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4 1 L’incertezza della conoscenza: il male subito

Questa parzialità della conoscenza umana che tenta inutilmente di afferrare una realtà che, concedendosi, al tempo stesso si sottrae al possesso intellettivo, non può che generare l’esperienza del timore, dell’angoscia e della paura. La penombra dell’ignoto, dell’occulto, dell’intellettivamente

123 Che gli itinerari della conoscenza siano analoghi a quelli del desiderio amoroso, destinati sempre alla frustrazione è stato messo in luce da S.ZATTI, L’uniforme cristiano…, 192 ss.

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

inafferrabile, che soggiace alla superficie fenomenica del reale, si impone come una pericolosa minaccia per la vita umana. Si sperimenta paura ma non si è in grado di comprendere cosa effettivamente la susciti.

È l’esperienza descritta dai personaggi che si addentrano nella Selva di Saron con l’intento di prendere il legname, e che si arrestano, sopraffatti da uno spavento inspiegabile:

Qual semplice bambin mirar non osa dove insolite larve abbia presenti, o come pave ne la notte ombrosa, imaginando pur mostri e portenti,

cosí temean, senza saper qual cosa siasi quella però che gli sgomenti,

se non che ’l timor forse a i sensi finge maggior prodigi di Chimera o Sfinge.125

(Gl XIII 18)

il timore, apparentemente immotivato, dà forma a spaventosi fantasmi che abitano la coscienza. Il terrore sperimentato è tanto più soggettivamente percepito, quanto è oggettivamente meno definibile. 126 Non siamo così

distanti da quanto Agostino si domanda nelle Confessioni, tentando di trovare una risposta al problema controverso del male:

Ecco Dio ed ecco le cose che lui ha create. Dio è buono e di gran lunga superiore a esse; però, essendo buono, egli ha fatto buone anche le cose e come tali le 125 È utile sottolineare la derivazione di questi versi dal De rerum natura lucreziano (VI 35 ss.). Non è forse l’ignoranza della vera natura delle cose a spingere gli uomini a temere e ad attribuire a divinità onnipotenti la ragione degli eventi inspiegabili della natura? «Nam veluti pueri trepidant atque omnia caecis | in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus | interdum, nilo quae sunt metuenda magis quam | quae pueri in tenebris pavitant finguntunque futura. | Hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest | non radii solis nec lucida tela diei | discutiant, sed naturae

species ratioque» e più avanti «cetera, quae fieri in terris caeloque tuentur | mortales, pavidis cum

pendent mentibu’ saepe, | et faciunt animos humilis formidine divom | depressosque premunt ad terram propterea quod | ignorantia causarum conferre deorum | cogit ad imperium res et concedere regnum» (T. C. LUCREZIO, De rerum natura [Nat.], intr. e tr. di F. Giancotti, Milano,

Garzanti, 1994).

126 A ben guardare è la stessa esperienza descritta da Alvida e comunicata alla Nutrice nel

Galealto: «temo e desio, | no ’l nego; ma so ben quel ch’io desio, | quel ch’io tema non so.

Tem’ombre e sogni, | e un non so che d’orrendo e d’infelice, | ch’un dolente pensiero a me figura | confusamente» (25-30).

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

avvolge e le riempie di sé. Ma allora, dov’è il male da dove è venuto e come ha fatto a penetrare il creato? Qual è la sua radice, quale il suo seme? O forse che non esiste? Perché, allora, abbiamo paura di una cosa che non c’è e la sfuggiamo? Se

temiamo il male senza ragione alcuna, questo stesso nostro timore è male in quanto ci tormenta il cuore senza motivo; ed è un male tanto più grave proprio perché non ha motivo. Dunque, o il

male che temiamo esiste, oppure il fatto stesso di temerlo è male.127

L’ipotesi dell’inesistenza del male, della sua non sostanzialità non ne elimina, in ogni caso, la sua soggettiva esperienza. Il temere un male è esso stesso male.

