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ALCUNI RIFERIMENTI STORICI PER I GIARDINI REALI

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1982 (pagine 71-75)

E POTENZIALITA' PROGETTUALI DEI GIARDINI REALI DI TORINO

UN'AREA CONTRADDITTORIA TRA CENTRALITÀ E MARGINALITÀ

1. ALCUNI RIFERIMENTI STORICI PER I GIARDINI REALI

1.1. I Giardini Reali come area di margine urbano

1.1.1. // giardino del Palazzo Reale

sino all'intervento di Le Nótre

«La storia del Giardino Reale di Tori-no è stata minutamente narrata da Ro-berto Carità, il quale in base a docu-menti inconfutabili ne ha rivendicato il progetto al più celebre architetto di giardini del Seicento europeo, il fran-cese Andrea Le Nótre. Quando si parla del giardino del Palazzo Reale di Tori-no bisogna distinguere «il giardiTori-no an-tico», esistente fin dal tempo di Ema-nuele Filiberto a levante del palazzo poi denominato «di S. Giovanni», ch'è quello quadrangolare, disegnato sotto Carlo Emanuele II da Carlo Morello «all'italiana» che si vede nella stampa col Bastion Verde del Theatrum Sa-baudiae, dal giardino che si può chia-mare «nuovo» risultante dell'amplia-mento di Torino voluto da Carlo Ema-nuele II con la conseguente costruzione di nuovi bastioni, dei quali ancora esi-stono il Bastion Verde con relativo «Garittone» e il bastione di S. Vitto-rio. Fra l'uno e l'altro il Le Nòtre ebbe a disposizione un'area di circa 80.000 metri quadrati, che nel progetto del 1697 — steso dall'artista all'età di 85 anni — sistemò modificando parzial-mente il giardino «antico» a nord, e creando in quello «nuovo» a levante una semplice ma suggestiva architettu-ra arborea articolata in un ventaglio di viali, ed alla quale serve quasi da ac-cesso l'ampia radura occupata da due enormi aiuole e dal «miroir d'eau» fiorito di ninfee riprodotto in questa tavola, e nel cui centro più tardi fu collocato il grande gruppo di Nereidi e Tritoni scolpito da Simone Martinez. I lavori per la costruzione dell'immenso giardino si protrassero fino al 1702 sotto la direzione non già del Duparc ma di un'allievo del Le Nòtre, il De Marne, espressamente inviato a Tori-no»1.

Questo breve scritto di M. Bernardi sintetizza i due momenti fondamentali che hanno caratterizzato il disegno del giardino storico e che costituiscono due impostazioni sostanzialmente di-verse legate a due differenti concezioni del progetto del verde e del rapporto con il suo intorno.

Il giardino «antico», riconoscibile nel-la pianta del Borgonio (fig. 1) (anche se riporta già l'ampliamento dei bastio-ni ibastio-niziato nel 1669), è inserito in una struttura urbana che, innestata su assi ortogonali, costituisce il termine di una sequenza di spazi recintati e ordinati secondo gerarchie differenti: ne è esempio in particolare la successione piazza Castello, piazzetta Reale, cortile interno del Palazzo reale, giardino «antico».

Il giardino qui rappresenta uno spazio «intimo», recesso, cui si accede solo attraverso degli altri spazi anche loro determinati e conclusi.

Per conoscere più nel dettaglio poi il disegno orginario più attendibile del giardino «antico» è utile riprendere quanto il Carità scriveva riferendosi al Theatrum Sabaudiae:

