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Effetto del tipo genetico e dell'alimentazione sul contenuto di OTA di prodotti carnei suini freschi e trasformati

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e

Agro-Ambientali

Corso di laurea Magistrale in Produzioni Agroalimentari e Gestione degli

Agroecosistemi

Elaborato finale

Effetto del tipo genetico e dell’alimentazione sulla

contaminazione da OTA di prodotti carnei suini freschi e

trasformati.

Candidato:

Relatori:

Iacopo Tomei

Prof. Alessandro Pistoia

Dott. Danilo Mani

Correlatore:

Dott.ssa Valentina Meucci

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Indice

CAP. 1. PREMESSA 7

CAP. 2. L’EVOLUZIONE DELL’ALLEVAMENTO SUINO NEL CORSO DELLA

STORIA 9

2.1. Il Suino 9

2.2. Origine e domesticazione 12

2.3. L’allevamento suino nell’antichità 13

2.4. L’allevamento suino nell’antica Roma 15

2.5. L’allevamento suino nel Medioevo 16

2.6. Gli ultimi secoli il granturco,la patata e la soia 18

CAP. 3. CARATTERISTICHE DELL’ALLEVAMENTO SUINO 20

3.1. L’allevamento suino in Italia 20

3.2. L’allevamento suino in Europa 23

3.3. L’allevamento suino nel mondo 24

3.4. Il consumo di carne suina 27

3.5. Elementi di fisiologia della riproduzione e produzione dei suini 32

3.6. L'alimentazione dei suini 37

3.7. Razze suine 41

3.8 Sistemi di allevamento 50

3.9. L’allevamento intensivo 50

3.10. L’allevamento estensivo 52

CAP. 4. ALLEVAMENTO SUINO ESTENSIVO E ALLEVAMENTO INTENSIVO A

CONFRONTO 54

4.1. Evoluzione storica degli allevamenti intensivi e estensivi 55

4.2. Aspetti ambientali dell’allevamento suino 58

4.3. Il benessere degli animali nei diversi sistemi di allevamento 67

4.4. La qualità dei prodotti 74

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4.6. La sicurezza sanitaria dei prodotti 82

CAP. 5. LE OCRATOSSINE 84

5.1. Che cosa sono le micotossine 84

5.2. Le ocratossine 95

5.3. La contaminazione dei cibi da parte delle ocratossine 97

5.4. Chimica delle ocratossine 98

5.5. Tossicocinetica delle ocratossine 100

5.6. Meccanismi di azione 102

CAP. 6. LE OCRATOSSINE IN ZOOTECNIA 104

6.1. Contaminazione dei cereali, alimenti per l’uomo e per gli animali 104

6.2. Riferimenti legislativi 105

6.3. La presenza di OTA nei mangimi 108

6.4. Contaminazione da OTA e effetti negli animali dall’allevamento 110 6.5. Tossicocinetica e distribuzione nei tessuti dei suini dell’OTA 112

6.6 Effetti tossici dell’OTA nei suini 113

6.7. Livelli di OTA nei prodotti alimentari derivati dall’allevamento suino 115 6.8. Intossicazione dell’uomo da OTA per prodotti di origine animale 117

CAP. 7. OBIETTIVO DELLA RICERCA 119

CAP. 8. MATERIALI E METODI 123

8.1. Rilievi in vita e post-mortem 123

8.2. Analisi chimica degli alimenti 127

8.3. La preparazione del salame 129

8.4. Determinazione analitica dell’ocratossina A con metodo HPLC-FLD 132 8.5. Estrazione e purificazione dei campioni di mangime 136 8.6. Estrazione e purificazione dei campioni di carne 137

8.7. Analisi statistica 138

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5 Campioni di mangimi 139 Rene 140 Fegato 143 Muscolo 146 Rene e fegato 149 Rene-muscolo 150 Fegato-Muscolo 151 Rene-Fegato-muscolo 152

Prodotto trasformato: Salame 154

CAP. 10. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 157

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CAP. 1. Premessa

L’allevamento suino in questo periodo storico, come altri comparti dell’agricoltura, si trova a far fronte a nuove dinamiche economiche, culturali, ambientali e alimentari. Per citare solo uno dei problemi che affliggono gli allevatori europei e italiani si può ricordare l’aumento dei costi delle materie prime e dei carburanti.

Inoltre la crescente attenzione dell’opinione pubblica e dei legislatori verso le questioni ambientali e di benessere animale, nonché verso il rispetto delle prassi igieniche, comporta più attenzione rispetto al passato nella gestione degli allevamenti, il che causa spesso costi aggiuntivi per l’allevatore.

Anche gli usi alimentari stanno andando incontro a cambiamenti; dal dopoguerra in poi si è assistito a un crescente e progressivo aumento del consumo di carne, ma attualmente è in atto almeno, per i paesi dell’UE un’inversione di tendenza (non è così per i paesi ancora in forte sviluppo economico come Brasile e Cina).

I cittadini europei del ventunesimo secolo vogliono mangiare carne sana e di qualità, possibilmente anche ecosostenibile. Per questo i produttori del futuro dovranno orientarsi, ma questo fenomeno è già in atto, su produzioni di elevata qualità e a basso impatto ambientale, non dimenticando peraltro la competitività del prodotto vista l’arrembante concorrenza dei nuovi colossi produttori dell’estremo oriente, Cina e India su tutti, e dell’America Latina, Brasile.

Come è facile da capire già da queste poche righe la questione è complessa e presenta numerose sfaccettature, in questa tesi viene proposta una possibilità di valorizzazione delle produzioni locali: L’allevamento dei maiali allevati allo stato semibrado alimentati

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con prodotti di scarto della lavorazione delle castagne e del farro della Garfagnana. Questa soluzione offre numerosi vantaggi: vengono recuperati terreni che altrimenti sarebbero improduttivi, si utilizzano sostanze di scarto a basso costo, il benessere degli animali è elevato, le carni prodotte sono di eccellente qualità.

Ci sono però ovviamente anche dei problemi: infatti è necessario valutare con attenzione l’impatto dei maiali sui boschi dove pascolano, il tipo di allevamento semibrado non permette il controllo igienico sanitario continuo degli animali che si può effettuare invece per gli animali stabulati, inoltre l’utilizzo di scarti della lavorazione di farro e castagne aumenta il rischio per gli animali di ingestione di ocra tossine, micotossine carcinogenetiche che trovano condizioni ideali di sviluppo nei semi rotti di cereali.

La mia tesi si occupa in ultima analisi di valutare il rischio che queste ocratossine finiscano nella carne degli animali e quindi vengano ingerite dall’uomo, nel cui organismo possono provocare carcinogenesi renale e immunotossicità.

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CAP. 2. L’evoluzione dell’allevamento suino nel corso

della storia

2.1.

Il Suino

Il suino addomesticato come già si è accennato appartiene alla specie “Sus scrofa

domesticus”, è chiamato comunemente maiale o porco, appartiene tassonomicamente

ai mammiferi all’ordine degli Artiodattili Suiformi.

Il maschio viene chiamato “verro” e la femmina “scrofa”, i cuccioli sono chiamati “lattonzoli”, se di sesso maschile diventano poi “verretti” se di sesso femminile “scrofette”.

È uno degli animali da macello più diffusi e più utilizzati dall'uomo, anche in ragione dell'ampia gamma dei prodotti carnei e sottoprodotti derivati, che vanno da articolatissime specifiche lavorazioni delle sue carni, allo sfruttamento delle setole(secondo un antico adagio, del resto, "del maiale non si butta niente"). Il

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maiale domestico e il selvatico cinghiale appartengono entrambi a un'unica specie, essendo interfecondi (Sabbioni, 2007).

Nell'anatomia generale, il maiale domestico non si discosta molto dal cinghiale: come quest'ultimo possiede infatti un caratteristico grugno mobile e adatto a grufolare nel terreno, una pelle spessa e dotata di uno spesso strato di grasso sottocutaneo, la stessa formula dentaria, canini trasformati in zanne, eccetera.

Le razze più antiche di maiale dovevano essere molto simili ai cinghiali selvatici, come testimoniato per esempio dalle pitture greche sul vasellame. La selezione artificiale ha tuttavia modificato numerosi caratteri questo hanno fatto sì che molte razze attuali presentino aspetti peculiari. In primo luogo, trattandosi di un animale da carne, si è cercato di accelerarne la crescita e di aumentarne il peso: esistono razze con esemplari che raggiungono e superano i 300 kg, ossia più del doppio di un grosso cinghiale maschio adulto.

