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Il motivo del risveglio era già presente nel Rinaldo, quando il cavaliere, dopo essere redarguito in sogno da Clarice, trovandosi davanti alla sua statua prende coscienza e si pente de

III. 2 2 «Ecco io ti seguo ove m’inviti»: la scelta del male Due eccezion

III. 3 Dalla parte degli alleati 1 L’esercito crociato e il male non riconosciuto

75 Il motivo del risveglio era già presente nel Rinaldo, quando il cavaliere, dopo essere redarguito in sogno da Clarice, trovandosi davanti alla sua statua prende coscienza e si pente de

propri errori: «Di Clarice il ritratto ecco veduto | a caso viene al paladino in questa: | egli lo sguarda e sta pensoso e muto; | e come sia di pietra immobil resta; | Dopo gran spazio al fin, qual rinvenuto | da lunga stordigion l’uomo si desta, | tal con sùbito moto egli si scosse, | e la voce e le mani insieme mosse» (Rin. IX 88).

76 Il motivo del sonno viene richiamato due ottave dopo da Ubaldo: «Qual sonno o qual letargo ha sì sopita | la tua virtute? O qual viltà l’alletta?» (Gl XVI 33 1-2).

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

È solo la conoscenza che distrugge il giardino di Armida, poiché condanna definitivamente il mondo della sensualità come mondo del peccato. Bene esprimono tale aspetto le parole di Kierkegaard nello scritto dedicato al

Don Giovanni, la musica di Mozart e l’eros:

Ivi la sensualità ha la sua dimora, ivi ha le sue gioie selvagge, poiché essa è un regno, uno stato. In questo regno non abita il linguaggio, né la ponderatezza del pensiero, né il travagliato acquisire della riflessione, ivi risuona soltanto la voce elementare della passione, il giuoco dei desideri, il chiasso selvaggio dell’ebbrezza, ivi si gode soltanto in eterno tumulto. Il primogenito di questo regno è Don Giovanni. Ciò non vuol dire ancora che questo sia il regno del peccato, poiché va colto

nell’istante in cui si mostra nell’indifferenza estetica. Soltanto quando interviene la riflessione, si presenta come il regno del peccato; ma allora Don Giovanni è stato ucciso, allora la

musica tace, allora si vede solo la disperata caparbietà che s’oppone impotente, che non può trovare consistenza alcuna, nemmeno nelle note.78

Il ritorno di Rinaldo al campo crociato può davvero essere letto, in termini kierkegaardiani, come un passaggio dalla vita estetica del giardino alla vita etica della missione crociata. Adattando a questo episodio le parole di Maria Zambrano, davvero si può dire che «la verità, squarciando i propri veli», riconsegna l’uomo «all’unità, sua origine, lo reintegra» perché «conoscere è ricordare e ricordare è riconoscersi in ciò che è, in quanto essere: riconoscersi in unità».79 Riconquistando l’unità di sé, il paladino si reintegra nell’unità

dell’esercito crociato, coeso verso il raggiungimento di un medesimo e unico fine.

La conoscenza è la premessa necessaria al giovane Rinaldo per l’avvio di quell’iter penitenziale che, come ricorda Ghidini, 80 il decreto tridentino

riconosceva nella contritio cordis nella confessio oris e nella finale absolutio, e che

78 S.KIERKEGAARD, Enten-Eller, in Samlede Voerker, a cura di J. L. Heiberg, Kiøbenhavn 1920 ss., I-II; trad. it. Gli stadi erotici immediati, ovvero il musicale-erotico, in Enten-Eller, a c. di A. Cortese, Adelphi, Milano 1989, I-II: I, 156-8.

79 M.ZAMBRANO, Filosofia e poesia, Bologna, Pendragon, 2010, 52.

80 O.A.GHIDINI, Poesia e liturgia nella «Gerusalemme liberata», «Studi tassiani», LVI-LVIII (2008- 2010), 153-80: 166.

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

l’ottava 9 del canto XVIII ben riassume.81 Solo dopo tale processo catartico,

che si compie con l’ascesa al Monte Oliveto, il cavaliere sarà in grado, unico tra tutti, di liberare la selva di Saron dai malefici incanti.

Che il male morale sia riconducibile sostanzialmente a una debolezza conoscitiva è ulteriormente provato dal fatto che tra «gli aiuti esterni ed interni» grazie ai quali «l’uomo civile superando ogni difficultà, si conduce a la desiderata felicità», ricopre uno spazio fondamentale la preziosa figura del Mago di Ascalona che rappresenta, non a caso, «la umana sapienza». Che tale cognizione assuma una «significativa valenza morale», al punto da ipotizzare, come fa Potente, una coincidenza tra senso morale82 e conoscenza naturale, è

Tasso stesso a suggerirlo:

da l’umana sapienza e da la cognizione dell’opere della natura, e de magisteri suoi, si genera e si conferma negli animi nostri la giustizia, la temperanza, il disprezzo della morte e delle cose mortali, la magnanimità, ed ogn’altra virtù morale: e grande aiuto può ricever l’uomo civile in ciascuna sua operazione da la contemplazione.

