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L'alimentazione dei suini varia a secondo del loro stadio vitale e della loro destinazione produttiva: suino leggero, suino pesante, suinetto, scrofa, verro.

Il suino magro o leggero è un soggetto avente una elevata capacità somatica ed una carcassa magra anche a pesi attorno al quintale. Per la produzione del suino magro generalmente non si utilizzano le razze pure ma gli ibridi, proprio per sfruttare l’eterosi o vigore ibrido, il suino magro non è da confondersi con un suino di tipo genetico pesante macellato precocemente. Per avere un buon prodotto finale è necessario curare il microambiente di allevamento (luce, temperatura, umidità e alimentazione). La razione deve essere equilibrata tanto da ottenere il giusto quantitativo di carne e grasso e distribuita ad libitum. Nell’alimentazione dei suini è importante tener conto delle fasi di crescita, per ogni fase diversa deve essere diverso l’apporto delle sostanze nutritive della razione (Monetti, 2001).

Nella prima fase dopo lo svezzamento è consigliabile somministrare orzo, trattato termicamente per aumentare la digeribilità, essendo alimento non troppo energetico e ricco di fibra, abbondanti devono essere le proteine, non deve mancare la lisina

(amminoacido essenziale e limitante), né oli e grassi per assicurare il giusto grado energetico.

Nella seconda fase, magronaggio, è bene somministrare cereali crudi, aggiungere alla razione la farina di estrazione di soia fonte di energia ma soprattutto di proteine e

38 limitare nel contempo i mangimi ricchi di fibra.

Nella fase di ingrasso la razione deve contenere almeno il 60–70% di concentrati, deve essere ridotto l’apporto di proteine e della fibra (Succi, 1999).

La tecnica di distribuzione degli alimenti deve essere diversa a seconda della fase di crescita, infatti sarà ad libitum per suinetti in accrescimento, razionata nella fase di ingrasso per i suini da salumificio. Per la macellazione il suino deve essere pronto alla 18a settimana di vita quando ha raggiunto un peso di 100–110 kg. Nella preparazione

delle miscele occorre tener conto che la digeribilità: deve essere dell’80%, le proteine digeribili almeno 100 gr, i sali minerali, espressi in calcio e fosforo, rispettivamente 16 gr e 12 gr (Succi, 1999).

La tecnica di allevamento dei soggetti da rimonta (scrofette e verretti) è alquanto diversa dai suini da consumo, infatti per queste categorie di animali l’accortezza dell’allevatore è di evitare l’ingrassamento precoce ma di favorire uno sviluppo armonico dei capi; la tecnica prevede uno svezzamento tardivo a 60–90 giorni, l’alimentazione a base di miscele di concentrati per i magroncelli fino ad un peso di 50– 60 kg, distribuita ad libitum; successivamente la razione deve essere bilanciata, stimolando l’apparato digerente, tanto da avere uno sviluppo scheletrico e muscolare omogeneo, assicurando il giusto spazio per il movimento, limitando molto la formazione del grasso di copertura, favorendo la pubertà (Succi, 1999). Buona norma è far accoppiare la scrofetta al secondo terzo calore, come si è già detto, quando ha raggiunto un peso di circa 110–120kg, se questa dovesse essere sottopeso è possibile ricorrere al flushing somministrando cioè, due settimane prima dell’inseminazione e due settimane dopo l’inseminazione, razioni ricche di concentrati, almeno 2–2,5 kg al giorno, che contenga il 16−18% di PD e 200–300 gr al dì di farina di

