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I sanatori in Italia, 1900-

SANATORIO RELATORI GUARIGION

3.3. Il sanatorio del Gottardo

La storia di Fabrizio Maffi e del sanatorio del Gottardo procedette parallela a quella di Ausonio Zubiani e del sanatorio di Sortenna. La loro prossimità temporale e geografica induce a raccontarle insieme nel tentativo di tratteggiare, con esse, il quadro della lotta antitubercolare in Italia all’inizio del XX secolo.

3.3.1. Fabrizio Maffi, vita di un medico socialista

Fabrizio Maffi nacque a San Zenone Po il 2 ottobre 1868 in un famiglia di origine contadina. Il padre Francesco, zoccolaio, si era conquistato a fatica il posto di segretario comunale, condizione che gli permise di avviare il figlio agli studi classici.

Fin dalle scuole, il giovane Maffi fu costretto a viaggiare frequentando il ginnasio a Massa ed il Liceo a Torino e poi a Milano dove era ospitato dai fratelli emigrati. I buoni risultati gli valsero l’ammissione al Collegio Ghislieri allorché intraprese gli studi medici presso l’Ateneo pavese che, in quegli anni, rappresentava uno dei centri più vitali della medicina italiana e presso il quale prendeva piede, come nel resto d’Europa, il tema della medicina sociale. La questione della riforma universitaria toccava direttamente anche Pavia e la nuova idea socialista si radicò saldamente fra la matricole del collegio64.

Nel 1894, poco dopo la laurea, vinse la condotta di Bianzè, piccolo centro agricolo nel vercellese, «un brutto paese, tutto risaia e

marcita»65. Si dedicò subito alla pratica politica proponendosi come

candidato alle elezioni politiche nel vicino comune di Crescentino nel 1895. La società locale accolse male il suo tentativo e l’anno seguente egli si vide licenziato e gravato di ben tre procedimenti penali per diffamazione ed oltraggio verso il clero.

Su segnalazione dell’amico Zubiani, si trasferì a Grosio, in Valtellina, rilevando il posto di medico condotto rimasto vacante. Qui

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Si rimanda quei alle considerazioni fatte all’inizio del capitolo. Maffi fu allievo personale di Camillo Golgi che, in una lettera ai fratelli, egli definiva «il tipo ideale di

scienziato». T. DETTI, Fabrizio Maffi, cit., p. 39.

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diede corso all’impegno politico partecipando alla formazione del movimento socialista locale e alla redazione de «Il lavoratore valtellinese» primo settimanale progressista volto all’educazione della classe lavoratrice secondo il metodo positivo. A Grosio non venne confermato e si diresse allora a Torino dove prestò servizio gratuito presso l’ospedale “Regina Margherita” per sei mesi, fino a che venne raggiunto da una delle condanne imputategli quando era a Bianzè che lo spinse all’esilio nel Canton Ticino dove si recò con il pretesto di un

viaggio a Davos per studiare l’industria dei sanatori per tubercolosi66

. Nel 1899 vinse la condotta di Ambrì e Quinto, sulla via del Gottardo, dove iniziò un’opera di sensibilizzazione e di educazione sui pericoli connessi alla tubercolosi e alla diffusione del bacillo di Koch. Il lavoro svolto presso la popolazione con l’appoggio delle autorità svizzere gli permise di raccogliere consensi e capitali italiani e svizzeri intorno all’impresa di un sanatorio per agiati che venne inaugurato presso Ambrì nel 1905.

Ben presto emersero divergenze con la direzione amministrativa, allorché Maffi, divenuto direttore della struttura, tentò ripetutamente di installare un reparto popolare a sovvenzione pubblica. Nel 1907 venne allontanato dall’incarico e fece ritorno in Italia.

Per due anni non trovò impiego pubblico e dovette vivere degli scarsi proventi della libera professione, si dedicò allo studio e intraprese viaggi in Svizzera e Germania. Nel 1908 si recò a Lille per visitare il preventorio di Alberte Calmette mentre fu solo nel 1909 che riconquistò un ruolo pubblico in qualità di direttore del nuovo dispensario di Bergamo, una struttura impiantata dietro sua iniziativa e avente carattere assistenziale, ma basato essenzialmente sulle sovvenzioni private. Le divergenze con l’amministrazione che ne avevano cagionato l’allontanamento dal Gottardo si riproposero in questo contesto, allorché egli si mise a caccia di contributi statali per portare sostegno alimentare e per istruire campagne profilattiche

presso le 150 famiglie cui la struttura prestava assistenza67.

All’inizio del 1910 egli venne chiamato da Francesco Gatti alla direzione del Sanatorio Popolare Umberto I di Prasomaso,

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Egli nel frattempo aveva perso due fratelli per tisi.