(Allegoria 27)

Questi aspetti sono confermati maggiormente nel testo dall’atteggiamento irreprensibile assunto da Carlo e Ubaldo nel giardino di Armida, reso possibile solo grazie ai precedenti avvertimenti del Saggio. I due guerrieri, infatti, prima di intraprendere la missione volta al recupero di Rinaldo, vengono opportunamente istruiti dal Mago di Ascalona sugli ostacoli che impediscono l’accesso al castello della maga e sulle modalità per superarli. Il racconto del vecchio saggio, con il suo valore di analessi e prolessi insieme, permette ai due cavalieri di acquisire una conoscenza completa sull’intera vicenda e consente loro di resistere a quelle stesse insidie che si erano dimostrate letali per tutti gli

81 «Così gli disse; e quel prima in se stesso | pianse i superbi sdegni e i folli amori, | poi china-to a’ suoi piè mesto e dimesso | tutti scoprigli i giovenili errori. | Il ministro del Ciel, dopo il concesso | perdono, a lui dicea: “Co’ novi albori | ad orar te n’andrai là su quel monte | ch’al raggio matutin volge la fronte”» (Gl XVIII 9).

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

altri soldati. In questo modo la realtà percepita attraverso i sensi viene vagliata dalla facoltà razionale che, attraverso il ricordo vivo delle parole del mago, può indirizzare rettamente l’azione. Carlo e Ubaldo non sono immuni dalla seduzione di quanto li circonda, ma antepongono a questa l’uso di una ragione che ora è finalmente vigile. Così l’attrazione generata dalla vista della fonte del riso viene superata dal divieto razionale che impone ai cavalieri di «tenere a fren» il «desio» ed «essere molto cauti» chiudendo le «orecchie al dolce canto e rio» delle false sirene (Gl XV 57). La dinamica fascinatoria del piacere sensuale non arriva più a irretire la ragione assopendola, ma si arresta davanti a una conoscenza capace di penetrare la realtà nella sua verità più profonda. Tale aspetto è eloquentemente testimoniato dall’ottava conclusiva del canto XVI che offre uno scorcio interno degli atteggiamenti esteriori dei due cavalieri, i quali, «indurate e sorde | l’alme» alle lusinghe perfide e bugiarde (65 5-6) delle

allettanti «natatrici ignude» (59 1), riescono a vincerne le seduzioni: E se di tal dolcezza entro trasfusa

parte penètra onde il desio germoglie, tosto ragion ne l’arme sue rinchiusa sterpa e riseca le nascenti voglie. L’una coppia riman vinta e delusa, l’altra se ’n va, né pur congedo toglie.

(Gl XV 66)

Carlo e Ubaldo, come accenna Giamatti, in virtù del fatto che vengono avvisati dal Mago di Ascalona sono per questo letteralmente salvati.83 Nel

poema tassiano, fatta salva qualche eccezione di cui si dirà in seguito, l’acquisizione di conoscenza porta necessariamente alla pratica della virtù: dal momento in cui si conosce veramente il bene, come dimostrano gli esempi sopra citati, non si può non praticarlo.

Daniela Marredda, Il problema del male nella «Gerusalemme Liberata» di Torquato Tasso, Tesi di Dottorato in Scienze dei Sistemi Culturali, Università degli Studi di Sassari.

Tale concezione però sopravvive nel testo solo all’interno di una dimensione che accorda il primato alla grazia divina. Affinché l’anima possa perseguire la «moral virtù» ed essere liberata totalmente dal vizio, occorre che l’«umana sapienza» sia indirizzata da «virtù superiore»; per questo è necessario, come si diceva sopra, che Rinaldo per disincantare la selva, riceva l’assoluzione dall’Eremita, passando così da una semplice dimensione umana a uno stato di grazia. L’Eremita, non a caso, nel testo rappresenta la «cognizione sopranaturale ricevuta per divina grazia» e la sua relazione con il Mago di Ascalona indica la necessità di una subordinazione della conoscenza umana alla più grande sapienza divina. Questo è l’unico compromesso che può darsi tra filosofia e teologia, una subordinazione del primo termine al secondo, operazione resa possibile da «san Tomaso e da gli altri santi Dottori» (Allegoria 27). La «grazia d’Iddio» e l’«umano avvedimento» (29) sono conditio sine qua non per il possesso di un bene al tempo stesso politico-sociale – che si realizza con la vittoria crociata, possibile solo con il ritorno dei cavalieri sotto l’egida di Goffredo – e personale, frutto di un recuperato equilibrio tra le diverse facoltà dell’anima.

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