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pesce, orzo, grano e lievito di birra. Se la scrofa rimane gravida bisogna fare attenzione a non farla ingrassare troppo perché si può avere nel primo mese di gravidanza l’assorbimento degli embrioni e dopo il parto la comparsa di mastiti. Durante la gravidanza la scrofa va alimentata con circa 2–2,5 kg di mangime al giorno, portando la razione nell’ultimo periodo di gestazione fino a 3 kg al dì, con aggiunta di crusca di frumento per aumentare la fibra, indispensabile che la razione contenga 11–13 gr di lisina. Dopo il parto la razione va gradualmente aumentata di almeno 0,5kg al dì per ogni suinetto, considerando comunque una razione di mantenimento di 1,5 kg al dì. Nell’alimentazione dei suini la razione alimentare si calcola sul quantitativo espresso in SND (sostanze nutritive digeribili), queste sostanze rappresentano la somma delle percentuali riguardanti le proteine, estrattivi inazotati, fibra grezza, grassi x 2,25, tutti digeribili; un kg di SND equivale a 4.100 kcal di energia metabolizzabile. Per i suinetti l’alimentazione è a base di mangimi concentrati, con razioni ricche di vitamine e amminoacidi essenziali, quantità da somministrare è di circa 1 kg al giorno per capi di 20 kg di PV. Si usano miscele prestarter,starter e di ingrasso, queste possono essere umide, come nelle stalle in prossimità di caseifici ove si utilizza siero, latticello, oppure asciutte soprattutto nella prima fase della vita del suino fino al raggiungimento di 50 kg di peso vivo, tecnica questa impiegata per l’ottenimento del suino magro da macelleria. Il siero è il residuo della cagliata, mediamente il valore nutritivo di quello vaccino è il seguente: 0,2-1% grasso, 0,4-0,9% proteine, 5,5–6% lattosio, 0,5% sali minerali, rappresenta per i suini un ottimo alimento, va somministrato dopo lo svezzamento quando i suinetti hanno raggiunto un peso di 30–40 kg nella dose giornaliera di circa 4–6 litri/capo/giorno, al p.v. di 120–130 kg il quantitativo di siero al dì per capo può essere anche di 12–14 litri. Il siero è povero di sostanza secca, la cui %

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oscilla dal 5,5 al 6,5%, come valore nutritivo occorre considerare che 15 litri di siero corrisponde al valore nutritivo di un kg di mangime. Essendo il siero ricco di lattosio è indispensabile per la nutrizione della flora microbica dell’intestino crasso, l’alimento, infatti, comporta un aumento di acido propionico e, soprattutto, butirrico, questi sono acidi grassi volatili essenziali per la formazione del grasso di copertura indispensabile per gli insaccati.

L'utilizzo del siero di latte vaccino è storicamente un'importante risorsa per gli allevamenti suinicoli italiani, soprattutto gli allevatori della val Padana sfruttano l'abbondante fornitura di questo prodotto che offre il settore caseario locale. Il regime può essere razionato o ad libitum, l’importante e che la razione contenga 3.500 kcal per suinetti da ingrasso e 2.900 kcal per suini in fase di finissaggio pronti per il macello. Gli alimenti utilizzati nell’alimentazione dei suini sono: orzo, avena, frumento, cruschello di frumento, crusca, farina di pesce, farina di estrazione di soia, minerali, vitamine e amminoacidi (Nudda-Pulina, 2012).

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3.7. Razze suine

Sebbene i suini domestici derivino principalmente dal cinghiale (Sus Scrofa), hanno partecipato alla formazione di alcune razze attuali anche il Sus Vittatus, un suide che vive tuttora nell’Asia Meridionale, con tronco corto, testa corta e zampe brevi, utilizzato per la selezione di alcune razze inglesi Yorkshire e Berkshire, americane

Polland China, e tedesche Edelschwein.

Figura 5 Sus vittatus

Alcuni studiosi includono nella formazione del suino domestico anche il Sus

Mediterraneus una sottospecie derivate da forme selvatiche europee e asiatiche, le

caratteristiche di questa sottospecie sono ritrovabili attualmente in alcune razze tipiche dei paesi mediterranei come Spagna e Italia.

Le diverse categorie di razze suine possono essere suddivise secondo la provenienza geografica:

razze suine di tipo orientale; brachimorfe, precoci, dalle dimensioni ridotte, ad alta

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razze suine di tipo occidentale; provenienti dal ceppo celtico-iberico, meso-

dolicomorfe, medio-tardive, di dimensioni medio-grandi, media prolificità (8-12 nati), limitata adiposità muscolare.

E' possibile dividere le razze anche sulla base al profilo nasale:

-rettilineo: profilo nasale diritto; faccia lunga, grugno stretto; produce carne magra, tardivo (es.: razze autoctone italiane).

-concavilineo: profilo nasale leggermente concavo, di grande mole, produce carne mediamente grassa (appartiene a questa categoria la razza Large White).

-ultraconcavilineo: profilo nasale fortemente concavo, produce carne grassa, elevata precocità (razze cinesi).