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collocazione ideale per quello che, se da un lato era il massimo esperto di terapia sanatoriale in Italia, dall’altro rappresentava ormai un pericolo per la capacità di smuovere le realtà sociali in cui la professione lo calava di volta in volta. Ma anche l’incarico a Prasomaso ebbe breve durata ed egli si ritrovò dimissionario nel giugno 1911, a poco più di un anno e mezzo dalla nomina, quando aveva terminato di impostare ed avviare la struttura.68 I motivi del contrasto furono molteplici ma fecero effetto soprattutto le prese di posizione dai toni aspri sull’ammontare della diaria (5-7 lire che egli riteneva eccessiva per un sanatorio di carattere realmente popolare) e le continue richieste per reclutare personale infermieristico laico anziché religioso.

In quegli anni Maffi e Zubiani si ritrovarono ad essere, a 12 anni dalla laurea, direttori dei primi due sanatori alpini d’Italia in Valtellina, l’uno privato, l’altro popolare. Ma a partire da questo momento i loro contatti si ridussero definitivamente e le differenze si fecero sempre più importanti.

Tornato nel Vercellese, Maffi venne eletto alla Camera dei Deputati nel 1913. Nella sua intensa attività parlamentare egli fu uno degli uomini più rappresentativi del socialismo di sinistra e, dal 1923, del comunismo italiano. Accanito anti interventista, sollevò alla Camera il problema tubercolare legato alla guerra e fu tacciato come «reprobo e insultatore dell’esercito». Fu tra gli artefici della legislazione antitubercolare e dei provvedimenti che portarono

all’istituzione dell’assicurazione obbligatoria in particolare

promuovendo, in qualità di capogruppo socialista, la promulgazione della legge 1382 del 24 luglio 1919 con la quale ebbe inizio una politica antitubercolare statale. Con questo provvedimento la lotta contro la tubercolosi cessò di essere una questione di beneficenza privata e venne presa in carico dallo Stato.

Nel 1926 venne deposto dalle leggi speciali insieme a molti colleghi dell’opposizione e, nel novembre dello stesso anno,

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«Il sanatorio popolare di Prasomaso offre già uno splendido esempio di ordine, esattezza ed anche di relativa semplicità, che è tanto difficile da ottenere […]». P.FERRARI,

Che cosa sono i sanatori popolari per ammalati di petto, in «La Tubercolosi», III, 1910 –

un’ordinanza di confino quinquennale lo costrinse a Pantelleria e, da

qui, a Ustica e poi a Milano a San Vittore69.

Nel 1929 riprese servizio e fu destinato ad Eboli, poi a Bernalda nel mezzo dell’endemia malarica di Metaponto. Le sue precarie condizioni di salute e l’età avanzata gli consentirono di scontare il resto della condanna presso la propria casa a Cavi di Lavagna dove rimase fino al 1943 prima di espatriare nuovamente in Svizzera fino alla fine della guerra.

Intervenne all’assemblea Costituente e fu Senatore della Repubblica. La salute si aggravò ulteriormente costringendo il suo forte carattere a dover sopportare la paraplegia fino al giorno della

morte, a Cavi di Lavagna, il 23 febbraio 195570.

3.3.2. La costruzione del sanatorio

Il sanatorio del Gottardo venne costruito nell’alta Leventina sul fianco sinistro della gola del Ticino di fronte alla frazione di Piotta ad una altezza di 1170 m sul livello del mare. La proprietà comprendeva un’area di 41.000 mq (dei quali 30.000 destinati a bosco e oltre 2000 a terreno coltivo) e su di essa vennero edificati tre fabbricati principali: il sanatorio propriamente detto, la villa del direttore e la casa del personale con lavanderia e stireria, oltre a fabbricati minori come la cappella, una casina di isolamento, un piccolo fabbricato per il bazar, le autorimesse, le stalle ed il porcile. L’intero complesso venne progettato in collaborazione con il futuro direttore dott. Fabrizio Maffi per mano dell’architetto milanese Diego Brioschi. Costui si era laureato al Politecnico di Milano nel 1892 e si era fino ad allora misurato con progetti di architettura residenziale disegnando ville a Milano, Lecco, Lugano e in Ticino. Qui aveva conosciuto Maffi nel

1900 e ne aveva progettato la casa ad Ambrì71.

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A.GRAMSCI, Lettere dal Carcere, (a cura di) S. Caprifoglio, E. Fubini, Einaudi, Torino

1965, p. 18.

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T.DETTI, Fabrizio Maffi, cit.

