3.1 L’italiano di Roma
3.1.1 Altiero Spinelli
Storicamente280, Altiero Spinelli aveva aderito al partito comunista nel 1924, quando aveva appena diciassette anni. Arrestato nel 1927, passò diciassette anni recluso tra prigioni e confino a causa della sua attività politica antifascista. L’ultima lunga esperienza di prigionia fu quella ventotenese: venne trasferito al confino sull’isola nel luglio del 1939 e venne rilasciato nell’agosto nel 1943, dopo la caduta di Mussolini.
Wu Ming 1, nel romanzo in esame, ricostruisce il personaggio di Altiero Spinelli caratterizzandolo, in talune occasioni, con una parlata romanesca: la personalità e le idee del personaggio Spinelli sono intimamente legate alla lingua che l’autore gli ha attribuito. Talvolta con maggiore interferenza del dialetto, talvolta con forme colloquiali, la lingua di Spinelli è variegato e composito vettore di conoscenza cosmopolita.
Inoltre, l’autore evoca nel testo alcune comprovate peculiarità del confinato Spinelli, tra le quali quella di essere un grande lavoratore (a Ventotene, si adoperò come orologiaio, come allevatore e poi contadino) e di avere una cultura sconfinata (non solo politica, ma anche umanistica e scientifica).
Per la trasposizione letteraria di queste peculiarità di Spinelli, l’autore si avvale di una serie di riferimenti in lingue straniere o antiche e di citazioni letterarie, indici di una vasta cultura umanistica ed europea. La prima citazione, tra i rimandi alla vasta cultura di Spinelli, è la breve locuzione ‘Mon semblable, mon frère’, tratta dall’appello al lettore della raccolta Fleurs du mal di Baudelaire, ed impiegata in riferimento a Pontecorboli, col
275 De Blasi, Geografia e storia dell’italiano regionale, p. 98. 276 <https://dizionario.internazionale.it/parola/magnaccia> 277 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 15.
278 <https://dizionario.internazionale.it/parola/saccoccia> 279 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 121.
68 quale Spinelli afferma di avere notevoli affinità («– Eppure io sento che m’assomiglia, (…) Mon semblable, mon frère »281). Segue un enunciato nel quale il padre del federalismo europeo ironizza sul suo pseudonimo di Ulisse:
«Un giorno sentii Spinelli raccontare di quand’era un comunista in clandestinità. Il suo nome in codice era ‘Ulisse’. – E adesso, – aveva concluso, ridendo, – a conferma del nomina sunt omina, ‘sotto il peso di doglie profonde, in un’isola ei giace’»282.
La locuzione latina nomen omen al plurale è impiegata come preambolo per la comparazione del percorso di vita di Spinelli con il viaggio e le sventure di Odisseo, evocati in questo passo dalla citazione283 dell’Odissea, nella traduzione di Ettore Romagnoli, tratta dal canto V nel quale l’eroe è imprigionato da Calipso.
In Come ho tentato di diventare saggio, raccolta delle memorie di Spinelli, egli chiarisce che la prima parte del testo è intitolata Io, Ulisse in onore allo pseudonimo che gli venne attribuito durante gli anni in cui aveva agito nell’illegalità, «anni nei quali, percorrendo una [sua] personale odissea [ha] (…) assunto quella che sarebbe diventata la vera propria [sua] vita, reale e piena»284.
Le conoscenze poliedriche di Spinelli emergono anche nell’allusione ai due impulsi, apollineo e dionisiaco, descritti dal filosofo Nietzsche nella Nascita della tragedia («(…) Il viaggio nel tempo di cui parla Pontecorboli è un’esperienza dionisiaca, mentre Colorni è apollineo da fare schifo»285), nell’utilizzo di lingue straniere («apprezzo l’understatement, come dicono gli inglesi»286) e nel riferimento a Platone («Platone Platone! Il filosofo! Lui ’sta cosa l’aveva capita, si vede quando abbandona il ragionamento e si mette a inventare o rimodellare miti…»287).