Per le diverse caratteristiche dei sistemi di allevamento si possono distinguere inoltre tra razze Europee dall'elevata disponibilità numerica, garantiscono buone performance in relazione all'ambiente, sono selezionate per produzioni di qualità (ceppi italiani), oggetto di numerosi studi e ricerche; e razze Americane: molto produttive e con caratteri molto stabili nel tempo ma dalla ridotta variabilità genetica, che causa l'aumento della frequenza di alcuni geni indesiderati come il gene alotano (Sabbioni, 2007).

Negli allevamenti più all'avanguardia si sta diffondendo l'utilizzo di ibridi commerciali soprattutto per la produzione del suino leggero che forniscono ottime performance in ambienti controllati.

Molti prodotti di qualità italiani e non solo sono ottenuti attraverso l'utilizzo di razze autoctone, caratterizzate da grande rusticità, quasi totale assenza del gene alotano, spesso riconoscibili per alcune caratteristiche morfologiche, come ad esempio la cintura di colore più chiaro nella famosa razza “Cinta Senese”. Per l'allevamento di

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queste razze l'UE spesso fornisce contributi economici, inoltre il loro utilizzo è necessario in alcuni disciplinari DOP.

Un'altro aspetto importante delle razze autoctone è il legame con il territorio, infatti esse hanno caratteristiche che gli consentono di sfruttare al massimo le risorse della zona di origine, per questo si tende a promuovere il più possibile il loro utilizzo nelle aree in cui sono nate e in cui il loro allevamento risulta poco oneroso economicamente e in cui sono apprezzate come componente culturale del luogo.

I problemi legati all'utilizzo di queste razze sono l'assenza quasi totale di studi sulla qualità dei prodotti, le scarse performance che esse garantiscono, la disponibilità numerica ridotta (Ferruzzi,2013).

In Italia vengono allevate un gran numero di razze sia autoctone sia straniere, la loro scelta dipende essenzialmente dal tipo di allevamento: per i sistemi intensivi si preferiscono razze migliorate spesso di origine straniera che garantiscono elevate performance produttive, per i sistemi estensivi in cui i suini vengono allevati allo stato brado o semibrado si preferiscono razze autoctone italiane caratterizzate da spiccata adattabilità e rusticità.

Le razze straniere allevate in Italia sono Europee o Americane. Le razze europee di maggiore importanza sono:

- Large White: razza inglese derivata dalla locale Yorkshire incrociata con suini cinesi e

italiani (Napoletana); importata in Italia alla fine dell’800, è di mole notevole (fino a 350 kg f., 450 kg m.); mantello bianco; cute rosata; profilo leggermente concavo; orecchie erette e portate avanti; tronco muscoloso; prosciutto sviluppato ma non globoso; arti robusti.

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A livello produttivo garantisce alta fecondità e prolificità (capezzoli non < 12-14); buon istinto materno; carne di ottima qualità (bassa frequenza del gene alotano); carcasse magre.

Figura 6 Esemplare di razza Large White

- Landrace: selezionata in Danimarca nell’800, da incroci fra razze locali e LW; buona

mole, mantello bianco; cute rosata; profilo leggermente concavo; orecchie rivolte in avanti e in basso; tronco allungato (siluriforme); prosciutto sviluppato e non globoso, purtroppo la frequenza del gene alotano ancora alta in alcuni ceppi (L.belga); carcasse ben muscolose; caratteri materni inferiori alla LW. Esistono diversi ceppi della razza Landrace ed essi si differenziano per alcune caratteristiche. La landrace olandese presenta la miglior attitudine alla produzione di carne e migliori parametri riproduttivi. La Landrace belga oggi è considerato una razza a sé stante; ad elevata frequenza del gene alotano (ca. 90%). Presenza di ipertrofia muscolare di natura genetica (prosciutti globosi) ma scarsa prolificità.

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Pietrain: selezionata in Belgio di media mole; mantello bianco con pezzature nere

irregolari; ipertrofia muscolare, prosciutti globosi, discreta prolificità. Elevata % di tagli magri; elevata frequenza del gene alotano; valido per la produzione del suino leggero. Le Razze Americane più allevate in Italia invece sono:

- Duroc: buona mole; mantello da mogano a marrone chiaro; cute ardesia, rosata sul

ventre e nelle zone interne degli arti; setole forti, ben impiantate e difficilmente asportabili al macello; prosciutti larghi e muscolosi; arti robusti. Dalla buona fecondità, scarsa prolificità; buoni parametri di allevamento (riduzione IC nelle ultime fasi); carcasse con difetti di grassinatura (impiego solo negli incroci almeno per la produzione di tagli pregiati); carne di buona qualità (scarsa frequenza del gene alotano.

