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Una piccola baia sulla costa siciliana. Sera autunnale con foschia di scirocco. Cielo e mare grigioconfusi all’orizzonte. Acqua ferma. Loro due tutti soli a se- dere sul camminamento in cemento sbrecciato lungo cabine abbandonate e salmastre. A sinistra, sulla lingua di sabbia che porta al promontorio roccio- so, due pescatori lavorano alle reti con la barca in secca. Voci lontane quasi impercettibili.

Davanti, crepitare di minuscoli pesci quasi a riva. Saltano tutti insieme come un unico organismo multiplo e sincronizzato bucando l’acqua pigra di risacca. Lunghi minuti a osservarli. Saltano quando, nel nuotare a pelo d’ac- qua, gli balena dall’alto l’ombra o la forma di un gabbiano alla sua ultima pe- sca prima della notte. Saltano e si rituffano in un baleno, forse per disorien- tare quel becco puntuto e deciso come un bisturi che li insidia dall’altro rea- me dell’aria, per non dargli un punto di riferimento nel loro regno d’acqua. Tutti quanti, a centinaia, sembrano eseguire all’unisono questo schizzo tra i due regni per salvare la vita di un unico individuo, il pesciolino che, per il gio- co del caso o per una necessità imperscrutabile fissata dall’inizio dei tempi, fi- nirebbe altrimenti nella strozza del gabbiano a fermargli lo stridìo con cui im- pazza nella sera. Innumerevoli crepitii di pesci. Infinite svolte di minuscole vi- te. Esiste un destino del singolo individuo in questa caccia incessante?

Nel grigio sempre più uniforme del crepuscolo, ecco che si avvicina a lo- ro una vecchia, sciamannata ma benportante, che dopo un primo saluto deci- de immediatamente di raccontare loro tutta la sua vita. Tutta! Come è capita- ta da queste parti e c’è rimasta per sempre, pur non essendo siciliana (e parla ancora con un vago accento settentrionale). Il padre era stato dirigente della filiale di una importante industria francese prima della guerra. La madre era morta di cancro all’inizio degli anni Trenta. Vivevano allora in un quartiere esclusivo alla periferia di Milano, residenza di giornalisti famosi, come Bruno Roghi, vi dice niente il nome? Eccome, raccontava le gesta del ciclismo epico quando non c’era ancora la televisione. Lei, adolescente, faceva la bella vita. Poi la tragedia della madre. Due o tre anni dopo il padre si risposa. Odiata matrigna per sempre.

Nel ’38 i tre visitano la Sicilia, in vacanza. E lì, qui, in questa stessa baia, in una giornata luminosa di febbraio, già alto il sole e azzurrissimo il mare, lei,

diciottenne, vede, insieme al padre e alla sua compagna detestata, una miria- de di testoline bionde che sciaguattano, quasi ferme, al largo.

Fa notare che nemmeno cercavano di riscaldarsi nuotando: si godevano un bagno fuori stagione senza soffrire apparentemente il freddo, forse anche perché qui il mare è divino, è mitico, assoluto. Brigata di giovani tedeschi, cer- to abbienti, forse aristocratici, pura razza ariana, venuti qui a svernare o a sprecare un po’ del loro ricco tempo. C’era perfino, allora, un treno diretto da Berlino alla Sicilia. Visti così, allegre testoline bionde al largo nella festa del mare antichissimo.

Ed ecco, a questo punto, si ha la svolta della sua intera vita. Il padre co- munica loro che qui è il paradiso, lascerà tutto e verrà a vivere in questa baia per il resto dei suoi giorni e qui vorrà morire. Niente più affari e feste e in- contri mondani nella affollata Milano. Compra una villa. Si trasferiscono con tutte le loro cose. Tagliati i ponti col passato. La ragazza si sente morire, qui, ora, in questo angolo sperduto. E presto decide di fuggire al Nord e di far per- dere le sue tracce. La riprendono ad Acireale. Il padre si addolora, la matri- gna non vuole vederla per giorni, ma le lascia in camera un biglietto minato- rio. Ormai è prigioniera. Chissà, dice, che cosa sarebbe stato della mia vita se fossi riuscita a eclissarmi lassù lontano in quegli anni Trenta. Sparire. Rico- minciare da sola nell’incoscienza della sua giovinezza.

Vecchia zingara dai capelli bruni e ricci intorno a una faccia pienotta do- ve spuntano due occhi neri lucenti e ironici, ma ogni tanto perplessi come se non riuscissero a divinare le alternative di vita mancata (lì sta la sua curiosità di fondo e lì la sua domanda filosofica, quella che la spinge a raccontare la sua vita di punto in bianco a due sconosciuti), vecchia zingara che scende a ritro- so le tracce della sua esistenza, come se avesse davanti non tanto i loro occhi interessati e interdetti quanto la sua mano rugosa da leggere per interpretare il proprio passato, vecchia zingara, sibilla greca di tardo millennio, li condu- ce quindi a ulteriori bivi dove il destino le si biforcò davanti, e lei prese la via destra o la via sinistra. Ed eccomi qua, settantaseienne – ma li porta bene; qui sto, con questi pescatori, in questa baia, sotto questi sproni di monte, con las- sù, nel paese di ***, mio figlio vicesindaco, ne parlano i giornali anche oggi, ricordatevelo, si chiama ***, il mio unico figlio, avvocato, bravo.

