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Alexander Sprengler e l’avvio della terapia a Davos

I sanatori in Europa nel secondo Ottocento

2.3. La terapia nei sanatori di montagna

2.3.1. Alexander Sprengler e l’avvio della terapia a Davos

Alexander Sprengler41 intraprese la strada della tisiologia dopo aver

affrontato la malattia polmonare in prima persona ma, a differenza dei colleghi tedeschi, di Brehmer e dello stesso Dettweiler, diresse da subito i propri studi verso la cura d’aria in altura dal momento in cui vinse la condotta nell’allora remoto paese di Davos nel 1853. La bassa incidenza della patologia tubercolare tra le popolazioni d’alta quota lo indusse ad intraprendere uno studio statistico al termine del quale arrivò a sostenere il carattere benefico della località per la cura delle patologie polmonari: i nativi di Davos che erano emigrati in gioventù e che avevano contratto la tubercolosi in ragione delle cattive condizioni di vita in pianura, si ristabilivano rapidamente una volta ritornati al paese.

Ben presto Sprengler iniziò ad ospitare malati venuti dal piano per brevi soggiorni estivi e, a partire dal 1865, cominciò ad applicare la terapia d’aria anche a pazienti in soggiorno permanente (durante tutto il corso dell’anno).

I risultati conseguiti si basavano sulla ricetta del riposo obbligato e dell’alimentazione abbondante, degli esercizi fisici atti a migliorare la resistenza dell’organismo agli agenti atmosferici ed alla penetrazione del morbo. I pazienti trascorrevano le ore all’aria aperta coperti da pellicce e si sottoponevano alla doccia scozzese ed al regime alimentare ipercalorico. La terapia seguiva a grandi linee il metodo di Brehmer, per quanto la disciplina fosse forse meno pronunciata anche a causa della mancanza di una struttura confinata come quella di Goerbersdorf. Sprengler, infatti, riceveva nel proprio ambulatorio i pazienti che trovavano ospitalità nelle pensioni e negli hotel che, proprio in ragione di questa domanda, cominciavano a sorgere nella valle.

41 Alexander Sprengler (1827–1901) era tedesco di nascita ed emigrato in Svizzera dopo i

moti del marzo 1848. Abbandonato lo studio del diritto, intraprese quello della medicina presso Zurigo.

Solo a partire dal 1866 egli poté assumere la direzione di uno stabilimento di cura interamente dedicato ai malati di petto presso la

prima Kurhaus di Davos, aperta nel 1866 da Willem Jan Holsboer42,

figura che ben rappresenta il lato imprenditoriale della lotta alla tubercolosi, su cui la storia della medicina tende talvolta a sorvolare, e che può ben dirsi una personalità determinante per lo sviluppo di Davos. Al momento dell’inaugurazione la struttura occupava un semplice edificio a blocco di quattro piani lungo la strada principale del paese e poteva ospitare una cinquantina di persone. Dopo il rovinoso incendio del 1872, venne ricostruita integralmente sulle vecchie fondazioni ma in foggia più moderna, movimentando la pianta con due avancorpi alle estremità e rinunciando al tradizionale tetto a falde. La pianta a “T” permetteva così di ospitare una breve e riparata veranda addossata al lato meridionale dell’edificio. Il numero delle camere crebbe fino a 64 e la capienza fu ulteriormente aumentata dalla costruzione di alcune dependance distribuite nel parco: la villa Wohlgelegen, la villa Helvetia, la Germania, la Batava e la Britannia. All’edificio principale venne poi aggiunto un volume laterale che ospitava un grande salone per feste e riunioni.

Dal 1882 Sprengler riuscì ad operare in una propria clinica, un piccolo stabilimento ottenuto dall’ampliamento della casa canonica grazie all’appoggio della comunità Evangelica di Davos. A quell’epoca, tuttavia, la speranza di guarigione connessa con la permanenza in alta quota aveva già reso celebre il nome di Davos che in pochi anni si trasformerà in una grande e cosmopolita città d’alta quota43.

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Wilem Jan Holsboer (1833–1899). La leggenda vuole che egli vi sia giunto insieme alla giovane moglie tubercolosa e che questa, nonostante l’intervento di Sprengler, morì dopo pochi mesi. Holsboer, tuttavia, dovette intuire le potenzialità del luogo e avviò il primo Kurhaus proprio insieme al giovane medico tedesco. L’affare si dimostrò indovinato così che, dopo aver ingrandito e ammodernato la clinica nel 1873, egli si dedicò allo sviluppo della stazione climatica che andava attirando interessi e capitali da tutta Europa. Fu tra i promotori della linea ferroviaria da Landquart, del servizio di diligenza a cavallo che collegava i paesi della valle e, soprattutto, compare quale principale azionista dell’impresa Davos – Schatzalp. Q. MILLER, op. cit.