Anche il colore della pelle e delle setole è diverso da quello del cinghiale: il classico "maiale rosa" altro non è che un animale dalla cute depigmentata; esistono inoltre maiali neri o pezzati. In alcune razze le setole sono assenti o quasi; possono inoltre essere presenti delle tettole, ovvero piccole protuberanze pendenti nella parte inferiore del collo.

Le orecchie possono essere erette, come nel cinghiale (per esempio nella razza Large White, largamente diffusa in tutto il mondo), oppure pendenti in avanti, a coprire parzialmente il muso. Un carattere esclusivo di certe razze, che conferisce agli animali un aspetto "a siluro", è la presenza di una o due vertebre soprannumerarie; tale caratteristica aumenta la lunghezza dei lombi del maiale, da cui si ricava carne pregiata.

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La coda può essere diritta, curvata a punto interrogativo o arrotolata a formare un ricciolo; termina generalmente con un ciuffo di setole più folte.

Le zampe, corte e forti, sono dotate di due zoccoli centrali maggiori e di due "speroni" laterali che, a differenza che in molte altre specie di Artiodattili, spesso toccano terra e fungono da sostegno. Gli zoccoli possono allargarsi molto, in modo da ampliare la superficie di appoggio quando il maiale cammina in un terreno fangoso, impedendogli di sprofondare.

I maschi possiedono canini molto sviluppati, che tuttavia, a differenza che nel cinghiale, restano solitamente all'interno della bocca; in molte razze si possono tuttavia occasionalmente osservare.

Sebbene comunemente sia attribuita al cane la carica di miglior amico dell’uomo, un’analisi più attenta della storia umana e dei suoi rapporti con gli animali potrebbe rivelare che in realtà questo ruolo spetta di diritto al maiale, che è stato fin da tempi antichissimi un prezioso alleato dell’uomo. I suini infatti non solo attraverso la loro carne forniscono una fondamentale fonte di proteine a basso costo, ma sanno svolgere anche altre funzioni utilissime come lo “smaltimento” di vari tipi di rifiuti che dopo essere stati ingeriti vengono trasformati, con l’aiuto dei macellai, in prosciutti, salami, mortadelle,ecc (Sonetti, 2001).

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2.2. Origine e domesticazione

Le numerose razze di suini allevati attualmente derivano tutte dal cinghiale selvatico

“Sus scrofa”. Il luogo e il periodo in cui avvenne la prima domesticazione sono incerti:

recenti studi archeologici indicherebbero l’esistenza di suini domestici in una colonia dell’epoca della Pietra ad Allan Ḉemi, in Turchia.

È comunque ragionevole pensare che l’allevamento del maiale sia avvenuto parallelamente in tempi diversi in un’area amplissima che va dalle isole britanniche, al Marocco, all’Asia minore, alla Cina, alla Guinea.

Un elemento molto importante nel processo di addomesticazione del maiale è stato sicuramente la plasticità sia psicologica che somatica che lo caratterizza, infatti per i primi allevatori è stato facile, attraverso l’allevamento di suinetti domestici, ridurre le caratteristiche di ferocità proprie del cinghiale e indurre, con l’incrocio e la selezione, le caratteristiche somatiche desiderate in un periodo di tempo relativamente breve. Le caratteristiche fisiche dei maiali allevati in antichità erano più simili a quelle del cinghiale rispetto a quelle dell’attuale maiale domestico: erano di taglia medio piccola e ampio sviluppo toracico, zampe alte con coscia scarsa, fianchi stretti, orecchie ritte, testa lunga e muso aguzzo per grufolare, denti sporgenti dalle labbra, un’irta criniera di setole dure.

Gli animali venivano tenuti liberi vicino alle abitazioni, si nutrivano prevalentemente di scarti e di quello che potevano ottenere dl pascolamento: semi, ghiande, radici, tuberi, erba.

Più tardi si cominciò ad allevare i maiali in spazi chiusi dove acquisirono l’attitudine a ingrassare che si accentuò con la selezione riproduttiva (Sabbioni, 2007).

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2.3. L’allevamento suino nell’antichità

Nell’antichità l’allevamento suino ha un importanza notevole, gli Egizi allevarono i maiali già dal Neolitico il loro utilizzo non si limitava alla produzione di carne, essi infatti erano adibiti alla pulitura e preparazione dei campi sui terreni bagnati dopo le piogge e le alluvioni.

Il consumo di carne suina da parte degli egizi si ridusse a partire dalla terza dinastia in cui era permesso mangiare carne di maiale solo una volta all’anno in occasione della celebrazione di una festività in omaggio alla luna . Come in altre civiltà il maiale veniva considerato un animale immondo e si pensava che le anime dei cattivi migrassero in corpi di maiale, per questo gli egiziani cercavano di evitare il contatto con questo animale e il loro allevamento veniva effettuato da “i porcari”, gruppo sociale di rango molto basso.

Anche Ebrei e Islamici considerano il maiale “impuro”, questa caratteristica, per la religione ebraica, viene attribuita ufficialmente nelle leggi di Mosè (Leviticus IX) ; sembra che anche Maometto si sia basato su queste leggi proibendo la carne di maiale ai suoi fedeli.

Esistono numerose teorie che giustificano la bassa considerazione della popolazione ebraica, e poi islamica, per la carne suina. La più plausibile sostiene che sia la sporcizia del suino che potrebbe essere stata fonte di malattie come : la lebbra, la cistercercosi e altre zoonosi, la causa delle repulsioni delle popolazioni mediorientali per questo animale. Oppure alcuni storici sostengono che l’attitudine negativa ebraica nei riguardi del maiale si sia originata nella loro prigionia in Egitto, e che quindi gli ebrei abbiano assorbito dagli egizi la repulsione verso i suini.

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Nell’alimentazione degli antichi Greci, Etruschi e Romani la carne suina invece aveva grandissima importanza. Per i Greci questo si può dedurre notando il numero delle allusioni alla carne suina che si possono trovare negli antichi scrittori ellenici, la più nota di queste si trova nell’Odissea di Omero in cui Ulisse, una volta tornato ad Itaca travestito da mendicante, va a cercare il migliore e il più fedele tra i suoi servi”, il

porcaro Eumeo. L’incontro tra Eumeo ed Ulisse ci da numerose e preziose informazioni sull’allevamento dei suini nell’Antica Grecia: Omero racconta che nell’allevamento di Eumeo erano presenti 600 scrofe e 360 e le stalle erano fatte di pietra e pali di legni, questo indica come l’allevamento suino in quest’epoca fosse sviluppato e organizzato sia per quanto riguarda il numero di capi presenti sia per quanto riguarda le strutture di allevamento.

Inoltre c’è da considerare il ruolo che viene attribuito a Eumeo nel poema Epico: Ulisse si reca al suo arrivo sull’isola proprio dal porcaro che viene descritto come un uomo pieno di virtù, questo ci suggerisce quanto fosse importante nella società greca la figura del porcaro.

Le notizie sull’allevamento suino in Etruria sono scarse, alcuni autori romani ne parlano: Polibio parla di ricche mandrie di suini fra gli etruschi ed i Galli. Altre informazioni ci giungono da reperti archeologici, come la situla d’argento proveniente da Chiusi che si trova nel museo archeologico di Firenze che riporta la raffigurazione di un branco di suini condotti da un porcaro.

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Comunque grazie alle analisi osteologiche e alle immagini che si trovano su tombe e altri reperti possiamo affermare che i maiali erano, nel mondo etrusco, la fonte principale di carne (Vera, 1999).

2.4. L’allevamento suino nell’antica Roma

I romani erano grandi amanti della carne di maiale e svilupparono e organizzarono notevolmente il settore della suinicoltura sia per quanto riguarda l’allevamento, sia la macellazione sia la creazione di piatti a base di carne di maiale.

A Roma la parola “porcarius” o “suarius” definivano generalmente il porcaro; ma esistevano termini più specifici: “porculator” era l’agricoltore che ingrassava i porci e “porcinarius” era il venditore di carne di porco e di insaccati, esisteva anche un verbo

“porculatio” per definire l’arte di produrre, allevare ed ingrassare i suini, questo

testimonia l’elevato grado di organizzazione con cui venivano allevati i suini.