«... il giardino, già barocco, si svolge simmetrico attorno ad una grande fon-tana centrale, ricca di statue, di zam-pilli, di giochi d'acqua. Quattro viali, fiancheggiati di piccoli alberi in vaso, si dipartono verso i punti cardinali, de-limitando quattro principali aiuole. Ognuna di queste grandi aiuole è un organismo a sé, che tuttavia si ispira al motivo generale del giardino, svolgen-dolo, però, diversamente: si forma co-si, un'armoniosissima contrapposizione di curve, legate tuttavia l'una all'altra da altri minori vialetti che ricalcano le diagonali del quadrato giardino. Ele-menti accessori sono le due aiuole sul bastione ed il lungo viale diviso da una bassa siepe, che affianca la «galleria» — demolita poi nel secondo tratto — che univa il palazzo ducale al Castello. La fantasia di chi disegnò il giardino si sbriglia nell'interno di ogni minore aiuola, in cui le siepi fiorite si avvolgo-no e svolgoavvolgo-no in motivi serpeggianti senza riposo. Nonostante la volubilità di queste decorazioni, il giardino «an-tico» rimane una pura espressione, chiara e geometrica, di architettura,

at-tuata col semplice disegno»2.

In seguito il carattere del disegno stori-co-urbanistico della città tende pro-gressivamente a consolidarsi con nuovi elementi che arricchiscono la struttura urbana originaria, ne è evidente esem-pio la mappa del Gatti (fig. 2) dove la continuazione del Palazzo Reale è stata risolta con un intervento importante, volumetricamente unitario, scandito dalle corti interne racchiuse dagli edi-fici.

Il progetto di Le Nòtre appare cosi nella parte a sud limitato dal fronte continuo di questo fabbricato e nella parte a nord dalla cinta dei bastioni, netto confine tra città e campagna. Il disegno stesso dei giardini, nella diver-sità e alternanza degli elementi che lo compongono, ribadisce l'idea della successione di spazi progettati per sin-gole parti tra di loro collegate dai lun-ghi viali alberati: ad es. il giardino di ingresso, il bastione con la geometria di aiuole (sostituito con una fitta e re-golare alberatura), il giardino sul fron-te est, il bastione di San Vittorio. Nuova risulta la dimensione spaziale impostata su assi e visuali particolari e che si dilata fino ad includere il pae-saggio esterno.

La descrizione ed il commento al pro-getto di Le Nòtre del Carità risulta particolarmente illuminante:

«Ottantamila metri non sono pochi per un giardino, sia pure giardino di un sovrano, ma l'area, regolare da un lato perché era segnata da maestosi edifici — esistenti o progettati — svolgentesi ad angoli retti, era irregolarissima dal-l'altro lato, poiché i bastioni, attuati, come voleva Carlo Emanuele, secondo le vere regole militari, generavano, ol-tre ad una linea perimetrale variamente spezzata, due violente strozzature. Il Le Nótre risolvè la questione nel modo più brillante, lasciò che l'occhio si perdesse nello spazio immenso, ove tale possibilità materialmente esisteva: e creò, invece, con l'aiuto degli alberi, uno «spazio ideale» ossia «suggerito»,

1 M. B E R N A R D I , Il palazzo Reale di Torino, Torino 1958.

2 R. CARITÀ, // Giardino Reale di Torino opera scono-sciuta del Le Nòtre, in Bollettino d'Arte, Roma, 4-6/1954.

ove l'orizzonte reale sarebbe stato troppo breve.

L'impostò la sua concezione su molte-plici assi, senza voler ignorare le stroz-zature imposte dai bastioni, anzi pren-dendole come punti importanti. Un primo asse si innestò su quello princi-pale del grande palazzo «nuovo» e ser-vi per riorganizzare il giardino cinque-centesco. Un altro, secondario e paral-lelo al primo, tagliò nel bel mezzo la strozzatura esistente fra lo spigolo in-terno del bastione e lo spigolo esin-terno del palazzo, ove si riuniscono i corpi di levante e quello di settentrione, e servi per impostare il bosco di tigli e di pla-tani, nel cui centro erano due aiuole. Un terzo asse, ortogonale ai primi due, divise a metà l'area compresa fra la

strozzatura suddetta e la zona destina-ta alle Segreterie (oggi Prefettura). Un quarto asse segnò a mezzo il bastione di S. Vittorio»2.