71 Diego Brioschi era nato a Milano 6 febbraio 1865, il padre Giuseppe era avvocato.

Dopo aver conseguito la laurea in Architettura Civile presso il Politecnico di Milano nel 1892 si era segnalato per le ville Sala a Lecco e per alcune altre realizzazioni in Milano e nel Ticino. Dopo l’esperienza del Sanatorio del Gottardo venne chiamato da Francesco Gatti per l’incarico dell’Umberto I. In seguito eseguì alcune opere pubbliche a Dorno Lomellina, come

L’accesso al sanatorio avveniva per mezzo di una strada che, staccandosi dal tracciato del Gottardo, si svolgeva in debole pendenza lungo la montagna.

L’edificio principale aveva il fronte orientato a pieno sud e comprendeva cinque piani fuori terra: il seminterrato che verso sud, grazie al dislivello del terreno, si poteva considerare come un piano fuori terra; il piano terreno con accesso diretto dalla strada a nord, verso monte; i tre piani superiori destinati ad ospitare le camere per i malati.

Venne deciso di mantenere un'unica e lunga veranda di cura al piano terreno così da non sottrarre luce alle camere e alle sale di ritrovo e a tal fine la veranda venne collocata lungo tutto il fronte sud del piano seminterrato. Essa poteva accogliere fino a 65 postazioni per la cura della sdraio e, in ragione della sua ampiezza, si provvide a dotarla di impianto di illuminazione con luce elettrica. La copertura di questa galleria di cura era praticabile e veniva così a formare un ampio terrazzo che si estendeva lungo tutto il fronte sud del piano terreno.

Sempre al piano seminterrato si trovava un ampio spogliatoio per il deposito dei mantelli e delle coperte in corrispondenza della parte centrale dell’edificio. Il corridoio conduceva da un lato alle sale da bagno e alle docce, dall’altro alle cucine ed ai locali di servizio annessi a queste. A lato della scala di accesso principale si trovavano i servizi per gli ammalati e, sul retro, l’impianto di riscaldamento oltre ad una piccola caldaia per la disinfezione delle sputacchiere.

Il piano terreno ospitava le sale di ritrovo, da pranzo, i locali per i servizi medici ed amministrativi. Sul fronte sud si trovava la grande sala di ritrovo ed il biliardo, una sala di lettura, una di musica, l’office, ed anche alcune camere da letto. Un corridoio centrale disimpegnava i vari ambienti: a levante dava accesso alla grande sala da pranzo, sviluppata in altezza su due piani e illuminata da un doppio ordine di finestre disposte sui tre lati. Questa si trovava esattamente al di sopra delle cucine ed era direttamente collegata ad esse tramite un montacarichi. Simmetricamente alla sala da pranzo, verso ponente,

l’asilo infantile, la casa di riposo e il cimitero. Partecipò in qualità di progettista ai lavori di restauro della chiesa di S. Pietro in Gessate. (Archivio Generale del Politecnico di Milano – Registro allievi n° 1378)

erano disposti i servizi medici che si venivano quindi a trovare esattamente al di sopra della sala da bagno e delle docce ed erano ad essi collegati tramite una scala di servizio.

I locali medici comprendevano una sala da visita con annessa sala d’aspetto, una sala per i dottori, un laboratorio ed una sala operatoria. Nel 1941, al fine di rilevare le malattie interne nel più breve tempo possibile, fu acquistato un impianto radiologico, e si allestì una nuova sala operatoria dove eseguire direttamente gli interventi di collassoterapia chirurgica.

Nello stesso anno si provvide ad allestire un gabinetto per le cure dentarie. Era già presente un ampio locale laboratorio per le analisi ed una piccola farmacia per le preparazioni medicinali più comuni.

Ad ogni piano, a metà del corridoio centrale, si trovavano il vano scala principale con l’ascensore ed il corpo dei servizi; al piano terreno anche l’ingresso principale, l’atrio, i locali della portineria e dell’amministrazione, i lavatoi ed i servizi.

L’impianto generale mirava in primo luogo a mantenere distanti i servizi medici da quelli di cucina, confinati nei corpi laterali, gli uni ad ovest e gli altri ad est. Ai due estremi si trovavano le scale di servizio per tutti i livelli; all’interno del vano della scala adiacente le cucine era alloggiato il condotto di aspirazione principale.

Nei piani superiori c’erano le camere: rivolte a sud per gli ammalati, a nord per il personale ed i visitatori, tutte arredate con

mobilio sobrio e di foggia ospedaliera con letti in ferro od ottone72; il

pavimento era in linoleum e la tappezzeria lavabile, non vi erano tende. Nei sotterranei erano poste alcune camere per il personale e locali di deposito.