- Hampshire: buona mole; cute e setole nere con fasciatura toracica bianca

comprendente gli arti anteriori; profilo rettilineo; orecchie erette; prosciutto muscoloso e globoso; arti robusti buona attitudine alla produzione di carne magra; qualità della carne non elevata: carni acide (effetto Hampshire, causato da un eccesso di potenziale glicolitico); scarsi parametri riproduttivi; utilizzata per incroci.

- Poland China: derivata da incroci fra razze europee (Berkshire) e cinesi; mole medio-

grande; profilo mediamente concavo; mantello e cute neri, con pezzatura bianca centrifuga; orecchie portate per 2/3 verso l’alto e poi verso il basso; elevata precocità. I suoi caratteri produttivi sono modesta prolificità; elevata rusticità; buona produzione di carne, di qualità non elevata (media frequenza del gene alotano); negli incroci con razze rustiche trasmette precocità.

- Spot: ottenuta dalla razza Poland China attraverso incroci con razze locali è di media

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pezzature nere a bordi netti, tronco muscoloso;buone caratteristiche di allevamento; qualità della carne medio-alta (frequenza del gene alotano medio-bassa) (Succi, 1999). Le razze autoctone italiane riconosciute dall’ANAS sono CINTA SENESE, CASERTANA, CALABRESE ,MORA ROMAGNOLA, SICILIANA (NERO DEI NEBRODI).

Si caratterizzano per la cute quasi sempre pigmentata con presenza di setole scure, precocità non elevata, prolificità media, rusticità e ottimo adattamento alla zona tradizionale di allevamento, di solito sono allevate allo stato brado per la produzione di insaccati con elevate caratteristiche qualitative. Nel contesto della prova sperimentale della mia tesi, di cui specificherò più avanti, è stato utilizzato il tipo genetico Nero di Parma: l'attuale Nero di Parma, nonostante ricordi molto da vicino l'antica razza Nera Parmigiana o reggiana, attualmente estinta, deriva da una recente opera di selezione. La Nera Parmigiana ha un'origine antica e diversi documenti storici testimoniano come l'allevamento suino nel Parmense fosse un'attività radicata e documentata già alla fine del 1400 e come a quel tempo risultassero particolarmente apprezzati suini a mantello nero. E' del 1820 il primo documento che cita espressamente la razza Parmigiana, che viene descritta come animale caratterizzato da arti corti, setole quasi assenti, colore della pelle bruno tendente al nero, di peso ragguardevole, se paragonato alle altre allora allevate, potendo raggiungere i 190-240 kg, e produttore di carne squisita facilmente conservabile.

Una descrizione più recente della razza Nera Parmigiana si ha ad opera di Rozzi nel testo "Agricoltura Parmense" del 1937. Tale descrizione inquadra la razza suina Nera Parmigiana nel gruppo delle razze cosiddette iberiche, ossia delle razze mediterranee diffuse in Spagna, Italia, Francia meridionale e aventi come caratteristiche distintive una forte prolificità e uno spiccato adattamento al pascolo e al grufolamento.

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Le mutate condizioni socio-economiche intervenute nel sistema produttivo agro- alimentare nella seconda metà dell'800 determinarono l'introduzione di alcune razze suine inglesi, che venivano reputate utili nel miglioramento delle popolazioni suine autoctone. Risale al 1873 la prima introduzione nella provincia di Parma dei suini Large White, seguita a breve distanza, nel 1876, da quella di riproduttori di razza Berkshire. Seguirono le razze Middle White, Large Black, Tamworth. La sostituzione della Nera Parmigiana con altre razze, la Large White in modo particolare, portò nel corso del secolo scorso alla sua completa scomparsa. A partire dalla metà degli anni Novanta, fu attuata l'opera di ricostituzione di questa razza che comprese all'inizio un capillare monitoraggio sul territorio da parte Dell'Associazione Provinciale Allevatori, alla ricerca di soggetti che presentassero, almeno in parte, le caratteristiche riconducibili all'antica razza. Nella campagna di Santa Margherita di Fidenza vennero trovate alcune scrofe con estese macchie grigio ardesia sul dorso e sul posteriore; nel comune di Bardi nell'alta Valcena, venne poi individuato un vero macchiato allevato da un vecchio montanaro della zona, che venne utilizzato per alcune monte; altre scrofe macchiate vennero infine individuate a Pellegrino Parmense.

