si dichiara l’importanza di effettuare interventi che vedano la coordinazione interdisciplinare di diversi settori, di garantire collaborazione fra i servizi offerti dal pubblico e dai privati per la protezione dei minori. Si richiede che gli Stati firmatari prendano provvedimenti contro chi abusa e sfrutta i bambini sessualmente, contro chi li costringe a prostituirsi, e contro chi possiede, produce e fa circolare materiale pornografico che li riguardi.

Nel 2011, con la legge 112 del 12 luglio è stata istituita l’Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, che ha il compito di monitorare sulla condizione dei diritti dei minori. Collabora con altre figure analoghe sia a livello internazionale che regionale, interagisce con gli organi del governo ai fini di promuovere leggi e iniziative che riguardano la difesa dei diritti dell’infanzia. E’ in contatto con associazioni, organizzazioni e privati che si occupano della tutela dei minori con lo scopo di incentivare l’interazione tra i diversi livelli del sistema di tutela dell’infanzia. Alla legge 184/1983, è stata apportata un’ulteriore modifica il 19 ottobre 2015, con la legge n.173: “sul diritto alla continuità affettiva dei

bambini e delle bambine in affido familiare”. Questa legge è rivolta a quei bambini e

ragazzi che dopo essere stati accolti per un tempo limitato in una famiglia affidataria vengono considerati “adottabili” per decisione del Tribunale dei Minori. Il diritto che viene specificato è quello di continuare a vivere nella famiglia affidataria che li ha accolti temporaneamente. Se nell’affido i legami tra bambino e genitori biologici sono auspicati, nell’adozione sono invece negati. Per evitare che il bambino perda contemporaneamente i contatti con i genitori biologici e con la famiglia in cui è stato accolto si evidenzia la possibilità di quest’ultima di adottare il bambino, anziché permettere che venga adottato da un’altra famiglia, creando un ulteriore disconnessione nel suo percorso affettivo.