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Scrive Alessandra Coppo «[…] le Lettere, per il loro carattere di autorappresentazione diventano il luogo privilegiato in cui il Tasso, attraverso un processo di sublimazione, trasforma la

III. E SSENZA DEL MALE MORALE

III. 1 Influenze filosofiche nella «Liberata»: tra platonismo e aristotelismo

35 Scrive Alessandra Coppo «[…] le Lettere, per il loro carattere di autorappresentazione diventano il luogo privilegiato in cui il Tasso, attraverso un processo di sublimazione, trasforma la

propria realtà biografica in un’esistenza idealizzata ed eroica» (All’ombra di malinconia. Il Tasso lungo la

sua fama, Torino, Le Lettere, 1997, 14). Si richiama l’attenzione anche a R.RAMAT, Lettura del Tasso

minore, Firenze, La Nuova Italia, 1953; G.RESTA, Studi sulle lettere del Tasso, Firenze, Le Monnier,

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

che gli son state rivolte,36 e soprattutto testimoniando l’avvenuto reintegro

nell’ambito di un pensiero religioso pienamente ortodosso, lontano dai dubbi metafisici nutriti in passato37 e suffragati da diverse dottrine filosofiche.38 La

lettera è strutturata, dunque, come vera e propria emendatio, sia della condotta morale giovanile del poeta che delle sue precedenti posizioni filosofiche, e segna un vero e proprio spartiacque tra due momenti della vita dell’autore. Tasso ha la preoccupazione di dimostrare e certificare la sua avvenuta e piena conversione alla fede cristiana, insistentemente perseguita tramite l’ufficio dei riti e dei sacramenti cattolici; e lo fa rettificando, attraverso Aristotele, posizioni abbracciate in passato:

Nè dirò già io, che l’uomo non è signore de l’apparenze, e che il credere non è operazione de la volontà, ma atto de l’intelletto, il quale crede ciò che da la ragione gli è mostrato per vero; onde in lui, non ne la volontà consiste la libertà de l’uomo: nè dirò che la volontà, seguace de l’intelletto, vuole solamente quello che l’intelletto prima sillogizzando ha concluso che si debba volere: nè dirò che quegli atti che non dipendono da la volontà, meritano o lode o biasimo: nè con questa dottrina de’ filosofi andrò mescolando qualche detto de’ cristiani, in mal senso convertito; come sarebbe a dire, che se la volontà potesse comandare a l’intelletto assolutamente, ch’egli credesse o non credesse a suo modo, questo imperio de la volontà sarebbe tirannico; ma che fra le potenze de l’animo non si concede tirannide, ma solamente civile o regio comandamento: onde, quando ancora si concedesse che la volontà fosse superiore a l’intelletto (al che pare che ripugni l’umana ragione) non si dee però concedere ch’ella tirannicamente eserciti il suo imperio. Non dirò queste cose, no: non piaccia a Dio, a cui piace sempre il bene 36 «Perciocché come ribello contra il principe mio signore per elezione, come ingiurioso contra gli amici e conoscenti, e come ingiusto contra me stesso (se contra se medesimo si può commettere ingiustizia) sono trattato; e sono scacciato da la cittadinanza, non di Napoli o di Ferrara, ma del mondo tutto […] Or che risponderò a queste tre grandi accuse? o qual testimonio potrò addurre in mio favore? Il vostro, signor mio, credo che potrà in una parte, se non del tutto scaricarmi del peso de l'infamia, almeno molto alleggerirmene» (Lett. II 123 9).

37 La lettera è stata letta come prova della miscredenza del Tasso da A.GAGLIARDI, Torquato

Tasso: Averroismo e Miscredenza, in ID., Scritture e Storia: Averroismo e Cristianesimo. Lorenzo de’ Medici,

Sperone Speroni, Torquato Tasso, Giordano Bruno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998, 125-72.

38 «Dunque non mi scuso io, Signore, ma mi accuso, che tutto dentro e di fuori lordo e infetto dei vizi de la carne e de la caligine del mondo, andava pensando di te non altramente di quel che solessi talvolta pensare a l’idee di Platone e a gli atomi di Democrito, a la mente di Anassagora, a la lite e a l'amicizia di Empedocle, a la materia prima d'Aristotele, a la forma de la corporalità o a l'unità de l'intelletto sognata da Averroe, o ad altre sì fatte cose de’ filosofi; le quali, il più de le volte, sono più tosto fattura de la loro imaginazione, che opera de le tue mani, o di quelle de la natura tua ministra» (Lett. II 123 15).

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

de le sue creature, che io sia malvagio, non solo cristiano ma filosofo; ma più tosto accuserò il mio errore, non solo con le ragioni sue e de’ suoi (che sue sono, poichè egli le inspira), ma con quelle ancora che i filosofici ingegni, non senza sua grazia, hanno ritrovato.