I suini individuati e acquistati vennero allevati e riprodotti in una struttura allestita appositamente a Santa Margherita e nel 2000 si ebbero i primi parti e si iniziò la selezione degli animali, che è stata orientata alla produzione dei suini neri con un aspetto simile a quello dell'antica razza Nera Parmigiana; fu anche creato uno standard di razza, desunto dalla notevole bibliografia reperibile. Diversi nuclei di suini si sono costituiti sul territorio della provincia di Parma e attualmente i riproduttori della popolazione sono stati collocati dall'Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS) in un Registro di riproduttori ibridi, mantenuto

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presso l'associazione Provinciale Allevatori di Parma, denominato appunto "Nero di Parma".

La popolazione, a fine 2007, era costituita da circa 300 suini riproduttori. La carne ottenuta dai suini di Nero di Parma è utilizzata prevalentemente per la trasformazione in salumi di pregio tipici della zona di allevamento, quali prosciutto crudo, culatello, coppa, pancetta, salami.

In modo marginale viene utilizzata anche per il pronto consumo. Il Nero di Parma presenta una prolificità discreta e la scrofa è dotata di buon istinto materno. Il numero medio di suinetti per nidiata è di circa 10.

La conduzione degli allevamenti è di tipo familiare. Gli allevamenti sono nella maggior parte di tipo semibrado e solo poche realtà produttive si basano sul sistema di allevamento intensivo.

Le caratteristiche morfologiche di questo tipo genetico sono corpo armonico con scheletro leggero ma robusto con giusto equilibrio tra conformazione della coscia e della spalla, mole medio-grande.La cute è di colore ardesia scuro, sono ammesse aree più chiare su gola, petto, superficie interna degli arti posteriori, ventre e perineo, comunque di estensione la più limitata possibile.

Il mantello è uniforme e formato da setole rade di colore grigio scuro tendente al nero.

La testa è ben proporzionata con profilo fronto-nasale rettilineo o leggermente concavo, in ogni caso non marcatamente brachicefalo; ciglia e sopracciglia nere, rime palpebrali color ardesia. Orecchie dirette in avanti e in basso relativamente lunghe e leggere, il padiglione auricolare nella sua faccia esterna è solo leggermente ricoperto dalle setole. In alcuni soggetti sono presenti due appendici cutanee di forma cilindrica

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in corrispondenza del margine posteriore della regione delle guance, sotto la regione parotidea, che si denominano “tettole”.Il collo è di media lunghezza e muscolosità con

passaggio armonico al dorso, al petto e alle spalle.

Il tronco è lungo, linea dorso-lombare leggermente convessa; spalle muscolose petto ampio e profondo; fianchi lunghi non discesi; groppa piena, quadrata leggermente inclinata; coda attaccata alta con fiocco ben sviluppato di colore nero ardesia, ventre ben sostenuto; coscia larga, discesa, con profilo posteriore decisamente convesso, muscoloso e non globoso.Gli arti sono di media lunghezza, in perfetto appiombo, articolazioni nette, robuste, pastorali corti con piedi solidi e ben serrati, con unghielli pigmentati di colore invariabilmente nero.Nel MASCHIO i testicoli sono globosi uniformi e ben sporgenti dal perineo, capezzoli non inferiori a 10;nella FEMMINA le mammelle in numero non inferiore a 10, regolarmente distanziate, con capezzoli normali ben pronunciati e pervii (Agraria.org).

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3.8 Sistemi di allevamento

Secondo la FAO i sistemi di allevamento possono essere classificati in base allo scopo principale del sistema.

I sistemi di produzione del bestiame si suddividono quindi in sistemi misti e sistemi esclusivi.

I sistemi misti possono essere formati da terreni irrigui o meno, in essi convivono agricoltura e allevamento, che può essere sia intensivo che estensivo, questo tipo di aziende potenzialmente ha un alto grado di efficienza poiché in esse possono essere prodotti gli alimenti per gli animali che vengono allevati.

i sistemi esclusivi, sono quei sistemi che non hanno altre finalità oltre l’allevamento, possono essere “senza terra” o “a pascolo” (Ferruzzi,2013).