Per quanto riguarda i tagli della carne suina: venivano utilizzati praticamente tutte le parti dell’animale, dalle matrici alle poppe cucinate in diversi modi. La preparazione della carne suina poteva essere anche molto elaborato come ci racconta Celio Apicio nel suo “De re coquinaria”.

Per quanto riguarda più specificamente l’allevamento, possiamo trovare notizie importanti nel “De re rustica” di Columella: una mandria di suini era costituita normalmente da circa cento capi, i maschi venivano castrati all’età di un anno , le suinette destinate all’ingrasso erano private delle ovaie. Per produrre carni di buon sapore dovevano essere alimentati con una dieta di granaglie macinate, fagioli e orzo, per le scrofe subito dopo il parto e durante l’allattamento la dieta veniva diversificata.

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Columella ci rivela anche come i romani già sapessero che i suini si avvantaggiano

dell’allevamento allo stato brado e semibrado nei boschi di faggi, castagni, noci, querce (Vera, 1999).

2.5. L’allevamento suino nel Medioevo

Dopo la caduta dell’impero, con il venir meno del complesso agro-silvo-pastorale romano, l’allevamento suino assume grande importanza. Infatti la carne di maiale costituiva la principale, se non unica, fonte di proteine per gran parte della popolazione, grazie alla facilità di allevamento e frugalità di questo animale, che non forniva solo proteine ma anche grassi, che andarono a sostituire il consumo di olio, la cui produzione era molto diminuita a causa dell’abbandono degli uliveti che si è verificato, appunto, nel Medioevo.

Nell’alto Medioevo la penisola italiana subisce una divisione territoriale e culturale: il Nord è sotto l’influenza Longobarda, mentre il centro e il Sud è soggetto al dominio bizantino. I longobardi, come tutti i popoli nordici, sono grandi consumatori di carne suina e quindi nei territori settentrionali si sviluppa l’allevamento del suino e la produzione e conservazione delle sue carni attraverso gli insaccati, mentre il sud mantiene anche se in misura ridotta rispetto al passato, il sistema produttivo romano. La conservazione della carne attraverso la salatura che avveniva in Italia nel Medioevo si può considerare l’origine della grande tradizione italiana nella produzione di insaccati di carne di maiale, questa tradizione ci fornisce prodotti di grande qualità come il prosciutto di Parma, ecc; per cui l’Italia è conosciuta in tutto il mondo.

Un altro fenomeno importante che si verifica nel Medioevo è l’abbandono di grandi estensioni di terreni coltivati che in pratica ritornano territori boschivi, i suini più di

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altri animali si avvantaggiano di questo fatto nutrendosi di molti prodotti del bosco come ghiande, faggiole, bacche, tuberi e radici.

Per questa ragione l’allevamento dei suini allo stato brado o al pascolo è sicuramente il sistema più utilizzato nell’età medioevale, e in questa epoca esso viene organizzato e regolamentato: la foresta più adatta al pascolo dei suini era la querceta o la faggeta(il castagno era ancora poco diffuso), i boschi dell’Appennino centrale e settentrionale erano tra i più ricchi di queste piante e per questo particolarmente adatti all’allevamento del suino; il pascolamento era di solito limitato ad un certo periodo dell’anno che andava da Settembre-Ottobre fino all’Inizio della Primavera, o più tardi se i prodotti del bosco erano abbondanti.

Nel Medioevo in alcune zone viene anche costituito il “glandaticum”: una tassa territoriale dovuta al signore che consisteva in una certa quantità di ghiande per ingrassare i maiali, in denaro, o in un capo ogni quindici che erano stati condotti al pascolo nei possedimenti del feudatario.

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Più avanti nel Medioevo, con l’espansione dei centri urbani si diffuse anche la pratica di allevare gli animali entro le mura cittadine in cortili e strade, sebbene questo sistema avesse risvolti interessanti come lo smaltimento dei rifiuti cittadini, in molte città come Parigi e Bologna esso fu, in seguito,vietato per il timore che potesse causare problemi sanitari (Roncalli, 1999).

2.6. Gli ultimi secoli il granturco,la patata e la soia

Con la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo vengono prima scoperte e poi esportate in Europa il mais “Zea Mais” e la patata “Solanum Tuberosum”, queste due piante hanno rivoluzionario sia l’alimentazione umana sia l’alimentazione suina, grazie all’ottimo apporto nutrizionale che forniscono e alla facilità di coltivazione che permette di ingrassare i suini velocemente e a basso costo.

L’uso del granturco nella dieta suina si è diffuso nel sud-est della Francia a partire dal diciassettesimo secolo, la diffusione dell’utilizzo della patata è avvenuta invece nel diciottesimo.

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Più recente è l’utilizzo della soia “Glycine max”, questa pianta che è una leguminosa proveniente dalla Cina, è stata coltivata in Oriente fin dall’antichità e si è diffusa nei secoli praticamente in tutto il mondo.

La pianta della soia presenta caratteristiche interessantissime dal punto di vista agronomico e nutrizionale: resiste facilmente ai parassiti vegetali e cresce facilmente in suoli aridi, possiede un contenuto di proteine che nessuna altra leguminosa riesce a raggiungere.

La farina di soia contiene il 45-50% di proteine inoltre è ben bilanciata in amminoacidi fatta eccezione per la lisina e metionina.

La produzione di farina di soia che è un sottoprodotto della fabbricazione dell’olio di soia, aumentò notevolmente a partire dalla seconda guerra mondiale.

Oggi la farina di soia è il supplemento di alta qualità più usato negli USA, il paese che dal dopoguerra in poi ha dato maggior impulso alla produzione sia in altri paesi dove il suino viene allevato a livello industriale come Brasile,Canada, Argentina (Roncalli, 1999).

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CAP. 3. Caratteristiche dell’allevamento suino

3.1.

L’allevamento suino in Italia

Agli inizi del secolo scorso in Italia si allevavano 4 milioni di suini, dati FAO del 1994 riportano che nel 1993 si produssero più di 12 milioni di animali macellati, negli ultimi anni c’è stata quindi una contrazione delle produzioni è attualmente il patrimonio suinicolo italiano si attesta attorno a 8,662 milioni di capi; malgrado questa recente decremento dovuto all’aumento dei costi delle materie prime e alla contrazione della domanda conseguente alla crisi mondiale è comunque notevole l’aumento della produzione di carne suina che si è avuta in Italia nell’ultimo secolo (Monetti, 2001; CRPA, 2013; Ferruzzi, 2013).

Questo “boom” delle produzioni è dovuto sia all’aumento del benessere della popolazione nel corso del novecento sia ai grandissimi miglioramenti nei sistemi produttivi che si sono avuti nel corso del secolo.

Infatti all’inizio del ventesimo secolo i sistemi utilizzati erano l’allevamento del suino allo stato brado o quello “casalingo”; in cui le famiglie contadine, secondo una tradizione secolare, allevavano un ridotto numero di capi alimentandoli in parte con rifiuti casalinghi in parte con il materiale di scarto delle loro produzioni agricole, la carne prodotta era consumata dalla famiglia stessa o venduta.

Nel corso del novecento è andato affermandosi l’allevamento intensivo, in cui in un singolo stabilimento vengono allevati centinaia, o migliaia, di maiali, in questi allevamenti vengono utilizzati mangimi commerciali e ogni fase della produzione è ottimizzata per fornire carne suina velocemente e a basso costo.

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L’allevamento suinicolo italiano si differenzia da quello degli altri paesi europei per la produzione del maiale cosiddetto “pesante”.

I maiali pesanti a differenza dei maiali leggeri (macellati in tutto il mondo a un peso

poco superiore ai 100 Kg e a un’età di 5/6 mesi, a seconda delle razze) vengono macellati a un peso maggiore di 150 Kg e a un’età di 9/12 mesi.

La carne di questi animali viene utilizzata per produrre gli insaccati che l’Italia esporta in tutto il mondo e che sono tuttora uno dei prodotti trainanti dell’economia alimentare italiana (Monetti, 2001).