Dalle memorie del fondatore del federalismo europeo, emerge la sua fervida attività intellettuale durante gli anni di reclusione. Prodotto di questa attività sono una serie di scritti eterogenei («esercitazioni filosofiche e politologiche, pensieri fuggevoli, dialoghi scritti, talvolta qualche gemito»288) nei quali riporta riflessioni, meditazioni e pensieri, in particolare, nel paragrafo Il linguaggio notturno, egli riporta una riflessione scritta a
281 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 68. 282 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 71. 283 Romagnoli, Odissea, p. 91.
284 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 5. 285 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 139. 286 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 161. 287 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 214.
69 Ventotene nel periodo in cui fervevano le polemiche sul Manifesto Per un’Europa libera e unita, ormai noto ai confinati dell’isola.
Questa riflessione risulta fondamentale per l’economia del romanzo, in quanto su di essa si basa l’interpretazione delle utopistiche teorie di Giacomo. Wu Ming 1 rielabora i concetti veicolati dalla riflessione di Spinelli e nel romanzo è proprio il doppio letterario del fondatore del federalismo europeo a fornire questa chiave esegetica. Le parole usate nelle memorie vengono in parte riprese, in parte modificate e semplificate, anche per mezzo dell’immissione di tratti del parlato romano, come l’impiego di de per di, l’aferesi dei dimostrativi e di alcune voci verbali all’infinito (come parla’ e capi’), oppure di elementi afferenti al linguaggio colloquiale come l’espressione da fare schifo.
La prima circostanza nella quale Spinelli si trova a dare la sua interpretazione del punto di vista di Giacomo è durante una conversazione alla mensa dei socialisti:
«Poi Spinelli entrò nella mensa e, soprattutto, entrò in argomento. A modo suo. / – Coi discorsi di Colorni non si va da nessuna parte. C’è una lingua del giorno e una lingua della notte. Pontecorboli vi ha parlato nella lingua della notte, che Colorni sta cercando di tradurre nella lingua del giorno. Il viaggio nel tempo di cui parla Pontecorboli è un’esperienza dionisiaca, mentre Colorni è apollineo da fare schifo. Ma consolatevi, sono sicuro che Pontecorboli stesso compie un errore simile: anche durante il giorno continua a parlare nella lingua notturna, che è fatta di visioni, credendo di usare la lingua diurna, quella della ragione»289
In questo passo si nota una semplificazione dei concetti veicolati nelle prime righe del brano riportato in Come ho tentato di diventare saggio, dove si legge che «Parlare di giorno colla lingua della notte fa solo correre il rischio di essere frainteso. Ma (…) pensare la notte con il linguaggio del giorno significa sbagliare ogni meditazione, sforzarsi di conservarsi quando invece bisogna perdersi»290.
La seconda circostanza in cui Spinelli ritorna sull’argomento del linguaggio notturno è quando il protagonista gli chiede delucidazioni al riguardo, nel tentativo di comprendere quale meccanismo possa aver dato origine alle idee di Giacomo:
«– Vedi, Squarzanti, noi di giorno parliamo un certo linguaggio, o (…) perlomeno noi, le persone intelligenti e raziocinanti. / – Domine non sum dignus, ma grazie per avermi incluso. (…) / – (…) Questa lingua diurna è fatta di dialogo, discussione, confronto. Poi c’è, complementare e necessaria alla prima, una seconda lingua: quella notturna (…). È una lingua fatta de visioni, slanci febbrili, e che parliamo a noi stessi (…). Ora stai attento, Squarzanti: pensare di notte col linguaggio del giorno
289 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 139.
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inaridisce, chiude l’anima ai misteri e alle rivelazioni. (…) Pontecorboli intuisce che, se ci parlasse nel linguaggio con cui pensa, noi non capiremmo, allora cerco di tradurlo, parla de scienza, fa calcoli (…), ma non è una vera traduzione, perché non ne esce niente de comprensibile»291
Di nuovo, il riferimento è al brano delle memorie del confinato Spinelli nel quale si affronta il tema della necessità e complementarietà di due linguaggi e delle due differenti occasioni in cui devono essere sfruttati per espandere le potenzialità del ragionamento, poiché, secondo Spinelli, la notte fornisce alla mente umana un «succoso alimento, pieno di misteriosa forza nutritiva»292.