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«[…] Questa stazione a 1600 m è ormai celebre in tutto il mondo; fatta conoscere dal dott. Sprengler, divenne ben presto la città dei tubercolosi. Ma appunto per questo Davos è esposta ai pericoli ed inconvenienti delle grandi agglomerazioni urbane […]»F. DONATI, op.

2.3.2. Karl Turban e la cura in quota negli stabilimenti confinati

Il buon esito degli esperimenti di Alexander Sprengler e il grande numero di malati che si recavano a Davos nella speranza di trovare guarigione in quota, determinarono, nel corso degli anni Sessanta e Settanta, la nascita di numerose Kurhaus che offrivano ospitalità alberghiera e speranza di guarigione talvolta anche in assenza di dotazioni medico-scientifiche adeguate.

La diffusione di queste strutture raggiunse il suo culmine negli ultimi due decenni del secolo. I malati vi soggiornavano in gran numero ma gli effetti benefici del clima montano venivano il più delle volte vanificati dall’assenza di un precisa impostazione igienica e ambientale e dalla mancanza di disciplina nell’affrontare i lunghi tempi della cura sanatoriale.

Al principio del 1890 si contavano a Davos tre sanatori veri e propri: quello del dott. Sprengler, ancora consistente in un fabbricato modesto e affatto specializzato; il sanatorio popolare della città di Basilea diretto dal prof. Kundig; il sanatorio del dott. Turban. Questi stabilimenti non erano tuttavia sufficienti ad accogliere i quasi 3000 malati che affollano la città ogni anno e in ogni stagione e che si spargevano negli hotels, nelle grandi e piccole Kurhaus e nelle numerose pensioni. La maggioranza dei tubercolosi si dedicava ad una forma di cura libera con tutti gli indugi connessi ad una lunga e monotona degenza con oscillazioni alle regole di aerazione, al regime

alimentare ed al trattamento generale44.

I progressi della terapia e della ricerca medica furono gradualmente recepiti anche dall’architettura degli stabilimenti perché, al fine di assicurare un trattamento sistematico dei pazienti e di poterne verificare la buona applicazione, era necessario disporre di stabilimenti detti fermés.

Nel 1889 il dottor Karl Turban aprì a Davos la prima stazione terapeutica con regime di degenza controllato e la capienza di 60

44

I dati sull’affluenza di malati presso Davos nei venti anni a cavallo dell’inizio del secolo sono riportati in K. TURBAN, Tubercolose - Arbeiten 1890 - 1909, Davos 1909.

letti45. I pazienti erano qui sottoposti ad un trattamento terapeutico rigoroso che, pur non introducendo nessuna sostanziale novità rispetto ai predecessori ed essendo ancora una volta basato sulla triade riposo - alimentazione–aerazione, esaltava i precetti igienico ambientali sia per l’allestimento del luogo sia riguardo alla condotta personale del malato46.

La galleria di cura era sempre più evidentemente il luogo dell’azione terapeutica destinato ad ospitare il momento specifico in cui si esplicava l’azione della terapia ambientale. I malati erano chiamati a rispettare scrupolosamente la disciplina degli orari ed il silenzio durante le ore del riposo in galleria pena l’espulsione dallo stabilimento47. La cura del riposo occupava da cinque a sette ore nel corso della giornata ed era interrotta dal ricorrere dei pasti, dalle leggere passeggiate, dalle visite mediche frequenti e colloquiali. Con questo metodo, Turban puntava soprattutto a migliorare la resistenza dell’organismo ma anche ad aumentare il grado di partecipazione psicologica alla terapia da parte del paziente, rispetto alla molle e lussuosa degenza degli stabilimenti di metà Ottocento nei quali si praticava una terapia del riposo più blanda e dove i lunghi soggiorni si caratterizzavano più per la raffinata ospitalità d’impronta alberghiera che non per il rigore scientifico della terapia ambientale.

Turban raccomandava un’organizzazione precisa della vita all’interno del sanatorio ma il modello alberghiero – termale con il quale erano abituati a misurarsi i costruttori di Davos non poteva soddisfare le sue prescrizioni terapeutiche. Solo nel 1889 poté inaugurare il proprio stabilimento nella parte alta della conca di

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Il dottor Turban (1856 - 1935) era nato a Karlsruhe e aveva, come molti celebri colleghi, contratto la malattia da cui era guarito in seguito ad un ciclo di terapia sanatoriale secondo il metodo avviato e sviluppato da Brehmer e Dettweiler.

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«[...] le repos, l’air et le soleil ne suffisaient pas pour guérir: la discipline devint la maxime dominant la thérapie: Le débutant prenait connissance avec étonnement de tout le rituel, de l’organisation et des activités en essayant de comprendre [...]». K. TURBAN,

Quelques détails du diagnostic et du traitement de la tuberculose pulmonaire, par M. le Dr K. Turban,... communication faite à la section médicale de l'Association sanitaire de Milan, in

«Bulletin médical», impr. de Tancrède R., Parigi giugno 1913, p. 12.