La realtà della foresta tassiana permette di legare il problema gnoseologico non più, e non solo, a un male agito, ma a un male patito. Ciò che c’è d’insondabile e inconoscibile nel reale, rendendosi inaccessibile all’uomo, ne suscita un’incontrollabile paura. La selva è il luogo emblematico del manifestarsi di quest’inguaribile cesura tra apparenza e realtà e questo è testimoniato dall’ausilio di avverbi o vocaboli dubitativi che suggeriscono al lettore la non corrispondenza tra fenomenico e reale. Alcasto, il più impavido tra gli eroi crociati, si arresta davanti a quello che gli sembra il fuoco della città di Dite – «e già calcato avrebbe il suol difeso, | ma gli s’oppone (o pargli) un foco acceso» (XIII 26 7-8) – e fugge all’apparire (28 1) di mostri e prodigi spaventosi. L’apparenza del reale esteriore può in qualche modo essere attraversata e vinta con l’ausilio di una ragione vigile e addestrata. Ciò che si rende impossibile ai comuni guerrieri irretiti sia nella ragione sia nel coraggio dall’«l’occulta virtù» (22 5), viene affrontato, invece, da Tancredi che riesce «a

esorcizzare il terrore analizzandolo e discutendolo».128 Con la ragione129

vince, infatti, le fiamme del fuoco di Dite e riesce a penetrare nelle profondità

127 A.AGOSTINO, Le Confessioni, Torino, Paoline, 1987, 136-7.

128 G. BARBERI SQUAROTTI, La selva incantata o lo specchio dei peccati, in L’onore in corte. Dal

Castiglione al Tasso, Milano, F. Angeli, 1986, 215-43: 227.

129 Questo incedere del ragionamento ben si esprime nei ragionamenti del paladino «Or s’oltre alcun s’avanza, | forse l’incendio che qui sorto i’ vedo | fia d’effetto minor che di sembianza; | ma seguane che pote» (Gl XIII 35 4-7).

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

boschive. Tancredi è soggetto, come gli altri crociati, alla difficoltà di tradurre il linguaggio del reale, esattamente come le incisioni, simili ai geroglifici egizi, che egli legge impresse nel cipresso che gli sta davanti: «fra i segni ignoti alcune note ha scorte | del sermon di Soria ch’ei ben possede» (39 1-2). Tale

situazione è paradigmatica della condizione umana, tra i segni ignoti del reale l’uomo è capace di decifrarne una piccolissima parte, e in questo limbo della conoscenza prendono corpo le ombre della paura e del male.

È opportuno notare che il dramma più radicale che la selva veicola è che il mistero, l’occulto, l’insondabile e l’inarrivabile non sono appena aspetti del mondo esteriore, ma sono contenuto costitutivo e inestirpabile del cosmo interiore dell’uomo. La foresta, com’è stato da più parti messo in evidenza, è «specchio delle debolezze di ciascun uomo».130 È tale abisso della coscienza al

cospetto di se stessa a determinare il naufragio di qualunque sforzo razionale. Proprio nell’episodio di Tancredi, Tasso tocca il limite più tragico del sistema etico che finora la Gerusalemme ha disegnato. Il sangue che fuoriesce dalla «recisa scorza» (41 3) e la voce di Clorinda che contemporaneamente supplica

il paladino di non infliggere altri colpi al tronco, sede dell’amata defunta, ne paralizzano ogni successivo tentativo di disincantare la selva. La reazione di Tancredi introduce a quest’altezza del testo una novità rispetto all’atteggiamento riscontrato finora nei personaggi tassiani:

Qual l’infermo talor ch’in sogno scorge drago o cinta di fiamme alta Chimera, se ben sospetta o in parte anco s’accorge

che ’l simulacro sia non forma vera,

pur desia di fuggir, tanto gli porge spavento la sembianza orrida e fera, tal il timido amante a pien non crede a i falsi inganni, e pur ne teme e cede.

(Gl XIII 44)

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

Nel paladino sopravvive a un certo livello quel dissidio tra ragione e sentimento, inesistente per gli altri attori del poema. Tancredi è parzialmente cosciente di trovarsi davanti a una seduzione fallace ma non è capace di sottrarvisi. Sospetta, si accorge che ciò che appare non è reale eppure l’azione non riesce a seguire l’intuizione della ragione, ma si paralizza, come preda di una malattia onirica. Certo, a prevalere è pur sempre una debolezza gnoseologica che non dà certezze ma intuizioni, eppure davanti a questa pur timida conquista della ragione, l’azione si trova impotente e inerme. Tancredi è personaggio paradigmatico non solo del naufragio di ogni tentativo conoscitivo volto a penetrare la vera essenza del reale, ma anche di ogni tentativo volitivo impotente nell’attuare ciò che seppur timidamente la ragione riconosce come vero.

III. 4. 2 L’incertezza della conoscenza: personaggio, narratore e lettore

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