Produrre maiali pesanti è sicuramente più gravoso dal punto di vista economico per gli allevatori ma queste maggiori uscite sono ripagate da prezzi di vendita molto vantaggiosi.

Le principali regioni produttrici sono quelle settentrionali, in particolare Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto dove viene prodotta il 75-80% (anno 2000) della produzione italiana.

Il 70% circa dei suini è allevato in aziende di oltre 1000 capi (anno 2000) (Monetti, 2001).

La situazione dell’allevamento suino in Italia è in controtendenza rispetto a ciò che avviene nel resto d’Europa, infatti se nella grande maggioranza dei paesi dell’UE (di cui parleremo più approfonditamente in seguito) la produzione della carne suina è in decremento, in Italia dati ISTAT del 2012 segnalano un aumento del 3,1 % nella produzione di carne suina.

I consumi si sono però ridotti durante lo stesso anno dell’1,2%, il trend positivo dei prodotti suinicoli in Italia è da attribuire alla dinamica positiva della vendita all’estero

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dei salumi, che costituiscono il 90 % del valore totale delle esportazioni italiane di carne di maiale (CRPA, 2013).

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3.2. L’allevamento suino in Europa

Sebbene la produzione del maiale pesante sia prerogativa del settore suinicolo italiano, l’allevamento del maiale è diffuso in tutto il continente europeo.

Il maggiore produttore è la Germania con 26,6 milioni di capi (dati USDA 2010), seguita da Danimarca e Spagna.

La Spagna si contraddistingue per la produzione di prodotti di qualità ottenuto dall’allevamento delle mandrie allo stato semibrado in ampi boschi a macchia mediterranea. Da questi capi viene prodotto per esempio il famoso “Jamon Iberico”. Anche in Inghilterra l’allevamento del suino ha un profonda tradizione, è nell’Isola Britannica che vennero effettuati i primi studi sperimentali sull’alimentazione dei maiali da ingrasso.

Sempre in Inghilterra venne effettuato il miglioramento delle razze autoctone incrociandole con razze straniere, così vennero ottenuto le razze Berkschire e Large-White, tra le più utilizzate tutt’oggi; più tardi gli scienziati di alcune università inglesi continuarono nel lavoro di miglioramento genetico creando le prime suinette ibride (Roncalli, 1999).

La suinicoltura europea attualmente sta attraversando un periodo difficile: i rincari dei prezzi delle materie prime e l’adeguamento alle norme comunitarie sul benessere animale hanno causato grossi problemi per gli allevatori: i censimenti EUROSTAT 2012 rilevano una diminuzione del 1,7% del patrimonio suinicolo comunitario, è diminuito anche il numero di scrofe in produzione e il numero delle macellazioni. I paesi in cui questo calo è stato più consistente sono stati quelli dell’est-Europa, in particolare la Polonia il calo è stato del 14% del patrimonio (Camera di commercio di Modena, 2012).

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Più stabile si è dimostrato il comparto dell’allevamento suino di Danimarca e Olanda, anche nei paesi del centro Europa il calo è stato contenuto.

Solo in Germania il patrimonio suinicolo è aumentato (CRPA, 2013).

3.3. L’allevamento suino nel mondo

Secondo la FAO, la produzione mondiale di carne suina nel 2011 si è attestata a 110 milioni di tonnellate (+0,8% rispetto al 2010).

La Cina concentra la metà della produzione con 660 milioni di capi (+0,2% rispetto al 2010), segue l’UE a 27 paesi con circa 255 milioni di capi e gli USA con oltre 110 milioni di capi.

Nel panorama mondiale i principali Paesi importatori: Giappone, Russia, Messico, Corea del Sud, e Cina sono i paesi più importanti ai quali si aggiungono le Filippine dove la domanda di carne suina è in crescita.

Nel 2011, il Giappone ha importato oltre 793 mila tonnellate di carne suina con un incremento di +5,3%. Il mercato giapponese è molto importante essendo autosufficiente per il 50%.

La Russia, nel 2011, ha importato 656.590 tonnellate di carne suina con una progressione del 2,5 % rispetto al 2010. I principali fornitori della Russia, sono: l’UE, il Brasile, il Canada e gli USA.

Anche in Corea del Nord l’importazione è in sensibile aumento (+68,4%) nel 2011, probabilmente a causa dei problemi igienico-sanitari che hanno colpito il paese negli ultimi anni. L’epidemia dell’afta epizootica ha decimato il patrimonio suinicolo e la produzione provocando una forte importazione. La domanda è elevata.

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L’UE, USA, Canada e Brasile sono i principali paesi esportatori di carne suina.

La filiera suinicola degli USA si è rafforzata in questi ultimi dieci anni. Il peso delle grandi imprese è molto importante.

La produzione è concentrata nei grandi allevamenti “integrativi”, dove le attività dell’azienda comprendono anche l’allevamento di altri animali (bovini, avicoli ecc) e spesso anche altri prodotti agricoli.

La concentrazione delle macellazioni è ancora maggiore: oltre l’80% dei suini sono abbattuti in dieci macelli.

Le esportazioni degli Stati Uniti sono in crescita nei principali mercati mondiali e in particolare in Asia.

Nel 2011 l’esportazione canadese è cresciuta fortemente su tre mercati importanti: Cina (+150,2%), Russia (+63,5%), Corea del Sud (69,7%). I principali mercati rimangono gli USA e il Giappone, con circa il 70% del totale.

La filiera canadese è strutturata in modo molto efficace: due principali macelli raggruppano il 75% dell’attività di macellazione totale. La sinergia tra le imprese è molto efficiente e la buona collaborazione tra le Organizzazioni e l’Amministrazione favorisce la riuscita sul piano internazionale.

Il Brasile è il quarto produttore di carne di maiale più grande al mondo, dopo la Cina, UE, e USA.

Il consumo medio di carne di maiale è basso (15 kg per abitante), con una grande diversità tra i 26 Stati Federali.

La produzione è concentrata nei grandi allevamenti “integrativi” privati e cooperative, dove le attività comprendono anche l’allevamento di altri animali (bovini, avicoli ecc) e spesso anche ad altri prodotti agricoli.

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Queste imprese di macellazioni e trasformazione fortemente orientate all’esportazione, stipulano dei pre-contratti con gli allevatori con i quali programmano le produzioni.

Riguardo alle esportazioni brasiliane, dopo diversi anni la Russia non è più il primo mercato di esportazione e viene scavalcata da Hong Kong. Le imprese di esportazione brasiliane sono ottimiste per gli anni a venire in conseguenza della crescita della domanda dei paesi asiatici.

La Cina è contemporaneamente il primo produttore e il primo consumatore mondiale (48% della produzione mondiale).

Il governo cinese ha realizzato un piano quinquennale per aumentare la produzione di carne suina con forti progetti nella ristrutturazione e modernizzazione delle industrie delle carni. L’obiettivo è di produrre circa 54 milioni di suini vivi nel 2015. Il piano prevede anche un aumento della produzione bovina, avicola e ovina.

L’evoluzione economica della Cina, e la crisi economica che affligge i paesi occidentali possono essere due fattori essenziali per spingere i paesi produttori a creare negli anni a venire condizioni favorevoli mercantili per il grande paese asiatico.

Nel 2011, la Cina ha incrementato l’importazione di carne suina del 32% rispetto al 2010 per effetto del rialzo della domanda e del ribasso della produzione a causa di problemi sanitari.

Il 40% degli allevamenti produce da 1 a 50 maiali/anno, il 50%, da 50 a 3.000 e il 10% oltre 3000 maiali/anno, il consumo di carne suina è destinato ad aumentare negli anni a venire (Camera di commercio di Milano, 2010).

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3.4. Il consumo di carne suina

L’aumento dei consumi di carne coincide storicamente con il miglioramento del benessere e così è avvenuto in Europa dal dopo guerra fino agli anni novanta. Infatti se negli anni quaranta il consumo di carne pro capite non arrivava a 20 Kg, alla fine degli anni novanta questo valore sfiorava i 90 Kg pro capite.