La costruzione fu iniziata nel 1903 e terminata nell’estate del 1905: la scarsa tenuta del terreno ritardò i lavori alle fondazioni e costrinse a scavare fino a 12-14 m di profondità eseguendo una fondazione continua in cemento armato spessa oltre 1,10 m, mentre sul retro del sanatorio furono poi eseguite opere di contenimento per difendere il complesso dalle frane. La struttura venne realizzata in pietra, i solai in legno e si ricorse al cemento armato per le luci più importanti al piano

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La ditta Volontè di Milano si era aggiudicata la fornitura mentre i mobili di tipo inglese erano realizzati dalla ditta Zucchi di Desio.

terreno. Il tetto piano del corpo centrale venne realizzato in cemento armato, i corpi laterali coperti con falde inclinate e manto in tegole.

Per il rifornimento di acqua vennero approntati dei cunicoli filtranti a nord che convergevano in un serbatoio di raccolta da dove l’acqua giungeva nella parte alta del sanatorio. Da qui veniva distribuita ai servizi ed ai lavabi presenti in ogni camera.

L’acqua calda era presente ai locali di servizio (bagni, doccia, toilettes) di ogni piano; il riscaldamento avveniva tramite termosifoni ad acqua: tre caldaie a bassa pressione vennero installate dalla

Centralheizung di Berna di cui una funzionava esclusivamente per il

riscaldamento dell’acqua dei bagni e delle docce.

Una stazione per il trattamento e la depurazione biologica delle acque luride, prima che queste si riversassero nel Ticino, installata secondo il metodo Lehmann di Zurigo, risultava composta di due parti simmetriche, entrambe ispezionabili e separabili. Dopo una vasca di raccolta delle acque di rifiuto, si trovavano camere di fermentazione anaerobica e di depurazione profonde e comunicanti mediante un sistema di sifoni e di aperture superiori a griglia. Le acque terminavano in due letti per l’ossidazione batterica del tipo machefer, sui quali si distribuivano per mezzo di canaletti forati.

Per la ventilazione ci si affidava al naturale ricambio d’aria prodotto dai vasistas. Tutte le finestre erano munite di avvolgibili in legno.

Brioschi disegnò la casa del direttore sul modello Heimatstiil della casina di montagna; comprendeva tre piani fuori terra (incluso il piano seminterrato, per i locali di servizio), ad ogni piano si trovavano quattro vani ed una veranda, esposta a sud sulla facciata principale.

Vi era un’altra piccola casa d’isolamento per i malati gravi dotata di due camere laterali affacciate sulla larga terrazza esposta a sud e separate da un camerino riservato al personale infermieristico. Sul retro dell’edificio si trovavano l’ingresso ed i locali di servizio (bagno e water closet).

Il padiglione per l’impianto di lavanderia occupava un’area di circa 200 mq su due piani: al piano terreno si trovavano le vasche di lavaggio, la liscivatrice, la centrifuga, l’essiccatoio, il mangano e, in ambiente separato, la stufa a disinfezione orizzontale; al piano

superiore i locali di stireria e alcune camere per il personale, oltre a due grandi terrazze.

Il sanatorio del Gottardo venne inaugurato nel 1905 e rimase sotto la direzione del dott. Fabrizio Maffi per alcuni anni; durante la Guerra venne destinato a sanatorio militare.

Nel 1919 il Canton Ticino acquistò il complesso per 470.000 franchi per impiantarvi, dopo due anni di lavoro per interventi di sistemazione, il “Sanatorio Popolare Cantonale” di Piotta che rimase in attività fino alla definitiva chiusura nel 1962.

Da allora il comune di Quinto cercò di riutilizzare la struttura promuovendo campagne pubblicitarie destinate agli investitori e, nonostante qualche interessamento, non si è mai pervenuti ad un vero progetto attuativo. I tradizionali problemi di adeguamento e riutilizzo dei complessi sanatoriali si sommano, in questo caso, alla vicinanza all’autostrada che, se rappresenta un vantaggio in termini di facilità di accesso, compromette l’abitabilità della struttura a causa del rumore.

Figura 14 – Il sanatorio del Gottardo (arch. Diego Brioschi), progetto pubblicato su «L'Edilizia Moderna», aprile 1907, pp. 25-26, pianta dei piani terra e primo

Figura 15 – Il sanatorio del Gottardo (arch. Diego Brioschi), progetto pubblicato su «L'Edilizia Moderna», aprile 1907, p. 26, vista dell’edificio e degli annessi

Figura 16 – Il sanatorio del Gottardo (arch. Diego Brioschi), progetto pubblicato su «L'Edilizia Moderna», aprile 1907, tav. XVI, vista della veranda di cura

Figura 17 - Il sanatorio del Gottardo (arch. Diego Brioschi), progetto pubblicato su «L'Edilizia Moderna», aprile 1907, tav. XIX, la sala da pranzo

175 Capitolo IV