Tasso nega qui il sistema gerarchico che accorda all’intelletto il dominio sulle altre facoltà, rifiuta la possibilità che il credere proceda da un atto intellettivo e che la volontà si muova nella direzione indicata da quanto riconosciuto dalla ragione. È la volontà – e in questo “volontarismo” si gioca tutta l’adesione alla dottrina cattolica – a precedere l’intelletto. È a questo punto che Tasso ricorre allo Stagirita:

Dirò dunque con Aristotele, che l’uomo in gran parte è signore de le apparenze; e che se ciascuno è cagione a se stesso de gli abiti suoi, è anche in conseguenza cagione che una cosa gli paia d’una o d’altra maniera: perchè il giudicio seguita l’abito; e se l’abito è ne la parte morale o ne la volontà, ne segue che l’operazioni de

l’intelletto dipendano da quelle de la volontà e da le morali. Dirò anche co ’l medesimo

Aristotele, che la malvagità rende torto l’intelletto, ed è cagione che intorno a’ principii de l’operazione noi siamo ingannati, sì che il bene non può essere conosciuto se non da

l’uomo dabbene: con le quali autorità, male considerate da’ moderni filosofi, rimprovero io loro la loro ignoranza, la quale tant’oltre si stende, che usano d’affermare certissimamente, che la libertà de l’arbitrio sia ne l’intelletto, non ne la volontà. Che più? con

le medesime arme d’Aristotele andrò a ferirli, non ne le parti esteriori, ma nel cuore: che se Aristotele crede che de’ principii morali non ci sia ragione, sì come anche quelli de la matematica non si provano ma si suppongono, qual follìa è il voler cercare esquisita ragione de’ secreti d’Iddio e de la fede di Cristo? E se l’uomo,

bene operando secondo i costumi, si rende atto a ben intender la scienza morale; perchè non dee credere di non poter, cristianamente operando, farsi degno di ricevere il dono de la fede? dono

veramente, ma dono ch’è concesso a chi il dimanda, e a chi si prepara per riceverlo. E se chi vuole ricevere i principi mondani ne la casa sua, l’adorna e la pulisce e la netta di tutte le brutture e di tutte le sordidezze; chi vuole il signor Iddio nel suo cuore raccogliere, e farlo albergo e tempio de la sua fede, non userà diligenza alcuna in placare i moti de l’ira, in intepidire i fervori de la concupiscenza, in umiliar l’altezza de la superbia, in riempir la vanità de la vanagloria, in risvegliar la sonnolenza de l’accidia, in raddolcire il veleno e l’amaritudine de l’invidia? non laverà l’anima che per la contagione de le membra è contaminata, e immonda da mille carnalità e da mille brutture?

Il sistema morale disegnato qui dalle parole del Tasso è sostanzialmente volontaristico, in quanto ripone la libertà umana nella volontà e non nell’intelletto. Le operazioni intellettive dipendono dall’esercizio della volontà e non viceversa. La malvagità non proviene, quindi, da un errore intellettuale

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

ma da un cattivo habitus, responsabile della perversione dell’intelletto, al punto che il bene può essere conosciuto solo, come scrive Tasso, dall’«uomo dabbene». La gerarchia intelletto-volontà viene dunque ribaltata a vantaggio del secondo termine. Questo permetteva al poeta di sedare in parte i dubbi metafisici suggeriti e alimentati proprio dall’azione intellettiva, e di tentare una via di accesso alla fede attraverso una volontà educata all’adesione dei riti cattolici, e capace di indirizzare rettamente l’intelletto

[…] e col frequentare più spesso i sacri uffici, e col dire ogni giorno alcune orazioni, in questo stato, con qualche miglioramento, m’andava conservando; e la mia fede

s’andava di giorno in giorno più confermando: e col pensar di te, se non nel modo con

che si dee, almeno con miglior maniera che io non soleva, cominciava il mio intelletto

a presumere di se stesso meno che non era usato; e cominciava a conoscere chiaramente per prova, ch’egli ubbidisce la volontà, almeno in esercitar se stesso a voglia di lei; e che in buone speculazioni e in santi pensieri esercitandosi, si fa degno di ricevere la fede in dono da Iddio: de

la quale veramente si può dire, che sia atto de l’intelletto comandato da la volontà.

(Lett. II 123 13-18)

Tasso sente l’angoscia di non riuscire, con la sola ragione a credere, e le sue dichiarazioni, lette in controluce, sembrano testimoniare il tentativo, da parte sua, di esorcizzare la paura che davvero «la volontà» voglia «solamente quello che l’intelletto prima sillogizzando ha concluso che si debba volere»,39

piuttosto che sostenere la verità del contrario. Anche accordando un valore di onestà e autenticità alle affermazioni sostenute qui dal poeta, il fatto che queste si propongano di rettificare posizioni abbracciate in passato testimonia appunto che il Tasso, prima del suo “ravvedimento”, dunque in una data sicuramente anteriore al 1579, anno di composizione della lettera, poteva davvero ritenere che «la volontà» fosse «seguace dell’intelletto», attribuendo a questo l’unico vero primato. Lo scritto, dunque, lungi dal confutare l’adesione a un’etica fondamentalmente intellettualistica sembra invece corroborarla,

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

almeno per il periodo di nostro interesse, che concerne la stesura della

Liberata.

In conclusione, si può sostenere che le rispondenze tra le varie opere sincroniche alla prima Gerusalemme, in particolare le Considerazioni e, in seguito, l’Allegoria, portano a ipotizzare come alla base del sistema morale della Liberata vi sia sostanzialmente l’influenza intellettualistica della filosofia platonica, che riconduce l’errare umano a un difetto conoscitivo. Tale aspetto non sembra essere confutato nemmeno dalle successive posizioni dell’autore che, coerentemente con la dottrina cattolica, riconoscono nella volontà la sede della libertà umana attribuendole, così, totale dominio sull’intelletto e piena responsabilità dell’azione morale. L’altezza cronologica della missiva, successiva alla stesura del poema e coincidente con l’esperienza terribile della carcerazione al Sant’Anna, che porta l’autore a modificare atteggiamenti e sistemi di pensiero, rende inutilizzabili i contenuti indirizzati al Gonzaga ai fini di una comprensione del sistema morale della Liberata.

III. 2 Dalla parte degli avversari

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