47 «[...] vous vous trouvez montre en main à deux heures moins trois sur le pont de

commande de la galerie de cure. A deux heures sonnantes, je ne veux plus savoir aucun movement sur la galerie, est-ce bien compris? [...]». Ivi, p. 18.

Davos, in un sito riparato e soleggiato in mezzo ad un parco di sette ettari.

Il fabbricato centrale constava di quattro piani fuori terra e la facciata sud si articolava in un avancorpo centrale e due propaggini laterali coronate da tradizionali coperture a falde inclinate. Nel complesso si trattava di un edificio meno imponente rispetto agli stabilimenti precedentemente descritti e la principale novità del suo impianto era la disposizione planimetrica a corpo singolo con tutte le camere affacciate a mezzogiorno, mentre lungo la parete nord correva il corridoio di distribuzione che serviva in tal modo anche i bagni e le scale48. Il piano terra era occupato dal vestibolo, dalla sala di lettura, da alcuni salottini con funzione di spogliatoio e dall’alloggio del custode. Le finiture interne erano già decisamente orientate ai precetti igienici che Turban formulerà di lì a qualche anno e vedevano impiegati materiali lavabili per il rivestimento dei pavimenti e delle pareti mentre erano abolititi i tappeti, le tende ed ogni possibile ricettacolo di polvere e sporcizia. La galleria di cura era formata da un’unica e continua veranda che collegava l’edificio principale alle due dependance, lo chalet Johanna e lo chalet Luise, a formare una struttura mista tra lo schema a padiglioni separati e quello a corpo unico. Questo impianto, insieme alla scelta tipologica del corpo semplice che permetteva a tutte le camere di godere della migliore esposizione, faceva del sanatorio Turban uno stabilimento assolutamente moderno rispetto alla concorrenza e traduceva nelle forme architettoniche il rigore e la modernità del trattamento

terapeutico che vi veniva praticato49.

Nel 1893, dopo i primi cinque anni di esperienza clinica, Turban pubblicò un fascicolo di norme a carattere igienico – architettonico per l’impianto delle stazioni terapeutiche per malati polmonari nel quale definiva le condizioni e le esigenze applicabili alle stazioni di moderna concezione. Le raccomandazioni prevedevano accurati studi

48

L’edificio, oggi distrutto era stato progettato a quattro mani da Turban e dall’architetto zurighese Erdmann Hartig; a sovrintendere i lavori di costruzione era stato invece Gaudenz Issler di Davos.

49 «[…] per grandiosità e modernità di costruzione, per l’applicazione dei precetti igienici

ed attuazione d’ogni desideratum d’una vita buona, può stare a pari con Hohenhonnef […]» F. DONATI, op. cit.

preliminari sul clima, sulle precipitazioni e sull’orientamento dell’edificio in relazione all’esposizione solare, tutti fattori determinanti nella scelta del luogo in cui costruire. Per quanto possibile la costruzione avrebbe dovuto consistere in un unico edificio che, oltre ai locali dell’amministrazione, agli ambulatori medici e alle camere dei pazienti, potesse contenere una sala da pranzo ed un salone. Le ali laterali, leggermente incurvate a proteggere dai venti il cortile – terrazzo davanti al sanatorio, ospitavano le gallerie di cura comuni orientate a pieno mezzogiorno. La separazione tra i sessi era assicurata dall’impianto planimetrico perfettamente simmetrico con una zona centrale flessibile che, secondo la domanda, avrebbe potuto accogliere degenti di ambo i sessi. Non mancavano le indicazioni relative alla dotazione minima di volume per le camere di degenza (fissata in 30 mc/camera), all’uso di serramenti a tutta altezza in grado di arieggiare e illuminare le camere e le raccomandazioni per materiali, finiture lavabili e igieniche 50.

Va rilevato come Turban non prevedesse la necessità dei balconi davanti alle camere perché questa funzione avrebbe dovuto essere compiutamente assolta dalle gallerie di cura comuni nelle quali sarebbe stato più agevole esplicare l’azione di controllo da parte del medico direttore. Il carattere estremamente razionale di un edificio così descritto corrispondeva anche all’esigenza, sempre più condivisa, di efficienti stazioni di cura di tipo popolare. Davos non era più il lieu

immunisé del parco di Goerbersdorf ma una stazione climatica per

malati polmonari, con regole comportamentali precise al cui rispetto era direttamente connesso il buon esito della terapia. Proprio questo cambiamento nella metodologia di cura connesso al maggior controllo disciplinare del malato consentì di aumentare sensibilmente le percentuali di guarigione permettendo, anche agli enti di pubblica assistenza, di affacciarsi alla costosa impresa del sanatorio alpino.

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Figura 17 – Veduta invernale e pianta del piano tipo del sanatorio del dott. Turban a Davos, 1890 circa (da F.DONATI, op. cit., p. 13)

Figura 18 – Veduta e piano terra del sanatorio popolare della città di Basilea a Davos (da F. DONATI, op. cit., p. 13)