I cambiamenti che sono avvenuti nel corso della seconda metà del novecento non hanno interessato solo la quantità di carne consumata ma anche il tipo e le caratteristiche: l’utilizzo della carne bovina è aumentato fino agli anni novanta dopo di che questo incremento si è arrestato, forse per una saturazione della domanda e negli ultimi anni si sta assistendo addirittura a una seppur contenuta diminuzione dei consumi. Invece il consumo di carne avicola e (soprattutto) carne suina nel nostro paese è in continuo aumento, le ragioni di questo fenomeno sono diverse: i pregiudizi sul fatto che la carne suine fosse molto grassa sono stati superati, la carne di suino non è più la stessa di cinquanta-sessanta anni fa, il suino moderno è meno grasso e ha grassi dieteticamente più sani, il grasso della carne è inoltre facilmente scartabile dal consumatore, infatti nel maiale la deposizione di grasso è per lo più sottocutanea e l’infiltrazione intramuscolare è bassa, al contrario che nelle carni bovine.

Si pensa che la recente predilezione per la carne suina rispetto a quella bovina abbia anche ragioni socioeconomiche: la minore disponibilità economica di cui possono godere i consumatori li fa propendere verso la carne di suino che è più economica di quella bovina; inoltre l’aumento della percentuale di single e anziani tra i consumatori determina una preferenza per prodotti facilmente consumabili e pronti all’uso come ad esempio gli insaccati di carne suina (Camera di Commercio di Milano, 2010)

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Tabella 1 Evoluzione del consumo di carne (dati ISTAT)

Anno Kg carne bovina Kg carne suina Kg carne di pollo Kg altre carni totale

1938 8,5 5,1 1,6 4,5 19,7 1958 11,4 6,2 3,2 4,2 25 1960 13 7,1 4,6 4,7 29,4 1965 17,3 7,8 10,1 5,2 40,4 1970 24,8 10,7 11,8 7 54,3 1975 22,4 15,5 15,9 8,5 62,3 1980 25,5 21,1 18,2 9,8 74,6 1985 25,1 23,7 17,3 10,3 76,4 1990 26,6 27 19,3 10,8 83,7 1995 26 33,3 18,5 11,5 89,3 2000 25,6 37 17,7 11,3 91 2001 22,4 38,4 18,6 12,1 91,5 2002 24,1 38,5 18,5 11,3 92,4 2003 21,6 39,2 17,8 11,6 91,3 2004 24 38,3 18,1 10,9 91,3 2005 24,3 37,5 16,3 11,5 89,5 2006 25 38,9 14,1 11,2 89,2 2007 24,8 39,2 18,3 11,1 98,4 2008* 22,8 48,6 19,2 10,5 101,1 * Dato provvisorio

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Dati USDA del 2010 riportano che il consumo pro capite di carne suina continua a essere in costante crescita è 39,2 Kg nel 2007 e negli anni successivi è destinato a superare ai 40 Kg, mentre i consumi di carne bovina sono in diminuzione e, sempre nel 2007 si sono arrestati intorno ai 20 Kg annui pro capite.

La situazione dell’allevamento suino in Italia è in controtendenza rispetto a ciò che avviene nel resto d’Europa, infatti se nella grande maggioranza dei paesi dell’UE la produzione della carne suina è in aumento, in Italia dati ISTAT del 2012 segnalano un aumento del 3,1 % nella produzione di carne suina.

I consumi si sono però ridotti durante lo stesso anno dell’1,2%, il trend positivo dei prodotti suinicoli in Italia è da attribuire alla dinamica positiva della vendita all’estero dei salumi, che costituiscono il 90 % del valore totale delle esportazioni italiane di carne di maiale (ISMEA, 2008).

Ma per trattare in modo appropriato le dinamiche dei consumi della carne negli ultimi decenni non ci si può limitare a parlare di quantità della carne, infatti le caratteristiche qualitative della carne e il concetto di qualità percepito dai consumatori hanno subito in questi anni profondi cambiamenti.

Infatti nel primo dopoguerra gli allevatori si sono concentrati nel produrre grandi quantità di carne tralasciando la componente prettamente qualitativa e preoccupandosi solo di fornire ingenti quantitativi di prodotti con caratteristiche che li rendessero adatte alla trasformazione (in insaccati) o al consumo fresco.

I primi problemi relativi alla qualità delle carne si sono presentati quando la continua selezione per l’aumento della massa muscolare degli animali ha causato la comparsa di difetti gravi nella composizione delle carcasse, per esempio imputabili all’aumento

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della frequenza del gene alotano che da luogo a carni con il difetto detto PSE (pale,

soft, exudative - pallide, soffici, essudative) (Sabbioni, 2007).

Le carni PSE sono carni di colore molto chiaro, flaccide, di scarsa consistenza ed essudative, cioè che rilasciano liquidi.

Queste carni sono in generale poco invitanti per i consumatori, subiscono considerevoli perdite durante la cottura, sono inadatte alla produzione di insaccati di qualità, come i prosciutti.

Il problema dei difetti delle carcasse è stato affrontato dai produttori in maniera incisiva, la qualità media è aumentata e si sono raggiunti buoni standard qualitativi, questo grazie anche a modifiche nelle tecniche produttive: considerando l’effetto di fattori stressanti, perfezionando le condizioni di trasporto e le fasi di pre-macellazione, approfondendo le analisi post-mortem alle carcasse.

Attualmente i prodotti a base di carne di suino offerti ai consumatori hanno raggiunto elevati livelli di uniformità ed elevate caratteristiche tecnologiche.

Tuttavia negli ultimi anni la domanda di carne suina sta evolvendosi, i consumatori si sono dimostrati attenti ad aspetti che prima venivano tralasciati: gli aspetti igienico sanitari vengono considerati di primaria importanza, viene posta maggiore attenzione anche nella dieta, per questo la carne suino prodotta attualmente è non solo meno grassa che in passato ma presenta anche un diversa composizione di acidi grassi, maggiore percentuale degli acidi insaturi e polinsaturi rispetto a quelli saturi.

La rinomata plasticità e adattabilità della specie suina, in cui i caratteri di conformazione hanno coefficienti di ereditabilità piuttosto alti, hanno permesso di ottenere già buoni risultati in questo senso sia attraverso la selezione sia attraverso l’alimentazione (Sabbioni, 2007).

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Altre tematiche a cui i consumatori moderni sono particolarmente sensibili sono quella ambientale e di benessere animale (di cui parleremo diffusamente in seguito).

Le associazioni animaliste hanno fatto sempre più pressioni per migliorare le condizioni di allevamento degli animali, e l’UE ha emanato vari regolamenti volti a garantire livelli minimi di benessere per gli animali domestici dalla nascita alla fase di macellazione. Anche le condizioni dell’ambiente sono un problema sempre più in primo piano; è innegabile che la produzione di carne soprattutto attraverso sistemi intensivi abbia un forte impatto ambientale, considerando anche gli scenari futuri di aumento di popolazione mondiale e conseguente competizione sempre più serrata per le risorse (terra e alimenti su tutte) è doveroso porsi delle domande sulla sostenibilità dei diversi sistemi di allevamento animale.

Cogliendo questi esigenze dei consumatori, si stanno sviluppando, o meglio recuperando, i sistemi di allevamento allo stato brado e semibrado che garantiscono elevati livelli di benessere animale e ridotti carichi sull’ambiente. I prodotti ottenuti da questo allevamento presentano elevate caratteristiche qualitative, sono sostenibili, rispettosi verso il mondo animale e molto riconoscibili per i consumatori.

E’ ragionevole pensare che in un prossimo futuro almeno una parte dei produttori si specializzino nell’offerta di questo tipo di prodotti, anche se è difficile pensare che l’intera domanda di carne suina venga coperta da questo tipo di allevamenti (Ferruzzi, 2013).

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3.5. Elementi di fisiologia della riproduzione e produzione

dei suini

Al centro del processo di allevamento dei suini c’è, ovviamente, la riproduzione.

Le femmine riproduttrici sono dette scrofe, mentre i riproduttori maschi vengono chiamati verri, le tecniche di inseminazione possono essere diverse:

a) monta libera di scrofe in gruppo: uno o più verri introdotti in box comune con scrofe in fase di ciclo prossima al calore. È impiegata in allevamenti di ridotte dimensioni (minori impieghi di manodopera in termini quantitativi e qualitativi).