Ma bisogna tornare indietro. Si trasferirono in Sicilia. Ben presto, però, la ditta francese insistette affinché il padre andasse a gestire le vendite in Africa, nelle colonie italiane, perché, dice, nel frattempo era stato proclamato l’Im- pero. E andarono. Qualche anno in quelle terre sconfinate, tra governanti in camicia nera, balli in ambasciate, safari nelle savane e forse, davanti, spiragli di possibili amori, quand’ecco che scoppia la guerra e devono rientrare. Chis- sà, non lo dice, forse le sembra implicito, la ditta francese ruppe con i nemici italiani. Fatto sta che rientrarono in questa stessa baia accesa di sole sotto i barlumi ombrosi dei gabbiani. Di qui partivano missioni di guerra. I tedeschi

avevano requisito la villa sulla sinistra della spiaggia. Accanto, c’erano anche le forze italiane dei famosi MAS, comandate dal celebre capitano o colonnello Nardi. Diventarono amici del padre e quindi anche della ragazza. I MASpar- tivano di qui per compiere missioni contro le navi inglesi stazionate a Malta. Non durò molto. Nel ’43 giunse la notizia che gli alleati erano sbarcati a sud dell’isola. Il comandante tedesco, prima di ritirarsi con le sue truppe, av- vertì il padre che gli americani mandavano in avanscoperta i marocchini e quindi non sarebbe stato prudente tenere lì, esposta ai loro assalti sessuali, una ragazza di venticinque anni. In un primo momento, pensarono di nasconder- la per qualche tempo in una specie di grande pozzo senz’acqua alle spalle del- la baia. Poi scartarono l’idea e, su suggerimento del Nardi, progettarono la spedizione della ragazza, e di un’altra più o meno della stessa età, a Pisa, do- ve abitavano alcuni loro parenti. Partirono su una camionetta militare. A Mes- sina non c’erano più traghetti. Dovettero passare lo stretto su una imbarca- zione paramilitare, provvista di una grossa lamiera trasversale sul ponte – non si attarda a spiegarne né la forma né la funzione – dietro la quale avrebbero dovuto rifugiarsi, da una parte o dall’altra, se fossero stati attaccati dagli aerei (tedeschi, americani, inglesi?). Nel villaggio calabrese dove attraccarono do- vettero constatare che non esistevano più nemmeno collegamenti ferroviari con il Nord. Quindi, sempre su raccomandazione del Nardi, raggiunsero Na- poli dopo molti giorni su una carretta militare che evidentemente riusciva a tenere frequenti contatti telefonici o telegrafici con vari comandi dell’arma.

La ragazza si era lasciata dietro il padre e l’odiata matrigna, mentre il fi- danzato era stato arruolato nell’esercito e spedito in Africa, dove era stato fat- to prigioniero, e avrebbe passato sette anni di strazi – dice anticipando even- ti posteriori –, e alla fine gli era toccata la morte, non si sa come. Lei e la sua amica, intanto, erano arrivate in qualche modo a Pisa, dove si trattennero per qualche tempo. Poi scesero a Roma, da altri parenti, e fu lì che assistette alla liberazione. Prima, aveva visto gli italiani marciare derelitti e cenciosi nella di- sfatta; ora, vedeva i tedeschi lasciare Roma, smagriti e plumbei, trascinando- si armi e bagagli su bidoni e carretti della spazzatura. Entrarono gli america- ni su carri armati e su blindati, allegramente distribuendo cioccolate e che- wing-gums. Gran fracasso della guerra nella sua mente frastornata: attacchi, ritirate, umiliazioni, complicità. E gli anni della sua giovinezza, un tempo do- rata, passavano tra sfolgoranti, agghiaccianti, svolte di vita e di morte. Lei scampò a tutto.

E infine fece ritorno nella baia. Morto il fidanzato, si mise con uno di questo stesso posto, il proprietario di una villa o pensione, che indica loro sulla collina, e lo sposò. Il padre morì non molti anni dopo. Gli ultimi inver- ni aveva dovuto lasciare quella baia che lo aveva fatto dirottare dal binario principale della sua vita – e aveva spostato anche la giovane vita della figlia – perché il cuore e l’asma non sopportavano l’umido invernale. Salì al paese ar-

roccato sul monte. Lui, già direttore della grande filiale francese per l’Italia, volse gli ultimi sguardi ai faraglioni conficcati nel bagliore del mare greco quando si levava il sole a ricordargli, con la crudeltà della sua luce sempre ac- cesa negli immensi spazi, la morte imminente. La matrigna ordiva disegni sempre più confusi. La vita della ragazza, ormai sposata, ormai madre, si era definitivamente incagliata nella baia dove tanti anni prima le testoline bion- de, beate nel mare d’inverno, avevano attratto l’intero desiderio di vita di suo padre.

La luce cala sempre più nella foschia della sera. Due pescatori vengono a prendere la vecchia per darle un passaggio per il paese lassù in alto. Ven- go, dice, ho appena raccontato a questi signori la mia vita. «Via col vento!», aggiunge voltandosi con un guizzo quasi allegro negli occhi bui. E se ne va scalcagnata, e tuttavia ancora forte, su per le scalette che la porteranno alla strada statale. Si è letta ad alta voce la mano della vita. Si è fermata ad ogni bivio. E qui sono, vuole dire, perché è andata così, e così, e così. Sapete spie- garmi perché?