Fig. 2. Carta geografica della Real città di Torino A

m

Fig. 3. La successione storica degli interventi sui il giardino zoologico di Casa Reale - (perimetro con Giardini Reali:

il giardino «antico» - (fondo grigio scuro); il giardino di Le Nòtre - (fondo puntinatol;

pallini neri);

il giardino pubblico del primo N o v e c e n t o - (fondo gri-gio chiaro).

1.1.2. L'ampliamento del giardino,

secondo i progetti utopici del periodo napoleonico

Tra l'intervento di Le Nótre per il giardino del Palazzo Reale nella Torino sei/settecen-tesca e l'ampliamento dei giardini, dettato dallo sviluppo ottocentesco della città, tro-va posto un'inserzione di «utopia progetta-ta»; ci riferiamo ai progetti d'ampliamento e di abbellimento urbano dei primi anni del secolo XIX3.

Dopo l'ordine di demolizione delle mura, i programmi napoleonici su Torino — da convertire in «ville de plaisance», a dimo-strazione del ribaltamento avvenuto della condizione politica — tendono a sviluppare il concetto che per distruggere completa-mente l'idea di una città fortificata sarebbe assolutamente necessario dare ad essa un carattere più positivo. Ciò significava che, per Torino, una nuova immagine era ri-chiesta. Ora la più radicale trasformazione di una città militare è ovviamente la crea-zione di una «garden city»; e nell'ottobre del 1801 il prefetto francese La Ville, ricor-dando all'autorità cittadina che la grande popolazione di Torino, contenuta entro un recinto piuttosto ristretto, necessitava di passeggi pubblici, riprendeva anche una ri-chiesta per l'ampliamento della città. Que-sta sfocia poi nell'approvazione di uno dei progetti (quello di F. Bonsignore) e nel plauso per un secondo progetto (firmato da G. Pregliasco), che sviluppano questi temi. E in questi due progetti innovativi appaio-no due proposte d'ampliamento dei Giardi-ni Reali che ci interessano particolarmente perché inglobano, collocandole in una pro-spettiva nuova, le relazioni tra Giardini Reali / città esistente / città prefigurata. Il primo progetto, partendo dalla realistica considerazione che Torino non necessitava d'ampliamento a quel tempo e che a desti-nare l'enorme area delle mura abbattute a giardini e a pubblici passaggi sarebbe stato una follia, soprattutto in un periodo in cui la situazione delle finanze locali non lo per-metteva, proponeva una corona di giardini e di orti, tutt'attorno alla città esistente, che avrebbero potuto essere coltivati per fornire i necessari prodotti agricoli alla po-polazione e provvedere, insieme, al bisogno e al piacere del verde4. , Entro questa corona verde, e senza diffe-renziazioni, il Giardino Reale sarebbe stato ampliato in una striscia verde continua che correva lungo il tratto delle mura sino alla Porta di Po.

Proprio riguardo il progetto d'ampliamento dei Giardini Reali, le preferenze andarono tuttavia alla soluzione presentata dal Pre-gliasco che disegnava un più ampio e

pitto-resco «English Garden» ai piedi dei bastio-ni conservati del Giardino Reale, all'inter-no di un piaall'inter-no che aveva il gran merito di «dare a Torino quello che era mancante e cioè giardini, natura e un aspetto "rilassa-to" e di farlo con perfetta armonia con il carattere della città. Dopo una carriera de-dicata all'arte del divertimento e della ri-creazione, questo "garden designer", di fronte al problema dell'abbellimento della città era naturalmente propenso a concepire un disegno totalmente opposto al piano funzionale in una città militare come Tori-no».

La demolizione delle fortificazioni (suggeri-sce ancora Bergeron) doveva aver prodotto nella maggior parte dei cittadini una nuova visione della campagna che viene trasferita nel progetto di Giacomo Pregliasco, preci-sando una stretta relazione tra la città e la natura circostante.

«Egli ignorò i capricciosi e irregolari con-torni del luogo precedentemente occupato dalle fortificazioni per ricondurre invece il nuovo perimetro della città a un perfetto rettangolo formato da due viali paralleli ai due lati di un ampio canale».