È un sistema di accoppiamento che può incorrere in bassa fertilità del gruppo se: l’inseminazione è precoce o tardiva rispetto ai tempi di ovulazione; il verro copre più volte la stessa scrofa e non serve le altre scrofe in calore. Un’altro problema di questo tipo di accoppiamento è che non è possibile disporre di informazioni precise sull’avvenuta inseminazione della singola scrofa, inoltre nei casi in cui vengano utilizzati più verri nel medesimo gruppo non è possibile attribuire la paternità della nidiata.

b) monta controllata: controllo degli accoppiamenti.

È impiegata in allevamenti di piccole-medie dimensioni prevede: -l‟individuazione dei calori (con verro; con l’operatore; con strumenti), -il monitoraggio del comportamento del verro,

È un sistema di accoppiamento che consente di: conoscere la data esatta dell’accoppiamento; favorire l’inseminazione con i tempi di massima fertilità; attribuire con certezza la paternità alla nidiata e quindi valutare le prestazioni del verro.

c) inseminazione artificiale: prelievo del seme e inseminazione eseguita dall’operatore. È la tecnica che “simula” la monta controllata prevede:

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- l‟individuazione dei calori (con verro; con l’operatore; con strumenti), - il prelievo e la preparazione del materiale seminale;

- l’introduzione del materiale seminale nell’apparato riproduttore della scrofa,

Questo sistema di inseminazione consente di: conoscere la data esatta dell’inseminazione; favorire l’inseminazione (doppia) facendola corrispondere con certezza con i tempi di massima fertilità; attribuire con certezza la paternità alla nidiata; valutare le prestazioni del seme del verro.

La scrofa al momento della prima inseminazione, in condizioni normali ha 7-8 mesi e peso di circa 120-130 Kg, la durata dell’estro è di 2-3 giorni (durata ciclo estrale 20-21 giorni), la durata della gestazione è di 114-115 giorni. La pubertà verrebbe raggiunta a 5-6 mesi ma si preferisce non utilizzare i primi tre cicli estrali per l’inseminazione, poiché il tasso d’ovulazione aumenta progressivamente nel corso dei primi cicli estrali. Per rilevare la manifestazione del calore nelle scrofe si utilizzano diversi metodi, i principali segnali che vengono tenuti in considerazione sono: arrossamento ed inturgidimento della vulva nel fase di pro-estro, perdite di muco dalla vulva, comportamento nervoso ed irrequieto, riduzione dell’appetito, tentativo di monta degli altri suini e immobilità per la monta (Nudda-Pulina, 2012).

Per quanto riguarda l’utilizzo dei verri, il prelievo del seme o l’accoppiamento non deve avvenire prima dei 7-8 mesi di età, l’aumento della produzione di seme aumenta fino a 1,5-2 anni di età.

I verretti devono essere addestrati al prelievo del seme abituandoli all’ambiente di prelievo, al salto del manichino, al contatto con l’operatore.

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Per migliorare l’efficienza dell’inseminazione artificiale possono essere utilizzati alcuni accorgimenti: La presenza del verro al momento della fecondazione artificiale della scrofa ha effetti positivi sulla riuscita della fecondazione (i.e. favorisce la risalita degli spermatozoi; anticipa il momento dell’ovulazione); Il contatto visivo con il verro il giorno successivo allo svezzamento dei lattonzoli accelera la venuta in estro della scrofa.

Dopo poco più di cento giorni di gestazione nascono suinetti dal peso di 0,8 a 1,6 Kg, il numero di suinetti nati per parto è 10-12, il tasso di maialini nati morti è il 2-3% (Succi, 1999).

Uno dei fattori critici dei primi giorni di vita dei suinetti è la temperatura: infatti l’optimum di temperatura per la scrofa è intorno ai 20°C mentre, per i suinetti passa da 32-34°C nei primi due giorni a 24°C dopo 14 giorni; per questo è opportuno approntare strutture per lo svezzamento che garantiscano temperature non troppo elevate per la scrofa e non troppo basse per i suinetti.

Un altro problema durante l’allattamento è lo schiacciamento dei suinetti, per questo sono necessarie strutture che consentano ai suinetti di allontanarsi dalla madre in sicurezza quando si corica.

Nei primi giorni di vita, inoltre, devono essere effettuati alcuni interventi sui suinetti: -taglio del cordone ombelicale

-taglio della coda -taglio dei denti -iniezione di ferro

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La castrazione è una pratica diffusa perché riduce i comportamenti aggressivi e riduce “l’odore di verro” nelle carni.

Figura 4 Scrofa con suinetti

La funzione digestiva dei suinetti varia in funzione dell’età: da 0 a 12 giorni i suinetti digeriscono con efficienza il lattosio, le proteine, il grasso del latte, dopo due settimane possono digerire proteine animali ad alto valore biologico, dopo tre settimane digeriscono proteine vegetali e amido.

L’età dello svezzamento condiziona la formulazione del mangime ideale, sono determinanti gli apporti di amminoacidi (lisina) ed energia.

Periodi di digiuno prolungato condizionano negativamente le performances produttive (Nudda-Pulina, 2012).

La fase di svezzamento dei suinetti comporta cambiamenti drastici per i suinetti sia di tipo alimentare che ambientale.

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Il passaggio dalla dieta lattea a quella solida deve permettere l’adattamento del sistema gastrointestinale dei giovani animali.

Lo svezzamento per questo può essere “drastico” tutti i lattonzoli vengono allontanati simultaneamente dalla madre oppure “frazionato” in cui i lattonzoli vengono allontanati per gruppi una volta che raggiungono un determinato peso.

Lo svezzamento può essere inoltre: precoce (<18 gg), convenzionale (21-28 gg), lungo (>28gg).

I suinetti provenienti dalla sala parto ad un peso variabile, a seconda dell’età, da 6-8 kg, sono allevati in specifiche strutture a terra o in gabbiette sopralevate, in gruppi di varia consistenza.

L’alimentazione è somministrata prevalentemente in forma solida ad libitum,

favorendo la costante disponibilità di alimento fresco ed appetibile. Negli ultimi anni si stanno diffondendo impianti di alimentazione liquida. Il programma alimentare

prevede la somministrazione di 2-3 tipi di mangimi in funzione dell’età e del peso vivo degli animali.

La fase di post-svezzamento dura circa 55-60 giorni ed il suinetto raggiunge il peso vivo di 28-30 Kg.

La fase di accrescimento-ingrasso ha una durata di circa 190-200 giorni ed il suino raggiunge il peso ottimale di macellazione di 165-170 kg, se suino pesante, 100-110 se suino leggero con fase di ingrasso più breve.

In questa fase gli animali sono opportunamente alimentati con differenti (3-4) tipi di dieta applicando il principio dell’alimentazione“a fasi” per ottimizzare il rendimento

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pregiate caratteristiche organolettiche e ridurre efficacemente il carico zootecnico inquinante sull’ambiente (Nudda-Pulina, 2012).

3.6. L'alimentazione dei suini

L'alimentazione dei suini varia a secondo del loro stadio vitale e della loro destinazione produttiva: suino leggero, suino pesante, suinetto, scrofa, verro.

Il suino magro o leggero è un soggetto avente una elevata capacità somatica ed una carcassa magra anche a pesi attorno al quintale. Per la produzione del suino magro generalmente non si utilizzano le razze pure ma gli ibridi, proprio per sfruttare l’eterosi o vigore ibrido, il suino magro non è da confondersi con un suino di tipo genetico pesante macellato precocemente. Per avere un buon prodotto finale è necessario curare il microambiente di allevamento (luce, temperatura, umidità e alimentazione). La razione deve essere equilibrata tanto da ottenere il giusto quantitativo di carne e grasso e distribuita ad libitum. Nell’alimentazione dei suini è importante tener conto delle fasi di crescita, per ogni fase diversa deve essere diverso l’apporto delle sostanze nutritive della razione (Monetti, 2001).

Nella prima fase dopo lo svezzamento è consigliabile somministrare orzo, trattato termicamente per aumentare la digeribilità, essendo alimento non troppo energetico e ricco di fibra, abbondanti devono essere le proteine, non deve mancare la lisina

(amminoacido essenziale e limitante), né oli e grassi per assicurare il giusto grado energetico.

Nella seconda fase, magronaggio, è bene somministrare cereali crudi, aggiungere alla razione la farina di estrazione di soia fonte di energia ma soprattutto di proteine e

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38 limitare nel contempo i mangimi ricchi di fibra.