Infine, nel medesimo passaggio, Wu Ming 1 giunge a riportare un’intera sezione tratta dalla meditazione sul linguaggio notturno di Spinelli. Si vedano i due passi a confronto:
«– È la stessa distinzione tra Apollo e Dioniso? – Ah, già, dimenticavo che tu t’esprimi coi miti greci. E fai bene, a volte il linguaggio mitico è necessario, quando hai afferrato qualcosa di essenziale ma ancora non riesci a esprimerti con la lingua della razionalità. Guarda Platone… Che fai, Squarzanti, guardi il gallo? Platone Platone! Il filosofo! Lui ’sta cosa l’aveva capita, si vede quando abbandona il ragionamento e si mette a inventare o rimodellare miti… Ma m’avevi fatto una domanda: sì, diciamo di sì. Tu ce lo vedi Dioniso parla’ nella lingua de Apollo? (…) / – Dunque, secondo te, Giacomo dice la verità? (…) / – Sicuramente dice una verità. Bisogna capi’ quale»293
(La macchina del vento);
«Il linguaggio mitico è una necessità. Non si può parlare altrimenti quando si è afferrato qualcosa di essenziale e non si riesce ancora tuttavia a comprenderla. Platone l’aveva ben capito, ed è una prova della sua superiore intelligenza, la disinvoltura con cui abbandona il ragionamento e si mette a modellare e rimodellare miti, pur di non lasciarsi sfuggire l’essenziale sol per lo stupido motivo che è ancora inesprimibile nella comune lingua della ragione»294 (Come ho tentato di diventare saggio). La ripresa del testo di Spinelli fa sì che nella riproduzione romanzesca risaltino gli elementi tesi ad enfatizzare l’oralità. L’intima meditazione diviene nel romanzo una discussione intellettuale tra confinati, nella quale la familiarità dei due partecipanti consente l’abbassamento dei toni e l’immissione di tratti colloquiali e dell’italiano di Roma. Emerge, altresì, il fatto che la presenza di questi tratti non è molto incisiva, in quanto è limitata all’impiego della preposizione de (un’unica volta), del verbo parla’ e dell’espressione ’sta cosa.
La stessa semplificazione di cui si sono dati diversi esempi con il confronto tra romanzo e memorie storiche, avviene per quel che concerne i concetti politici espressi da Spinelli
291 Wu Ming 1, La macchina del vento, pp. 213-215. 292 Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio, p. 319. 293 Wu Ming 1, La macchina del vento, p. 214.
71 personaggio di finzione, al quale sono attribuite ideologie assimilabili al personaggio storico, con l’addizione di elementi linguistici informali e regionalismi. Si ha un’esemplificazione di quanto appena affermata nel seguente passo, tratto da una discussione di argomento politico, circa la necessità di superare gli Stati Nazionali:
«Altiero aggirò il tavolo da lavoro, ci raggiunse e attaccò col consueto piglio, cedendo ogni tanto all’inflessione romana: – Non solo ogni città, ma ogni Stato nazionale è come Ventotene. Checché ne dica il fascismo, al mondo d’oggi nessuna nazione può essere autarchica, e quanto più dipende da un complesso sistema di scambi internazionali, tanto più i suoi capi politici e militari cianciano di ‘onore nazionale’, ‘supremazia’, ‘sacralità dei confini’, ‘posto al sole’, ‘spazio vitale’ eccetera. Come i cervi infoiati, ogni Stato deve mette in mostra un bel palco de corna, e fare a cornate coi rivali, perché ciascuna nazione deve competere con le altre, conquistare risorse lontane, accaparrasse le materie prime eccetera»295.
Ogni particolare della locutio di Spinelli sottende un indizio sulle sue intenzioni ideologiche. Molti dialoghi riportati nel romanzo preparano il lettore alla rivelazione del Manifesto di Ventotene, a quell’idea di Europa unita che anche nella realtà storica è nata sull’isola di confino. Il concetto di linguaggio notturno stesso sottende l’idea fondamentale che sia necessaria capacità di visione, per poter produrre nuove concezioni, nuovi ideali e, di conseguenza, nuove strutture politiche.
A tal proposito, si menziona anche la presenza di una citazione296 dal Manifesto di Ventotene pronunciata nel romanzo dal personaggio Spinelli stesso: «– Ogni equilibrio sta saltando. Bisogna tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge. La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!»297.