Il progetto degli Edili (1806/1809)

riprende-rà con attenzione questo tema dell'amplia-mento, mentre gli sviluppi successivi ricon-durranno realisticamente gli spazi verdi estesissimi di queste utopie urbane disegna-te a dimensioni assai controlladisegna-te e circo-scritte.

Delimitato dai nuovi viali alberati, lo spa-zio che viene annesso ai Giardini Reali ri-mane così il solo «pezzo» del margine ver-de che era stato immaginato per la città, e che questa presto ingloberà totalmente, co-me isola verde tra i suoli edificati del nuo-vo reticolo urbano.

' Ci avvaliamo, qui di seguito, di citazioni e di riferi-menti ripresi dal lavoro di C. B E R G E R O N , Town Plan-ning in Turin, 1800-1865, from Napoleon I to the first Capital in Italy, 1972 (dattiloscritto).

4 II nostro autore si sofferma su questa proposta, che gli piace vedere come un primo embrionale esempio di «green belt», annotando anche alcune osservazioni sulle difficoltà di una inserzione progettata di passeggi pub-blici alberati tra gli appezzamenti orticoli privati e sul rischio dell'uniformità d'impianto che questi avrebbero reso necessaria «forse non troppo gravosa per un tori-nese abituato ad una lunga tradizione di regolarità di piano». Ci interessa qui sottolineare sia il tema sia le osservazioni a questo progetto dell'inizio dell'Ottocen-to, proprio oggi che si stanno riscoprendo, un po' con-venzionalmente, gli orti urbani.

Fig. 4. Il giardino zoologico ! scorcio) 1868 ca. IA.S.M.I

1.2. I Giardini Reali come area inter-na alla città

1.2.1. La sistemazione ottocentesca

del giardino basso

Con la mappa del 1892 (fig. 5) viene descritta una fase di trasformazione transitoria, che ha caratterizzato la parte bassa dei Giardini Reali, dovuta alla realizzazione del giardino zoologi-co del Re che avvenne intorno al 1862. La sua esistenza, nonostante l'interesse scientifico e la notevole dimensione an-che dell'area occupata, non ebbe lunga durata; si concluse infatti nel 1886, do-po che il giardino era stato per qualche anno affidato in gestione al comune di Torino.

Questo impianto5 si sviluppa intera-mente nella parte bassa, compresa tra i bastioni e corso San Maurizio, con ac-cesso dalla parte alta attraverso un via-le in rampa, tuttora esistente, situato sul lato est dove era collocato l'ingres-so principale.

Il giardino zoologico si disponeva, se-condo uno schema simmetrico, lungo un viale longitudinale parallelo al cor-so San Maurizio ai lati del quale si allineavano gli stabulari degli animali. Alcuni elementi di maggior importanza erano organizzati come occasione per interrompere la continuità del disegno e come conclusione prospettica dell'im-pianto (ad esempio il padiglione su cui terminava il viale centrale dello zoo). Nelle aree circostanti i filari alberati, variamente distribuiti, sembravano co-stituire invece l'unico elemento di dise-gno del verde (fig. 4).

L'ultima vicenda significativa, come si può vedere nello schema riassuntivo delle trasformazioni avvenute (fig. 3), risale al primo novecento con la co-struzione dell'attraversamento dei Giardini Reali, che viene a coinvolger-ne sia la parte alta che quella bassa, modificandone sostanzialmente l'asset-to: vogliamo qui anticipare il giudizio critico del Carità che affermava che con questo intervento l'area del giardi-no era stata «squarciata proprio nella parte di centro, per un'area relativa-mente piccola, ma con gravi effetti»2.

Fig. 5. Piano generale della città di Torino, Ufficio Tecnico Municipale 1892 (Archivio storico del Co-mune di Torino).

Nel documento Cronache Economiche. N.004, Anno 1982 (pagine 71-75)