Nella fase di ingrasso la razione deve contenere almeno il 60–70% di concentrati, deve essere ridotto l’apporto di proteine e della fibra (Succi, 1999).

La tecnica di distribuzione degli alimenti deve essere diversa a seconda della fase di crescita, infatti sarà ad libitum per suinetti in accrescimento, razionata nella fase di ingrasso per i suini da salumificio. Per la macellazione il suino deve essere pronto alla 18a settimana di vita quando ha raggiunto un peso di 100–110 kg. Nella preparazione

delle miscele occorre tener conto che la digeribilità: deve essere dell’80%, le proteine digeribili almeno 100 gr, i sali minerali, espressi in calcio e fosforo, rispettivamente 16 gr e 12 gr (Succi, 1999).

La tecnica di allevamento dei soggetti da rimonta (scrofette e verretti) è alquanto diversa dai suini da consumo, infatti per queste categorie di animali l’accortezza dell’allevatore è di evitare l’ingrassamento precoce ma di favorire uno sviluppo armonico dei capi; la tecnica prevede uno svezzamento tardivo a 60–90 giorni, l’alimentazione a base di miscele di concentrati per i magroncelli fino ad un peso di 50– 60 kg, distribuita ad libitum; successivamente la razione deve essere bilanciata, stimolando l’apparato digerente, tanto da avere uno sviluppo scheletrico e muscolare omogeneo, assicurando il giusto spazio per il movimento, limitando molto la formazione del grasso di copertura, favorendo la pubertà (Succi, 1999). Buona norma è far accoppiare la scrofetta al secondo terzo calore, come si è già detto, quando ha raggiunto un peso di circa 110–120kg, se questa dovesse essere sottopeso è possibile ricorrere al flushing somministrando cioè, due settimane prima dell’inseminazione e due settimane dopo l’inseminazione, razioni ricche di concentrati, almeno 2–2,5 kg al giorno, che contenga il 16−18% di PD e 200–300 gr al dì di farina di

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pesce, orzo, grano e lievito di birra. Se la scrofa rimane gravida bisogna fare attenzione a non farla ingrassare troppo perché si può avere nel primo mese di gravidanza l’assorbimento degli embrioni e dopo il parto la comparsa di mastiti. Durante la gravidanza la scrofa va alimentata con circa 2–2,5 kg di mangime al giorno, portando la razione nell’ultimo periodo di gestazione fino a 3 kg al dì, con aggiunta di crusca di frumento per aumentare la fibra, indispensabile che la razione contenga 11–13 gr di lisina. Dopo il parto la razione va gradualmente aumentata di almeno 0,5kg al dì per ogni suinetto, considerando comunque una razione di mantenimento di 1,5 kg al dì. Nell’alimentazione dei suini la razione alimentare si calcola sul quantitativo espresso in SND (sostanze nutritive digeribili), queste sostanze rappresentano la somma delle percentuali riguardanti le proteine, estrattivi inazotati, fibra grezza, grassi x 2,25, tutti digeribili; un kg di SND equivale a 4.100 kcal di energia metabolizzabile. Per i suinetti l’alimentazione è a base di mangimi concentrati, con razioni ricche di vitamine e amminoacidi essenziali, quantità da somministrare è di circa 1 kg al giorno per capi di 20 kg di PV. Si usano miscele prestarter,starter e di ingrasso, queste possono essere umide, come nelle stalle in prossimità di caseifici ove si utilizza siero, latticello, oppure asciutte soprattutto nella prima fase della vita del suino fino al raggiungimento di 50 kg di peso vivo, tecnica questa impiegata per l’ottenimento del suino magro da macelleria. Il siero è il residuo della cagliata, mediamente il valore nutritivo di quello vaccino è il seguente: 0,2-1% grasso, 0,4-0,9% proteine, 5,5–6% lattosio, 0,5% sali minerali, rappresenta per i suini un ottimo alimento, va somministrato dopo lo svezzamento quando i suinetti hanno raggiunto un peso di 30–40 kg nella dose giornaliera di circa 4–6 litri/capo/giorno, al p.v. di 120–130 kg il quantitativo di siero al dì per capo può essere anche di 12–14 litri. Il siero è povero di sostanza secca, la cui %

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oscilla dal 5,5 al 6,5%, come valore nutritivo occorre considerare che 15 litri di siero corrisponde al valore nutritivo di un kg di mangime. Essendo il siero ricco di lattosio è indispensabile per la nutrizione della flora microbica dell’intestino crasso, l’alimento, infatti, comporta un aumento di acido propionico e, soprattutto, butirrico, questi sono acidi grassi volatili essenziali per la formazione del grasso di copertura indispensabile per gli insaccati.

L'utilizzo del siero di latte vaccino è storicamente un'importante risorsa per gli allevamenti suinicoli italiani, soprattutto gli allevatori della val Padana sfruttano l'abbondante fornitura di questo prodotto che offre il settore caseario locale. Il regime può essere razionato o ad libitum, l’importante e che la razione contenga 3.500 kcal per suinetti da ingrasso e 2.900 kcal per suini in fase di finissaggio pronti per il macello. Gli alimenti utilizzati nell’alimentazione dei suini sono: orzo, avena, frumento, cruschello di frumento, crusca, farina di pesce, farina di estrazione di soia, minerali, vitamine e amminoacidi (Nudda-Pulina, 2012).

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3.7. Razze suine

Sebbene i suini domestici derivino principalmente dal cinghiale (Sus Scrofa), hanno partecipato alla formazione di alcune razze attuali anche il Sus Vittatus, un suide che vive tuttora nell’Asia Meridionale, con tronco corto, testa corta e zampe brevi, utilizzato per la selezione di alcune razze inglesi Yorkshire e Berkshire, americane

Polland China, e tedesche Edelschwein.

Figura 5 Sus vittatus

Alcuni studiosi includono nella formazione del suino domestico anche il Sus

Mediterraneus una sottospecie derivate da forme selvatiche europee e asiatiche, le

caratteristiche di questa sottospecie sono ritrovabili attualmente in alcune razze tipiche dei paesi mediterranei come Spagna e Italia.

Le diverse categorie di razze suine possono essere suddivise secondo la provenienza geografica:

razze suine di tipo orientale; brachimorfe, precoci, dalle dimensioni ridotte, ad alta

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razze suine di tipo occidentale; provenienti dal ceppo celtico-iberico,

meso-dolicomorfe, medio-tardive, di dimensioni medio-grandi, media prolificità (8-12 nati), limitata adiposità muscolare.

E' possibile dividere le razze anche sulla base al profilo nasale:

-rettilineo: profilo nasale diritto; faccia lunga, grugno stretto; produce carne magra, tardivo (es.: razze autoctone italiane).

-concavilineo: profilo nasale leggermente concavo, di grande mole, produce carne mediamente grassa (appartiene a questa categoria la razza Large White).

-ultraconcavilineo: profilo nasale fortemente concavo, produce carne grassa, elevata precocità (razze cinesi).

Per le diverse caratteristiche dei sistemi di allevamento si possono distinguere inoltre tra razze Europee dall'elevata disponibilità numerica, garantiscono buone performance in relazione all'ambiente, sono selezionate per produzioni di qualità (ceppi italiani), oggetto di numerosi studi e ricerche; e razze Americane: molto produttive e con caratteri molto stabili nel tempo ma dalla ridotta variabilità genetica, che causa l'aumento della frequenza di alcuni geni indesiderati come il gene alotano (Sabbioni, 2007).

Negli allevamenti più all'avanguardia si sta diffondendo l'utilizzo di ibridi commerciali soprattutto per la produzione del suino leggero che forniscono ottime performance in ambienti controllati.

Molti prodotti di qualità italiani e non solo sono ottenuti attraverso l'utilizzo di razze autoctone, caratterizzate da grande rusticità, quasi totale assenza del gene alotano, spesso riconoscibili per alcune caratteristiche morfologiche, come ad esempio la cintura di colore più chiaro nella famosa razza “Cinta Senese”. Per l'allevamento di

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queste razze l'UE spesso fornisce contributi economici, inoltre il loro utilizzo è necessario in alcuni disciplinari DOP.

Un'altro aspetto importante delle razze autoctone è il legame con il territorio, infatti esse hanno caratteristiche che gli consentono di sfruttare al massimo le risorse della zona di origine, per questo si tende a promuovere il più possibile il loro utilizzo nelle aree in cui sono nate e in cui il loro allevamento risulta poco oneroso economicamente e in cui sono apprezzate come componente culturale del luogo.

I problemi legati all'utilizzo di queste razze sono l'assenza quasi totale di studi sulla qualità dei prodotti, le scarse performance che esse garantiscono, la disponibilità numerica ridotta (Ferruzzi,2013).

In Italia vengono allevate un gran numero di razze sia autoctone sia straniere, la loro scelta dipende essenzialmente dal tipo di allevamento: per i sistemi intensivi si preferiscono razze migliorate spesso di origine straniera che garantiscono elevate performance produttive, per i sistemi estensivi in cui i suini vengono allevati allo stato brado o semibrado si preferiscono razze autoctone italiane caratterizzate da spiccata adattabilità e rusticità.

Le razze straniere allevate in Italia sono Europee o Americane. Le razze europee di maggiore importanza sono:

- Large White: razza inglese derivata dalla locale Yorkshire incrociata con suini cinesi e

italiani (Napoletana); importata in Italia alla fine dell’800, è di mole notevole (fino a 350 kg f., 450 kg m.); mantello bianco; cute rosata; profilo leggermente concavo; orecchie erette e portate avanti; tronco muscoloso; prosciutto sviluppato ma non globoso; arti robusti.

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A livello produttivo garantisce alta fecondità e prolificità (capezzoli non < 12-14); buon istinto materno; carne di ottima qualità (bassa frequenza del gene alotano); carcasse magre.

Figura 6 Esemplare di razza Large White

- Landrace: selezionata in Danimarca nell’800, da incroci fra razze locali e LW; buona

mole, mantello bianco; cute rosata; profilo leggermente concavo; orecchie rivolte in avanti e in basso; tronco allungato (siluriforme); prosciutto sviluppato e non globoso, purtroppo la frequenza del gene alotano ancora alta in alcuni ceppi (L.belga); carcasse ben muscolose; caratteri materni inferiori alla LW. Esistono diversi ceppi della razza Landrace ed essi si differenziano per alcune caratteristiche. La landrace olandese presenta la miglior attitudine alla produzione di carne e migliori parametri riproduttivi. La Landrace belga oggi è considerato una razza a sé stante; ad elevata frequenza del gene alotano (ca. 90%). Presenza di ipertrofia muscolare di natura genetica (prosciutti globosi) ma scarsa prolificità.

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Pietrain: selezionata in Belgio di media mole; mantello bianco con pezzature nere

irregolari; ipertrofia muscolare, prosciutti globosi, discreta prolificità. Elevata % di tagli magri; elevata frequenza del gene alotano; valido per la produzione del suino leggero. Le Razze Americane più allevate in Italia invece sono:

- Duroc: buona mole; mantello da mogano a marrone chiaro; cute ardesia, rosata sul

ventre e nelle zone interne degli arti; setole forti, ben impiantate e difficilmente asportabili al macello; prosciutti larghi e muscolosi; arti robusti. Dalla buona fecondità, scarsa prolificità; buoni parametri di allevamento (riduzione IC nelle ultime fasi); carcasse con difetti di grassinatura (impiego solo negli incroci almeno per la produzione di tagli pregiati); carne di buona qualità (scarsa frequenza del gene alotano.

- Hampshire: buona mole; cute e setole nere con fasciatura toracica bianca

comprendente gli arti anteriori; profilo rettilineo; orecchie erette; prosciutto muscoloso e globoso; arti robusti buona attitudine alla produzione di carne magra; qualità della carne non elevata: carni acide (effetto Hampshire, causato da un eccesso di potenziale glicolitico); scarsi parametri riproduttivi; utilizzata per incroci.

- Poland China: derivata da incroci fra razze europee (Berkshire) e cinesi; mole

medio-grande; profilo mediamente concavo; mantello e cute neri, con pezzatura bianca centrifuga; orecchie portate per 2/3 verso l’alto e poi verso il basso; elevata precocità. I suoi caratteri produttivi sono modesta prolificità; elevata rusticità; buona produzione di carne, di qualità non elevata (media frequenza del gene alotano); negli incroci con razze rustiche trasmette precocità.

- Spot: ottenuta dalla razza Poland China attraverso incroci con razze locali è di media

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pezzature nere a bordi netti, tronco muscoloso;buone caratteristiche di allevamento; qualità della carne medio-alta (frequenza del gene alotano medio-bassa) (Succi, 1999). Le razze autoctone italiane riconosciute dall’ANAS sono CINTA SENESE, CASERTANA, CALABRESE ,MORA ROMAGNOLA, SICILIANA (NERO DEI NEBRODI).

Si caratterizzano per la cute quasi sempre pigmentata con presenza di setole scure, precocità non elevata, prolificità media, rusticità e ottimo adattamento alla zona tradizionale di allevamento, di solito sono allevate allo stato brado per la produzione di insaccati con elevate caratteristiche qualitative. Nel contesto della prova sperimentale della mia tesi, di cui specificherò più avanti, è stato utilizzato il tipo genetico Nero di Parma: l'attuale Nero di Parma, nonostante ricordi molto da vicino l'antica razza Nera Parmigiana o reggiana, attualmente estinta, deriva da una recente opera di selezione. La Nera Parmigiana ha un'origine antica e diversi documenti storici testimoniano come l'allevamento suino nel Parmense fosse un'attività radicata e documentata già alla fine del 1400 e come a quel tempo risultassero particolarmente apprezzati suini a mantello nero. E' del 1820 il primo documento che cita espressamente la razza Parmigiana, che viene descritta come animale caratterizzato da arti corti, setole quasi assenti, colore della pelle bruno tendente al nero, di peso ragguardevole, se paragonato alle altre allora allevate, potendo raggiungere i 190-240 kg, e produttore di carne squisita facilmente conservabile.

Una descrizione più recente della razza Nera Parmigiana si ha ad opera di Rozzi nel testo "Agricoltura Parmense" del 1937. Tale descrizione inquadra la razza suina Nera Parmigiana nel gruppo delle razze cosiddette iberiche, ossia delle razze mediterranee diffuse in Spagna, Italia, Francia meridionale e aventi come caratteristiche distintive una forte prolificità e uno spiccato adattamento al pascolo e al grufolamento.

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Le mutate condizioni socio-economiche intervenute nel sistema produttivo agro-alimentare nella seconda metà dell'800 determinarono l'introduzione di alcune razze suine inglesi, che venivano reputate utili nel miglioramento delle popolazioni suine autoctone. Risale al 1873 la prima introduzione nella provincia di Parma dei suini Large White, seguita a breve distanza, nel 1876, da quella di riproduttori di razza Berkshire. Seguirono le razze Middle White, Large Black, Tamworth. La sostituzione della Nera Parmigiana con altre razze, la Large White in modo particolare, portò nel corso del secolo scorso alla sua completa scomparsa. A partire dalla metà degli anni Novanta, fu attuata l'opera di ricostituzione di questa razza che comprese all'inizio un capillare monitoraggio sul territorio da parte Dell'Associazione Provinciale Allevatori, alla ricerca di soggetti che presentassero, almeno in parte, le caratteristiche riconducibili all'antica razza. Nella campagna di Santa Margherita di Fidenza vennero trovate alcune scrofe con estese macchie grigio ardesia sul dorso e sul posteriore; nel comune di Bardi nell'alta Valcena, venne poi individuato un vero macchiato allevato da un vecchio montanaro della zona, che venne utilizzato per alcune monte; altre scrofe macchiate vennero infine individuate a Pellegrino Parmense.

I suini individuati e acquistati vennero allevati e riprodotti in una struttura allestita appositamente a Santa Margherita e nel 2000 si ebbero i primi parti e si iniziò la selezione degli animali, che è stata orientata alla produzione dei suini neri con un aspetto simile a quello dell'antica razza Nera Parmigiana; fu anche creato uno standard di razza, desunto dalla notevole bibliografia reperibile. Diversi nuclei di suini si sono costituiti sul territorio della provincia di Parma e attualmente i riproduttori della popolazione sono stati collocati dall'Associazione Nazionale Allevatori Suini (ANAS) in un Registro di riproduttori ibridi, mantenuto

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